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Next Generation EU. Piano storico e necessario, ma a quale costo?

Aggiornamento: 30 ott 2020

Introduzione

Il Consiglio europeo straordinario del 17-18 luglio era visto, dalla maggior parte degli addetti ai lavori, come una tappa intermedia per un successivo accordo tra i 27 paesi europei. Tale percezione veniva confermata anche dalla governatrice della BCE, Christine Lagarde, che in una intervista ad inizio mese auspicava un accordo “entro la fine di luglio” e non prima. Contro ogni pronostico, il Consiglio europeo, che per poco più di mezz’ora non batteva il record di durata superando quello di Nizza del 2000, si è concluso con una fumata bianca che ha portato all’accordo sul Next Generation EU e sul Quadro finanziario pluriennale (QFP). Questo accordo è frutto di un faticoso compromesso dove si è rinnovata la sfida tra i c.d. frugals e ambiziosi [1], nel quale tutti ne sono usciti vincitori, anche gli outsiders Ungheria e Polonia che hanno ottenuto una significativa concessione. Tuttavia, sebbene ogni leader europeo abbia potuto rivendicare in patria un risultato di una portata storica, a discapito delle rispettive opposizioni che gridano alla “trappola”, l’insidia potrebbe arrivare dall’interno. Il Parlamento europeo, chiamato ad esprimersi sulle conclusioni del Consiglio europeo, ha chiaramente specificato che senza le modifiche al QFP non potrà dare un parere totalmente positivo all’accordo. In questa analisi si vuole ricostruire le tappe che hanno portato al Next Generation EU e QFP, e quali sacrifici sono stati fatti per la loro approvazione.

1. Come si è arrivati al Consiglio europeo del 17-18 luglio

La risposta europea all’emergenza causata dal COVID-19 è arrivata con diversi modalità. Dall’attivazione della General Crisis Clause, che permette la sospensione temporanea del Patto di stabilità ai paesi membri, al Pandemic Purchase Emergency Programme (PEPP) introdotta dalla BCE, che consente l’acquisto di titoli di stato per tutto l’anno in corso al fine di immettere liquidità nell’Eurozona, diversi sono stati gli strumenti messi in campo nei mesi seguenti. Dalla rivisitazione del MES – Pandemic Crisis Support, con la condizionalità per le spese sanitarie, al Fondo di garanzia della Banca Europea degli Investimenti (BEI), ed infine, il Support to mitigate Unemployment risks in an Emergency (SURE) [2]. Tuttavia, mancava quella visione programmatica a medio-lungo termine auspicata a fine maggio dalla Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Il mese di luglio si è aperto con una importante novità in tal senso. Dal primo luglio infatti, la Germania ha assunto la guida semestrale del Consiglio dell’Unione europea [3] ed ha indicato come prioritario il raggiungimento di un accordo per una ripresa economica e sociale a lungo termine causato dalla crisi pandemica. Come già ricordato, un possibile accordo nel consiglio straordinario risultava essere difficilmente raggiungibile. La distanza tra paesi del nord e sud Europa sembrava insormontabile e i toni della discussione si facevano sempre più accesi. Nei giorni precedenti al Consiglio europeo sono stati frequenti gli incontri bilaterali tra la cancelliera Angela Merkel e i due “rappresentati” degli opposti schieramenti, Giuseppe Conte e Mark Rutte. L’oggetto del contendere riguardava il piano presentato dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, il quale prevedeva un fondo da 750 miliardi, suddiviso in 500 miliardi di sussidi e 250 in prestiti e un QFP complessivamente a 1.074 miliardi, cifra inferiore rispetto alla proposta di von der Leyen e Parlamento europeo. Nello specifico elementi di conflitto riguardavano il c.d. “super freno di emergenza” per i paesi che non rispettano le riforme nazionali presentate, l’ammontare dei sussidi e prestiti, con i paesi frugals che premevano per un ri-bilanciamento a favore dei prestiti, e non vincolare il rispetto dello Stato di diritto come requisito per l’accesso ai fondi europei, quest’ultimo richiesto da Ungheria e Polonia. Con queste premesse si è svolto il Consiglio europeo, che ha visto i leader europei intavolare una trattativa ad oltranza fino al raggiungimento di un accordo finale.

2. “DEAL!”

