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USA 2020, i latinos al voto: Analisi del comportamento elettorale della comunità ispanica

Aggiornamento: 19 gen 2021

1. Introduzione: la battaglia per l’anima dell’America


La “battaglia per l’anima dell’America”[1], quella che ha visto Joe Biden e Donald Trump sfidarsi in campagna elettorale prima, e nei giorni successivi alle elezioni poi, ha riguardato anche la comunità ispanica. La corsa alla presidenza, infatti, non si è giocata soltanto intorno alla pandemia di coronavirus, che negli Stati Uniti colpisce più duramente che altrove. In gioco, c’è anche un’economia da sanare, con milioni di statunitensi che hanno perso il proprio posto di lavoro per effetto della recessione causata dalla pandemia. Altra priorità è la questione razziale, con le minoranze che chiedono un’esistenza dignitosa. Anche se negli ultimi mesi sono state le comunità afroamericane le protagoniste delle rivendicazioni sociali, riaccese come non accadeva da tempo dalla morte di George Floyd e dal ritorno del movimento Black Lives Matter, la comunità ispanica è stata uno degli osservati speciali di queste elezioni presidenziali.


Chi sono i latinos degli Stati Uniti? Per chi hanno votato? Cosa si aspettano dalla prossima presidenza?


Nel loro caso vale la massima – generalmente attribuita ad August Comte e diffusa nelle scienze sociali – secondo cui la demografia di un gruppo ne determina le scelte politiche ed è, dunque, un destino?


È bene cominciare da una questione terminologica: si dice latinos o ispanici? Nel vecchio dibattito politico, il termine “latino”, che rimanda alla migrazione che li ha visti spostarsi dall’America Latina verso nord, è stato storicamente preferito dai democratici e dai gruppi latini di sinistra. “Ispanico”, invece, è un termine preferito dai repubblicani, che pone enfasi sull’origine spagnola e quindi sull’identità fondamentalmente bianca, europea e, di conseguenza, non indigena di questi gruppi. La distinzione è sostanzialmente scomparsa negli ultimi decenni, da quando queste comunità hanno cominciato a partecipare sempre più alla società dei consumi, diventando destinatari degli sforzi di marketing delle aziende statunitensi, nonché della stampa e delle TV in lingua spagnola[2].


1.1 Chi sono i latinos degli Stati Uniti


Nel 1976, una legge del Congresso sulle statistiche economiche e sociali degli “americani di origini spagnole o ispano-discendenti” definiva i membri di questo gruppo come “gli americani che si identificano per il fatto di avere un passato da ispanofoni e che si considerano originari o discendenti di persone provenienti dal Messico, da Portorico, da Cuba, dall’America centrale e meridionale, o da qualsiasi altro Paese di lingua spagnola”[3]. Di fatto, negli Stati Uniti sei un ispanico se ti definisci tale. Utilizzando questo approccio, a luglio dello scorso anno, l’Ufficio del censimento degli Stati Uniti ha contato circa 60,6 milioni di ispanici nel Paese, una cifra pari al 18% della popolazione nazionale.


Gli Stati con il maggior numero di latinos sono la California (15,48 milioni), il Texas (11,16 milioni), la Florida (5,37 milioni), lo Stato di New York (3,81 milioni), e l’Illinois (2,21 milioni), mentre quelli in cui i latinos rappresentano il segmento più numeroso della popolazione sono: New Mexico (48,77%), Texas (39,42%), California (39,15%), Arizona (31,39%), e Nevada (28,84%). Dall’ultimo censimento datato 2018, il Messico rimane il principale paese di origine (lo è per il 62,31% dei latinos), seguito da Portorico (9,5%), Cuba (3,94%), El Salvador (3,93%) e la Repubblica Dominicana (3,54%)[4].


