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Il Gukuna: viaggio tra identità e ruoli di genere nel Ruanda contemporaneo

Aggiornamento: 14 dic 2020


Introduzione

Il presente lavoro, frutto delle riflessioni e dell’intenso confronto tra le due autrici, vuole essere un incentivo a raccontare la sessualità in Africa in modo non stereotipato. Si vuole sottolineare la molteplicità delle sfaccettature in uno spazio-tempo continentale con un approccio trans-culturale. In particolare, lo si fa attraverso un caso studio, quello del Ruanda, che pare rivelare l’esistenza di un’Africa altra, e che conferma la variegata molteplicità delle forme di femminilità e identità. Il tentativo della presente analisi è pertanto quello di trasmettere al lettore la conoscenza, il più possibile neutra, di una pratica che ha molto da rivelare sulla ricerca del piacere femminile (e maschile), e ancor più sull’acquisizione dello status sociale da parte delle donne ruandesi, che spesso trascende l’aspetto dell’integrità fisica.

Dunque, quale il rapporto tra sessualità e società patriarcale nel Ruanda contemporaneo? Cosa possono raccontarci i corpi femminili modificati con la pratica del gukuna? Infine, perché gukuna e kunyaza rappresentano complicità e complementarietà di ruoli socio - politici?

La ricerca delle risposte non è stata semplice, principalmente per due motivi che seguono il criterio degli “esempi per eccellenza”. Da una parte, la colonizzazione belga è più documentata su quella che è l’attuale Repubblica Democratica del Congo; dall’altra, il Ruanda rimane noto perlopiù per gli studi sui fatti del genocidio del 1994. A grandi linee, il discorso sulla sessualità nella zona dei Grandi Laghi si inserisce in un quadro più ampio che è quello del rapporto tra colonizzazione e missioni religiose, in questo caso cristiane, in Africa.


1. Concezione e visione della sessualità in Africa: un breve focus sul Ruanda

Facendo una panoramica molto generale sulla sessualità nel continente africano, possiamo affermare che nell’immaginario collettivo l’associazione di idee si costruisce intorno a eventi/connotazioni negative legate a patologie e primitivismi. Di fatto, l’Africa è il luogo delle malattie sessualmente trasmissibili, come l’AIDS, e delle modificazioni genitali “mutilanti”.

Di sessualità hanno parlato prevalentemente ricercatori non autoctoni, uomini, che hanno trattato il tema attraverso i filtri di analisi della salute e del gender, o in modo “esotico” , in alcuni casi suscitando reazioni difensive di leader e intellettuali africani[1]. Tali narrazioni negative hanno favorito sia l’espansione araba che la colonizzazione europea.

In particolare, l’avvento del cristianesimo ha contribuito ad un’analisi parziale e alla strumentalizzazione di un’immagine distorta della sessualità, soprattutto di quella femminile, introducendo il tabù negativo del corpo e il senso di colpa[2].

La sessualità in Africa è un argomento che deve essere quanto meno trattato al plurale: si parla di sessualità africanE, poiché ci si riferisce ad un intero continente con le sue specificità locali e organizzazioni socio-politiche complesse basate su etnicità, età, genere (la lista non è esaustiva). In tali strutture, le religioni tradizionali africane sono fortemente presenti nella vita quotidiana accanto alle confessioni abramitiche “sospese tra un passato africano offuscato e un’esperienza occidentalizzante distorta”[3], in un periodo in cui gli africani si rispecchiano attraverso il filtro culturale occidentale europeo. Gran parte delle religioni tradizionali africane sono viste come un modus vivendi olistico. Inoltre, pur non avendo dei testi sacri di riferimento o un messaggio messianico, hanno delle caratteristiche di continuità con le grandi confessioni, tra cui il monoteismo. Al contrario, però, il dio supremo normalmente non ha genere (mentre invece il dio dei tre monoteismi è dichiaratamente di genere maschile)[4]. Un profondo punto di rottura si ha nella visione del corpo della donna: se nelle tre grandi religioni rivelate esso è inteso come sede di peccato, di corruzione morale e fonte di distrazione dalla retta via, in gran parte delle tradizioni africane lo si celebra per la sua bellezza e la sua fertilità. L’influenza dei credi abramitici sulle sessualità africane è stata una minaccia sussistente che ha colpito pesantemente le loro connotazioni positive, delegittimandole sia nel sistema socio-politico che negli ordini religiosi[5].

