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Qatar, ‘sponsor del terrore’ o rivale geopolitico?

Aggiornamento: 22 mar 2022

[Vignetta che allude alle ingenti somme di denaro fornite da Doha a gruppi terroristici di matrice jihadista-salafita - fonte: portalcenter]

1. Introduzione


Individui e istituti finanziari di cittadinanza qatariota sono stati accusati negli ultimi anni da diversi Stati – tra cui Regno Unito, Egitto ed Emirati – di aver finanziato organizzazioni terroristiche quali il Fronte al-Nusra, Hamas, Talebani, al-Qaeda e ISIS [1]. Alla luce di ciò, questo lavoro si prefigge l’obiettivo di dimostrare in che misura tali accuse possano essere utilizzate come strumento geopolitico e perché l’appoggio, presunto o effettivo, da parte del piccolo emirato ad agenti locali (proxy actors) ostacoli la lotta al terrorismo. A tale scopo, in prima battuta viene definito il concetto di terrorismo di stato (state-sponsored terrorism) per poi passare a un’analisi della politica estera qatariota prendendo in esame diverse aree di conflitto in cui il piccolo emirato è coinvolto, dalla Libia all’Afghanistan.


2. Il terrorismo di stato: un problema di percezione?


Il termine ‘terrorismo’, di cui ad oggi manca una definizione univoca secondo il diritto internazionale, si riferisce solitamente alle azioni di gruppi di insorgenza armata che minacciano civili, obiettivi stranieri e/o governi. Alcuni studiosi hanno esteso questa definizione parlando di terrorismo di Stato nel caso in cui sia quest’ultimo a compiere atti di violenza contro i target sopra menzionati o supporti, apertamente o meno, le azioni di un’organizzazione terroristica [2]. D’altra parte, i governi possono essere in disaccordo nel definire un gruppo in tali termini in quanto, sulla base della vicinanza ideologica o per ragioni di politica estera, essi possono offrire sostegno logistico-finanziario a individui che agiscono come forze ribelli e gruppi di resistenza [3]. Pertanto, un governo può sentirsi legittimato a supportare determinati agenti locali coinvolti in aree di conflitto a detrimento di altri Stati. Tali divergenze in termini di percezione delle minacce possono portare a crisi diplomatiche e durature e, allo stesso tempo, possono essere sfruttate dalle autorità statali per legittimare le loro azioni di politica estera e controbilanciare le azioni dei loro competitors, come emerge dal caso della Crisi del Golfo.

[A sinistra il Quartetto di Paesi – Egitto, Bahrein, Arabia Saudita, Emirati – che nel 2017 ha rotto le relazioni con il Qatar - fonte: TNA illustration/Getty]

3. La politica estera qatariota tra filantropismo e filoislamismo


Il piccolo emirato del Qatar è lo Stato più ricco al mondo. Il che non è da attribuire soltanto alla ricchezza derivante dall’ingente presenza di risorse naturali e al fatto di essere un alleato strategico nella regione per le potenze internazionali, tra cui gli Stati Uniti, ma anche al sapiente uso del soft power che caratterizza la sua politica estera. L’attuale dinastia regnante, nella persona di Tamim bin Hamad al-Thani, ha portato Doha a divenire uno dei principali attori operanti nell’area del Mediterraneo allargato grazie al suo attivismo diplomatico e al suo impegno umanitario in aree di conflitto quali la Striscia di Gaza e l’Afghanistan[4]. Un altro elemento che contribuisce a fare del Qatar una potenza geopolitica è la rete giornalistica Al-Jazeera, totalmente finanziata da fondi qatarioti. Nei suoi contenuti non vengono risparmiate critiche all’operato delle potenze occidentali in Medio Oriente e sono riportate interviste a leader di organizzazioni terroristiche quali al-Qaeda e i Talebani. La rete ha come obiettivo quello di divulgare tali testimonianze per offrire al pubblico una visione alternativa alla narrazione degli eventi mainstream fornita dai media occidentali [5].


