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Il governo Meloni: quali sfide internazionali attenderanno la nuova inquilina di Palazzo Chigi?

Meloni, Draghi, Insediamento
Fig. 1: Il tradizionale passaggio di consegne nella cerimonia di insediamento della nuova Presidente del Consiglio dei Ministri, il 23 ottobre 2022 a Palazzo Chigi https://www.governo.it/it/media/palazzo-chigi-la-cerimonia-di-insediamento-del-governo-meloni/20745

La prevedibile vittoria della coalizione di centrodestra alle consultazioni elettorali del 25 settembre, trainata dall’exploit elettorale di Fratelli d’Italia, ha segnato un momento di discontinuità nel quadro istituzionale e politico italiano: per la prima volta una donna siede a capo dell’esecutivo e il governo in carica è trainato da una forza politica appartenente all’area ideologica di estrema destra.


Il caro energia e l’inflazione legati al conflitto in Ucraina hanno rappresentato alcuni dei temi maggiormente dibattuti durante la campagna elettorale e si posizionano tuttora in cima alla lista delle priorità del nuovo governo. Dalla pandemia in poi, la politica estera, tradizionalmente di scarsa rilevanza nelle scelte degli elettori e nella visione politica dei governi italiani, sembra aver assunto un ruolo di primo piano nel dibattito pubblico e si sta profilando, anche per il nuovo governo Meloni, un elemento strategico imprescindibile per il perseguimento degli obiettivi del esecutivo.


Seguendo questa prospettiva può risultare utile delineare la struttura delle opportunità a livello europeo e internazionale e provare a delineare la linea strategica del nuovo esecutivo, indagando fino a che punto potrà eventualmente discostarsi dalle politiche dei governi che lo hanno preceduto, specialmente in merito all’appartenenza europea e all’allineamento all’alleanza atlantica che hanno fatto da filo conduttore ai governi italiani durante tutto l’arco della storia repubblicana.


1. L’Italia al voto


Le reazioni alla vittoria delle elezioni italiane di Fratelli d’Italia (Fdi), a guida Giorgia Meloni, tenutesi lo scorso 25 settembre sono state accolte con diverse sfumature da Washington, dalle cancellerie europee e dalle istituzioni di Bruxelles. Tra i primi messaggi di congratulazioni non sorprendono quelli dell’esponente del Rassemblement National, Marine Le Pen la quale, attraverso un tweet, si è complimentata “per aver resistito alle minacce di un'Unione europea anti-democratica e arrogante, ottenendo questa grande vittoria". Quest’ultimo riferimento lo si deve, probabilmente, alle dichiarazioni precedenti al voto della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sui possibili “strumenti” a disposizione per contenere le democrazie illiberali. Queste dichiarazioni, che sono state viste da molti come una sorta di interferenza dell’UE alla possibile vittoria della coalizione di centrodestra, sono poi state prontamente smentite da Bruxelles.


1.1 La corsa (ad ostacoli) al voto


Se abbiamo dato contezza sul come siamo arrivati alla crisi estiva, che ha portato alla caduta del Governo Draghi, oggi ripartiamo con un risultato acquisito: Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni è alla guida del nuovo esecutivo di centrodestra vincitore delle ultime elezioni italiane.


Se il risultato finale era stato ampiamente previsto da sondaggisti e analisti, non sono mancati comunque dei passi falsi che hanno destabilizzato questo percorso. Infatti, il posizionamento politico di Fratelli d’Italia, conservatore e nazionalista, è stato netto sin dalla sua formazione nel dicembre del 2012 che ha portato il partito ad essere costantemente all’opposizione dei diversi governi italiani che si sono succeduti fino ad oggi. Questa posizione ideologica di Fdi è stata spesso strumentalizzata da diversi esponenti di altri partiti, come ad esempio Enrico Letta del PD e Matteo Renzi di Italia Viva, che in diverse interviste alla stampa straniera hanno provato ad alimentare un’immagine di Giorgia Meloni come un “ostacolo alla globalizzazione e all’Europeismo”. Tuttavia, ad eccezione delle ultime settimane precedenti al voto dove abbiamo assistito a toni molto più moderati, le dichiarazioni della leader di Fdi sono state connotate da una visione molto più delineata e pragmatica rispetto al passato attorno ad alcune questioni chiave dei diritti civili (ad esempio: “no alla lobby LGBT, sì alla famiglia naturale”, “no all’ideologia di genere”) che ne hanno rafforzato questo immaginario di leader ultraconservatrice.


