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Gli Emirati Arabi Uniti e il Rentier State del futuro: un’analisi energetica e socioculturale

Aggiornamento: 26 ott 2022

Fig 1: Gli Emirati Arabi Uniti e la transizione verde (Gulf News)

1. Introduzione


Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) sono tra le monarchie del Golfo che hanno costruito la loro fortuna sugli introiti derivanti dal mercato petrolifero e dagli investimenti esteri. Sesto esportatore mondiale di petrolio, è uno dei pochi membri dell’OPEC che continuano a investire per aumentare la propria capacità produttiva, nonostante la crisi energetica, la pandemia da COVID-19, e la più recente guerra in Ucraina. La loro popolazione è costituita per circa l’88% da espatriati stranieri che sono alla base di una piramide sociale composta, inoltre, dall’11% di componente locale, caratterizzata da un’ampia diversità etnica. Poiché le rendite da idrocarburi hanno segnato in maniera marcata lo sviluppo economico e del tessuto sociale della regione, inclusi gli Emirati Arabi Uniti, è possibile attribuire la caratteristica di Rentier State anche a questi ultimi. Ciò nonostante, nel gennaio 2017 viene rilasciata la UAE Energy Strategy 2050, un piano di investimenti per una transizione verde e la diversificazione delle risorse di approvvigionamento energetico. L’iniziativa porta con sé obiettivi ambiziosi con l’intento di assicurare un futuro sostenibile al Paese. Pertanto, l’analisi verrà analizzata all'interno di un quadro più ampio di rinnovamento sociale che ha come cardini l'emiratizzazione della società e la salvaguardia dell’alto livello di welfare.


2. Analisi preliminare degli Emirati Arabi Uniti


Gli EAU si collocano a est dell’Arabia Saudita, e a nord ovest dell’Oman. Affacciano sul mare, nella zona strategica tra il Golfo Persico, lo Stretto di Hormuz, il Golfo di Oman.

Fig. 2: Collocazione degli Emirati Arabi Uniti e relativa area geografica (GISGeography)

La geografia territoriale influisce largamente sulla vita sociale, economica e politica.. Si riportano tre macroaree: quella costiera e delle isole con il loro territorio pianeggiante, caratterizzato da deserti di sale privi o quasi di vegetazione, sabkha. Quella montana, degli altipiani e delle valli delle Hajar, wadi, entro le quali si vanno a formare dei corsi d’acqua stagionali tra dicembre e febbraio, e che si trovano al confine con l’Oman. Infine, quella sabbiosa desertica interna costellata di oasi.

Fig. 3: Carta politica degli Emirati Arabi Uniti (World Atlas)

Gli EAU sono una monarchia federale che riunisce sette Emirati, di cui il più ampio e il più popolato, Abu Dhabi, ricopre l’87% del territorio e è il centro industriale petrolifero. Quello rappresentato dalla città aero/portuale di Dubai è, invece, uno dei punti economici e finanziari del Paese. Accanto a essi, i territori più piccoli di Sharjah, Ras Al Khaimah, Ajman, Umm Al Quwain, Fujairah, punto di commercio chiave, unico ad affacciare sul Golfo di Oman[1].


I sette si uniscono in un Paese indipendente dalla Gran Bretagna il 2 dicembre 1971 sotto l’egida del padre fondatore Sheikh Zayed bin Sultan al-Nahyan, appartenente al potente gruppo clanico di Abu Dhabi, composto a sua volta da gruppi tribali federati. Storicamente, infatti, l’area è caratterizzata dalla diversità etnica organizzata in confederazioni claniche, specialmente lungo le coste, dove, durante il sec. XVIII, le tribù prendono sempre più il controllo del commercio tra Golfo Persiano e Oceano Indiano, cercando una maggiore autonomia dall’impero britannico.