Durante lo scoppio della c.d Primavera araba, il Qatar si è mostrato favorevole all’istituzione di governi filo-islamisti in Medio Oriente e Nord Africa, come in Egitto e Tunisia, incontrando le ostilità da parte delle petromonarchie tradizionaliste del Golfo, in primis Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, intenzionate a preservare lo status quo nella regione. Queste ultime erano in contrasto con le forze politico-militari vicine ai Fratelli Musulmani la cui ala moderata si poneva, non senza criticità, come fautore del rinnovamento politico e istituzionale nel mondo arabo. Nel 2017 tali divergenze hanno portato il c.d Quartetto - Arabia Saudita, Bahrain, Egitto, Emirati - a imporre un blocco aereo, terrestre e marittimo sul Qatar sulla base del presunto coinvolgimento del paese in attività di finanziamento a gruppi terroristici quali al-Qaeda, lo Stato Islamico e forze paramilitari filoiraniane. Inoltre, tali Stati accusavano Al-Jazeera di contribuire con i suoi servizi a incrementare le instabilità regionali per il suo atteggiamento filo-islamista. [6]

[Manifestanti egiziani in Piazza Tahrir il 1° febbraio 2011 – fonte: Peter Macdiarmid/Getty Image]

Lo scorso anno le tensioni innescate dalla crisi del Golfo si sono acquietate. Il 5 gennaio 2021 Arabia Saudita, Emirati, Bahrain ed Egitto hanno posto fine al blocco imposto su Doha: l’erede al trono saudita Mohammed bin Salman ha accolto con un abbraccio lo sceicco Tamim bin Hamad Al-Thani nel corso del quarantunesimo vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo, il che ha segnato la distensione dei rapporti tra il Qatar e i suoi rivali geopolitici. “Le sei monarchie hanno il bisogno urgente di unire i loro sforzi per far fronte alle sfide che ci circondano, in particolare alle minacce poste dal programma nucleare iraniano e dai missili balistici del regime” ha dichiarato Salman. Tuttavia, ciò non ha rappresentato la fine della crisi che ha spaccato il Consiglio di Cooperazione del Golfo dato che gli Stati che ne fanno parte continuano a sostenere posizioni contrastanti negli scenari di conflitto in cui sono coinvolti con i loro agenti locali, dalla Libia allo Yemen.


Le personalità politiche qatariote hanno sempre evidenziato come le accuse di “sponsor del terrore” mosse ai suoi danni provenissero da governi contrari alle sue strategie nazionali e regionali sulla base di motivazioni di carattere geopolitico. Questo ben emerge dalle parole di Tamin Bin Hamad Al-Thani in un discorso tenuto nel 2018 presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in cui ha alluso al fatto che la crisi del Golfo fosse una strategia utilizzata dagli Stati vicini per contrastare la potenza di Doha nella regione. In ogni caso, essa non ha impedito al piccolo emirato di rafforzare il suo status di key player al livello globale e, in nome della sua politica del buon vicinato, di avvicinarsi ad Ankara e Teheran, motivo che ha spinto lo scorso anno i paesi del blocco a riprendere i dialoghi con il piccolo emirato [7]


4. I (presunti) rapporti di Doha con entità terroristiche


In Medio Oriente e Nord Africa un numero considerevole di giovani è stato assoldato negli ultimi dieci anni per combattere a sostegno di attori di varia natura – forze governative, Stati terzi e gruppi terroristici – nei conflitti che hanno travolto la regione in seguito allo scoppio delle c.d. Primavere arabe. Gli eventi che ne sono seguiti hanno portato alla frammentazione di alcuni Stati e al loro fallimento. Il perdurare di questa instabilità ha permesso il rafforzamento di reti di armi e persone che legano diverse aree del mondo e le quali sono sostenute da patron che agiscono con i loro agenti locali. Il Qatar è accusato di essere coinvolto in tali reti.


Nel 2020 circa trecentotrenta rifugiati siriani hanno fatto appello all'Alta Corte di Londra accusando alcuni individui di cittadinanza qatariota di aver inviato denaro al gruppo terroristico Jabhat Fateh al-Sham – ex Jabhat Al-Nusra – attraverso la Doha Bank. [8] Testimoni e querelanti hanno affermato di essere stati oggetto di intimidazioni da parte dei funzionari qatarioti dopo aver sporto denuncia. Il Fronte Al-Nusra è nato nel 2012 nel contesto della Guerra civile siriana contrapponendosi al governo di Bashar e nel 2016 si è distaccato da al-Qaeda a cui era legato in precedenza [9]. Il presunto sostegno a gruppi armati siriani da parte di Doha è molto criticato negli Stati Uniti e nel Regno Unito di recente. A tal proposito, lo scorso anno la rivista The Times ha riportato che il Qatar ha svolto un ruolo centrale in operazioni di riciclaggio di denaro in Siria [10] e nel 2013 l'avvocato qatariota Abderrahman Al-Nuaimi, membro della Qatar Islamic Bank, è stato accusato da Washington di essere “uno degli sponsor del terrorismo più potenti al mondo" sulla base del suo sostegno a gruppi ribelli e forze paramilitari in Siria. [11] Tuttavia, è bene ricordare che nelle prime fasi del conflitto in questione l’amministrazione americana aveva inviato rifornimenti militari ad alcune forze ribelli siriane, tra cui elementi del Fronte Al-Nusra, al fine controbilanciare le azioni del governo di Damasco e dell'ISIS. In seguito, le stesse armi sono finite nelle mani di cellule jihadiste affiliate ad al-Qaeda o all’ISIS [12]