La stessa Presidente di Fratelli d’Italia ha dimostrato di non essere insensibile alle critiche della stampa estera, rispondendo alle insinuazioni con un video di sei minuti diffuso in francese, inglese e spagnolo durante il quale cerca di smontare le polemiche in merito ai timori di una possibile deriva autoritaria in Italia affermando che “la destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni” e che il suo partito si riconosce invece nella famiglia politica dei conservatori[1] accomunati, secondo la narrazione di Meloni, da un’esaltazione della libertà descritta come “il bene più prezioso” e la “bussola” con cui orientare il proprio “giudizio storico”.


Nonostante la questione ideologica del fascismo venga additata come pretestuosa dai vertici del partito, la formazione politica della Meloni, così come quella di buona parte dei quadri dirigenti di Fratelli d’Italia, affonda le sue radici tra le file delle sezioni giovanili del Movimento Sociale Italiano, fondato nel 1946 per raccogliere ex fascisti e repubblichini, e di Alleanza Nazionale che ne raccolse l’eredità storica a partire dal 1994[2]. La linea di continuità con queste esperienze politiche è rivendicata con orgoglio anche a livello simbolico dall’utilizzo della fiamma tricolore nel simbolo di Fratelli d’Italia. Tuttavia, sarebbe fuorviante ridurre le preoccupazioni internazionali sulla visione politica della nuova maggioranza alla possibilità di un revisionismo fascista in Italia: sono infatti la guerra nel cuore dell’Europa e lo spettro dell’inverno alle porte che conferiscono una dimensione esistenziale alla ferma rivendicazione di appartenenza alla comunità europea e al campo atlantico da parte della Meloni.


1.2 L’eco delle elezioni italiane sulla stampa americana


L’ex Primo ministro italiano Mario Draghi è stato definito dal New York Times “Un gigante dell’Europa”. Una definizione ripresa dal Dipartimento di Stato americano che, all’indomani delle dimissioni del Primo ministro italiano, ha tenuto a precisare come l’operato di Draghi a Palazzo Chigi è risultato essere determinante per raccogliere gli impegni sul clima alla Cop26, forgiare “una risposta senza precedenti di UE e Nato alla guerra della Russia in Ucraina” e rilanciare gli “interessi condivisi di Usa e Italia” nel Mediterraneo.


Le buone relazioni tra il presidente statunitense Joe Biden e Draghi hanno reso l’Italia uno dei più fedeli alleati UE di Washington e di conseguenza della Nato. Concetto chiarito dallo stesso Draghi che, nel pieno della crisi di governo, mise in chiaro come l’esecutivo si identificava “pienamente nell’Unione Europea”, nel “cuore dell’UE, del G7, della Nato”.


In piena campagna elettorale, l’allarme iniziale sulle conseguenze che avrebbe comportato un trionfo della leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni giunse dalla colonne del New York Times: “La presa del potere a destra da parte di figure che si considerano esplicitamente eredi della tradizione fascista è uno sviluppo allarmante”. Sulla stessa lunghezza d’onda, dopo la vittoria della coalizione di destra alle elezioni del 25 settembre scorso, la CNN ha etichettato la Meloni come “la presidente del Consiglio più a destra dall’epoca di Mussolini”. Ed ancora il Nyt ha apostrofato Fdi come partito che affonda le radici “nelle macerie del fascismo”. Consapevole del fatto che i rapporti con Palazzo Chigi non “saranno esattamente gli stessi” avuti con Draghi, la Casa Bianca ha tenuto a precisare che Biden dovrà “prendere le misure del prossimo premier italiano”.


