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Il potere jihadista nel Sahel: una panoramica sui gruppi operanti nella regione

Aggiornamento: 28 ago 2021

La regione nordoccidentale africana denominata Sahel è una delle più povere al mondo e continua ad essere sotto i riflettori della comunità internazionale. Le difficoltà strutturali causate dalle ripetute crisi alimentari, accompagnate da una crisi della governance dovuta ad una presenza statale debole e livelli di corruzione elevati, hanno offerto spazio di manovra per lo sviluppo di ogni tipo di attività illegale, il reclutamento di giovani in gruppi ribelli nonché l’armamento e la costituzione di gruppi terroristici. In questo vuoto di potere, le organizzazioni criminali si mescolano con i gruppi terroristici in maniera tale che i rispettivi ambiti di azione risultino difficili da delimitare, creando organizzazioni ibride.[1]


Quali sono i gruppi attivi in Sahel?

Questa connessione tra società locali e reti della criminalità organizzata è stata uno dei fattori principali del riposizionamento nella fascia del Sahel di al Qaeda del Maghreb Islamico (AQMI). In questo quadro, le principali organizzazioni jihadiste affiliate ad al Qaeda, oltre ad AQMI, sono: Ansar Dine, al-Mourabitoun, Mujao e il Fronte di Liberazione di Macina che hanno annunciato la loro unificazione nel Jamaat Nusrat al-Islam wal Muslimeen (JNIM), noto anche come Gruppo di Sostegno dell’Islam e dei Musulmani (GSIM), il cui leader è Iyad Ag Ghali. Accanto a queste organizzazioni sono presenti il gruppo affiliato allo Stato Islamico, l’Islamic State in the Greater Sahara (ISGS) guidato da Abu Walid al-Sahrawi, l’Islamic State in West Africa Province (ISWAP) guidato da Abu al-Barnawi, Boko Haram guidata da Abubakr Shekau, Katiba Salaheddine e il gruppo Tolebee Fulani.

Inoltre, la crescente instabilità nella regione non esclude la possibilità di una certa convergenza tra i gruppi che orbitano attorno a GSIM e ISGS, specialmente nell’area di Liptako-Gourma (nel Sahel Centrale) detta anche “zona dei tre confini”.[2] A differenza di altre regioni del mondo, nel Sahel le divergenze tra al Qaeda e Stato Islamico sembrano non esistere ed esperti non escludono che i due gruppi stiano collaborando per il controllo dei traffici di droga, esseri umani, migranti, armi, sequestri di persona, riciclaggio di denaro sporco e corruzione.


Jamaat Nusrat al-Islam wal Muslimeen

Jamaat Nusrat al-Islam wal Muslimeen (JNIM), è un’organizzazione salafita costituitasi nel marzo 2017 in seguito all’unione tra il braccio sahariano di al Qaeda - al Mourabitoun – con Ansar Dine e il Fronte di Liberazione di Macina. L’evento è stato annunciato in un video diffuso dall’agenzia stampa al Zalaqa[3] in cui Iyad Ag Ghali, nuovo emiro di JNIM, è apparso accanto ai leader degli altri gruppi dichiarando la sua lealtà agli emiri di AQMI e ai Talebani. L’unione, in linea con la dottrina unitaria di al Qaeda per cui la sharia non può essere implementata in zone dove i gruppi jihadisti non hanno pieno controllo, avrebbe consentito agli affiliati di raccogliere più risorse ed estendere la propria area di azione. Per ufficializzare l’unione è stata stabilita una relazione gerarchica in cui AQMI detiene il controllo sui gruppi militanti alleati. Scopo ultimo perseguito da JNIM è dunque quello di porre l’intera regione del Sahel sotto il controllo della sharia.[4]

Sin dalla sua costituzione, JNIM ha come obiettivi le forze antiterrorismo francesi impiegate nell’Operazione Barkhane, la Missione Stabilizzatrice delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA) e la Forza Congiunta G5 Sahel, una partnership tra Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania e Niger. La principale fonte di finanziamento sono i proventi ricavati dai rapimenti. Nell’aprile 2017, il leader di JNIM, al Ghali, ha annunciato la lista dei Paesi nemici, che include gli Stati Uniti e l’Unione Europea tra cui la Germania, la Francia, i Paesi Bassi e la Svezia, oltre altri Stati africani.