[Sostenitrici del Fronte Al Nusra prendono parte a una protesta contro il presidente siriano Bashar al-Assad e la coalizione internazionale ad Aleppo il 26 settembre 2014 - fonte: AFP]

Un altro teatro di conflitto in cui il Qatar è coinvolto è la Libia: Doha ha sempre sostenuto il governo di Tripoli, in contrasto con Egitto ed Emirati, i quali negli anni della guerra civile hanno appoggiato le forze legate a Khalifa Haftar. Tutti gli Stati menzionati, negli ultimi otto anni, insieme ai loro partner internazionali, hanno inviato armi e addestrato milizie che hanno combattuto a sostegno di uno dei due fronti interni libici, le forze di Tripoli e quelle di Benghazi. Ancor prima, durante le proteste scoppiate nel 2011 contro il regime di Gheddafi, il Qatar già disponeva di diversi gruppi di mercenari, in particolare elementi legati ad al-Qaeda, i quali in seguito si sono spostati in Mali dove hanno iniziato ad agire come forze ribelli contro il governo centrale. [13] Infine, Doha è anche accusata di essere coinvolta in reti di finanziamento a organizzazioni terroristiche che tra il 2014 e il 2017 hanno agito sul suolo libico, quali le cellule dell’ISIS e di Ansar Al-Sharia.

[Milizie libiche provenienti dalla regione della Tripolitania, 14 febbraio 2012 - foto: AP/Abdel Magid Al Fergany]

Il Qatar è un attore esterno rilevante anche in Palestina: dal 2008, Doha offre aiuto umanitario ai residenti nella Striscia di Gaza e sostegno economico all'organizzazione di Hamas [14] la quale controlla il territorio in questione. Quest’ultima è classificata da alcuni paesi – come Stati Uniti, Regno Unito – e potenze regionali – Israele, Egitto, Emirati – come entità terroristica alla luce delle azioni di carattere suicida e degli attacchi missilistici compiuti ai danni di obiettivi stranieri e di civili. D’altra parte, nonostante il Qatar sia stato il secondo paese del Golfo ad aver stretto rapporti con Tel Aviv, esso ha fortemente criticato il processo di normalizzazione delle relazioni con Israele iniziato nell'estate del 2020 da Abu Dhabi. Il piccolo emirato del Qatar è di fatto, insieme all’Algeria e al Kuwait, uno degli Stati della Lega araba maggiormente impegnato nella causa palestinese nonché sostenitore della soluzione dei due Stati.

[Palestinesi prendono parte a una manifestazione a sostegno di un progetto di costruzione nella Striscia di Gaza finanziato dal Qatar – fonte: Ibraheem Abu Mustafa / Reuters]

Il Qatar gioca da dieci anni un ruolo chiave anche all’interno della crisi afghana. Nel 2011 l’amministrazione Obama aveva permesso a un gruppo di funzionari talebani di trasferirsi nel paese del Golfo dove sarebbero stati incaricati di porre le basi per i negoziati con l’allora presidente afghano Hamid Karzai [15]. Due anni dopo è stato aperto a Doha un ufficio dei talebani, nel quale a luglio 2021 è stato firmato l’accordo tripartito Washington-Doha-Talebani che ha permesso alla suddetta organizzazione di prendere il potere e alle truppe statunitensi di ritirarsi dall’Afghanistan. Inoltre, Doha è stata di recente criticata per il modo in cui la rete Al-Jazeera ha presentato gli eventi che hanno portato alla presa di Kabul da parte dei Talebani quest’estate. Le notizie sottolineavano come l’organizzazione fosse diversa da quella di un tempo, più moderata e meno violenta. D’altra parte, quest’ultima – la quale negli ultimi anni ha compiuto attentati in scuole, università e contro minoranze entico-religiose – ha imposto sulla popolazione afghana la sharia nella sua interpretazione salafita, il che ne lede i diritti e le libertà.