2. Le reazioni al voto


2.1 Ungheria e Polonia festeggiano. Bruxelles e Parigi aprono alla collaborazione


I primi leader europei che si sono congratulati con Giorgia Meloni per il successo elettorale sono stati Viktor Orban, Primo ministro dell’Ungheria, e Andrzej Sebastian Duda, Presidente della Repubblica di Polonia entrambi noti alleati di Fdi in sede europea. Un sostegno verso l’Ungheria di Orban si è avuto recentemente con la mancata approvazione del rapporto del Parlamento europeo in cui l’Ungheria veniva definita una “minaccia sistemica” ai valori fondanti dell’UE e con il quale è stato richiesto l’intervento della Commissione e del Consiglio perché venissero attivate tutte le misure previste dall’articolo 7[3] dei trattati europei. Nel caso concreto, qualora venisse approvato dal Consiglio, questa misura porterebbe alla sospensione di 7,5 miliardi di euro in fondi di coesione all’Ungheria con l’attivazione del meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto. Questo voto ha portato ad una prima frattura all'interno del centrodestra durante la campagna elettorale in quanto due partiti su tre, Fdi e Lega, votarono a sfavore. In questa occasione Silvio Berlusconi dichiarò che “la nostra presenza [Forza Italia] nel governo è garanzia assoluta che il governo sarà liberale, cristiano e soprattutto europeista e atlantista”, affermazioni che, alla luce dei recenti audio svelati dal giornale LaPresse e delle dichiarazioni di Meloni sul conflitto in Ucraina, sembrano aver oggi fatto spazio ad un capovolgimento degli allineamenti internazionali all’interno della coalizione di governo, con Forza Italia su posizioni più filo putiniane di quanto assicurato in campagna elettorale e Fratelli d’Italia più saldamente ancorata all’atlantismo.


Un eventuale banco di prova sulla svolta “europeista” di Giorgia Meloni potrà essere rappresentato da una presa di posizione (o meno) riguardo la possibilità che la Commissione vada a bloccare i fondi di coesione per violazioni dello Stato di diritto da parte della Polonia, in quanto le stesse autorità polacche nella propria autovalutazione hanno indicato che la condizione abilitante non è soddisfatta.

Anche dalle istituzioni europee e dalle varie cancellerie sono arrivati messaggi di auguri, più o meno enfatici, a Giorgia Meloni per la formazione del nuovo governo in Italia. L’elemento comune risiede nell’ottimismo con il quale la collaborazione con l’Italia potrà proseguire. Tra questi, ad esempio, il portavoce di Olaf Scholz, Wolfgang Buechner, commentando il risultato elettorale ha specificato che “l'Italia è un Paese molto amico dell'Europa, abitato da cittadini molto amici dell'Europa e ci aspettiamo che questo non cambi” o il tweet della stessa von der Leyen la quale si è augurata “di poter collaborare in modo costruttivo con il nuovo governo per far fronte alle sfide che dobbiamo affrontare insieme”, al quale hanno fatto seguito con il medesimo tono le dichiarazioni del presidente del Consiglio europeo Charles Michel e quella Parlamento europeo, Roberta Metsola.

Meloni, Macron
Fig. 2: Fig. 2: Incontro informale tra la Presidente del Consiglio e il Presidente francese a Roma, 24 ottobre 2022 https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/10/24/incontro-meloni-macron-palazzo-chigi-confronto-proficuo-leliseo-continueremo-a-vigilare-sui-diritti/6849189/

Meno entusiaste sono state le dichiarazioni di esponenti di governo di Spagna e Francia, dove vige la preoccupazione sul dilagante populismo e sulla tenuta dei diritti umani e della tutela del diritto all'aborto in Italia, preoccupazioni tuttavia smorzate (almeno nel caso francese) dalla visita, seppur informale, di Emanuel Macron in Italia. In questa occasione, il Presidente francese ha incontrato Giorgia Meloni discutendo dei principali dossier europei quali la necessità di dare risposte veloci e comuni in sede europea come il caro energia, il sostegno all’Ucraina, la difficile congiuntura economica, la gestione dei flussi migratori.


