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Macrismo, kirchnerismo e peronismo: l’Argentina verso le elezioni

Aggiornamento: 1 nov 2020

Un Paese polarizzato

In attesa delle elezioni generali previste per il prossimo 27 ottobre, gli argentini si interrogano su cosa sia diventato il loro Paese nei cinque anni della presidenza Macri.

Nel 2015 Mauricio Macri, già sindaco di Buenos Aires, aveva vinto le presidenziali alla guida della coalizione Cambiemos, che riuniva le opposizioni al precedente governo di Cristina Kirchner (Ucr e i gruppi di centro destra dell’economia e della politica). Ci era riuscito non senza difficoltà, riuscendo ad imporsi solo al ballottaggio con il 51,4% dei consensi su Daniel Scioli, l’ex governatore della provincia di Buenos Aires allora indicato da Cristina come suo successore.

Già allora, il Paese era evidentemente diviso e polarizzato fra kirchneristi e anti-kirchneristi.

La presidenza Macri è stata solo il simulacro dell’immagine che il presidente ha raccontato al mondo nelle uscite internazionali. Al Kirchnerismo, Macri ha rimproverato di aver incrementato la spesa pubblica e, al contempo, di aver abbandonato le politiche di liberalizzazione economica che avrebbero attratto gli investimenti stranieri. Per rimediare, l’Argentina avrebbe dovuto imparare a raccontarsi in modo diverso, presentandosi, nelle parole dello stesso Macri, come un “nuovo Paese di moda fra i mercati emergenti” capace di tornare sui mercati internazionali dopo quella “decade perduta”.

Tuttavia, il presidente ha dovuto rinunciare progressivamente all’entusiasmo e all’ottimismo che avevano circondato i primi mesi del suo governo. La sconfitta alle primarie dello scorso 13 agosto, in occasione delle quali il candidato dell’opposizione Alberto Fernández si è imposto con un margine inatteso del 15,6%, è sintomatica dell’aria che tira nel Paese e alla Casa Rosada. Non a caso, molti ritengono che le primarie siano state la prova generale per le elezioni del 27 ottobre.

Nel 2018, Macri ha firmato un accordo con il FMI per ottenere sostegno finanziario.

I critici di Macri accusano il presidente di essere colpevole, con le sue politiche economiche, della recessione e dell’inflazione elevata che gli argentini stanno sperimentando nella loro vita quotidiana. In questi anni, il governo ha approvato e implementato il tarifazo, un pacchetto di misure che prevedevano l’aumento delle tariffe dell’energia elettrica, dei trasporti urbani e ferroviari e di acqua e gas in seguito al taglio dei sussidi concessi dal kirchnerismo, che avevano permesso a milioni di argentini di pagare bollette molto basse. Nel “nuovo Paese alla moda” sognato e raccontato da Macri, si è verificato un aumento della povertà, della disoccupazione e del debito pubblico, come dimostrano i dati dell’Osservatorio sul debito sociale dell’Università Cattolica Argentina.

Il peso, la moneta nazionale, ha perso un quarto del suo valore e la Banca Centrale, per arginarne il crollo, ha alzato più volte i già altissimi tassi di interesse.

A fine agosto, la Chiesa Cattolica ha chiesto al governo di dichiarare l’emergenza alimentare nei quartieri più poveri di Buenos Aires e di porvi rimedio distribuendo pacchetti alimentari gratuiti alle famiglie con figli piccoli e ampliando il sostegno alle mense popolari.

Anche se il governo ha ridotto le imposte sui salari e ha deciso la distribuzione di aiuti tra i più poveri, la risposta alla crisi viene giudicata per il momento insufficiente dai movimenti sociali.


Il modello K

Con queste premesse non sarà facile per Macri ottenere una conferma alle prossime elezioni. Dovrà infatti vedersela non solo con Alberto Fernández, candidato presidente del Frente de Todos, ma anche e soprattutto con Cristina Kirchner, popolarissima candidata alla vicepresidenza.

Insieme a suo marito Nestor Kirchner, presidente tra il 2003 e il 2007, Cristina, occupando la presidenza per due mandati consecutivi, dal 2007 al 2015, è stata la principale interprete del kirchnerismo. Anche se oggi Cristina è candidata alla presidenza con il Frente de Todos, il kirchnerismo che la rappresenta non è mai riuscito a unificare la società argentina. Al contrario, questa corrente politica ha spaccato apparentemente in modo irrimediabile la politica e la società argentina. Il “modello K” si è sostenuto su due pilastri. Da un lato, l’aumento dei prezzi delle commodities ha permesso all’Argentina dei Kirchner di beneficiare di termini di scambio più favorevoli sui mercati internazionali; dall’altro, le maggiori risorse pubbliche messe a disposizione delle classi medio e medio-basse attraverso sussidi di ogni tipo permisero al governo di ottenere un duplice risultato favorevole. Si tratta non solo della risoluzione della crisi del 2001, culminata con le manifestazioni in cui gli argentini gridavano “que se vayan todos”, cioè “tutti a casa”. I Kirchner hanno potuto accumulare un capitale di consensi estremamente duraturo, che coinvolgeva fasce sociali molto diverse, dai piqueteros – i sindacalisti più agguerriti – agli imprenditori che poterono beneficiare dei sussidi statali.