Per quanto talune pratiche possano essere cruente, prima di giudicare è necessario capire. In effetti, la cultura è un’arena che evolve nello spazio-tempo e nella quale si definiscono luoghi e identità sia pubblici che privati, utili a soddisfare le esigenze di una certa comunità. Dove collocare, allora, il giudizio?[6] Si può affrontare la tematica della sessualità anche con un filtro positivo?

Il documentario Eau Sacré (Sacred Water)[7]e i racconti dell’antropologa M. Fusaschi hanno fatto da porte alla scoperta della coppia gukuna-kunyaza nel Ruanda contemporaneo.

Non possiamo comprendere quali siano i connotati geopolitici della pratica del gukuna, ed in generale della sessualità in Ruanda, senza fare un passo indietro e ripercorrere alcuni aspetti essenziali della storia coloniale in Africa. Come anticipato in merito al contesto africano globale, al suo primo approccio con terre e usanze sconosciute, il colonizzatore ha tentato di riordinare le società locali, ritenute moralmente inaccettabili, plasmandole attraverso la propria concezione di ordine e civilizzazione. Il continente è stato in un certo senso ricreato sulla base della visione eurocentrica, e il cristianesimo ha svolto un ruolo cruciale in questo processo. Esso ha strumentalizzato e sradicato tradizioni, costumi, corpi culturali (in particolare quello femminile)[8] per reinserirli in nuove strutture, negative. Sulla base dei segni esteriori del corpo della donna, il colonizzatore cristiano lo ha dunque non solo sessualizzato, ma anche reso termine di paragone rispetto ad una bellezza tipicamente caucasica. Molte pratiche sessuali diffuse in tempi pre-coloniali, pre-islamici e pre-cristiani sono state in seguito stigmatizzate come "devianti", "illegittime" e "criminali" durante il lungo processo di proselitismo e inculturazione, conducendo le sessualità africane ad una concezione universalizzata con profonde ripercussioni sulle costruzioni socio-politiche[9].

La sessualità rappresenta un dominio centrale dell'immaginario e dell'intervento coloniale attraverso il quale vari attori sociali, che sono coinvolti nella politica dell'impero, costruiscono e contestano argomenti su razza e cultura, familiarità, superiorità e inferiorità, moralità e indecenza. La potenza coloniale dell'Europa nel corso del diciannovesimo secolo offre terreno fertile a studiosi e moralisti per descrivere, classificare e riformare sia le vite pubbliche che private delle popolazioni non europee delegittimandole in nome di una moralità pubblica.

Le missioni cattoliche, con la loro penetrazione psicologica, sono uno strumento di colonizzazione in Ruanda-Urundi: interpretando la pratica del gukuna attraverso la lente del loro sistema di valori cristiano-cattolici e giudicandola come una forma di onanismo peccaminosa, si appropriano della sfera intima della sessualità.


2. Caso studio Ruanda: il contesto

Il Ruanda è una repubblica presidenziale a maggioranza cristiana (cattolici 58% ca; non cattolici 13% ca, musulmani 1% ca) con notevoli cambiamenti nel periodo post-genocidio.

Dal 1884 al 1919 è parte della Deutsch-Ostafrika, colonia dell' impero tedesco, per poi passare al Belgio al termine della prima guerra mondiale (nel 1916 i belgi scacciano i tedeschi da quei territori) come Ruanda-Urundi, dal quale ottiene l'indipendenza nel 1962.

Le comunità sono organizzate in clan e sottoclan, tra cui gli Hutu, i Tutsi[10] e i Twa la cui lingua ufficiale locale, accanto all’inglese e al francese, è il kinyarwanda. I legami etnici connettono le popolazioni ruandesi a quelle degli stati confinanti dei Grandi Laghi, in un’ottica regionale[11].