Internamente, a partire dalla metà del sec. XIX, la dinastia Qasimi della città di Ras al-Khaimah perde potere a favore dell’ascesa del gruppo confederato Banū Yās residente nelle oasi di al-Ain e Līwā, sotto la leadership della famiglia Nahyan, tuttora al potere, originaria di Abu Dhabi e appartenente al gruppo tribale al Bū Falāh. La Costituzione del 1971 viene approvata definitivamente nel 1996, all’insegna della cooperazione nella Grande Nazione Araba e con gli altri “Stati amici”, membri delle Nazioni Unite, alle quali gli EAU aderiscono nel 1972. Ogni emirato ha il suo monarca e ciascuno di essi va a comporre il Consiglio Supremo che elegge un Sultano ogni cinque anni (gregoriani), tra i suoi componenti. Presidente del Paese tutto, l’attuale Presidente dell’Unione, e Prìncipe di Abu Dhabi (2004-2022), è Sheikh Mohamed bin Zayed al-Nahyan (MBZ), successore di Khalifa bin Zayed Al Nahyan, insediatosi il 14 maggio 2022 e appartenente alla dinastia fondatrice del Paese. Egli è all’apice di un sistema istituzionale piramidale che comprende un Consiglio dei ministri scelti tra i cittadini competenti; un Consiglio dell’Unione Nazionale, con potere legislativo, composto da quaranta membri, eletti per due anni secondo regole specifiche dell’Emirato che rappresentano e con un numero diverso di seggi. Questi consistono in otto per Abu Dhabi, Dubai e il Sharjah; sei per il Ras al Khaimah e per l’Ajman; quattro per il Umm al Qaiwain e per il Fujairah). Infine, ogni territorio ospita gli uffici locali della Corte di Giustizia indipendente e federale.


3. Considerazioni socioeconomiche in funzione della UAE National Energy Strategy 2050


Fig. 4: Demografia degli Emirati Arabi Uniti (World Population Review)

La popolazione, eccedente i 10 milioni, è urbanizzata all’86% e si concentra lungo le coste. A maggioranza maschile, per circa il 69% contro circa il 31% di donne, è composta per l’88% da stranieri espatriati, di qui la forte varietà culturale, confessionale e linguistica, che si aggiunge alla diversità etnico-culturale propria della componente autoctona, che rappresenta appena circa il 10%. L’età media della popolazione emiratina è di circa 32 anni con un tasso di crescita al 1,23%. La popolazione è fortemente stratificata e ciò si riflette nella scala sociale, anche se meno accentuata oggi rispetto agli anni ‘90, e con un palese cambiamento durante gli anni di pandemia da COVID-19.

Fig. 5: Rappresentazione della disparità di reddito negli Emirati Arabi Uniti (World Inequality Database)

È possibile suddividere la popolazione in due macrocategorie sociali: da un lato i nazionali che includono la dinastia al governo, i commercianti e gli uomini d’affari, i professionisti della classe media, i nomadi beduini e cercatori di perle (attività costiera da sempre fiorente. Dall’altro gli stranieri, professionisti impiegati in settori dove sono richieste alte e medie competenze tecniche, professionisti impiegati in mansioni con qualifiche di base. Rinomati sono coloro che vengono impiegati nel settore privato contrattualizzati attraverso il sistema della kafala che sono al centro delle attenzioni soprattutto degli enti che si occupano di diritti umani. Infatti, esso è un sistema consolidato all’interno della giurisprudenza islamica per regolare rapporti lavorativi. Con il tempo e in seno a specifiche circostanze economiche ha assunto più le sembianze di rapporti di schiavitù, soprattutto nelle monarchie del Golfo, in Giordania e in Libano.


A tale proposito si sottolinea come l’intervento pubblico per limitare il fenomeno della schiavitù moderna sia in linea con la tradizione sunnita malikhita, meno rigida di quella wahhabita che caratterizza altre monarchie del Golfo. La stessa tradizione culturale rimane funzionale allo sviluppo socioeconomico concepito sulla convivenza più o meno pacifica con la diversità confessionale, pur riconoscendo una priorità unilaterale all’Islam, e una distanza delle istituzioni politiche dagli affari religiosi che non devono influenzare le attività politiche ed economiche. Ad ogni modo, il quadro interpretativo entro cui collocare gli EAU è quello della forte identità araba e musulmana alla base della Costituzione stessa e di iniziative come l’accordo regionale del Gulf Cooperation Council. Internamente lo stesso contesto è utilizzato nei diversi nuovi provvedimenti con l’intento di favorire la popolazione locale, soprattutto dopo lo shock della pandemia da COVID-19.

