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Le migrazioni interne all’Africa: un fenomeno spesso trascurato

Aggiornamento: 14 dic 2020

1. Introduzione

Nonostante le numerose preoccupazioni per gli arrivi di migranti africani lungo le coste dell’Europa meridionale, alimentate dalle immagini di imbarcazioni precarie che approdano sulle coste europee, in particolare attraverso la rotta del Mediterraneo centrale che ricongiunge il continente africano all’Italia passando attraverso il Sahel e la Libia, è possibile affermare che la migrazione africana è un fenomeno che nasce e si conclude principalmente all’interno del continente africano. Secondo i dati diffusi dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) all’interno del rapporto Economic Development in Africa. Migration for Structural Transformation pubblicato nel 2018[1], nel 2017 gli africani che hanno intrapreso un percorso migratorio sono stati 36 milioni, di cui circa 19 milioni (il 52%) si sono spostati da un Paese all’altro del continente africano, mentre circa 17 milioni sono emigrati verso Paesi extra africani. Se si aggiungono poi i migranti africani che si spostano all’interno dello stesso Paese, senza dunque attraversare i confini per recarsi in un altro Stato, si può concludere la maggioranza dei flussi migratori africani si sviluppa all’interno del continente africano, mentre solo una minoranza è diretta verso l’Europa.

I numeri indicano inoltre che le migrazioni intra-africane avvengono principalmente per ricerca di lavoro e condizioni di vita più dignitose (il 44% dei migranti africani), con spostamenti interni allo stesso Paese da zone rurali a zone urbane oppure spostamenti nei Paesi limitrofi verso i poli economici di maggiore attrazione all’interno della stessa regione o sub-regione. Il 29% degli africani in movimento emigra per estrema povertà o per condizioni legate a instabilità sociopolitica, mentre sono in aumento gli africani costretti a spostarsi come conseguenza del cambiamento climatico e dei disastri ambientali.

2. Tendenze e percorsi migratori

Fin dal 1990 la migrazione africana si è espressa nella maggior parte dei casi come fenomeno intra-continentale. I dati resi noti dall’UNCTAD dimostrano che l’intensità dei flussi intra-africani è stata sempre maggiore rispetto a quella degli spostamenti extra-continentali, ad eccezione del 2010, anno in cui si sono intensificate le partenze di migranti dalla Libia verso l’Europa anche a seguito del clima di instabilità politica e socioeconomica che si stava diffondendo nell’intera regione nordafricana[2]. Tale intensità è aumentata inoltre nel tempo. Il numero di migranti africani che si sono spostati internamente è infatti passato da 11,5 milioni nel 2000 a 19,4 milioni nel 2017, facendo registrare un incremento e del 69%.

Nel 2017, i Paesi africani che hanno accolto il maggior numero di migranti sono stati il Sud Africa (2,3 milioni), la Costa d’Avorio (2,2 milioni), l’Uganda (1,7 milioni), l’Etiopia (1,3 milioni) e la Nigeria (1,2 milioni di persone), seguiti in ordine decrescente da Kenya, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Sudan e Libia con cifre al di sotto del milione.

Questi dati rivelano una caratteristica ben precisa degli spostamenti interni all’Africa: i Paesi che generalmente fungono da Paesi di destinazione dei flussi intra-africani sono tendenzialmente quelli con le economie più diversificate, come il Sud Africa nella regione dell’Africa meridionale, la Costa d’Avorio in Africa occidentale e la Nigeria nella regione centrale. Vi sono poi gli Stati dell’Africa orientale – Uganda, Etiopia e Kenya in particolare – per i quali l’elevato numero di immigrati è legato al fatto che essi ospitano principalmente coloro che fuggono da guerre, persecuzioni e carestie. Fenomeni che hanno interessato e continuano a interessare tale regione.