La vasta tradizione orale privilegia gli elementi liquidi allo stato naturale, simboli di rapporti sociali e politici fluidi, nei quali la donna ha un peso socio-politico ben preciso. Nonostante si definisca la società ruandese patriarcale, dal genocidio ad oggi le donne sono attive anche al di fuori dei ruoli domestici, fortemente rappresentate in parlamento (circa il 64%). La dinamicità di genere è accettata da gran parte della popolazione poiché ha delle ripercussioni positive sull’economia del paese.

2.1 Gukuna-kunyaza tra società e politica

Il gukuna è una modificazione genitale femminile, praticata tra le donne, e diffusa nella zona dei Grandi Laghi (Ruanda, Uganda, Burundi, Congo). Il termine rinvia all’espressione “assicurati di non essere nudo” con una connotazione positiva che riporta alla cura del sé, del proprio corpo, e al desiderio di vestirlo, proteggerlo da sguardi indiscreti.

Di fatto è una pratica con la quale le giovani donne in età pre-matrimoniale[12] allungano le piccole labbra, in lingua kinyarwanda note come imishino, attraverso un massaggio reciproco con effetti socio-culturali potenti e persistenti. La pratica conduce ad un aumento della superficie e delle dimensioni del sesso, ed occupa una posizione fondamentale nelle relazioni sessuali (e non) di coppia, perché considerata sia proficua per l’eiaculazione femminile e il raggiungimento del piacere, sia utile nella ricerca della maternità.

È attraverso il gukuna che le adolescenti ruandesi fanno il loro ingresso nella vita sociale delle comunità, in un processo di “messa a conformità”[13] del corpo che definisce da una parte l’identità di genere e i rapporti di potere all’interno dell’arena del femminile (l’insegnamento e l’apprendistato del sapere tecnico è custodito dalle donne più anziane, le zie paterne, le maasenges). Dall’altra, verso l’esterno, limita il potere maschile in un contesto di società patriarcale (le donne vanno a tagliare la ginestra , guca imyeyo, eufemismo utilizzato per parlare del gukuna tra le ragazze e le donne lontano e all’insaputa degli uomini).

Il corpo femminile, per entrare a pieno nel suo corpo sociale, in qualità di sposa e madre, deve essere trattato e modellato culturalmente perché, al contrario di quello maschile, essendo nudo, non è pronto. In altre parole, lo scopo del gukuna è la costruzione di una femminilità socialmente accettata attraverso la modellazione di un dato biologico[14].

Nonostante nelle zone urbane si stia perdendo, e, nonostante sia oggi praticato in spazi diversi, non all’aperto, il gukuna esiste ancora poiché questione d’identità, come dimostra il documentario Eau Sacré[15]: “Tutti i ruandesi e le ruandesi lo fanno, è parte della loro cultura”. Al contempo “Viviamo nel Ruanda che si sta sviluppando” dice una ragazza intervistata. Queste pratiche vengono viste come legate ad una cultura arcaica e retrograda, filtro interpretativo dato dalla colonizzazione religiosa. Il sostrato cristiano è ben visibile, e il documentario lo presenta attraverso un dialogo tra alcune ragazze di una scuola e la giornalista protagonista, Vestine, che sta viaggiando per parlare di sessualità nella cultura ruandese[16]. All’affermazione “Un tutor ci ha detto che il gukuna è peccato perché incita alla masturbazione” lei risponde: “ È sbagliato. Io sono qui per parlare di cultura ruandese, per combattere qualsiasi cosa possa distruggere lei e le coppie una volta che sia scesa la notte, anche se l’amore sta ancora ardendo”[17].

Rappresentando il gukuna una pratica culturale, esso è strettamente legato a questioni identitarie e ai contesti socio-politici entro i quali esse si muovono. Infatti esso rappresenta un codice, uno spazio riservato completamente al femminile, in cui si instaurano profondi e forti rapporti di amicizia e solidarietà, si tramanda un modo di essere donna all’interno delle comunità, si coltiva e ci si scambiano saperi sulla vita matrimoniale.

