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L’islam nell’Africa Subsahariana: Focus storico ad Ovest

Aggiornamento: 1 nov 2020

Carte IXe-XVesiècle: une nouvelle Afrique Illustration pour « Le temps des royaumes », François-Xavier Fauvelle et Bertrand Hirsch dans L’Histoire, septembre 2011, n° 367

Introduzione

Il presente lavoro, non slegato dal precedente[1] che tratta la zona africana subsahariana orientale, ha il principale scopo di mettere in prospettiva la complessità delle dinamiche dei vari “luoghi” dell’Islam al fine di ostracizzare una valutazione monolitica.

Nella prima parte si tratta a grandi linee come si sia diffuso l’Islam nell’Africa occidentale subsahariana, attraverso una delle tre direttrici principali di diffusione[2], sottolineando l’importanza che hanno avuto i regni nel processo.

In secondo luogo, si passa in breve rassegna l’epoca coloniale, periodo di transizione essenziale per tentare di spiegare le dinamiche più recenti che verranno affrontate in un articolo successivo.

Di seguito alcune precisazioni tecniche: la datazione ha come riferimento il calendario gregoriano, non quello musulmano che considera l’Hijra l’anno zero. I termini che ancora non fanno parte della lingua italiana sono marcati in corsivo e si è cercato il più possibile di rispettare le specificità linguistiche nelle varie trascrizioni[3]


Panoramica storica

Le informazioni storiche sull’Africa subsahariana occidentale prima dei secc. VI-VII, non sono molto chiare e abbondanti. Si sa però che gli arabi musulmani conoscono bene i bilād as-sūdān, i paesi dei neri, e che la zona è abitata da vari popoli intrecciati tra loro, presso i quali nascono regni celebri in epoca medievale[4]. I primi contatti con l’Islam avvengono con le popolazioni stanziate a sud del Sahara vicino alla costa ovest, a ridosso del fiume Senegal, zona indicata dagli allora storici musulmani come bilād at-takrūr, e nella quale i commercianti provenienti dal Maghreb barattano lana per oro e perle. Molte sono le rotte commerciali che nel tempo si sviluppano tra il sud dell’Africa settentrionale e l’Africa subsahariana[5] formate da fiorenti centri di apprendimento della religione musulmana. Da Sijilmāsa (regione del Tāfilālt, nell’odierno Marocco) verso Taghaza (nel nord dell’attuale Mali) e verso Awdaghost (nell’ attuale Mauritania) per arrivare il regno Ouagadu, o del Ghana[6]; un’altra iniziando ugualmente da Sijilmāsa, passa per Tuat (ad ovest della presente Algeria), Gao (Mali) per arrivare a Timbuctu (nell’odierno Mali). Altre rotte collegano il regno del Bornu (in quella che ad oggi è la Nigeria) a Tripoli (ora in Libia) e a Fez. O ancora, dal Bornu alla Tunisia attraverso le città libiche di Gadames, Gat e quella nigeriana Agadez fino al  sud del lago Ciad.

Lungo le stesse vie si affermano i primi regni nell’Africa occidentale: il regno Tekrur a ridosso del fiume Senegal e le sue città più importanti di Sila e Barissa; i domini dei Malinke e dei Bambara che occupano l’area a nord tra i fiumi Senegal e Niger; il regno Songhai sul fiume Niger a sud con i suoi centri Gao e Kukya; infine i numerosi regni dei Mossi tra cui Ouagadugu, Yatenga, Sarakollé che insieme vanno a formare poi il primo impero della zona, quello di Ouagadu.[7]

L’impero Ouagadu, o Ghana, composto da diversi popoli e tribù, nel sec IX è la prima potenza del Sahara ad accogliere l’Islam: i sovrani assumono alle loro dipendenze interpreti, ministri, funzionari e tesorieri musulmani eruditi che facilitano le relazioni con il resto del mondo islamico dell’epoca.[8] Alcune parti della capitale del regno, Koumbi Saleh (o Ghana), sono abitate unicamente da commercianti musulmani che assecondando il proprio culto, costruiscono moschee e pregano secondo i precetti della loro religione.