I latinos degli Stati Uniti sono innanzitutto giovani: nel 2016 avevano in media 28,9 anni contro i 37,9 del resto della popolazione statunitense[5]. Negli ultimi anni, la comunità ispanica ha assistito a un miglioramento del proprio tenore di vita. Generalmente la popolazione ispanica ha un reddito annuo pro capite pari a circa la metà del reddito dei bianchi non ispanici ($19 537 contro $38 487). Sebbene mediamente la popolazione ispanica abbia un reddito annuo pro capite pari a circa la metà del reddito dei bianchi non ispanici ($19 537 contro $38 487), la percentuale di latinos che vive al disotto della soglia di povertà ha raggiunto il minimo storico nel 2017 (18,3% del totale). Oggi i membri di questa comunità sono più istruiti che in passato: nel 2017, l’88% aveva completato un ciclo di studi secondario contro il 59% del 1990; anche il tasso di iscrizione a un corso universitario è aumentato[6].


1.2 Messicani, portoricani e cubani: l’America ispanica politicamente impegnata


Nella visione tradizionale della politica americana, si distinguono tre gruppi ispanici politicamente più influenti e attivi degli altri[7]: i messicani, i portoricani e i cubani.


I messicani


I messicani sono il gruppo più numeroso e risiedono principalmente nella zona occidentale e sud‑occidentale del Paese. Tra il 2012 e il 2016, la maggior parte di loro viveva infatti in California, Texas e Illinois, concentrandosi nelle aree urbane di Los Angeles, Houston e Chicago[8]. La maggior parte dei messicani in Texas, come negli altri Stati, abbraccia senza difficoltà la forte identità locale, contribuendo a plasmarla e a renderla qualcosa di nuovo. El Paso è, non a caso, una delle città più sicure d’America[9].

La storia politica deimessicani negli Stati Uniti ancorata alla questione della cittadinanza e alle lotte per i diritti civili (si pensi, per esempio, al Chicano Movement[10]) non ha impedito che i messicani diventassero il gruppo politicamente più variegato. La lunga permanenza negli Stati Uniti ha infatti comportato un aumento delle tendenze conservatrici, soprattutto tra coloro che sono riusciti ad accaparrarsi un posto nella classe medio-alta.

Figura 1: Il Chicano Movement nacque negli anni Sessanta, insieme alle lotte per i diritti civili. I gruppi di studenti di origine messicana, soprattutto a Los Angeles e a Denver, furono fondamentali nella richiesta di giustizia avanzata dall’intero movimento (CNN).

I portoricani


Secondo il profilo statistico più recente, elaborato dal Pew Research Center, i portoricani sono il secondo gruppo più nutrito della comunità ispanica degli Stati Uniti dopo i messicani, costituendo il 9,5% della popolazione complessiva[11]. Sappiamo che si concentrano in Florida, dove sono circa 1,2 milioni, rappresentando il 27% dei potenziali elettori ispanici, ma sono presenti in numero consistente anche nel nord‑est del Paese, in particolare in Ohio e nello Stato di New York. Tutti i portoricani, sia coloro che si trovano negli Stati Uniti sia gli abitanti dell’arcipelago caraibico, sono cittadini statunitensi per nascita da quando, nel 1917, il Congresso approvò una legge[12] che permise a molti portoricani di arruolarsi nell’esercito a stelle e strisce nella Prima guerra mondiale. Tuttavia, solo coloro che risiedono negli Stati Uniti, comunemente chiamati Stateside Puerto Ricans o portoricani‑americani, possono votare. Per questo, per molti di loro esercitare il proprio diritto di voto è anche una questione emotiva, oltre che politica: significa votare per procura anche per i 3 milioni di portoricani che vivono nell’arcipelago e sono rimasti esclusi dalla democrazia statunitense.

Fattori come il rifiuto dello status politico del proprio Paese di origine, da alcuni giudicato coloniale[13], l’esposizione a una forte discriminazione nei centri urbani del nord e il livello generalmente basso di accumulazione della ricchezza[14], spiegano l’orientamento prevalentemente – anche se non esclusivamente – liberale e di sinistra dei portoricani.

Figura 2: La National Puerto Rican Day Parade si svolge la seconda domenica di giugno nella quinta strada di New York (Scienceblogs.com).