Il corpo diventa lo strumento, la metafora, di una costruzione identitaria, in questo caso, di genere, all’interno della società. “Questo ti aiuterà a diventare una vera donna” afferma la maasenge intervistata nel film documentario Eau Sacré. La collocazione di un corpo permette la sua definizione attraverso l’acquisizione di alcuni diritti e doveri e la perdita di altri in relazione ai ruoli sociali.

La pratica del gukuna coincide con il passaggio dall’infanzia all’adultità: la bambina diventa donna fertile. In quanto tale, essa acquisisce il ruolo politico e sociale relativo, ha il diritto e il dovere di divenire sposa e madre. Pertanto, è sia parte rilevante e fortemente connotata della coppia, sia figura fondamentale per la procreazione e l’educazione dei figli. La modificazione genitale viene presentata come un qualcosa che la donna, con la sua partecipazione attiva nella società patriarcale, apporta in funzione della stabilità della relazione. L’allungamento delle labbra “favorisce la fuoriuscita dell’acqua” provocata dal kunyaza. È importante che l’uomo lo sappia fare, perché il suo ruolo è anche quello di soddisfare la sua compagna in un’ottica di piacere reciproco:[18] gukuna e kunyaza rappresentano così “ uno scambio”. “Se un uomo trova quell’acqua è un vero onore”, l’avvenimento “può davvero rafforzare la relazione”[19]. Ciò, biologicamente, ha molto a che fare con la riproduzione e con la propria collocazione nella società attraverso il proprio corpo fisico, anello di congiunzione tra corpo biologico e corpo culturale.


Conclusione

Le modificazioni genitali vanno contestualizzate culturalmente in un’ottica del capire prima di giudicare. Gukuna significa passaggio da un corpo biologico a un corpo culturale che rivela collocazioni e definizioni identitarie socio-politiche sia all’interno del gruppo femminile, sia in relazione al modo di essere uomo.

Attraverso il gukuna si realizza la riscoperta e la reinterpretazione di radici culturali locali messe in discussione dal passato coloniale nel quale esse si sono rispecchiate come primitivismi barbari[20].

Nel dialogo della vita di coppia gukuna - kunyaza sono come due parti che diventano una. Complementarietà e complicità del piacere sessuale reciproco, fluido proprio come l’ acqua sacra che sfocia nella costruzione del nucleo familiare.

Concludiamo citando una delle scene (a parere nostro) più esilaranti e significative tratte dal documentario di O. Jourdain, che traduce un po’ i vari obiettivi del presente lavoro: dall’invito al dialogo transculturale, al considerare un determinato fenomeno a più livelli, compreso quello ironico: “Dite ai bianchi che dovrebbero cercarla anche loro (quell’acqua)!!”.