Fig. 6: Gli Emirati Arabi Uniti mirano a ottenere una competitive knowledge-based economy (u.ae, sito istituzionale ufficiale)

Con la modernizzazione dell'istruzione, c’è una disponibilità di un ampio bacino di forza lavoro locale qualificata, a oggi maggiormente attratta dal settore pubblico (retribuzioni superiori, agli orari di lavoro ridotti, ai regimi pensionistici favorevoli), e che diverse iniziative stanno cercando di allocare anche nel fiorente settore privato. La forza lavoro rimane al centro del discorso politico di emiritizzazione in un macro-ecosistema basato sulle innovazioni tecnologiche e la necessità di diversificazione di approvvigionamento energetico. A testimonianza si citano piani come l’Agenda 2021 e il Piano Strategico per lo Sviluppo Nazionale (ENDP) volti a sostenere la presenza locale per almeno il 10% entro il 2025 nel settore privato, all’interno di un sistema meritocratico.




Fig. 7: Mohammed bin Zayed Al Nahyan è Presidente degli Emirati Arabi Uniti da Maggio 2022 (Crown Prince Court)

Infine, la UAE National Energy Strategy 2050 (disponibile qui). Inaugurata nel gennaio 2017 dal Vicepresidente e Primo Ministro Shaikh Mohammad Bin Rashid Al Maktoum[2], l’iniziativa piano di investimenti per una transizione verde e la diversificazione delle risorse di approvvigionamento energetico in linea con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda2030 dell’ONU, presentata nel 2015.


4. Gli Emirati Arabi Uniti: un Rentier State nel 2022


La locuzione “Rentier State” è usata in scienze politiche per indicare una nazione, la quale deriva una parte sostanziale del proprio gettito fiscale dall’esportazione del proprio patrimonio di risorse minerarie. Tale fonte “esterna”, difatti, riduce il bisogno di tassare la popolazione; lo stato ridistribuisce la rendita che scaturisce dalla vendita di queste risorse sotto forma di sussidi e occupazione, prevalentemente all’interno del settore minerario ed estrattivo, in cambio del consenso politico. Poiché le rendite da idrocarburi hanno segnato in maniera marcata lo sviluppo economico e del tessuto sociale delle monarchie del Golfo, inclusi gli Emirati Arabi Uniti, è possibile attribuire, questa caratteristica alla nazione emiratina. Le riserve totali di petrolio degli Emirati Arabi Uniti ammontano a circa 100 miliardi di barili (bbl), il 5,6% a livello mondiale. Gli EAU sono, dal 1967, membri dell’OPEC, l’organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio. La produzione di petrolio nel 2021 è stata di 2,72 milioni di barili al giorno (mb/d). Nei primi mesi del 2022, la produzione è cresciuta sorpassando i 3 mb/d nel secondo quadrimestre.

Fig. 8: Prodotto Interno Lordo (PIL) degli Emirati Arabi Uniti e andamento delle rendite provenienti dall’export petrolifero in percentuale sul PIL dal 2000 al 2020. Prodotta dall’autore Guglielmo Zangoni

Gli EAU sono il sesto esportatore mondiale di petrolio e uno dei pochi membri dell’OPEC che continuano a investire per aumentare la propria capacità produttiva. ADNOC, società petrolifera statale e più grande entità economica degli EAU, mira, infatti, ad accrescere la propria produzione fino a 5 mln di barili/giorno entro il 2030 in maniera del tutto simile a quanto accade in contesti simili all’interno della regione del Golfo, oltre a coprire il fabbisogno interno, la maggior parte delle risorse naturali racchiuse nel sottosuolo emiratino sono estratte per adempiere a un solo altro scopo: l’export. Nel 2021, gli EAU hanno esportato 2.3 milioni di barili al giorno; le principali destinazioni sono il Giappone (38,2%), la Cina (6,13%), l’India (10%). Il valore totale dell’export petrolifero si attesta attorno a 54,5 miliardi di dollari, circa il 12,8% del totale dell’export emiratino. Nonostante nel 2021 si sia registrata una crescita del 41.1% delle esportazioni di idrocarburi (petrolio e gas naturale) frutto dell’aumento dei prezzi del petrolio e, conseguentemente, dei prodotti petroliferi, a quest’ultima non ha corrisposto una crescita in termini di PIL.