Il declino del Ghana inizia probabilmente con un lungo periodo di siccità causato dallo sfruttamento intensivo delle risorse forestali che porta la popolazione a muoversi verso terre più accoglienti, a sud (abitate dai mandinka), contribuendo così alla frammentazione di un regno che collassa definitivamente sotto la spada degli almoravidi nel sec XI.[9] Di origine berbera e provenienti dal Sahara, invadono i territori a sud del deserto con lo scopo di imporre la religione musulmana portando con sé il codice giuridico mālikita, ancora oggi ampiamente diffuso in Africa occidentale, ed inaugurando una fase di guerre e lotte tra regni che vogliono imporsi gli uni sugli tra i secc XII e XIII.[10]

Parallelamente emerge il potere dei malinke, popolazioni stanziate nelle terre dell’odierno Mali.[11] il loro regno raggiunge il suo apogeo durante il sec. XIV sotto il regime di Mansa Mūssā. Protagonista attivo nell’espansione della religione musulmana, dopo aver viaggiato nelle città sante dell’Islam, costruisce moschee monumentali, grandi biblioteche e scuole islamiche che formano l’élite di letterati. In tale humus socio-culturale emerge e si diffonde il sufismo attraverso le ṭuruq qādiri, tijāni, khalwati, mirghāni, senūsi.[12] I centri di apprendimento del Corano iniziano un processo di diffusione capillare, sorrette da un prospero commercio di testi sacri dalla Mecca e da Medina e da numerosi giureconsulti mālikiti provenienti da al-Azhar che si stabiliscono a Djénné e a Timbuctù.[13]

D.T. NIANE, J. SURET-CANALE, op. cit., p 47

Città come Djénné e a Timbuctù sono celebri per essere state aree commerciali fiorenti e poli di erudizione islamica per molti secoli. Attraverso il tempo non sono gli unici luoghi di attrazione per dotti e commercianti musulmani in Africa occidentale. Tra gli altri importanti centri noti per il fermento culturale possiamo citare, ad esempio, Agadez (Niger); Ualata e Shīnqīţ (Mauritania); Kawlax, Pire, Koki (Senegal); Kano, Katsina, Bornu (Nigeria). Lo sviluppo di tale prosperità non rimane isolata rispetto agli altri poli collocati nel mondo arabo musulmano. A Timbuctù come al Cairo, a La Mecca e a Baghdad[14] i dotti africani giocano un ruolo rilevante nello studio in tutti i settori delle scienze islamiche ed influenzano la cultura per più di un millennio: la cosa è ben documentata da recenti ricerche e scoperte di antichi e rari manoscritti nei quali si citano autori da tutto il mondo musulmano di allora. Ciò è la prova che essi partecipano ad una rete mondiale di scambi intellettuali. Tramite la lingua araba e l’uso dei caratteri arabi per trascrivere le lingue africane, gli eruditi sviluppano una ricca tradizione di dibattiti sull’ortodossia e sui precetti religiosi.[15] In ultimo si noti l’importanza della scrittura nella diffusione dell’Islam, con la sua utilità pratica per i commercianti; come strumento “magico” di autorità per religiosi e funzionari musulmani a corte[16]

L’egemonia di Mansa Mūssā si espande fino a scontrarsi con il regno Songhai, le cui origini berbere risalgono al sec. VII, e che abbraccia la religione musulmana sin dal sec. XI con la conversione dei suoi sovrani. Con l’avvento dei successori, il regno del Mali comincia il suo declino dovuto a fattori interni di fragilità del potere centrale, e alle pressioni esterne da parte di altri popoli, come quello del regno Songhai, che alla fine del XV secolo prende il sopravvento determinando la sua espansione ed il collasso dell’altro. Ali il Grande, uno dei sovrani più incidenti e protagonista di tale estensione, mette l’Islam a servizio delle sue ambizioni facendone un’arma politica. Egli riscuote ampio consenso tra le masse popolari, in quanto tollera pratiche locali preislamiche, in opposizione a chi, invece, vuole una purificazione dell’Islam.