Ad ogni modo, la vita politica dei Kirchner non è stata comunque priva di ombre. Sostituendo le politiche di privatizzazione tipiche degli anni Novanta con un nuovo interventismo statale, i Kirchner hanno infatti reso più sfumati i confini tra pubblico e privato, favorendo così le accuse di corruzione.


Cristina non è Evita

In Argentina alcuni credono che il kirchnerismo sia stato troppo, per altri è stato invece troppo poco.

Il kirchnerismo è stato spesso interpretato come una delle tante correnti del peronismo per lo stile accentratore, personalista e populista dei suoi esponenti. La stessa Cristina è stata spesso paragonata ad Eva Peron, che ebbe un ruolo rilevante nell’elaborazione del primo peronismo. Il paragone si basa non solo sul fatto che sia Cristina che Evita furono primeras damas, ma soprattutto su ciò che le accomuna politicamente: un marcato interesse per le questioni di giustizia sociale. Tuttavia, le modalità con cui se ne fecero carico fu molto diverso.

Inoltre, vi sono importanti differenze tra l’azione sociale di Evita e quella di Cristina. La prima, caratterizzata da innumerevoli iniziative caritative – dai doni ai bambini poveri delle province all’elargizione di banconote alla lunga coda di bisognosi che si formava davanti alla residenza presidenziale – soffriva di numerose pecche, mancando infatti di sostenibilità, legittimità e istituzionalizzazione. Invece di rafforzare il sistema previdenziale universale, la politica sociale di Eva ebbe un unico canale: la Fondazione Eva Peron, istituita nel 1948. Si trattò di un vero e proprio apparato di assistenza sociale sganciato dagli apparati statali, racchiuso in uno scrigno di cui solo Eva possedeva la chiave, a discapito di qualsiasi principio di trasparenza. Tutto ciò non ha comunque impedito ad Evita di diventare un’icona politica nazionale.

Per quanto riguarda l’azione sociale dell’era K, invece, essa fu condotta a livello istituzionale, come politica di Stato. L’aumento delle pensioni, l’incremento fondi di sostegno sociale e l’ampliamento della copertura previdenziale furono conquiste ottenute per via legislativa. Ad esempio, il Piano di inclusione previdenziale, entrato in vigore nel 2005 attraverso l’approvazione della legge 25.994 e con il decreto 1454/5, con l’obiettivo di realizzare l’inclusione sociale delle persone in situazioni complesse. Lo stesso vale per il Plan Jefes y Jefas de Hogar, che prevedeva la concessione di sussidi destinati ai disoccupati.

L’Argentina della seconda metà degli anni Quaranta non era quella di oggi. Allegra, spensierata e sprecona, la società argentina di allora favorì le ambizioni organicistiche del peronismo di fare di un Paese in profonda trasformazione una comunità granitica identificata con il peronismo stesso. Un progetto egemonico di questo tipo risulta impensabile nella società argentina di oggi, spaccata come non mai sull’asse kirchnerismo/anti-kirchnerismo.

Gli argentini spesso paragonano il loro modo di interpretare la vita al “grottesco urbano”, un genere teatrale prettamente argentino ispirato agli italiani Pirandello e De Filippo e caratterizzato da un insieme inestricabile di tragedia e commedia, a metà tra l’intollerabile e la rassegnazione. Questo genere teatrale è considerato la definizione più precisa dello stile di vita nazionale, ma si adatta perfettamente anche alla vita politica del Paese Cono Sur.

L’Argentina che si prepara alle elezioni di ottobre è simile a un dipinto di Antonio Berni, uno dei maestri dell’arte argentina, pittore degli abitanti delle villas miseria di Buenos Aires, degli indigenti e degli emarginati. Lavoro, cibo e dignità: sono sempre le stesse le attese delle periferie. Chiunque diventi presidente dovrà tenerne conto.


Bibliografia

· A. Goldstein, L’Argentina della Presidenta, Il Mulino, 2012.

· A. Grimson, ¿Qué es el peronismo?, Siglo XXI, 2019.

· E. Schoo, Mi Buenos Aires querido, Finestre Voland, 2015.

· F. Bravo Almonacid, Distintas miradas sobre el plan de inclusión previsional. Un análisis de caso., in Trabajo y Sociedad, Núcleo Básico de Revistas Científicas Argentinas (Caicyt-Conicet) Nº 20, Verano 2013, Santiago del Estero, Argentina.

· L. Zanatta, Eva Peron. Una biografia politica, Rubettino, 2009.

· M. Rosti, L’Argentina da Menem a Macri, in Democrazie Inquiete. Viaggio nelle trasformazioni dell’America Latina (a cura di V. Giattanasio, R. Nocera), Feltrinelli, 2017.

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