2.2 In che modo l’apertura a Est dell’Italia potrà influire nelle relazioni tra Stati Uniti e Italia?


Lo spostamento dell'asse politico verso destra di alcuni Paesi membri della Nato, Polonia e Italia su tutte, preoccupa il governo americano. “Putin voleva dividere la Nato. E guardate cosa è successo sul fianco orientale dell’Alleanza”, ha detto Biden, che ha poi proseguito: “La Polonia resiste, ma che mi dite dell’Ungheria?”. In realtà se Atene piange, Sparta non ride. In Europa, da Polonia e Ungheria alla Svezia, ma anche in Spagna e Francia, la nuova destra di governo post-sovranista si trova dinanzi a un bivio: seguire il gruppo di Visegrád o rimanere ancorata a Europa e America?

Basi Militari, USA, Europa
Fig.3: le basi militari americane in Europa https://www.limesonline.com/notizie-mondo-oggi-25-giugno-truppe-usa-polonia-germania-ritiro-bielorussia-corea-del-nord/118898

Il premier polacco Duda ha tenuto a precisare: “Io e Meloni condividiamo lo stesso sistema di valori”, convinto che ciò potrà fare da apripista ad una maggiore collaborazione fra i due Paesi. Varsavia e Washington godono di buone relazioni diplomatiche tanto che la Polonia starebbe trattando con gli Stati Uniti in merito alla condivisione di armi atomiche.


La Polonia, inoltre, si qualifica come uno dei più accesi sostenitori del rafforzamento del fianco orientale dell’Alleanza: la National Security Strategy (2020) riteneva la Russia una “seria minaccia” a causa della sua politica “neo-imperialista".


Un’affermazione di una tale entità non poteva non incontrare i favori di Washington, chiarendo a tutti gli effetti come le due capitali viaggino sulla stessa lunghezza d’onda, specie nella lotta, spesso evocata da Biden, ovvero alla sfida del secolo tra democrazie e autocrazie.


Se l’avvicinamento tra Roma e Varsavia non dovrebbe intaccare lo stato delle relazioni tra Italia e Stati Uniti, discorso a parte merita la prospettiva di un asse tra Roma e Budapest. “Orban è un signore che ha vinto le elezioni più volte, secondo le regole della sua costituzione, con tutto il resto dell’arco costituzionale schierato contro di lui. Quindi è comunque un sistema democratico”, così si è pronunciata la Meloni nei confronti del premier ungherese che su aborto, famiglia e ruolo della donna possiede idee simili alla leader di Fdi, rappresentando un elemento di forte preoccupazione per gli Stati Uniti, anche a causa della sua vicinanza con Vladimir Putin e Xi Jinping. La vera sfida per la leader di Fratelli d’Italia sarà trovare l’equilibrio fra la posizione eurorealista, che si mette nella scia di Mario Draghi, e quella del conservatorismo trumpiano-orbaninano. Un allineamento eccessivo di Roma alle posizioni ungheresi potrebbe, infatti, incrinare le relazioni tra Washington e Italia.


2.3 La coalizione (di centrodestra) ai raggi X: tra atlantismo e spinte nazionalistiche


Se l’appartenenza al campo atlantico e la condanna dell’aggressione russa dell’Ucraina viene rivendicata con forza dalla nuova Presidente del Consiglio[4], altri componenti dell’eterogenea maggioranza hanno in passato espresso la loro approvazione per l’operato del presidente Putin [5].