Alla sua morte gli succede Askia Mohammed, il quale introduce anche una nuova dinastia, e forma un’élite di qadi (giudici) e di ‘ulamā. Se la storia è necessaria ed importante per interpretare i meccanismi del presente, a tale proposito interessante è la riflessione che l’autore J.L. Amselle fa nel suo ultimo saggio Islam Africani, la Preferenza Sufi. “...L’analisi della progressione dell’Islam nell’Africa occidentale subsahariana non può essere correttamente compresa se non si tiene a mente come la qualifica di pagano o musulmano sia totalmente relativa e come l’accusa di paganesimo può essere abilmente proferita nei riguardi di nemici politici che si vuole annientare, anche quando quest’ultimi si ritengano essere dei perfetti musulmani […] L’esempio più noto di impresa di purificazione dell’Islam in questa regione è quello delle risposte fornite da al-Maghîli, giurista riformatore musulmano […] alle domande poste da Askia Mohammed […] tale scambio dà la testimonianza di un clima riformatore dell’islam […] nel quadro […] dell’emblematico conflitto tra il sovrano musulmano “modello” Askia Mohammed e il suo predecessore, il sovrano ritenuto “empio” Sonni Ali, “conquistatore stregone” “costruttore di uno stato puramente negro, concepito da un negro… e per gli altri negri”.[17] La morte di Askia Muhammad coincide con l’inizio di varie lotte per la successione che portano il regno a sgretolarsi definitivamente alla fine del XVI secolo.

Nel frattempo, il sec. XV è il periodo nel quale iniziano le navigazioni da parte degli europei alla ricerca di nuove terre.


Modelli per un Islam rinnovato

Le esplorazioni prima portoghesi, spagnole, e successivamente, nel sec. XVI, olandesi, inglesi e francesi, intorno all’Africa, impongono nuove rotte commerciali che includono l’Europa, a scapito di quelle africane fino ad allora esistite. Il contatto con gli europei e la conquista marocchina tra i secc. XVII e XVIII indeboliscono l’Africa distruggendo quelle che sono state città splendenti, infondendo insicurezza nelle popolazioni, ed inaugurando un periodo di lotte.[18] Successiva è l’epoca della colonizzazione, avviata alla fine del sec. XIX,[19] e delle sue varie fasi[20], caratterizzata da violenze, distruzione e sfruttamento.

Fonte http://ti.diak.over-blog.com/article-missionnaires-de-l-islam-en-afrique-118938056.html

Nella seconda metà dell’ ‘800[21] in tutti i regni[22], in Africa occidentale, si attivano azioni di resistenza all’invasione straniera.[23] Le comunità africane fanno dell’Islam un punto di riferimento, ed un contesto culturale locale da difendere dalla dominazione europea veicolata dal cristianesimo,[24] religione che non attira i musulmani africani, in quanto gli sembra andare di pari passo con la subordinazione razziale.[25] Ai singoli movimenti anticoloniali prendono parte gruppi sociali diversi, spesso in competizione tra loro per il potere post-indipendenza. Emergono così importanti fratture etniche, religiose e di interpretazione sociale principalmente tra élites “modernizzatrici “occidentalizzate, con privilegi acquisiti, e gruppi “tradizionalisti” arabizzati con poteri ereditati. Ad ogni modo si vengono a creare solidarietà e protezione musulmane che escludono i cristiani in quanto latori della religione dell’invasore e rappresentanti dei dār al-harb contro i dār al-Islām .

Paradossalmente l’occupazione coloniale favorisce nuove conversioni musulmane, fondamentalmente perché l’ha sempre temuto. Professato da genti con una scrittura inaccessibile, le quali appartengono ad una rete internazionale direttamente collegata con il vicino Oriente e con il Maghreb, le loro pratiche religiose sfuggono al controllo. La paura del panislamismo, del complotto, dei sentimenti di rivolta portano i colonizzatori ad affidarsi a “dei buoni marabutti” che mediano con le popolazioni conquistate. Proprio in tale periodo in Africa occidentale si riscontra un’ampia e capillare diffusione della religione islamica il cui rinnovamento religioso, il tajdīd, investe tutti i mondi musulmani in risposta al contatto con le realtà europee. Le ṭuruq sufi Qādiriyya, la Tijāniyya, la Khalwatiyya, la Mirghāniyya, la Senūsiyya si frammentano e si ramificano in tutto il continente a sud del Sahara attraverso predicatori itineranti favoriti da nuovi mezzi di comunicazione e dalle infrastrutture per il trasporto che facilitano gli scambi tra le comunità.[26]