I cubani


Un altro gruppo potenzialmente politicamente rilevante è quello dei cubani‑americani. Nel 2017, erano circa 2,3 milioni gli ispanici di origine cubana negli Stati Uniti[15], costituendo dunque la terza diaspora latina per dimensioni insieme ai salvadoregni. Rispetto al resto dei latinos, i cubani sono più istruiti e un numero minore di cubani vive sotto la soglia di povertà (16% contro 19%)[16].

Figura 3: Il 27% dei cubani di età pari o superiore ai 25 anni ha conseguito almeno una laurea di primo livello, contro il 16% della popolazione ispanica complessiva (National Geographic).

I cubani risiedono prevalentemente nel sud della Florida, dove, all’inizio degli anni Sessanta, arrivarono i primi esuli cubani, che lì poterono beneficiare di una serie di condizioni favorevoli agli affari e alle iniziative imprenditoriali individuali. Per questo, nonché per la forte opposizione al regime castrista nell’isola di origine, hanno formato un bastione fondamentale per le vittorie repubblicane, soprattutto nel caso di Reagan e dei due Bush. Lo stesso presidente Trump si era preoccupato di ottenere il favore della comunità cubana fin dal 2017, quando in un discorso tenuto a Miami, aveva annunciato di voler realizzare “una Cuba libera”, cancellando la détente voluta dai democratici e sostenendo i difensori dei diritti umani, in particolare le Damas de blanco.

Figura 4: La Pequeña Habana o Little Havana è un quartiere nella downtown di Miami (Timeout.com).

2. Le minoranze non votano solo in base alla loro etnia

Figura 5: La percentuale di potenziali elettori, classificati in base all'etnia.

Quest'anno, è stato registrato il numero record di ispanici aventi diritto al voto negli Stati Uniti: sono 32 milioni, circa il 13,3% del totale[17]. Infatti, quello dei latinos rappresenterebbe oggi il secondo gruppo etnico degli aventi diritto al voto, dopo quello dei “bianchi” e di poco superiore a quello degli afroamericani[18]. La rilevanza demografica, unita a una generale scarsa affluenza agli appuntamenti elettorali, ha dato modo nel corso degli anni ad alcuni osservatori politici di riferirsi al gruppo elettorale ispanico come a un “gigante addormentato” pronto a svegliarsi da un momento all’altro e potenzialmente in grado di decidere le sorti delle elezioni[19].

Secondo alcuni osservatori la debole affluenza tipica del comportamento politico degli ispanici[20] dipende dall’incidenza di alcune variabili demografiche. In tutti i gruppi, infatti, le persone più giovani, meno istruite e con redditi più bassi rispetto alla media sono meno inclini ad andare a votare. Queste categorie sono sovra‑rappresentate nella comunità ispanica.


La debole affluenza, che resta un fatto, non si traduce, comunque, in una partecipazione politica nulla e tra gli ispanici che vanno a votare, variabili quali l’età, il livello di istruzione e la posizione economica hanno un certo peso nel determinare le scelte politiche.

L’idea descritta dalla metafora del gigante addormentato, tuttavia, si fonda su un’ipotesi di solidità del gruppo in oggetto, che viene considerato fondamentalmente allineato al suo interno sulla scelta di un rappresentante politico. Tale ipotesi potrebbe risultare anche rilevante nel caso di candidature di esponenti membri di tale gruppo, come avvenne ad esempio per Barack Obama, che nel 2008 catalizzò circa il 95% dei voti afroamericani[21], ma potrebbe risultare ingannevole se applicata in un anno elettorale complicato come il 2020.


A prescindere dall’esito finale delle elezioni, un errore generalmente commesso, sia da parte degli osservatori e dei commentatori, sia talvolta anche dalle stesse compagini politiche, è quello di considerare le minoranze come un unico blocco omogeneo.

Il grande insieme di coloro che negli Stati Uniti possiedono origini latine o ispaniche può essere infatti diviso in molteplici gruppi in base al Paese di provenienza, al luogo di residenza, alle condizioni economiche, all’età, al livello di istruzione, etc. A seconda del contesto specifico in cui si svolge un’elezione, queste categorie trasversali alla popolazione potrebbero risultare più o meno significative, a prescindere dai gruppi etnici di appartenenza.


