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I criteri ESG: come anche le aziende possono percorrere la strada verso la sostenibilità

Aggiornamento: 31 lug 2023

Fig.1: Criteri ESG Fonte: www.blog.intellitrans.com

Introduzione


La lotta al cambiamento climatico rappresenta una delle maggiori sfide del XXI Secolo, forse la più grande. Parallelamente a tale consapevolezza, si è fatto strada anche il concetto di sostenibilità inteso come chiave di lettura per poter costruire un mondo più resiliente e in cui lo sviluppo viene concepito non solo guardando alla dimensione economica ma anche a quella sociale e ambientale.


È in questo contesto che nel 2005, in un’ottica di gestione aziendale, viene creato l’acronimo ESG (Environmental, Social and Governance) per indicare una serie di criteri a cui l’operato delle imprese deve tendere per raggiungere i propri obiettivi tenendo in considerazione uno spettro ben più ampio rispetto a quello meramente economico.


Le aziende sono quindi responsabili di produrre un impatto sull’ambiente, sui lavoratori e gli altri attori del territorio in cui l’impresa opera e sulla gestione delle pratiche aziendali nel loro insieme. Con gli anni sempre più aziende hanno abbracciato l’utilizzo dei criteri ESG come guida del proprio operato, è stata creata un’apposita reportistica di sostenibilità, sono nati degli indicatori di performance delle imprese che ricalcano quelli del mondo della finanza, sono aumentati i profili di responsabilità per manager e aziende, così come gli obblighi a loro carico.


1. Perché ESG?


La sostenibilità non è sempre stata vista di buon occhio dalle aziende in quanto considerato spesso come un costo aggiuntivo da sostenere. Ma se è vero che l’adeguamento dell’operato aziendale ai criteri ESG può comportare dei costi, è altrettanto vero che questi sono ampiamente ripagati dai benefici generati per la collettività e per l’opportunità che l’adozione di determinate pratiche genera; e prima un costo viene sostenuto, più facile e veloce è ripagarlo e trarne quindi benefici anche in termini economici. Essere un first-runner nella corsa all’utilizzo di criteri ESG consente infatti all’azienda di ottenere numerosi vantaggi reputazionali da poter sfruttare davanti a potenziali investitori e stakeholders oltre a una maggiore visibilità davanti a consumatori sempre più consapevoli e attenti alla sostenibilità, contribuendo al contempo alla creazione di una cultura della sostenibilità che si estende al di fuori della stessa impresa. Un’altra strada percorribile dalle aziende consiste inoltre nello sfruttare l’utilizzo di criteri ESG con lo scopo di sviluppare in seguito dei propri indicatori di performance di sostenibilità tailor-made, che tengano maggiormente conto del tessuto aziendale di riferimento e siano quindi ancora più efficaci. Questo cambio di percezione della sostenibilità è stato accompagnato anche da importanti novità.


2. I criteri ESG per le Nazioni Unite


Le Nazioni Unite hanno rinnovato il loro impegno nell’ambito della sostenibilità, iniziato con i Millennium Development Goals, dando vita nel 2015 all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità che ingloba al proprio interno i 17 Sustainable Development Goals. Improntati nella stessa ottica dei criteri ESG sono i traguardi espressi dagli Obiettivi 12 e 13 dell’Agenda 2030, che prevedono rispettivamente di “incoraggiare le imprese, in particolare le grandi aziende multinazionali, ad adottare pratiche sostenibili e ad integrare le informazioni sulla sostenibilità nei loro resoconti annuali” e di “migliorare l’istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale per quanto riguarda la mitigazione del cambiamento climatico, l’adattamento, la riduzione dell’impatto e l’allerta tempestiva”. Il punto dolente della strategia ONU sta non solo nel fatto che si tratta di uno strumento non vincolante, ma anche nel suo spettro estremamente ampio che non fornisce quindi indicazioni precise sulle modalità con cui poter raggiungere i target.

Fig. 2 - Sustainable Development Goals. Fonte: theenvironmental.org

3. I criteri ESG per l’Unione Europea


L’Unione Europea è un altro apripista in termini di sensibilità per i temi ESG, soprattutto per la natura vincolante dei propri atti emanati sul tema. Con il Regolamento 2020/852 ha stabilito sei obiettivi ambientali: mitigazione e adattamento al cambiamento climatico; uso sostenibile e protezione di risorse idriche e marine; transizione verso un’economia circolare; prevenzione e controllo dell’inquinamento; protezione e rigenerazione di biodiversità ed ecosistemi; di conseguenza è nata la Tassonomia europea per individuare e classificare le attività in base al loro livello di sostenibilità. Le attività economiche da un lato saranno identificate secondo appositi codici identificativi, dall’altro dovranno rispettare il principio Do Not Significantly Harm (DNSH) secondo cui non bisogna arrecare danni significativi all’ambiente e le garanzie minime di salvaguardia in materia di diritti umani e principi e diritti fondamentali sul lavoro.


La Tassonomia è inoltre accompagnata dall’EU taxonomy navigator, uno strumento che permette la mappatura di settori, attività e criteri della tassonomia e una guida sugli obblighi di reportistica, e dalla Piattaforma sulla finanza sostenibile, un gruppo di esperti permanente con funzione di supporto alla Commissione Europea nell’implementazione della tassonomia.


4. Dai criteri ESG agli indici di sostenibilità…


Il cambiamento di paradigma introdotto dai criteri ESG ha investito il mondo finanziario sottoforma di indici di sostenibilità. Si tratta di indici di borsa che mostrano quanto le aziende lavorino in modo socialmente responsabile, facendo attenzione quindi a diversi aspetti rilevanti per i criteri ESG, tra cui: limitazione delle emissioni inquinanti, impatto sulle acque, riduzione del consumo di energia, capacità della governance aziendale di agire per mitigare i cambiamenti climatici, standard applicati sulle politiche del lavoro.