Inoltre, le esternazioni di Berlusconi, circolate nei giorni precedenti alle consultazioni con il Presidente della Repubblica e rese poi di dominio pubblico da LaPresse, che facevano presupporre un riavvicinamento tra il leader di FI e il Presidente russo, hanno contribuito a gettare dubbi sull’affidabilità dell’Italia e sulla solidità del fronte europeo nel sostegno all’Ucraina. Per ironia della sorte, proprio la presenza di Forza Italia nella compagine di governo era stata presentata dai membri di spicco del partito, Tajani su tutti, come una garanzia dell’europeismo dell’esecutivo per via degli storici legami con il Partito Popolare Europeo che hanno valso all’intera coalizione l’endorsement del Presidente del PPE Weber durante la campagna elettorale [6].


Nonostante la guida del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale sia stata affidata ad Antonio Tajani, portavoce di Forza Italia e già presidente del Parlamento europeo per i Popolari da gennaio 2017 a luglio 2019, ad occuparsi dei rapporti con l’Unione e della realizzazione del PNRR sarà invece l’europarlamentare eletto con Fratelli d’Italia Raffaele Fitto in qualità di ministro senza portafoglio.

Meloni, Salvini, Berlusconi
Fig. 4: Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, i tre leader della coalizione di centrodestra https://www.huffingtonpost.it/politica/2022/03/28/news/il_centrodestra_parte_strafavorito_eppure_l_ipotesi_harakiri_e_li_in_agguato-9049878/

Il giudizio sull’operato e sul funzionamento dell’Unione europea si differenzia considerevolmente tra i diversi partiti della maggioranza, come dimostrato anche alla loro diversa collocazione nel Parlamento europeo dopo le elezioni del 2019 dove gli eurodeputati di Forza Italia appartengono al gruppo dei Popolari (PPE), quelli della Lega a quello di Identità e Democrazia (ID) e quelli di Fratelli d’Italia a quello dei Conservatori e Riformisti (ECR), per i quali Meloni riveste la carica di Presidente del partito dal 2020. Diversamente dagli euroscettici di ID, i Conservatori e Riformisti non possono essere considerati esclusivamente dei detrattori delle istituzioni comunitarie: nella Dichiarazione di Praga viene rifiutato il progetto federalista in funzione di una primazia dell’interesse nazionale su quello comunitario; tuttavia, applicando il principio di sussidiarietà, viene anche sostenuta la necessità che Bruxelles si faccia carico di quelle competenze che non possono meglio essere ricoperte dagli Stati Membri, come nel caso della sicurezza energetica o nel controllo delle frontiere per gestire i fenomeni migratori.


Tracce di questo riformismo conservatore possono essere ritrovate nel programma elettorale di Fratelli d’Italia che menziona la necessità di aggiornare i termini del PNRR entro i limiti previsti dal Regolamento per il Next Generation EU all’art. 21 per allineare la spesa ai nuovi livelli di inflazione, e nel programma elettorale della coalizione di centrodestra dove viene menzionata la necessità di riforma del Patto di Stabilità che impone dei limiti al debito contraibile dagli Stati Membri. Tuttavia, i margini per modificare il PNRR sono in realtà molto ristretti, e fare modifiche radicali è praticamente impossibile. Per cui difficilmente il nuovo esecutivo cercherà lo scontro su questo punto. D'altra parte, l’utilizzo dei fondi europei non viene messo in discussione dalla nuova Presidente del Consiglio che anzi sostiene la necessità di ‘sfruttare a pieno tutte le risorse messe a disposizione dall’Europa’.


Inoltre, durante la campagna elettorale, la neo-Presidente del Consiglio ha invocato la necessità di superare i veti degli altri Stati Membri, in primo luogo la Germania, per implementare un tetto al prezzo del gas a livello europeo – obiettivo raggiunto dalla determinante mediazione di Mario Draghi con il primo ministro tedesco Scholz durante quello che è stato l’ultimo Consiglio europeo del premier italiano lo scorso 20 e 21 ottobre. La nuova premier dovrà dimostrare di possedere le stesse doti di mediazione politica a livello europeo del suo predecessore per poter portare avanti le proposte avanzate in campagna elettorale per la creazione di hotspot europei extraterritoriali per la gestione dei flussi migratori e per lo sviluppo di un piano di difesa comune che rappresenti la “colonna europea” della NATO, invisi ad alcuni dei suoi alleati.