Storicamente, la maggioranza dei latinos sembrerebbe prediligere il Partito Democratico, almeno dal 1980 in poi, anche se con un impatto limitato sui risultati elettorali per via della bassa affluenza e della loro concentrazione in Stati già fortemente orientati verso l’uno o l’altro schieramento politico.

La fiducia degli elettori ispanici, in particolare donne e laureati, nei confronti della capacità di Joe Biden di affrontare al meglio questioni chiave come l’epidemia di coronavirus, sembrerebbe un ulteriore elemento a favore dei democratici[22]. Al contrario, sembrerebbe che la maggior parte degli ispanici dubiti della capacità di Donald Trump di gestire tali problematiche.


Secondo alcuni sondaggi condotti in occasione delle elezioni presidenziali, l’economia è risultata in media la questione più rilevante tra tutti gli elettori, anche se con picchi più alti in campo repubblicano, seguita dalle questioni relative alla salute[23]. Tra i votanti di origine ispanica si confermerebbe la stessa predilezione per le questioni economiche, tendenza ancor più marcata rispetto alla media degli elettori, addirittura con risultati paragonabili a quelli della base elettorale repubblicana.

Figura 6: I sostenitori di Trump e quelli di Biden attribuiscono un peso diverso all'economia, alla salute e alla questione della pandemia.
Figura 7: Le questioni che più hanno inciso sulle scelte degli elettori ispanici sono l’economia, la salute e il COVD-19.

Ad ogni modo, le sopracitate categorie trasversali potrebbero comunque aver avuto un peso decisivo soprattutto negli Stati contesi tra i due schieramenti.


Infatti, sebbene tutte le considerazioni effettuate su base nazionale possano essere utili per valutare le tendenze generali, da sole non permettono di ottenere informazioni sufficienti per cercare di ipotizzare – o di spiegare – il risultato finale.


Si ricorda che per vincere le elezioni presidenziali è necessario raggiungere la quota di 270 grandi elettori, assegnati a livello statale secondo il sistema first-past-the-post[24] dove il partito vincitore ottiene tutti i grandi elettori attribuiti proporzionalmente allo Stato di riferimento. Il voto di un gruppo minore in un battleground State[25] potrebbe quindi risultare più rilevante per il risultato finale rispetto al voto di un gruppo più nutrito in uno Stato già sostanzialmente assegnato.


Per un’analisi più accurata occorre dunque concentrare l’attenzione più sugli Stati chiave che sulla totalità nazionale.


3. Battleground States


Sebbene i latinos siano distribuiti in diverse aree del Paese, l’impatto della componente elettorale di origini ispaniche in alcuni Stati in bilico potrebbe essere risultato più rilevante che altrove.

Figura 8: La percentuale dei voti ispanici sul totale degli aventi diritto al voto per Stato (Pew Research Center).

Tra gli Stati in cui l’elettorato ispanico raggiunge le percentuali più alte si segnalano New Mexico (42,8%), California (30,5%), Texas (30,4%), Arizona (23,6%), Florida (20,5%), Nevada (19,7%), Colorado (15,9%). Tra questi, in Arizona, Florida e Nevada il risultato finale delle elezioni presidenziali del 2020 è apparso sostanzialmente più equilibrato tra i due candidati alla presidenza (Δ < 3,5%). Inoltre, la presenza della componente elettorale ispanica in questi Stati raggiunge proporzioni analoghe e paragonabili (circa il 20% del totale). È interessante, quindi, cercare di capire come la comunità dei latinos si è orientata in questi Stati.

Figura 9: Dati relativi alla presenza ispanica negli Stati chiave (Pew Research Center).

Arizona


Come riassunto nella tabella, il Grand Canyon State conta una popolazione di circa 7 172 000 persone, di cui 5 042 000 aventi diritto al voto[26], ed elegge 11 grandi elettori alle elezioni presidenziali. Secondo i dati disponibili avrebbero votato circa 3 400 000 persone, con un’affluenza del 65,5%. I risultati finali attribuirebbero a Biden (49,4%) una vittoria di misura su Trump (49,1%) per circa 10 mila voti.

