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Il terrorismo, un fardello che pesa sul risveglio del Kenya

Aggiornamento: 8 mar 2019

(di Claudia Candelmo)


Parte I: nascita e crescita di al-Shabaab


Circa dieci giorni fa, dopo settimane di silenzio, è tornato a essere al centro dell’attenzione dei media nostrani, e ancora una volta per un triste motivo, il Kenya. Un attentato, rivendicato dal gruppo terroristico al-Shabaab, ha causato decine di vittime e circa 30 feriti a Nairobi, in un hotel di lusso del distretto del Westlands. Un attacco terroristico molto complesso e articolato, che si è sviluppato essenzialmente in due fasi: prima, lo scoppio di un’autobomba (probabilmente, con un attentatore suicida) ha aperto la strada ai miliziani creando il panico nell’area e, poco dopo, cinque terroristi pesantemente armati hanno fatto fuoco nell’hotel. Un attentato pianificato attentamente che quindi dimostra la presenza di una rete terroristica organizzata e bene armata alle spalle degli attentatori. Questo rafforza anche l’ipotesi che la rivendicazione di al-Shabaab sia in effetti credibile e che dunque l’attacco sia effettivamente da attribuire al gruppo terroristico somalo.


Solo poche settimane prima di questo tragico evento, il rapimento della cooperante internazionale Silvia Romano, scomparsa il 20 novembre 2018 a Chakama, non lontano da Malindi, in Kenya, aveva suscitato reazioni contrastanti: forte preoccupazione da parte di molti e, addirittura, talune inopportune critiche da parte di altri, che contestavano la presenza della giovane in un Paese così pericoloso. Per via di questa drammatica vicenda, alla quale ancora oggi non si è trovata una soluzione, il Kenya ha occupato i media italiani per alcuni giorni per poi cadere nuovamente nell’oblio.


Tuttavia, le recenti vicende ci impongono di riportare l’attenzione su un Paese così poco conosciuto, ma allo stesso tempo così rilevante, nel quadro della lotta al terrorismo internazionale e dell’equilibrio regionale: non potevamo non parlarne nella nostra rubrica, dedicata proprio ad approfondimenti su questioni relative al terrorismo internazionale.


Il Kenya e una vicinanza scomoda: la Somalia

Situato nel Corno d’Africa, bagnato da uno dei laghi più grandi al mondo, il lago Victoria, e affacciato sull’Oceano Indiano, il Kenya condivide buona parte del suo confine orientale con un vicino ‘scomodo’, per ovvi motivi di instabilità politica: la Somalia, un Paese divenuto ormai tristemente noto per essere lo Stato fallito per antonomasia, dove il governo di Mogadiscio non riesce ad avere il controllo effettivo su quasi nessuna parte del territorio nazionale e sul quale, di conseguenza, imperversano bande armate di provenienza e caratterizzazione eterogenea. Una situazione drammatica che si aggiunge a una condizione umanitaria tragica, per via dell’assenza delle infrastrutture essenziali, e a un’economia praticamente immobile e ulteriormente deteriorata dalla difficile situazione politica del Paese.

L’attività di destabilizzazione condotta su territorio somalo ha avuto importanti ricadute sul Kenya. Infatti, numerosi attentati sono stati perpetrati dai gruppi terroristici in territorio keniota e ancora oggi il terrorismo costituisce una minaccia molto concreta alla sicurezza del Paese, una minaccia che le forze armate spesso non sono in grado di arginare. Specialmente alcune città piuttosto vicine al confine si trovano in una situazione di precaria sicurezza per via della loro vicinanza alle aree più calde, territori controllati da uno dei gruppi terroristici più feroci di tutta l’Africa: al-Shabaab. Tra queste città, non si può non ricordare Garissa dove, nel 2015, proprio al-Shabaab, perpetrò un vile attentato terroristico contro il campus universitario situato in questa città, mietendo circa 150 vittime, in gran parte studenti. Le motivazioni alla base di questa strage sono molteplici e molti si sono interrogati sul perché di tanta ferocia contro studenti innocenti: da un lato, è stata ipotizzata una probabile ritorsione contro le forze keniote impegnate in Somalia proprio contro al-Shabaab ma, dall’altro, anche una forte avversione contro l’istruzione ‘occidentale’ e, in particolar modo, contro i cristiani, potrebbe collocarsi alla radice dell’attentato che tanta risonanza ha avuto a livello internazionale.