L’analisi dei flussi migratori intra-africani ha permesso inoltre di identificare i percorsi lungo i quali i migranti africani si spostano. Nel 2017, i tre principali corridoi migratori utilizzati sono stati quelli dal Burkina Faso verso la Costa d’Avorio (1,3 milioni), dal Sud Sudan verso l’Uganda (0,7 milioni) e dal Mozambico verso il Sud Africa (0,5 milioni).

A livello regionale, nel 2017 l’Africa orientale e l’Africa occidentale sono state le regioni che hanno dato origine al maggior numero di spostamenti intra-africani. Tali regioni hanno rappresentato anche le principali aree di destinazione, confermando la tendenza per cui la maggior parte dei migranti africani proviene dalla medesima regione e si sposta nei Paesi limitrofi lungo i principali corridoi intraregionali di seguito illustrati.


Fonte: UNCTAD
Fonte: UNCTAD


Per quanto riguarda l’Africa centrale, il numero assoluto di africani in transito ha registrato un forte incremento negli ultimi anni, a causa in particolare della crescente instabilità politica nella regione e dello sviluppo di nuovi conflitti interni. L’Africa meridionale, invece, ha visto crescere il numero di arrivi grazie soprattutto alla centralità del Sud Africa, verso cui emigrano sempre di più non solo migranti provenienti dai Paesi limitrofi appartenenti alla medesima regione ma anche persone in fuga dai conflitti e dalle carestie che colpiscono la regione dell’Africa orientale. Un discorso a parte merita la regione del Nord Africa, dove i flussi intraregionali sono inferiori rispetto agli spostamenti di migranti provenienti dalle altre regioni del continente. Le ragioni vanno ricercate nel fatto che il Nord Africa rappresenta principalmente una regione di transito per i migranti che dall’Africa sub-sahariana intendono raggiungere l’Europa.

Si può dunque concludere che gli spostamenti intra-africani si concentrano, per ragioni tra loro diverse, intorno a grandi poli di attrazione regionali. La tendenza a emigrare al di fuori del continente africano è molto più diffusa nella regione del Nord Africa, mentre i migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana tendono in via generale a spostarsi nei Paesi limitrofi e all’interno delle medesime regioni o sub-regioni.


3. I fattori di spinta

La maggior parte delle migrazioni interne all’Africa avviene per motivi economici, quali la ricerca di un lavoro e la speranza di trovare altrove migliori condizioni di vita. I migranti africani tendono dunque a spostarsi in cerca di fortuna dalle aree rurali, generalmente più povere, a quelle urbane oppure verso Paesi limitrofi interni alla stessa regione dove poter ottenere nuove prospettive di lavoro.

Tuttavia, non vi è solamente la manodopera come fattore trainante delle migrazioni intra-africane. Emerge infatti che è la nascente classe media africana a premere verso un miglioramento dei collegamenti interni alle varie regioni. In questo senso, risultano in netto aumento gli spostamenti tra i Paesi africani interconnessi da accordi di libero scambio, per i quali l’assenza di un obbligo di possedere un visto di ingresso per attraversare le frontiere favorisce la libera circolazione e le migrazioni circolari. È il caso ad esempio dell’Africa occidentale, dove è in vigore, dal 1975, la Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale (ECOWAS), un accordo economico stipulato da quindici Stati della regione al fine di facilitare gli scambi commerciali e gli spostamenti interni. La creazione di quest’area di libera circolazione ha per esempio facilitato lo spostamento di persone verso la Costa d’Avorio, un Paese caratterizzato da un’economia fiorente e da elevate opportunità lavorative.

Sebbene in misura minore, gli spostamenti interni all’Africa rappresentano anche una risposta forzata, da un lato, alle situazioni di conflitto armato o di instabilità e minaccia alla propria vita e libertà e, dall’altro, alle conseguenze del cambiamento climatico e del degrado ambientale.