La campagna elettorale del Presidente repubblicano in carica, meno aggressiva in Arizona, potrebbe aver lasciato molti elettori ispanici sotto l’influenza ideologica democratica. Anche la campagna di Biden in questo Stato sarebbe stata abbastanza modesta e avrebbe contato principalmente sul lavoro della base locale democratica, attiva da molti anni nel coltivare il voto dei latinos[27].


In assenza di elementi statistici certi riguardo all’effettiva affluenza ispanica alle urne, e in considerazione dei dati relativi agli aventi diritto presenti nella tabella, si potrebbe anche presumere che circa il 23,6% dei voti espressi in Arizona, vale a dire quindi circa 802 400 voti, potrebbe provenire da persone di origine ispanica[28]. Le stime precedenti al voto attribuivano circa il 70% dei voti ispanici a Biden, se così fosse stato, forzando un po’ i dati, potrebbe significare che degli 802 400 latinos votanti, circa 561 680 avrebbero quindi votato per Biden. In questo modo, dei voti totali ottenuti dal candidato democratico (circa 1 671 500), il 33,6% circa sarebbe riconducibile a elettori latinos. D’altro canto, i restanti 240 720 voti (30% dei voti espressi dai latinos) sarebbero stati a sostegno di Trump[29], il cui elettorato in Arizona (circa 1 661 500) risulterebbe composto solo al 14,4% da ispanici.

A fronte delle campagne elettorali “soft” di entrambi i candidati, considerando che la vittoria di Joe Biden sarebbe avvenuta per un distacco di “soli” circa 10 mila voti e, consapevoli del fatto che nelle “elezioni a due” ogni voto tolto al proprio rivale fondamentalmente vale doppio[30] (+1 per chi lo guadagna e -1 per chi lo perde, Δ=2), forse il blueshift[31] finale dell’Arizona si potrebbe sinteticamente commentare come un bel colpo per Biden e un’occasione persa per Trump.


Florida


Il Sunshine State, con una popolazione di 21 299 000 persone, di cui 15 342 000 in diritto di voto, dei tre Battleground States risulta quello più importante dal punto di vista elettorale, in quanto permette di eleggere ben 29 grandi elettori. Decisamente alta anche l’affluenza, circa 11 milioni di elettori, il 71,1% del totale. Circa il 20,5% degli aventi diritto sarebbe rappresentato da cittadini di origine ispanica. Nel suo Home State[32], Donald Trump (51,1%) avrebbe vinto sullo sfidante Joe Biden (47,9%) con un distacco di circa 375 mila voti.


In Florida, la campagna elettorale repubblicana cominciata prestissimo, soprattutto nei confronti dei cittadini di origine cubana e venezuelana, sembrerebbe quindi essere risultata decisiva. In questo senso, potrebbe anche aver ripagato l’endorsement elettorale ricevuto dal governatore di PuertoRico, a cui il Presidente avrebbe assicurato circa 13 miliardi di dollari in aiuti per le ricostruzioni a seguito delle devastazioni subite dall’isola per via dell’uragano Maria. In questo modo, Donald Trump sembrerebbe essersi assicurato circa il 55% dei voti di cittadini di origine cubana e il 30% di quelli di origine portoricana. Il risultato ottenuto in questo Stato da Trump è andato oltre le previsioni, dal momento che sembrerebbe essere riuscito a catalizzare circa il 48% dei voti ispanici, escludendo quelli cubani[33].


Al contrario, i democratici in Florida potrebbero aver, da una parte, sottovalutato il potere della propaganda politica repubblicana e, dall’altra, aver dato per scontato – anche qui – i voti della base elettorale latina. A ciò si aggiunge che una parte più consistente dell’elettorato ispanico sembrerebbe aver votato per chi prometteva di occuparsi in primo luogo delle questioni economiche.


