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La guerra in Ucraina rilancia la carbonizzazione dell’economia

Aggiornamento: 12 set 2022

Concorrenza e rivoluzione nei flussi per i mercati dell’energia



*Economista, insegna Finanza Internazionale e Geopolitica delle materie prime in due Grandes Ecoles di Parigi; è l’autore di “Storie straordinarie delle materie prime” (vol 1-2 – ADD editore), docente nel corso SILENT MATTERS del Centro Studi AMIStaDeS

Uno degli effetti della guerra e delle sanzioni, non troppo evidenti e di cui si parla poco, è il grande passo all’indietro nel processo di decarbonizzazione dell’economia. Il mondo politico afferma che è temporaneo, in realtà si tratta di qualcosa di molto più strutturale che congiunturale. Per esempio, la decisione dell’Europa di ridurre progressivamente le importazioni di gas russo ha un impatto immediato sulla produzione di CO2: il trasporto del gas via gasdotto produce 23 grammi/KWh di CO2, mentre il trasporto di LNG via metaniere (che arrivano essenzialmente dal Golfo, dagli USA e dal Qatar) produce 58 grammi, più del doppio. Infatti, per trasportare il gas bisogna liquefarlo e portarlo a una temperatura di 162° sotto lo zero; questa operazione costa molto in energia e poi, allo sbarco, bisogna rigassificare il LNG, altra operazione dispendiosa in termini di energia, oltre al fatto che le metaniere consumano in media 6000 litri di diesel all’ora.


Intanto l’Europa si sta preparando alla riduzione delle importazioni di petrolio che arriva via oleodotto dalla Russia. L’UE vuole essere meno dipendente dal petrolio “Ural” (nome utilizzato sui mercati), e deve importarlo da vari altri Paesi, ancora una volta tramite le petroliere (e ciò incrementa la produzione di CO2). I petrolieri russi hanno già reagito e offrono - con degli sconti fino a 30 $/barile - il loro prodotto agli importatori cinesi e ai raffinatori indiani, i quali stanno proponendo dei derivati del petrolio (essenzialmente diesel e benzina) agli europei. Il petrolio russo Ural è sempre stato negoziato con un “discount” rispetto al Brent, di migliore qualità. Invece gli sconti praticati sul petrolio ESPO (Eastern Siberian Pacific Oil) sono molto meno cospicui, essendo questo prodotto di migliore qualità, esattamente come il petrolio Sokol, estratto nell’isola di Sakhalin.

Questi flussi importanti di petrolio via mare fanno dei peripli molto lunghi e comportano un incredibile consumo di diesel delle petroliere con una significativa produzione di CO2. Le petroliere destinate alla costa occidentale dell’India, dove ci sono le raffinerie che lavorano il petrolio del M/O, partono dal mare Nero e dal Baltico, mentre la Russia esporta il petrolio ESPO dai porti della Siberia orientale verso i Paesi del Pacifico occidentale e il Sokol dal porto di De Kastri, localizzato di fronte all’isola di Sakhalin.


Rilancio del carbone


Il rialzo dei prezzi del petrolio e del gas rende molto più competitivo l’uso del carbone per produrre dell’energia elettrica. Nel mondo ci sono un po’ più di 2.400 centrali termiche che funzionano a carbone in 79 paesi. All’inizio del 2021 c’erano 41 progetti di nuovi impianti; in realtà solamente 34 sono stati messi in cantiere, ma la produzione mondiale di energia elettrica ottenuta con il carbone è salita del 9%, durante l’anno scorso. Con l’attuale crisi dell’energia e i rischi di riduzione temporanea dell’offerta, vari Paesi hanno deciso di riaprire delle centrali a carbone. La lista si allunga di giorno in giorno: Germania, Italia, Francia, Olanda, Austria, Gran Bretagna, Bulgaria, USA.