Nel 2020, secondo i dati riportati dalla Banca Centrale Emiratina (BCEAU), il settore petrolifero ha subito una contrazione del 6,1% in termini di contributo rispetto al PIL nazionale. Nello stesso anno, gli EAU, come del resto le altre nazioni del Golfo, sono stati pesantemente colpiti dagli effetti congiunti della pandemia da COVID-19 e il crollo dei prezzi del crudo, la principale fonte di reddito della regione. All’inizio del 2022 la BCEAU prevedeva una crescita del 5,4% del PIL petrolifero subordinata, però, ai rischi derivanti dalle nuove varianti del virus, all’accesso limitato ai vaccini in molte economie in via di sviluppo, agli effetti della guerra in Ucraina e alle altre tensioni geopolitiche. Negli ultimi mesi, al taglio alla produzione concordato dall’OPEC + e alla paura recessionista che sta attanagliando gran parte delle economie occidentali ha fatto seguito un importante calo del prezzo del greggio, con l’indice Brent che è passato dai $123/barile di giugno agli attuali $90/barile. Tale scenario non sembrerebbe spaventare troppo le autorità di Abu Dhabi, ma le incertezze sono dietro l’angolo e un’ulteriore contrazione della domanda, anche se improvabile, getterebbe ombre sulle aspettative di crescita del governo emiratino.


5. La UAE National Energy Strategy 2050 e la via «oltre» il petrolio


Al di là dello stresso legame tra Abu Dhabi e gli idrocarburi, gli Emirati Arabi Uniti rappresentano un ottimo caso di studio nella transizione energetica e lo sviluppo tecnologico della generazione da fonti rinnovabili. Come descritto nella UAE National Energy Strategy 2050, le autorità emiratine vorrebbero portare a zero le emissioni di anidride carbonica entro il 2050. Il documento stabilisce obiettivi ambiziosi con l’intento di assicurare un futuro sostenibile per il Paese; non un vero e proprio decoupling dai combustibili fossili, bensì una decisa spinta verso una riforma sistemica del settore. La strategia si basa essenzialmente su tre pilastri: sicurezza energetica; sviluppo di fonti di energia rinnovabile; massimizzazione della produttività intrinseca del Paese.

Fig. 9: Foto aerea dell’impianto fotovoltaico di Noor Abu Dhabi (1,177 MW) situato nei pressi della capitale emiratina (Sterling&Wilson)

- Sicurezza energetica


Dalla scoperta dei primi giacimenti petroliferi ad oggi lo scenario energetico degli Emirati Arabi Uniti è cambiato notevolmente. A partire dalla seconda metà degli anni 2000, il progressivo arricchimento derivante dalla vendita degli idrocarburi, ha sospinto la crescita della popolazione emiratina. Crescita che si è manifestata anche in ambito economico dal momento che, come molte altre nazioni della regione del Golfo, anche gli EAU possono oggi fregiarsi di un PIL pro capite tra i più alti al mondo. Con l’accesso di fette sempre maggiori della popolazione a grandi quantità di energia, il consumo interno è aumentato esponenzialmente tanto da mettere in dubbio la tradizionale ed esclusiva dipendenza dalle fonti fossili. A testimonianza di ciò, nel 2000, gli EAU bruciavano 396,000 barili di greggio al giorno (b/d), mentre, solamente dieci anni più tardi, il consumo toccava i 682,000 b/d. Ad accompagnare gli alti consumi interni e un accesso più diffuso all’energia, la terza componente responsabile dell’aumento di domanda energetica interna negli EAU consiste nella cronica insufficienza d’acqua dolce. Negli ultimi anni, Abu Dhabi si è pertanto resa dipendente in maniera considerevole dagli energivori impianti di desalinizzazione che ne sostengono l'approvvigionamento quotidiano. Ad oggi, gli EAU possono contare su uno dei sistemi di desalinizzazione e distribuzione più avanzati al mondo; la capacità installata totale derivante dalla somma dei 70 impianti disseminati in prossimità della costa è di circa 6,000 metri cubi di acqua al giorno, il 42 % della domanda giornaliera d’acqua. Il funzionamento di questi impianti è dunque vitale per la sopravvivenza stessa della nazione, nonostante l’enorme dispendio di energia di cui necessitano.