Con riferimento al primo elemento, occorre ricordare che il continente africano è costretto oggi ad affrontare numerose tensioni politiche, le conseguenze dei conflitti armati e i rischi legati all’insicurezza e al fenomeno del terrorismo. Storicamente, l’instabilità politica e le precarie condizioni di sicurezza hanno costretto le persone a muoversi in cerca di protezione e ancora oggi sono numerosi i casi di spostamenti per guerre civili, violenze generalizzate, rischi di persecuzione, tortura e trattamenti inumani e degradanti. Tali eventi generano flussi migratori forzati caratterizzati principalmente da spostamenti interni – si parla in questo caso di sfollati interni – o da attraversamenti di frontiere allo scopo di ottenere protezione e sicurezza in altri Stati – si parla in questo caso di richiedenti asilo e rifugiati.

In Africa, il numero di sfollati interni è più alto del numero di richiedenti asilo e rifugiati, dal momento che per mancanza di disponibilità economiche e di mezzi sufficienti le popolazioni a rischio tendono a cercare rifugio nelle zone più vicine al focolaio di conflitto o alla situazione di insicurezza, rimanendo dunque all’interno del proprio Paese. Tuttavia, i flussi di rifugiati attraverso il continente africano sono in recente crescita. Secondo i dati del Dipartimento delle Nazioni Unite per gli Affari Economici e Sociali (UN/DESA)[3], il numero totale di rifugiati africani è sceso da 5,7 milioni nel 1990 a 2,9 milioni nel 2010, per poi aumentare bruscamente a 4,6 milioni nel 2015. I dati dimostrano inoltre che la maggior parte dei rifugiati africani cerca protezione nei Paesi limitrofi piuttosto che intraprendere lunghi e rischiosi viaggi verso l’Europa. Provenienti principalmente dall’Africa orientale, e in particolare dalla Somalia, dall’Eritrea e dal Sud Sudan, i rifugiati africani sono accolti da Paesi africani situati solitamente all’interno della stessa regione (Kenya, Uganda e, in misura minore, Sudan) o in regioni limitrofe (Sud Africa).

Per quanto riguarda gli spostamenti legati a fattori di natura ambientale, numerosi studi[4] affermano che le conseguenze del cambiamento climatico in Africa subsahariana, come il calo delle precipitazioni e le anomalie di temperatura, rappresentano fattori importanti che causano migrazione, sia rurale che urbana. Tali fattori sono in evidente crescita e indurranno sempre più persone a spostarsi. A titolo di esempio, si può ricordare la situazione del lago Ciad – situato tra Camerun, Ciad, Niger e Nigeria – il quale ha perso il 95% delle sue dimensioni dal 1960. Tale riduzione ha avuto un impatto negativo sui mezzi di sussistenza di milioni di persone e ha contribuito all’acuirsi di tensioni sociopolitiche e conflitti nella regione, rendendo l'emigrazione e gli spostamenti forzati sempre più frequenti e necessari.

Altrettanto colpite da disastri ambientali sono le regioni del Corno d’Africa e dell’Africa orientale, dove recentemente si è assistito a un’accelerazione della periodicità di fenomeni quali siccità e carestie prolungate al punto che oggi si parla di una vera e propria catastrofe umanitaria in corso in queste aree. Di conseguenza, sempre più persone sono costrette allo spostamento forzato in particolare da Etiopia, Somalia e Sud Sudan.

4. Le politiche migratorie per l’Africa

Come abbiamo visto in precedenza, i flussi migratori che attraversano il continente africano riguardano per la maggior parte spostamenti interni al continente e più nello specifico interni al medesimo Paese, da zone rurali a zone urbane o da zone meno sicure a zone più sicure, oppure all’interno delle stesse regioni. Sebbene in crescita, i flussi migratori destinati al raggiungimento del Nord Africa e delle coste europee attraverso il Mediterraneo rappresentano dunque una minima componente del fenomeno delle migrazioni africane. Di conseguenza, i flussi intra-africani, ancora poco studiati e analizzati in Occidente, meriterebbero maggiore interesse a livello politico nonché una più ampia copertura mediatica.