Con un semplice tweet, all’alba del 21 luglio, Charles Michel ha annunciato quello che probabilmente risulterà negli anni come un “momento cardine nella storia dell’Europa”. Dopo quattro giorni di trattative estenuanti, i leader dei 27 paesi europei hanno trovato un accordo sulle cifre e meccaniche del Next Generation EU e sul QFP ritenuti “indissociabili” nel loro insieme. Il testo definitivo [4] prevede la possibilità per la Commissione europea di contrarre prestiti sui mercati dei capitali fino a 750 miliardi di euro, attività che potrà condurre fino al 2026. Tali cifra saranno ripartite per un massimo di 360 miliardi di euro da concedere in prestito agli stati membri e fino a 390 miliardi di euro in sussidi. Il volume di prestiti destinati a ciascun Stato non dovrà superare il 6,8% del Reddito nazionale lordo (RNL) e le cifre dovranno essere spese per il 70% nel biennio 2021-22 e il restante entro la fine del 2023. Per accedere a questi fondi sarà richiesto ai paesi membri di presentare dei piani per la ripresa, i quali saranno valutati dalla Commissione anche in base alle raccomandazione che quest’ultima presenterà ai singoli Stati e che dovranno comunque contribuire alla transizione verde e digitale. Una volta approvati, sarà il Consiglio a maggioranza qualificata [5] ad avere l’ultima parola.

Ruolo importante sarà svolto dal Comitato economico e finanziario (CEF) chiamato ad esprimere pareri alla Commissione in merito al soddisfacimento dei target intermedi e finali indicati nei piani di ripresa. Qualora vengano riscontrati gravi scostamenti di questi target, uno o più Stati membri potranno chiedere che il presidente del Consiglio europeo rinvii la questione al primo Consiglio europeo.

Inscindibile dal Next Generation EU è il Quadro finanziario pluriennale. L’importo totale è stato confermato nei 1.074 miliardi di euro previsti dal piano Michel. Le voci di spesa del QFP saranno suddivise:

· Rubrica 1 "Mercato unico, innovazione e agenda digitale" per 132 milioni suddivisi in:

  • Grandi progetti: 13 milioni per l’attuazione del programma spaziale e 5 milioni per il progetto di reattore sperimentale termonucleare internazionale (ITER);

  • Orizzonte europa: 76 milioni per il programma di ricerca e innovazione;

  • InvestEU: 2 milioni per sostenere gli investimenti su crescita e occupazione;

  • MCE: 28 milioni per l’adeguamento dei settori dei trasporti (21 milioni), energia (5 milioni) e digitale (1 milione);

  • Programma Europa digitale: 6 milioni per le capacità digitali strategiche quali il calcolo ad alte prestazioni, IA, cybersecuriy;

· Rubrica 2 "Coesione, resilienza e valori" per 378 milioni suddivisi in due sotto rubriche:

  • Coesione economica, sociale e territoriale (330 milioni);

  • Resilienza e valori (48 milioni);

· Rubrica 3 "Risorse naturali e ambiente" per 356 milioni, di cui 259 milioni destinate alle spese connesse al mercato e i pagamenti diretti;

· Rubrica 4 "Migrazione e gestione delle frontiere" per 23 milioni suddivisi:

  • Fondo Asilo e migrazione: 8 milioni;

  • Fondo per la gestione integrata delle frontiere: 5,5 milioni:

· Rubrica 5 "Sicurezza e difesa" per 13 milioni suddivisi:

  • Fondo sicurezza interna (1,7 milioni);

  • Fondo europeo per la difesa (7 milioni)

· Rubrica 6 "Vicinato e resto del mondo" per 98 milioni suddivisi:

  • Azione esterna (71 milioni);

  • Aiuti umanitari (10 milioni);

  • Assistenza preadesione (12,5 milioni);

  • Strumento europeo per la pace (5 milioni);

· Rubrica 7 "Pubblica amministrazione europea" per 73 milioni che comprenderà un sotto massimale per le spese amministrative delle istituzioni.

Per quanto riguarda le entrate, la novità principale riguarda la c.d. plastic tax che sarà introdotta a decorrere dal 1° gennaio 2021, calcolate in base al peso dei rifiuti di imballaggio di plastica non riciclata. Discorso diverso vanno fatte per le c.d. digital tax e carbon tax per le quali la Commissione dovrà presentare delle proposte per la loro applicazione entro il 1° gennaio 2023.

3. Chi ha vinto?

Come ogni trattativa che si rispetti, ognuna delle parti coinvolte rivendica la vittoria rispetto al proprio avversario. Poiché argomento di discussione non è la trade war tra USA e Cina, bensì un accordo tra paesi membri dell’Unione europea, questa dialettica non avrebbe senso di esistere. Tuttavia, a conti fatti è possibile delineare quali concessioni sono state fatte e quale linea politica ha prevalso. Per i frugal four le concessioni sono state diverse: la diminuzione dei sussidi (dai 500 miliardi iniziali ai 390 miliardi), aver ottenuto l’inserimento del freno d’emergenza, anche se il gruppo dei paesi nordici avrà bisogno del supporto di altri stati per attivarlo [6]; l’aumento dei rebates, i quali,da una loro possibile eliminazione per effetto della Brexit, sono aumentati nei singoli importi, ad eccezione per la Germania, con l'Olanda che passerà dai precedenti 1,576 a 1,921 miliardi, la Svezia da 798 a 1,069 miliardi, l'Austria da 237 a 565 milioni, la Danimarca da 197 a 377 milioni. Inoltre, successo personale per il primo ministro olandese Rutte che ottiene l’aumento dal 20 al 25% della quota che possono trattenere come costo per i dazi doganali che ricevono dall’UE. Ungheria e Polonia ottengono la rinuncia al meccanismo di accesso ai fondi europei sulla condizionalità dello Stato di diritto. Germania e Francia rafforzano l’asse franco-tedesco e si confermano come il motore della politica europea. Per il gruppo degli “ambiziosi” si conferma il quantitativo previsto dal piano Michel, con un aumento sostanziale delle risorse, seppur nella parte riguardante i prestiti, per paesi come Italia e Spagna.