Anche la produzione di antracite (un carbone di alta qualità con un elevato potere calorifico) degli Appalachi sta salendo nonostante l’opposizione del presidente Biden all’impiego del carbone che, invece, era stato largamente favorito da Trump. Attualmente, le centrali polacche, sebbene il Paese disponga di importanti miniere di carbone (meno competitivo però di quello importato dalla Russia) stanno importando l’antracite proprio dagli Appalachi al fine di produrre energia elettrica che viene poi venduta alla Germania che, a sua volta, sta ricevendo molto meno gas dalla Russia.

Esportazioni russe di carbone nel 2021 - (fonte: Statista 2022)

Anche i flussi di carbone esportato dall’Australia si stanno modificando a seguito della decisione cinese (ottobre 2020) di boicottare questo prodotto nel quadro della durissima guerra commerciale in corso fra i due Paesi. Ormai navi cariche di carbone partono dal Queensland con destinazione i porti europei, fra cui quelli inglesi, anche se il viaggio fra la costa orientale dell’Australia e l’Europa costa caro ed è molto lungo (fra le 7 e le 8 settimane). Stanno anche crescendo gli arrivi di carbone in Europa proveniente da Colombia, Indonesia, Africa del Sud e, naturalmente, dagli USA.


Nuovi peripli del carbone e battaglia fra Russia e Australia


È facile trarre una conclusione: i peripli dei prodotti energetici si stanno allungando meccanicamente con un impatto evidente sulla produzione di CO2, mentre il ricorso a energie fossili aumenta con un significativo passo all’indietro nel processo mondiale di decarbonazione.


Non solo l’Europa ma anche gli altri continenti stanno modificando i loro energy mix come conseguenza delle sanzioni contro la Russia, uno dei grandi attori nella produzione di energie fossili del mondo.


Per esempio, i brokers sul mercato dei noli segnalano che l’India sta cercando delle navi per aumentare le importazioni di carbone dalla Russia nei prossimi mesi. L’India è il secondo più grande importatore mondiale di carbone, dopo la Cina: il Paese ha importato 247 milioni di tonnellate di carbone durante l’anno fiscale terminato nel marzo scorso. In questo volume figurano 50 milioni di tonnellate di carbone Coke, impiegato nella siderurgia; il Paese è il quarto produttore mondiale di prodotti siderurgici. E le imprese consumatrici pubbliche e private (i produttori di energia elettrica e i siderurgisti) vogliono approfittare dei ribassi dei prezzi del carbone russo che sono passati da 9798 rubli/t. della fine maggio a 8542 R./t. degli ultimi giorni del mese di giugno. E stanno anche “sfruttando” la concorrenza fra i produttori russi e gli australiani, penalizzati dall’embargo cinese, che sono alla ricerca di nuovi sbocchi.


Gli stessi brokers segnalano la ricerca da parte degli importatori cinesi di navi sulla tratta Vanino e Vostochny (i due grandi centri di esportazione del carbone della Siberia orientale, nella regione di Vladivostok) e il porto di Guangzhou, l’enorme centro marittimo cinese che riceve la quasi totalità del carbone importato.

I grandi porti russi

Gli importatori giapponesi, taiwanesi e sudcoreani sono invece stati invitati dai rispettivi governi a non trarre profitto della situazione con il rischio di sanzioni. Al contrario, i responsabili della zona economica speciale di Rajin (Corea del Nord) stanno pensando allo sviluppo di questo porto localizzato nel grande settentrione della Corea del Nord: potrebbe importare il carbone russo per conto di Pechino e distribuirlo nel nord-est della Cina che è mal servita dalla logistica cinese, dal momento che numerose merci devono passare dal porto di Dalian che rifornisce la regione a est di Pechino.


Anche Mosca sta pensando di potenziare lo sviluppo del porto di Rajin da cui esporta già vari tipi di merci. Il porto è specializzato nel transito del carbone e potrebbe riceverlo via treno dalla Russia per esportarlo nei vari Paesi dell’Asia. Il porto ha un enorme vantaggio: è localizzato in una baia orientata verso il sud e quindi è aperto tutto l’anno, mentre i sette porti russi nella Siberia orientale non sono operativi tutti i mesi nell’anno e devono ricorrere ai potenti rompighiaccio civili e militari.

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