Se la Qādiriyya è una delle prime confraternite nella zona ovest africana, essenzialmente è la Tijāniyya ad espandersi maggiormente. Lei stessa è protagonista attiva di conversioni di massa[27] condotte, ad esempio, dal jihād di El Hadj Umar Tall, primo califfo tijāni ad imporsi dalla Guinea al Niger, dal Senegal al Mali e nell’attuale Nigeria nel corso del sec XIX. La sua forza sta nel suo pluralismo che riflette le conformazioni storico-culturali specificatamente locali, ed i diversi ruoli dei suoi affiliati nelle società, e al contempo nel suo approccio panafricanista. Accanto alle due principali confraternite troviamo altri ordini, a loro volta ramificati localmente.

Nel periodo coloniale il sufismo ha un ruolo importante in quanto diviene rifugio morale, sociale e politico in nome del rispetto della comunità, della solidarietà familiare e dei più anziani contro la conquista straniera. In aggiunta esso apporta nuova linfa alla religione musulmana in chiave africana: figure come Mamadou Lamine Dramé, El Hadj Omar o Samori Touré non si limitano a contrastare l’egemonia europea, ma fanno dell’Islam un’arma politica africanizzata. I sufi a volte sono mediatori tra il potere straniero e il popolo, sovente i mujaddid, rinnovatori, alla guida dei jihād, sono contemporaneamente affiliati al sufismo perlopiù muqaddam e shaykh tijānī o qadīrī, e non di rado anche prolifici scrittori di opere giuridiche[28]

Tutti gli Stati nati dalla decolonizzazione in Africa Occidentale riconoscono la libertà di culto per la loro demografia religiosa piuttosto complessa: Ciad, Niger, Mali, Guinea, Gambia e Senegal sono paesi a larga maggioranza islamica, in Nigeria e Burkina Faso i musulmani sono poco più della metà della popolazione, mentre in Ghana, Liberia, Sierra Leone, Benin, Camerun e Costa d’Avorio rappresentano una minoranza consistente.[29]

Nel contesto della transizione politica, nella seconda metà del XX secolo, si assiste ad una sempre maggiore visibilità dell’Islam nella sfera pubblica che si manifesta con una esplicitazione dei suoi segni, incluso l’aumento del numero di moschee, di associazioni musulmane, di scuole religiose private. I neonati mass media contribuiscono a dare maggiore visibilità ai processi sociali ed identitari facendosi portavoce di messaggi per una nuova moralizzazione.[30] Si diffondono così anche le correnti riformiste che si ispirano fondamentalmente alla cultura araba: sono gli stessi paesi arabi ad alimentarne in vario modo lo slancio, sia attraverso aiuti finanziari, sia ponendosi come modelli esemplari di riferimento.

La visibilità che i nuovi strumenti portano ai leader religiosi e alla loro confessione nella sfera pubblica dimostra la dinamicità dell’Islam, ma anche le sue plurime facce. L’Islam africano dell’ovest è a maggioranza sunnita appartenente alla scuola giuridica mālikita, ma ci sono diverse tendenze: il wahhabismo, apparso nella zona negli anni ‘40 fautore dell’aspra lotta alle ṭuruq ; il sufismo con le sue innumerevoli affiliazioni, alleanze e ramificazioni; infine la maggioranza dei credenti che non appartiene a nessuna delle suddette tendenze, e che sono semplicemente musulmani più o meno praticanti.[31]


Conclusioni

Il presente lavoro, per quanto non esauriente, vuole dare un’idea della complessità delle dinamiche storico-culturali nelle zone occidentali dell’Africa subsahariana prendendo a riferimento la diffusione dell’Islam. Le premesse storiche sono fondamentali per poter comprendere a fondo gli avvenimenti contemporanei (che saranno oggetto della trattazione successiva), e soprattutto il ruolo dei vari attori che sottendono ad essi. Complessivamente si vuole sottolineare come i meccanismi politici e sociali siano estremamente mobili, “liquidi” e sfuggenti: la loro interpretazione dipende molto spesso dal punto di vista di partenza, e forse a volte sarebbe meglio rinunciare alle etichette che non permettono di vedere la pluralità islamica. Le parole dell’autore J.L. Amselle spiegano che “La consapevolezza che gli Islam africani siano Islam plurali richiede di decolonizzare i saperi costituiti sul loro conto e consiste dunque nel garantire un’apertura alle culture, alle società, ai sistemi di pensiero, alle religioni, agli enunciati, e agli attori sociali che li sostengono… sbarazzare le società africane musulmane dalla morsa arabista a cui le costringe l’orientalismo.” [32]