4. Chi ha perso?

Quella descritta precedentemente risulta essere una situazione win-win, dove tutte le parti coinvolte hanno ottenuto un risultato positivo. Nella realtà dei fatti, questo compromesso vede un'unica sconfitta: le politiche europee. Difatti, il QFP ha visto la diminuzione, se non in alcuni casi l’azzeramento, delle risorse stanziate per i diversi programmi europei. Tra i più colpiti, giusto per citarne alcuni, vi è il Just Transition Fund, istituito per la graduale conversione degli Stati europei alla neutralità climatica, che ha visto il suo budget passare da 30 a 10 miliardi [7], InvestEu per gli investimenti (da 30 miliardi a 5,6), Horizon Eu per la ricerca (da 13,5 a 5 miliardi), Digital Europe Programme per la digitalizzazione dell’economia europea (da 9,1 a 7,6 miliardi), ma il danno maggiore lo ha subito Eu4Health, piano per la prevenzione di nuove pandemia, che si è visto azzerare l’iniziale stanziamento di 9,4 miliardi e che rappresenta un controsenso dato i mesi appena vissuti. Anche il settore della difesa ha subito diversi tagli, con l’European Defence Fund (Edf) ridotto da 13 a 7 miliardi [8]. Questi tagli, ed altri elementi come la rinuncia allo Stato di diritto e l’aumento dei rebates, sono alla base delle critiche portate avanti dal Parlamento europeo [9] che ha minacciato di dare battaglia sull’approvazione del QFP, se non verrà modificato, in cui il Parlamento ha voce in capitolo ai sensi dell’art. 312 TFUE.


5. Conclusioni

Il Next Generation EU è sicuramente un passo storico per l’Unione europea. La risposta ad una crisi sanitaria di questa portata purtroppo non può dirsi tempestiva, poiché problemi strutturali già noti si sono palesati con maggior forza, impedendo una reazione più efficace. Tuttavia, la previsione che l’Unione possa indebitarsi [10] e quindi disporre di una portata economica eccezionale, apre ad un nuovo scenario che permetterà ai 27 Stati membri di poter sfruttare questo momento di crisi per una ripartenza economica, nella speranza che venga adottata su valori troppo spesso considerati solamente in base all’onda emotiva del momento. Di fatto l’Unione europea si è dimostrata ancora una volta come una macchina non del tutto perfetta, ma comunque migliorabile. D’altro canto, una crisi sanitaria del genere ha dimostrato ancora una volta come singolarmente ogni stato membro non possa reagire in maniera efficace, allontanando lo spettro di quell’euro-scetticismo che fino a qualche anno fa sembrava prevalere in diversi parti del continente.

Note

[2] Per approfondimenti si consiglia: Le misure dell’UE in tempi di covid-19: un quadro sintetico di E. Esposito per AMIStaDeS e L’Unione Europea ai tempi della pandemia: tra crisi individuali e debiti comuni di Luca Cinciripini per il Caffè Geopolitico.

[3] Da non confondere con il “Consiglio europeo”, riunione dei capi di stato e di governo dei paesi membri, all’interno del quale si è raggiunto l’accordo di metà luglio.

[5] Grazie alla maggioranza qualificata, una c.d. “minoranza di blocco”, ossia quattro membri del Consiglio che rappresentino il 35% della popolazione UE, può respingere la proposta in esame.

[6] per approfondire il meccanismo del freno d’emergenza si consiglia: “Come funzionerà il freno di emergenza del Recovery Fund” di Gian Luigi Tosato per Affari internazionali.

[7] sui tagli alle transizioni energetiche e lotta al cambiamento climatico suggerisco: “Recovery Fund, la politica climatica è la grande sconfitta” di Sam Morgan per Euractiv.

[8] anche su questo tema consiglio da Affari internazionali l’articolo del vice-presidente Michele Nones, “Dal nuovo bilancio Ue danni collaterali alla Difesa “.

[9] nella risoluzione 2732/2020 del 23 luglio sulle conclusioni della riunione straordinaria del Consiglio europeo, consultabili qui (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0206_IT.html)

[10] su questo punto si possono aprire problematiche sul fatto che l’Unione europea non possa fare deficit ma debba gestire il bilancio in pareggio o leggero surplus.


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Next Generation EU - Luglio 2020 D'Amato
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