Nevada


Il Silver State possiede una popolazione di 3 034 000 persone, di cui 2 071 000 aventi diritto al voto, che gli permettono di assegnare 6 grandi elettori. Anche in Nevada queste elezioni presidenziali sono risultate estremamente serrate e alla fine Joe Biden (50,1%) avrebbe vinto per circa 33 mila voti su Donald Trump (47,7%).

In questo Stato si sarebbe registrata un’affluenza del 63,6% (circa 1 317 156 votanti), comunque notevole anche se sotto la media nazionale (66,4%), la componente elettorale latina rappresenterebbe circa il 19,7% degli aventi diritto.

Anche in questo caso, tenendo conto del limitato distacco finale tra i due avversari e del peso relativo attribuibile al voto ispanico, potrebbero valere le medesime considerazioni finali espresse in precedenza per l’Arizona.

Infine, un discorso a parte potrebbe essere riservato per gli Stati di Pennsylvania e Georgia, in cui, anche se la componente elettorale latina risulterebbe più limitata (circa 5%), con un risultato rimasto in bilico fino alla fine, avrebbe anche potuto condurre “per poco” a esiti differenti.


Relativamente al Texas, storica roccaforte repubblicana, oggi considerato da alcuni come uno Stato più contendibile, esso è caratterizzato da un’alta concentrazione di elettorato ispanico (circa il 30,04% degli aventi diritto al voto). Qui i latinos potrebbero invece avere seguito la stessa tendenza osservata in Florida, anche se con motivazioni e dinamiche differenti. Infatti, una porzione importante della componente ispanica maschile presente nel Lone Star State risulterebbe collocata in quella fascia economico-sociale che caratterizzerebbe il principale bacino elettorale di Trump. Vale a dire, per esempio, coloro che lavorano nei controlli alla frontiera, nella polizia, nel settore dell’edilizia e dell’industria petrolifera. In questo senso, occorre segnalare che, ultimamente, lo stesso Trump aveva smesso di definire i messicani “bad hombres”. Al contrario, molti ispanici avrebbero cominciato ad apprezzare lo stile irriverente del Tycoon e il suo senso per gli affari[34].

In sintesi, non tutti i latinos si riterrebbero inclusi negativamente nelle considerazioni retoriche espresse da Trump su tematiche come l’immigrazione illegale, e potrebbero, anzi, condividere alcune considerazioni di fondo. Il concetto finale che emerge, ancora una volta, resta quello che il gruppo non è un monolite e come tale non va trattato.


4. Conclusioni: per i latinos la demografia non è un destino


Il comportamento elettorale degli ispanici spiega quanto è complessa la politica americana.

La difficoltà di prevedere le scelte politiche dei latinos negli Stati Uniti sembra dunque sfatare il mito espresso dalla massima, attribuita a Comte, secondo cui “la démographie c’est le destin[35]”. Oggi sappiamo infatti che la comunità ispanica negli Stati Uniti è attraversata da una frattura, la grieta direbbero gli ispanici, che dipende dall’origine, dall’età, dal genere, dalla classe sociale, dalla lingua, dai valori e da molte altre componenti che sfuggono alle definizioni comuni. Come spiega Geraldo Cadava, storico e docente di studi ispanici, i 32 milioni di elettori incarnano ideologie differenti, provengono da contesti demografici sociali ed economici diversi. Ci sono ispanici bianchi e di colore, indigeni e meticci. La disomogeneità del gruppo è tale che alcuni osservatori arrivano a sostenere che non si può parlare di “voto latino[36].


D’altra parte, tanto i politici quanto i media hanno a lungo cercato di semplificare questa eterogeneità riducendo il “voto latino” a due cliché contrapposti: da un lato, il luogo comune che vuole che i latinos si collochino tendenzialmente a sinistra dello spettro politico; dall’altro, lo schema secondo cui i latinos sono generalmente promotori dei valori tipici del conservatorismo, come la libertà economica, la libertà religiosa, il culto della famiglia, l’etica del lavoro come strumento per arrivare al successo e la contrarietà all’aborto. Non è detto che questi luoghi comuni non corrispondano in nessun caso alla realtà dei fatti. Tuttavia, è importante ricordare che il voto dei latinos, democratico o repubblicano che sia, non può essere dato per scontato.