Grazie a studi antropologici recenti condotti su campo “la cosiddetta specificità religiosa musulmana dell’Africa dell’ovest può essere “riconnessa” al Sahara, al Maghreb e al mondo arabo-musulmano in generale, e più diffusamente le società dell’Africa occidentale possono essere inserite in uno spazio transcontinentale, ciò di cui erano state private...” [33]


Bibliografia

J.L. AMSELLE, Islam Africani. La Preferenza Sufi, Meltemi, Milano, 2018

S. BRUZZI, Ğiād, Sufi e Colonialismo in Africa Sub-sahariana. Il Caso della Hatmiyya in Eritrea, Università degli Studi di Cagliari, Cagliari, 2010

G. CARBONE, L’Africa, la Politica, i Conflitti, il Mulino, Bologna, 2005

D.T. NIANE, J. SURET-CANALE, Histoire del l’Afrique Occidentale, Presence Africaine, Conarky, Paris, 1961

D.C. O’BRIEN, trad. C. Coulon, La Filière Musulmane: Confréries Soufi et Politique en Afrique Noire, www.politiqueafricaine.com, Paris,1981

A. PIGA, L’Islām in Africa. Sufismo e Jihād fra Storia e Antropologia, Bollati Boringhieri, Torino, 2003

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M. SAINT-LARY, F. SAMSON, Pour une Anthropologie des Modes de Réislamisation. Supports et Pratiques de Diffusion de l’Islam en Afrique Subsaharienne, ethnographique.org, Numéro 22 – 2011

F. SAMSON, Le Soufisme en Afrique de l’Ouest, catalogue exposition Trésors de l’Islam en Afrique. De Timboutouà Zanzibar, Institut du Monde Arabe, Paris, 2017

M. SAVADOGO, M. GOMEZ-PEREZ, La Médiatisation des Prêches et ses Enjeux. Regards Croisés sur la Situation à Abidjan et à Ouagadougou, ethnographiques.org, n° 22, 2011

M SAVADOGO, L’Islam en Afrique de l’Ouest, Hestia, 2017


Sitografia

[2] La diffusione dell’Islam in Africa subsahariana ha seguito principalmente tre direttrici: il Corno d’Africa e l’alta valle del Nilo; l’area Swahili; l’Africa ovest.

[3] In base alle proprie ricerche, alle competenze personali nel campo della lingua araba e della linguistica. Tuttavia si riconosce che trascrivere in un certo senso significa tradurre ed interpretare in quanto ci si serve dello schema di segni della lingua di arrivo. Tanto più che nella zona trattata le ambiguità possono essere tante tra processi di arabizzazione, europeizzazione ecc… cfr anche parole di J.L AMSELLE op. cit. , pp 61 e seg.

[4] Consapevole di stare ad usare una categoria storico-politica di matrice europea.

[5] Sia nella parte occidentale che in quella orientale: le due zone non sono isolate tra loro, tutt'altro.

[6] Il termine ghana (= signore della guerra) è usato per la prima volta dagli arabi per indicare i sovrani Ougadu. Infatti intorno al sec VIII si impose nella zona una casta di guerrieri.

[7] D.T. NIANE, J. SURET-CANALE, Histoire del l’Afrique Occidentale, Presence Africaine, Conarky, Paris, 1961 pp 22 e seg.

[8] Nell’era abbaside (750-1258).

[9] La capitale cade nel 1076.

[10] Tra questi emergono i regni Tekrur, Sosso che nella loro breve esistenza si scontrarono con i Malinke del Mali D.T. NIANE, J. SURET-CANALE, op. cit., pp 35 e seg; ed emergono anche le teocrazie fulani.