- Fonti rinnovabili


Come evidenziato in una precedente analisi, negli ultimi anni gli Emirati Arabi Uniti si sono particolarmente distinti sul fronte dello sviluppo tecnologico e della generazione di energia da fonti rinnovabili, ambiti nei quali appare evidente la decisa spinta socio-economica delle autorità di Abu Dhabi. I 2,5 GW di capacità installata di cui dispongono, infatti, li pongono in cima alla classifica per quanto riguarda i paesi dell’area MENA e lo sfruttamento di fonti di energia alternative ha il duplice obiettivo di mitigare la crescente domanda interna e di diversificare il paniere energetico del Paese. La UAE Energy Strategy 2050 denota quindi il chiaro obiettivo di trasformare la nazione nel principale polo tecnologico della regione, in una “Silicon Valley dell’energia rinnovabile” come dichiarato dal Sultano al-Jaber, Ministro dell’Industria e della Tecnologia nonché Managing Director di ADNOC e Chairman di Masdar. Nata nel 2006 con lo scopo di realizzare infrastrutture e progetti per la generazione di energia rinnovabile in tutto il Paese, la società emiratina è responsabile, tra le altre cose, della realizzazione di Masdar City, la prima città totalmente sostenibile della regione il cui completamento è previsto per il 2030. Più in generale, le aspirazioni del governo di Abu Dhabi passano attraverso la realizzazione di diversi obiettivi a medio-lungo termine, tra cui l’aumento degli investimenti diretti nel comparto ricerca e sviluppo e, soprattutto, la formazione di personale tecnico specializzato locale[3]. A tal proposito, il Ministero delle Risorse Umane e dell’Emiritizzazione degli EAU punta, tramite la National Employment Strategy 2031, alla realizzazione di 610 mila nuovi posti di lavoro nei settori a più alto valore aggiunto con l’intento di favorire un processo di progressiva indigenizzazione (o emiratizzazione) anche nel settore energetico nazionale. Di conseguenza grande attenzione è altresì riservata al mondo universitario nel quale si inseriscono realtà come il Masdar Institute e la Khalifa University per la progettazione di tecnologie all’avanguardia per la generazione energetica, l’approvvigionamento di risorse idriche, l'ambiente e il trasferimento di conoscenza e innovazione per lo sviluppo sostenibile della nazione.

Fig. 10: La Wind Tower di Masdar City nei pressi di Abu Dhabi fornisce raffreddamento al vicino Istituto di Scienza e Tecnologia (Masdar)

- Massimizzazione della produttività


Nonostante le turbolenze globali e il ripercuotersi dei danni provocati dalla pandemia, gli EAU godono di un’economia stabile nella quale il settore privato è in costante crescita. Le alte rendite provenienti dalla vendita di idrocarburi, sostenute dal prezzo del greggio, sembrerebbero trasmettere fiducia nell’investimento mentre l’attuale stato dei mercati sembrerebbe dare ragione alle scelte operate sin qui dal governo di Abu Dhabi. L’industria delle rinnovabili ha preso notevole slancio in particolar modo nella produzione di energia elettrica. La UAE National Energy Strategy 2050 punta a ottenerne il 50% della generazione elettrica da fonti pulite tra cui i più tradizionali fotovoltaico ed eolico, ma anche il nucleare[4]. L’attuazione di questi importanti obiettivi non può prescindere da tre elementi: infrastrutture adeguate, organismi efficienti e capitale umano qualificato. Nella regione del Golfo, gli EAU hanno compiuto meglio degli altri i passi necessari per l’attuazione di importanti progetti e iniziative, e la realizzazione delle infrastrutture necessarie. Massimizzare la produttività sfruttando appieno il potenziale rinnovabile a disposizione ha, agli occhi delle autorità emiratine, la duplice funzione di proteggere il tradizionale welfare accumulato grazie alle rendite degli idrocarburi e, soprattutto, sbloccare nuove opportunità di crescita economia e tecnologica che siano svincolate dalle ricchezze del sottosuolo. Non a caso la stessa Masdar opera tanto entro i confini statali quanto all’esterno di essi con l’obiettivo di accrescere la propria reputazione - e, di riflesso, quella degli emirati stessi - come leader tecnologico regionale.