La rilevanza degli spostamenti interni all’Africa è dimostrata dal livello di attenzione che le principali istituzioni multilaterali, in particolare l’Unione Africana e le organizzazioni regionali africane, hanno iniziato a dedicare al fenomeno negli ultimi quindici anni. In particolare, nel 2006 l'Unione Africana ha adottato a Banjul, in Gambia, il Quadro politico migratorio per l’Africa (MPFA). Si tratta di un insieme di linee guida non vincolanti destinate a supportare i governi africani e le Comunità economiche regionali nella formulazione dei propri programmi nazionali con riferimento alle politiche migratorie per l’Africa. Nello specifico, si raccomanda di prendere in considerazione il fenomeno della migrazione intra-africana e promuovere iniziative per affrontare sfide comuni legate agli spostamenti interni e transfrontalieri, come quelle relative alla gestione delle frontiere, all'immigrazione irregolare, all’emigrazione e allo sfollamento forzati, alla tutela dei diritti umani dei migranti, ai legami tra migrazione e sviluppo, nonché alle forme di cooperazione interstatale e di partenariato interregionale.

A seguito di una valutazione del Quadro di politica migratoria per l'Africa effettuata nel 2016[5], e riconoscendo la natura dinamica delle migrazioni e l'evoluzione delle tendenze migratorie interne al continente africano, l'Unione Africana ha ritenuto necessario rivedere il quadro di riferimento allo scopo di riflettere le attuali dinamiche migratorie e guidare gli Stati membri e le Comunità economiche regionali nella gestione dei corridoi migratori interni. Il quadro di riferimento rivisto prevede un piano di azione della durata di 13 anni (2018-2030)[6], nonché rinnovate linee guida che affrontano nuove tematiche di grande rilevanza per il continente africano, come la migrazione della manodopera rurale, il ruolo della diaspora e quello delle rimesse. Inoltre, il quadro di riferimento rivisto raccomanda agli Stati membri e alle Comunità economiche regionali di adottare una serie di strategie che riguardano questioni trasversali in materia di immigrazione, tra cui le correlazioni tra migrazione e raccolta e analisi dei dati, migrazione e tutela dei diritti umani, migrazione e salute, migrazione e povertà, migrazione e commercio, migrazione e ambiente, migrazione e politiche di genere.

L’approccio dell’Unione Africana è finalizzato, sul lungo periodo, alla promozione della libera circolazione delle persone e del lavoro all’interno delle regioni africane. Un sistema di questo tipo favorirebbe senza dubbio l’intensificarsi degli spostamenti interni. Da ciò deriva la necessità di studiare con maggiore attenzione il fenomeno della migrazione intra-africana per meglio comprenderne l’evoluzione e gestire più efficacemente i corridoi migratori interni al continente.


Note

[1] https://unctad.org/en/PublicationsLibrary/aldcafrica2018_en.pdf. [2] A partire dagli anni Ottanta, la Libia era stata una delle principali destinazioni per migranti economici provenienti non solo dall’Africa sub-sahariana ma soprattutto dall’esterno del continente, in particolare da Indonesia e Iraq, che si spostavano in Libia in cerca di lavoro in considerazione soprattutto dell’elevata domanda nel settore petrolifero. Nel 2010, a seguito delle prime tensioni in Libia e nell’intera regione nord-africana, numerosi migranti africani che si trovavano nel Paese nordafricano per lavoro hanno deciso di abbandonare la Libia e di dirigersi verso l’Europa. Con la caduta di Gheddafi e l’inizio della guerra civile, la Libia è diventata il principale Paese di transito per i migranti africani che intendono raggiungere l’Europa, in gran parte per la sua posizione strategica sul Mediterraneo. [3] https://migrationdataportal.org/. [4] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/le-migrazioni-climatiche-africa-23494. [5] https://www.tralac.org/documents/resources/african-union/2445-evaluation-of-the-african-union-migration-policy-framework-for-africa-iom-december-2016/file.html. [6] https://au.int/sites/default/files/documents/35956-doc-2018_mpfa_english_version.pdf.

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