3. Quale potrebbero essere i punti di scontro tra il nuovo esecutivo e l’UE?


Nel discorso alla Camera del 25 ottobre scorso [7] la Neo Presidente del Consiglio, in diversi passaggi, ha voluto rassicurare che il perimetro del nuovo esecutivo sarà quello all’interno dell’Unione europea e ha posto l’accento verso una visione diversa di integrazione europea (“Per noi l'UE non è una società per azioni, l'UE è la casa comune dei popoli europei.” – “Non saboteremo l'integrazione europea, la indirizzeremo verso un approccio più vicino a cittadini e imprese.” – “Serve una integrazione più efficace per affrontare le grandi sfide. Uniti nella diversità.”). Tuttavia, ci sono diversi dossier che potrebbero portare a frizioni con Bruxelles.


Se riguardo al capitolo Ucraina, nonostante un orientamento ambiguo da parte di alcuni esponenti della coalizione, la posizione più volte affermata da Meloni è di vicinanza ai valori atlantici ed europei (“È dovere dell'Italia contribuire alla alleanza Atlantica. La libertà ha un costo, ed è l'affidabilità che dimostra.” [8]), altri temi potranno portare a degli attriti con Bruxelles. In primis la gestione dei flussi migratori. Questo tema sembrerebbe tornare sui principali tavoli di discussione grazie all’attivismo del leader della Lega Matteo Salvini il quale, in qualità di ministro delle Infrastrutture con la delega al mare e ai porti (affidata al leghista Edoardo Rixi, viceministro alle Infrastrutture e ai trasporti) e di Vicepresidente del Consiglio, ha già iniziato una campagna volta a esasperare i toni, portando la discussione verso un contesto emergenziale all’interno di un perimetro di sicurezza nazionale. Su questo punto, gioca un altro punto a favore del leader leghista la presenza di Matteo Piantedosi al Ministero degli Interni, precedentemente capo di gabinetto dello stesso Salvini e del suo successore Lamorgese al medesimo dicastero, che ha manifestato una certa vicinanza di visione già nei primi giorni di mandato con il recente caso delle navi Ocean Viking e Humanity 1. La stessa linea è stata portata avanti durante la recente informativa urgente alla Camera dello scorso 16 novembre, in cui il ministro Piantedosi ha rimarcato la necessità del governo di intraprendere un percorso volto a “governare le migrazioni, anziché subirle”. In particolare, il caso della Ocean Viking ha portato al primo scontro diplomatico dell’esecutivo Meloni con la Francia che ha portato il 25 novembre ad una riunione straordinaria in sede europea dei ministri degli interni, in cui è stato discusso il piano in 20 punti proposto dalla Commissione europea incentrato in tre macro argomenti:

  • ridurre la migrazione irregolare e non sicura, lavorando con i paesi partner e le organizzazioni internazionali;

  • fornire un approccio più coordinato per le attività nelle aree di ricerca e soccorso;

  • rafforzare la solidarietà tra gli Stati membri, accelerando sull’implementazione del meccanismo volontario di redistribuzione.

Altro tema caldo sarà la questione delle riforme in materia di disciplina di bilancio, della governance economica europea e della rinegoziazione del PNRR. Infine, il nuovo Governo dovrà affrontare una emergenza energetica senza precedenti aggravata dal conflitto in Ucraina, tema considerato prioritario in sede europea dalla stessa leader di Fdi.


(scarica l'analisi)

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Note


[1] Nel video vengono esplicitamente menzionati i Tories britannici, il Partito Repubblicano statunitense e il Likud israeliano.


Bibliografia e Sitografia

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