JNIM è principalmente attivo nella regione del Sahel, in particolare in Algeria, Mali e Niger. Tuttavia, è stata riscontrata la sua presenza anche in Burkina Faso, Mauritania e Chad. Il gruppo ha lanciato attacchi multipli nel Mali centrale, precisamente a Segou, Niono, Sevare e fuori della capitale Bamako.[5]


L’Islamic State in the Greater Sahara

L’Islamic State in the Greater Sahara (ISGS) è, come dice il nome stesso, un gruppo affiliato allo Stato Islamico. Si tratterebbe di un frammento di al Mourabitoun (un’organizzazione affiliata ad al Qaeda) distaccatosi nel momento in cui Abdan Abu Walid al Sahrawi ha dichiarato la sua fedeltà allo Stato Islamico e il suo emiro Abu Bakr al Baghdadi.


Lo Stato Islamico ha riconosciuto ISGS come un alleato regionale, sebbene non sia chiaro che tipo di supporto esso riceva dall’organizzazione madre. Rinforzi e nuove reclute gli arrivano da Katiba Salaheddine, un gruppo militante vagamente associato a JNIM ma che ha dichiarato fedeltà allo Stato Islamico nel febbraio 2018. Come affiliato dello Stato Islamico, ISGS persegue l’obiettivo di restaurare il califfato nella regione del Sahel.

L’ISGS è militarmente attivo in Mali, nelle regioni di Menaka e Gao, in Niger, nella regione di Tillabery, e in Burkina Faso, nella provincia di Oudalan. I suoi targets sono le forze militari e di polizia dei paesi in cui opera e le forze di intervento francesi e statunitensi, nonché le truppe e le basi associate con MINUSMA. Da febbraio 2018, l’ISGS ha combattuto contro i gruppi militanti allineati con l’Operazione Barkhane, nello specifico il Groupe Autodéfense Touareg Imghad et Alliés (GATIA) e il Movement for Azawad Salvation (MSA).[6]


Conclusione

Questi network terroristici si sono inseriti gradualmente nel frammentario scenario della regione saheliana, presentandosi anche come valida alternativa alle organizzazioni ribelli tradizionali. Come prassi consolidata anche in altre zone del mondo, questi gruppi hanno dimostrato la capacità di creare un sistema di welfare alternativo e più efficiente di quello statale, distribuendo beni di prima necessità, garantendo possibilità di lavoro (attraverso l’arruolamento nelle milizie) e offrendo istruzione gratuita ed accessibile (attraverso le reti di imam radicali), e hanno difeso i diritti delle comunità più vulnerabili.[7] Grazie al supporto tribale, queste organizzazioni hanno accresciuto la propria legittimità politica trasformandosi in interlocutori privilegiati delle etnie emarginate. Il risultato è stata la costituzione di una forma di potere fortemente territorializzato e tribalizzato, basato sull’amministrazione diretta delle aree rurali e dei villaggi e funzionale alla creazione di emirati de facto nel deserto.[8]

Nonostante gli sforzi della comunità internazionale di arginare questa deriva jihadista, i fenomeni di instabilità in tutta la regione del Sahel continuano a diffondersi dimostrando una certa resilienza nel tempo. Lo scorso novembre, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha espresso preoccupazioni in merito, sostenendo che "Il terrorismo è un problema globale e l'intera comunità internazionale ha la responsabilità di contribuire allo sforzo collettivo di lotta alla violenza estremista nel Sahel, insieme ad altre sfide transnazionali, tra cui il traffico di persone, beni illeciti, armi, droghe, migrazione e sfollamento.”[9]


Note

[2] Ibidem

[5] Mapping Militant Organizations. “Jamaat Nusrat al-Islam wal Muslimeen (JNIM).” Stanford University. Last modified July 2018.

[6] Mapping Militant Organizations. “The Islamic State in the Greater Sahara” Stanford University. Last modified July 2018.

[8] Ibidem

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