Non è possibile dunque analizzare la situazione del terrorismo operante in Kenya senza esaminare la nascita e lo sviluppo di al-Shabaab, nonché l’intreccio con le vicende istituzionali e militari keniote. Inizialmente attivo praticamente solo in Somalia, il gruppo si è spesso ‘affacciato’ attraverso il confine kenyota e ha commesso diversi attentati terroristici sul suolo del Paese vicino, specialmente dopo l’invasione etiope della Somalia nel 2006 e dopo la decisione del governo keniota di intervenire militarmente per porre fine alla feroce attività armata di al-Shabaab.

Il gruppo è nato come il braccio armato dell’Islamic Courts Union, un gruppo di corti islamiche, che applicava la Sharia e che si proponeva di contrastare il governo al potere in Somalia (il Transitional Federal Government), accusato di essere eccessivamente vicino a posizioni occidentali. Prima dell’invasione etiope del 2006, al-Shabaab era essenzialmente un gruppo ‘locale’, ma si è radicalizzato in modo sempre più forte, guadagnando consensi a causa di una molteplicità di fattori. All’insorgenza di natura politica, che aveva sostanzialmente caratterizzato la nascita del gruppo pur con un’evidente impronta religiosa, con l’invasione da parte dell’Etiopia, Stato a maggioranza cristiana, si è ampliata la frattura relativa a quest’ultimo fattore. Una contrapposizione peraltro non recente, dato che i contrasti tra Somalia ed Etiopia non hanno radici recenti e sono stati numerosi i casi di conflitto tra i due Stati.

Negli anni che seguono l’avvio del conflitto nel 2006, al-Shabaab cresce, si arma meglio e comincia a condurre attacchi terroristici sempre più estesi, che lo portano a controllare aree territoriali della Somalia sempre più estese. Si tratta di aree a prevalenza rurale, molto povere ma anche densamente popolate: è lì che al-Shabaab recluta i suoi adepti e i suoi futuri combattenti, facendo leva sull’assenza di una presenza istituzionale e ponendosi come una soluzione alla diffusa povertà del Paese. Ma non è tutto: l’invasione etiope, giustificata dalle autorità di Addis Abeba con l’intenzione di contrastare la diffusione dei gruppi armati di natura terroristica che minacciavano la stessa Etiopia, ma anche il Kenya, è stata largamente supportata dagli Stati Uniti militarmente e politicamente, aspetto che non ha fatto altro che rafforzare nel Paese l’idea che l’Occidente volesse imporre una certa cultura e ideologia a dispetto delle tradizioni essenzialmente islamiche della Somalia. In effetti, lo stesso obiettivo di al-Shabaab pare rafforzare quest’ipotesi, in quanto il gruppo, mediante la lotta armata, intende dare vita a uno Stato islamico in Somalia e trova dunque, nell’ideologia anti-occidentale, un approccio che contribuisce a unire le diverse fazioni del gruppo sotto un obiettivo comune. L’ascesa di al-Shabaab dura alcuni anni e nel 2010 (mappa), il gruppo controlla oppure è presente stabilmente in un’area molto ampia del Paese, con particolare densità nei territori meridionali della Somalia, confinanti con Kenya ed Etiopia.


(L’analisi prosegue nella prossima rubrica dedicata al ‘terrorismo, diritti umani e dintorni’: seguiteci per scoprire il resto dell’approfondimento)

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