Note [1] Una descrizione negativa della sessualità africana inizia nel sec. XIV, d’accordo con la narrazione che ne fa M EPPRECHT, Sexuality, Africa, History, American Historical Rewiev, 2016 p. 1261 [2] Diverse sono le riflessioni su alcuni meccanismi di riscoperta delle proprie tradizioni culturali in chiave anticoloniale un po’ in tutto il continente per affermare la propria identità. Un discorso ampio che non verrà trattato nel presente lavoro. Qualche spunto di riflessione lo offre M EPPRECHT, Op. cit. , p. 1265 [3] S. TAMALE, Exploring the Contours of African Sexualities: Religion, Law, and Power, African Human Rights Law Journal, 2014, p. 3 [4] Molti principi religiosi, inclusi quelli cristiani e musulmani, in realtà, prendono forma nei sistemi legali di molti stati africani, laddove i confini tra legge, usi, religione sono sempre stati porosi. La sessualità si fonda su dettami biologici, ma il suo linguaggio è culturale, quindi risponde a esigenze sociali politiche e economiche, strutturate da sistemi legali e religiosi attraverso i quali si definisce ciò che è giusto e ciò che non lo è, e si determinano luoghi (pubblico/privato), identità (uomo/donna), quindi ruoli e rapporti di potere legittimati [5] Con ciò non si vuole dare un giudizio di valore che consideri le religioni tradizionali egualitarie, ma solo che molte pratiche vengono codificate diversamente e indicate come negative, devianti, deviate e criminali nel periodo della colonizzazione e del white burden [6] A tale proposito il dibattito, più che intorno al “cosa” dovrebbe svilupparsi intorno al “come” [7] O. JOURDAIN, Eau Sacré, Nameless Productions, RTBF and Wallonie Image Productions, 2016 [8] È abbastanza conosciuta l’esposizione, fino al 1974, al Musée de l’Homme di Parigi, delle parti intime del corpo della ventenne sudafricana Sarah Baartman, poi rinominata la Venere degli Ottentotti: alla sua morte, durante un’autopsia pubblica reclamata a gran voce e tenuta da uno zoologo, i suoi genitali furono accuratamente esposti in modo tale da poter osservare le abnormi protuberanze, considerate le dimensioni inusuali, si mormorò persino fosse affetta da una devianza sessuale dovuta alle labbra ipertrofiche [9] S. TAMALE, Exploring the Contours of African Sexualities: Religion, Law and Power, African Human Rights Law Journal, Makerere University, 2014 [10] Il genocidio del 1994 ha modificato molto la situazione demografica [11] G. CARBONE, L’Africa. Gli Stati, la Politica, i Conflitti, 2012, p 148 [12] Tradizionalmente intorno ai tredici anni. Per diversi motivi, ad oggi, l’età si è abbassata tendenzialmente a sei/sette anni. Per saperne di più cfr. M. FUSASCHI, Op. cit., 2012 [13] Idem p. 3 [14] M. FUSASCHI, Plaisirs Croisés : Gukuna-Kunyaza. Missions, Corps et Sexualités dans le Rwanda Contemporain, Genre, sexualité & société, 2012 [15] O. JOURDAIN, Eau Sacré, RTBF and Wallonie Image Productions, 2016 [16] Riprova che anche l’educazione sessuale si colloca attraverso il filtro culturale [17] Tale affermazione (tanto più se contestualizzata) fa riflettere sul fatto che anche l’educazione sessuale non è esente da schemi culturali [18] La sessualità in una coppia è importante perché è una forma di dialogo, in un’ottica transculturale a cambiare non sono le esigenze, bensì il come esse vengono soddisfatte [19] I virgolettati di questa sezione sono parole tratte dal documentario O. JOURDAIN, Eau Sacré, RTBF and Wallonie Image Productions, 2016 [20] Cfr. M. EPPRECHT, Sexuality, Africa, History, AHR Forum, 2016, p. 7


Bibliografia

C. CARBONE, Sul Colonialismo Belga in Rwanda Ed in Burundi , Studi Storici 8, no. 1 (1967): 138-59. www.jstor.org/stable/20562857

G. CARBONE, L’Africa. Gli Stati, la Politica, i Conflitti, Il Mulino, 2012

M. EPPRECHT, Sexuality, Africa, History, AHR Forum, 2016

M. FUSASCHI, Plaisirs Croisés : Gukuna-Kunyaza. Missions, Corps et Sexualités dans le Rwanda

Contemporain , Genre, sexualité & société, 2012

___________, Corpo non si Nasce, si Diventa, 2013

____________, G. CAVATORTA, Gukuna: a Paradoxical Rwandan Female Genital “Mutilation”, FGM/C: From Medicine to Critical Anthropology, 2018

O. JOURDAIN, Eau Sacré, Nameless Productions, RTBF and Wallonie Image Productions, 2016

S. OKAFOR, Globalization and the Indigenous Concept of Sexuality in African Tradition: Charting a New Course for Sexual Right and Safe Society, University of Nigeria, 2018

S. TAMALE, Exploring the Contours of African Sexualities: Religion, Law and Power, African Human Rights Law Journal, Makerere University, 2014

Sitografia

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