Nel suo programma indirizzato alla comunità ispanica e promosso con lo slogan “Todos con Biden”, il futuro Presidente ha promesso, tra le altre cose[37], di estendere l’accesso a un servizio sanitario di qualità e alla portata di tutti, di fare in modo che i latinos siano messi nelle condizioni più giuste per entrare a far parte della classe media, di investire nell’istruzione anche a beneficio dei Dreamers[38] e di riformare il sistema di immigrazione. Non possiamo prevedere se il neoeletto presidente e la sua amministrazione riusciranno a rispondere alle istanze di tutti gli ispanici, anche di coloro che hanno votato per Trump. Di sicuro, se sapranno cogliere la complessità delle molteplici identità dei latinos e delle latinas saranno sulla buona strada e potranno effettivamente dire: “Somos todos americanos”.


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Note

[1] “The battle for the soul of America” è lo slogan scelto da Joe Biden per la sua campagna elettorale. Sia il candidato democratico sia quello repubblicano, comunque, l’hanno reso un tema centrale dei loro discorsi precedenti alle elezioni, che hanno riguardato – di fatto – il futuro di una società sempre più polarizzata. [2] Seguendo la tendenza delle fonti statunitensi, anche in questa analisi il termine ispanico e il termine latino (nella sua versione spagnola), saranno utilizzati in modo interscambiabile senza voler attribuire alcuna connotazione politica. [3] Nel testo originale in inglese: “Americans who identify themselves as being of Spanish-speaking background and trace their origin or descent from Mexico, Puerto Rico, Cuba, Central and South America, and other Spanish-speaking countries.” [4] U.S. Census Bureau/American FactFinder 2018. [5] Rosana Hernández-Nieto y Marcus C. Gutiérrez. Francisco Moreno-Fernández (dir.), Hispanic Map of the United States, 2017. [6] Nel 2016, il 39,2% degli ispanici di età compresa tra i 18 e i 24 era iscritto a un corso universitario. Dal 2003, è stato registrato un aumento del 15,7%. [7] Cfr. Morales E., Latinx: The New Force in American Politics and Culture, London, Brooklyn, N.Y. Verso, 2018. [8] Secondo il Migrantion Policy Institute, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2016, il 37% dei messicani viveva in California, il 22% in Texas e il 6% in Illinois. [9] Nonostante la strage di agosto 2019, nello stesso anno El Paso si è posizionata al sesto posto nella classifica delle 10 città metropolitane più sicure degli Stati Uniti, elaborata da SafeWise. [10] Negli anni Sessanta e Settanta, i messicani presenti negli Stati Uniti si riunirono in un movimiento. Attraverso l’attivismo, essi rivendicavano i propri diritti politici e le libertà civili. [11] Pew Research Center, Hispanics of Puerto Rican Origins in the United States, 2013. [12] Si tratta della legge Jones-Shafroth del 2 marzo 1917 https://immigrationhistory.org/item/jones-shafroth-act/ [13] L’arcipelago di Porto Rico fu ceduto agli Stati Uniti dalla Spagna nel 1898, al temine della guerra ispano-americana. Nel 1952, il Congresso garantì a Porto Rico il diritto di eleggere il proprio governo e di esistere come territorio statunitense dotato di status di “commonwealth”. In quanto tale, Porto Rico utilizza il dollaro statunitense, i portoricani possono arruolarsi nell’esercito a stelle e strisce e la bandiera americana è esposta davanti al Campidoglio di San Juan, l’assemblea legislativa nazionale. Porto Rico è spesso definito “il 51esimo” Stato federato. [14] Il 27% dei portoricani vive in condizioni di povertà, una quota maggiore rispetto sia alla popolazione complessiva degli Stati Uniti (16%) sia alla totalità della popolazione ispanica (25%). Pew Research Center, Hispanics of Puerto Rican Origins in the United