Internazionalmente spiccano il Dow Jones Sustainability Index, famiglia di indici di valutazione della performance di sostenibilità per le aziende elaborati sulla base della documentazione fornita dalle compagnie, da un’analisi da parte dei media e degli stakeholders, della Corporate Sustainability Assessment e del contatto diretto con le aziende[1]; il FTSE4GOOD, famiglia di indici della performance di compagnie che dimostrano di avere acquisito significative pratiche sociali, ambientali e di governance; e lo STOXX ESG, un indice che rappresenta società ad elevata, media e bassa capitalizzazione appartenenti a 17 paesi europei[2]. In Italia è attivo al momento lo Standard Ethics Italian Index, che calcola il profilo di sostenibilità di aziende seguendo le indicazioni internazionali in campo ESG elaborate da OCSE, Nazioni Unite ed Unione Europea.

Fig. 3 – FTSE4GOOD. Fonte: www.amcor.com

5. … e agli standard per la reportistica non finanziaria


I criteri ESG hanno avuto un risvolto importante per le società anche per quanto riguarda la reportistica non finanziaria. Infatti, una delle conseguenze dell’accresciuto interesse verso la sostenibilità è una spinta, da parte delle aziende, a rendicontare non solo i parametri economici del loro operato ma anche quelli ambientali, sociali e di governance. Gli strumenti maggiormente utilizzati in questo senso sono il bilancio di sostenibilità e la dichiarazione non finanziaria, che possono essere stilati seguendo diversi standard possibili.


Tra gli standard più noti annoveriamo sicuramente quelli GRI (Global Reporting Initiative), che rappresentano buone pratiche per la reportistica pubblica in merito a numerosi impatti economici, ambientali e sociali e che hanno diversi campi di applicazione[3]; e quelli ESRS (European Sustainability Reporting Standard), che tengono in conto questioni trasversali, ambientali (lotta al cambiamento climatico, inquinamento, acqua e risorse marine, biodiversità, economia circolare), sociali (forza lavoro propria, lavoratori nella catena del valore, comunità colpite, consumatori e utenti finali) e di governance (condotta aziendale).


6. Lo stato dell’arte


L’utilizzo dei criteri ESG non implica l’assunzione di meri obblighi di disclosure, ma ha necessariamente delle conseguenze organizzative che richiedono tempo per essere messe in atto. Ad esempio, nonostante in Italia molte banche riconoscano la rilevanza a lungo termine della sostenibilità, sono appena i due terzi di esse ad aver sviluppato una governance dedicata alla sostenibilità, e spesso e volentieri non seguono alla lettera i principi di reporting non finanziario privilegiando piuttosto un approccio non strutturato; e questo nonostante fino al 75% dei flussi di investimento sia di fatto influenzato da politiche di sostenibilità. L’aumento degli investimenti in green bonds (obbligazioni la cui emissione è legata a progetti che hanno un impatto positivo per l’ambiente, come ad esempio l’efficienza energetica o la produzione di energia da fonti pulite)degli ultimi anni e le previsioni future di un’ulteriore crescita in questo senso però fanno ben sperare.


Sicuramente una limitazione è rappresentata dal fatto che la tassonomia europea ha una sfera di attuazione geograficamente circoscritta e quindi le definizioni che offre non sono uniformemente condivise al di fuori dell’UE. Tuttavia, anche in altre regioni del mondo si sta lavorando all’elaborazione di tassonomie, con la speranza di arrivare in futuro a un unico standard globale. In Messico nel 2020 si è riunito un gruppo di lavoro incentrato sulla ricerca di una tassonomia nello specifico per migliorare la finanza sostenibile e mitigare il greenwashing; nel Regno Unito è attivo dal 2021 il Green Technical Advisory Group, un gruppo di esperti indipendenti con funzione di advisory nei confronti del governo britannico per l’implementazione di una tassonomia green (sul modello europeo) a livello nazionale; Canada e Cina invece concentrano i loro sforzi per arrivare ad un risultato a livello globale piuttosto che nazionale.


7. Conclusioni


L’elaborazione dei criteri ESG rappresenta un passo fondamentale, in quanto per la prima volta la platea degli attori responsabili quando si parla di sostenibilità non include più solamente gli Stati e (seppur nel loro piccolo) gli individui, ma anche le aziende. È inoltre significativo che alcune aziende abbiano mostrato uno spiccato interesse e un crescente sforzo per rendere il loro operato più sostenibile anche senza che esistessero veri e propri obblighi in questo senso; infatti, agli inizi, molta della documentazione non finanziaria era redatta non come un obbligo, ma su base esclusivamente volontaria. La proliferazione di standard, indici di sostenibilità e in generale l’accesa discussione sul mondo della sostenibilità mostrano ancora di più come oggi i criteri ESG siano nel picco del loro momentum, e come soprattutto è presente una forte volontà da parte di tutti gli attori. Si tratta di segnali positivi che lasciano ben sperare per il futuro. La speranza ora è che Stati e aziende riescano a operare in un’ottica di cooperazione per raggiungere ulteriori risultati.


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Note

[1] Per approfondimenti: Sustainability Indexes - Corporate Sustainability Assessment (archive.org) [2] Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia e Svizzera. [3] Alcuni sono definiti “universali” e si applicano a tutte le compagnie, altri sono definiti “di settore” e si applicano a settori mirati, ed altri ancora sono definiti “specifici” ed elencano le informative pertinenti per un particolare tema.


Bibliografia/Sitografia




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