6. Conclusione


In sintesi, il programma UAE National Energy Strategy 2050, fortemente innovativo da un punto di vista tecnologico, è stato ideato allo scopo di sostenere lo sviluppo degli EAU, pur non rinunciando totalmente alle rendite derivanti dagli idrocarburi. Il Rentier State del futuro, dunque, si potrebbe riassumere come un hub energetico il cui consumo interno, nonché crescita economica, non sono legati a doppio filo alle rendite derivanti dalle proprie risorse minerarie. Su un piano socioeconomico, gli EAU puntano a dirottare maggiori investimenti verso l’interno, ponendo al centro le nuove generazioni per ricavarne capitale umano specializzato da impiegare nel fiorente settore privato, pur senza rinunciare al substrato composto da lavoratori stranieri contrattualizzati tramite il sistema della kafala. Infatti, alla base di tutte queste iniziative – e, in prospettiva, anche di quelle a venire – permane il ben più ampio discorso legato all’emiratizzazione dell’identità arabo-musulmano malikhita.


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Finale_Gli Emirati Arabi Uniti e il Rentier State del futuro un’analisi energetica e socio
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Note

[1] Il Golfo di Oman è un punto di contatto con il vicino Iran, con il quale c’è ampio scambio culturale, ma anche dispute legate a poste in gioco strategiche e energetiche economiche nella comune area marittima. Interessante, per esempio, è vedere la rappresentazione geografica del Gulf Cooperation Council che denomina quello che tutti conosciamo come Golfo Persico, come Golfo Arabo http://gcc-sg.org/en-us/Pages/default.aspx [2] Appartenente alla famiglia regnante di Dubai sin dal 1833, incorporata nel gruppo tribale federato di al-Bu Falasah, parte del gruppo Banū Yās cui appartiene la dinastia regnante di al-Nahyan [3] Nel campo degli investimenti statali, gli Emirati Arabi Uniti operano tramite la controllata Mubadala (sito web). Lo scorso agosto, la società di investimenti ha stretto una partnership con la Khalifa University allo scopo di promuovere opportunità lavorative nei cosiddetti settori STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) [4] Il programma nucleare degli Emirati Arabi Uniti è costantemente monitorato dall’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA). Ad oggi, Abu Dhabi può contare su due reattori APR1400 dalla capacità complessiva di 2700 MWe installati nella centrale nucleare di Barakah nell’emirato di Abu Dhabi. Altri due reattori analoghi sono attualmente in costruzione di cui uno previsto entro la fine del 2022


Bibliografia

  • Al Naqbi S. e altri, Market Desig for Successful Implementation of UAE 2050 Energy Strategy, Renewable and Sustainable Energy Reviews 116, 2019

  • Bahgat G., Energy Security: The United Arab Emirates, Asian Affairs, vol. XLIII, no. II, 2012

  • British Petroleum, BP Statistical Reviews of World Energy, London, 2021

  • Central Bank of the UAE, Annual Report 2021, 2021. Disponibile al sito https://www.centralbank.ae/media/gizhn4zk/cbuae-annual-report-2021.pdf

  • Comparative Constitution Project, United Arab Emirates’ Constitution of 1971 with Amendments through 2004, Oxford University Press, 2022

  • International Monetary Fund, Regional Economic outlook: Middle east and Central Asia, Washington DC, Aprile 2022

  • OPEC, OPEC Monthly Oil Market Report, Vienna, Agosto 2022. Disponibile al sito https://www.opec.org/opec_web/en/publications/338.htm

  • Radwan F.A. e altri, Knowledge, attitude and practice toward sustainability among university students in UAE, International Journal of Sustainability in Higher Education Vol. 22 No. 5, pp. 964-981, 2021

  • United Arab Emirates Constitution of 1971 (e relativi emendamenti), UAE, 2009

  • United Arab Energy, UAE National Energy Strategy 2050, Presentation for CEM Long Term Energy Scenarios, Ministry for Energy & Industry, 2017


Sitografia

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