[Il ministro degli Esteri del Qatar incontra il capo politico dei Talebani – fonte: Indian Times]

6. Conclusione


Oggi Doha è un attore di grande importanza nell’area del Mediterraneo allargato; il che minaccia gli interessi delle petromonarchie tradizionaliste del Golfo le quali, nel tentativo di contrastare la potenza regionale e internazionale qatariota, hanno imposto nel 2017 un blocco commerciale, marittimo e navale sul paese. Nonostante lo scorso anno i paesi del c.d Quartetto si siano riavvicinati a Doha, questi non hanno ritirato le accuse verso individui e gruppi residenti in Qatar coinvolti in reti di finanziamento a organizzazioni terroristiche.


Negli ultimi anni Doha, come la stessa Washington e le petromonarchie tradizionaliste, ha fornito supporto logistico-finanziario a diversi gruppi armati operanti in Medio Oriente e Nord Africa appoggiando o contrastando le autorità statali e/o forze ribelli al fine di tutelare i suoi interessi in aree di conflitto. Tuttavia, ciò si è rivelato pericoloso nel breve-medio termine in quanto ha permesso a tali gruppi armati di compiere azioni di violenza contro civili e obiettivi stranieri, sfuggendo al controllo dei loro patron e contribuendo ulteriormente a destabilizzare teatri di guerra di lunga data.


È evidente che la politica estera di Doha si caratterizza per un atteggiamento ambivalente: coniuga l’aiuto umanitario e l’attivismo diplomatico al sostegno, diretto o meno, a gruppi armati considerati da diversi Stati come organizzazioni terroristiche. Questa duplice strategia risponde alle esigenze del Qatar, un piccolo emirato che necessita di rapporti di buon vicinato per non essere soggiogato da giochi di potere delle potenze regionali e internazionali, il che si può tradurre nell’offrire sostegno logistico-finanziario a entità politico-militari di diverso tipo.


Alla luce del carattere fluido e mutevole delle minaccia jihadista e delle notevoli capacità acquisite dalle entità locali legate a organizzazioni terroristiche, è necessario contrastare le reti di cui queste ultime dispongono spingendo i governi coinvolti in aree di conflitto a varare misure di contrasto più efficienti in termini di contrasto al finanziamento o al supporto al terrorismo; il che prevede maggiori controlli su individui e istituti finanziari operanti nei rispettivi territori nazionali nonché delle risorse materiali e immateriali da loro fornite ai rispettivi agenti locali (proxy actors).


(scarica l'analisi)

Qatar, ‘sponsor del terrore’ o rivale geopolitico - Nicki Anastasio
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Bibliografia e consigli di lettura


[2] Michael Hanson, State Sponsorship: An Impediment to the Global Fight against Terrorism, 2020, Journal of International Law, vol. 7 no. 2

[3] Boaz Ganor, Defining Terrorism: Is One Man’s Terrorist Another Man’s Freedom Fighter, 2002, Police Practice and Research, vol.3 n.4

[4] Osman Antwi-Boateng, The Rise of Qatar as Soft Power and the Challenges, 2013, European Scientific Journal, v.9 no.3

[6] Kristian Coates Ulrichsen, Qatar and the Arab Spring: Policy Drivers and Regional Implications, 2014, Carnegie Endowment for International Peace

Al-Jazeera, Qatar's Resilience: A Model of Resisting Blockade and the Power of Small States, 2018

Abdullah Baabood, Qatar's Resilience Strategy and Implications for State-Society Relations, Istituto Affari Internazionali, 2018

[10] Riyadh Mohammed, How Qatar Is Funding al-Qaeda and Why That Could Help the US, The Fiscal Times, 29 Dicembre 2015

[11] James Risen, Mark Mazzetti, Micheal S.Schmidt, U.S-Approved Arms for Libya Rebels Fell into Jihadi’s Hands, The New York Times, Dicembre 2012

[12] CATF Reports, "Funding Al Nusra Through Ransom: Qatar and the Myth of "Humanitarian Principle’’ Consortium Against Terrorist Finance", October 2017

[13] Lydia Sizer, Libya’s Terrorism Challenge Assessing the Salafi-Jihadi Threat, Middle East Institute: Counterterrorism series, no.1, October 2017

[14] Reuters, ‘’Qatar says gives 30 milion to pay Gaza public sector workers’’, 22 July 2016

Adnan Abu Amer, Hamas Ties to Qatar Have Cost, Al Monitor, 22 Aprile 2013

[15] ‘’Q&A: Afghan Taliban open Doha office’’, BBC News, June 2020

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