[11] D.T. NIANE, J. SURET-CANALE, op. cit., p17 e seg.

[12] A. Piga, L’Islam in Africa Sufismo e Jihād fra storia e Antropologia. Torino, 2003, p 82.

[13] A. Piga, op. cit., pp 83 e seg.

[14] Capitale dell’impero Abbaside.

[15] O. KANE, Au-delà de Tombouctou. Erudition islamique et histoire intellectuelle en Afrique occidentale, intervista 2017 http://www.mizane.info/lislam-a-ete-introduit-en-afrique-avant-meme-quil-ne-setende-en-arabie/

[16] D.C. O’BRIEN, trad. C. Coulon, La Filière Musulmane: Confréries Soufi et Politique en Afrique Noire, www.politiqueafricaine.com, Paris,1981. p. 22.

[17] J.L. AMSELLE, Islam Africani, la Preferenza Sufi, Meltemi, Milano, 2018, pp 46 e seg cfr anche nota 41.

[18] Di vario genere: etnico, religioso, territoriali.

[19] Si consideri la Conferenza di Berlino 1884-85.

[20] Cfr. G. CARBONE, L’Africa, la Politica, i Conflitti, il Mulino, Bologna, 2005, pp 22 e seg.

[21] Si ricorda la Conferenza di Berlino del 1884-1885 in occasione della quale alla Francia viene assegnata gran parte dell’Africa occidentale, tranne il Togo che va alla Germania, il Gambia, la Nigeria, il Ghana e la Sierra Leone all Gran Bretagna, e la Guinea Bissau al Portogallo.

[22] Nel presente lavoro sono stati citati esplicitamente solo i centri maggiori, ma ai primi esploratori e poi ai colonizzatori, l’Africa occidentale si presenta composta da una miriade di stati e regni che spesso coincidono con le varie etnie e i vari clan e tribù. Ad ogni modo il presente lavoro non è assolutamente esauriente nella descrizione della composizione sociopolitica, molto spesso estremamente mobile in quanto alleanze e unioni vengono stipulate e interrotte attraverso il tempo.

[23] Azioni di resistenza, ma anche di alleanza con i colonizzatori. Si ricorda, che uno degli esiti dell’imperialismo, fu il completo scardinamento degli assetti sociopolitici esistenti, che si ripercuote ancora oggi nei conflitti annosi che affliggono molte zone dell’Africa.

[24] “...l’Islam devenant garant d’un système de solidarité et de protection en réponse à l’effondrement des organisations socio-politiques de l’époque” M. SAINT-LARY, F. SAMSON, Pour une Anthropologie des Modes de Réislamisation. Supports et Pratiques de Diffusion de l’Islam en Afrique Subsaharienne, ethnographique.org, Numéro 22 – 2011.

[25] D.C. O’BRIEN, trad. C. Coulon, op. cit.

[26] Secolo che vede ben due guerre mondiali nele quali gli africani vengono coinvolti.

[27] Ad esempio fu la Tijaniyya senegalese ad ispirare il jihād di Omar Tal che affrontò le truppe francesi intorno al 1850 ai confini tra Senegal, Mali, Guinea. Mentre alla Qadiriyya fece capo l’azione di Uthman dan Fodio in Nigeria e l’esperienza del Califfato di Sokoto.

[28] A. Piga, op. cit. pp 83 e seg.

[29] R. GRITTI, Fondamentalismo e Pluralismo nelle Società Musulmane Contemporanee, in A. PIGA (a cura di), Islam e Città nell’ Africa a Sud del Sahara. Tra Sufismo e Fondamentalismo, Liguori, Napoli, 2001, pp 55-69.

[30] M. SAVADOGO, M. GOMEZ-PEREZ, La Médiatisation des Prêches et ses Enjeux. Regards Croisés sur la Situation à Abidjan et à Ouagadougou, ethnographiques.org, n° 22, 2011.

[31] M. SAVADOGO, L’Islam en Afrique de l’Ouest. Une Présence Forte et Plurielle, Hestia, 2017.

[32] J.L. AMSELLE, Islam Africani, la Preferenza Sufi, Meltemi, Milano, 2018, p. 31.

[33] J.L. AMSELLE, op. cit. p .31.

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