States, 2013. [15] Pew Research Center analysis of the U.S. Census Bureau’s American Community Survey. [16] https://www.pewresearch.org/hispanic/fact-sheet/u-s-hispanics-facts-on-cuban-origin-latinos/ [17] Cfr. L. Noe-Bustamante, A. Budiman e M. Hugo Lopez, Where Latinos have the most eligible voters in the 2020 election, in Pew Research Center, 31 gennaio 2020. [18] A. Cilluffo e R. Fry, An early look at the 2020 electorate, in Pew Research Center, 30 gennaio 2019. [19] Cfr. E. Morales, Latinx: The New Force in American Politics and Culture, London, Brooklyn, N.Y. Verso, 2018. [20] I latinos sono meno propensi a registrarsi e ad andare a votare e in occasione delle elezioni presidenziali la loro affluenza è tipicamente tra i 13 e i 18 punti al di sotto della media nazionale. [21] Cfr. Redazione, Dissecting the 2008 Electorate: Most Diverse in U.S. History, in Pew Research Center, 30 aprile 2009. [22] Cfr. J. M. Krogstad e M. H. Lopez, Latino voters have growing confidence in Biden on key issues, while confidence in Trump remains low, in Pew Research Center, 16 ottobre 2020. [23] Cfr C. Deane e J. Gramlich, 2020 election reveals two broad voting coalitions fundamentally at odds, in Pew Research Center, 6 novembre 2020. [24] Fanno eccezione a questa regola il Maine e il Nebraska. [25] Gli Stati contesti, dove nessun candidato o partito ha un sostegno storico tale da assicurare i punti dello Stato stesso nel collegio elettorale. [26] Cfr. Redazione, Mapping the 2020 Latino electorate, in Pew Research Center, 31 gennaio 2020. [27] W. Gonzales, The ‘Latino vote’ confused both parties this year. How politicians can do better. | Opinion, in The Phladelphia Inquirer, 5 novembre 2020. [28] Come segnalato, in mancanza di informazioni certe sull’affluenza ispanica effettiva, nello scenario presentato si è deciso di applicare le medesime proporzioni relative agli aventi diritto. I numeri indicati vanno pertanto considerati unicamente ai fini del ragionamento. [29] Considerando trascurabile per finalità espositive il peso elettorale degli altri candidati minori. [30] Salvo i rari casi in cui l’elettore decidesse di votare diversamente. [31] Passaggio da Stato repubblicano (rosso) nel 2016 a democratico (blu) nel 2020. Dal 1952, in Arizona alle elezioni presidenziali hanno sempre vinto i repubblicani, fatta eccezione per Bill Clinton nel 1996 e - appunto - per Joe Biden nel 2020. [32] Cfr. D. J. Mihalek, President Trump moved from New York to Florida, here's how presidential home security works: Analysis, in ABC News, 7 novembre 2019. [33] W. Gonzales, The ‘Latino vote’ confused both parties this year. How politicians can do better. | Opinion, in The Phladelphia Inquirer, 5 novembre 2020. [34] Cfr. Redazione, Latino men are a bright spot in Donald Trump’s faltering campaign, in The Economist, 27 ottobre 2020. [35] La demografia è un destino. [36] There is no such thing as latino vote. https://edition.cnn.com/2020/11/09/politics/latino-voters-florida-texas-arizona/index.html [37] Il programma completo qui: https://joebiden.com/todos-con-biden-policy/ [38] What is Daca and who are the Dreamers? https://www.theguardian.com/us-news/2017/sep/04/donald-trump-what-is-daca-dreamers


Bibliografia/Sitografia


  • Chavez N., 'There's No Such Thing as the Latino Vote.' 2020 Results Reveal a Complex Electorate, in CNN, 9 novembre 2020.

  • Cilluffo A., Fry R., An Early Look at the 2020 Electorate, in Pew Research Center, 30 gennaio 2019.

  • Cornish A., Varela J. R., How Latino Voters Broke Expectations This Election, in NPR, 5 novembre 2020.

  • Costa F., Questa è l'America. Storie per capire il presente degli Stati Uniti e il nostro futuro, Strade Blu, 2020.

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