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Gli occhi di Pechino e Mosca sull’Iran. L’Europa resterà a guardare?

Aggiornamento: 9 set 2021

1. Introduzione


Il 18 Ottobre scorso è ufficialmente scaduto l’embargo sulle armi nei confronti dell’Iran introdotto dall’ONU nel quadro del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), anche noto come Accordo sul nucleare iraniano, firmato nel luglio 2015 dai P5+1 Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Russia, Cina e Germania. L’Accordo, valido fino al 2026, aveva l’obiettivo di contenere la produzione iraniana di uranio per usi esclusivamente civili. In cambio della rimozione delle sanzioni economiche precedentemente imposte, l’Iran si impegnava ad eliminare le sue riserve di uranio a medio arricchimento e di ridurre di oltre due terzi le centrifughe a gas per tredici anni.


Il ritiro unilaterale da parte degli Stati Uniti dall’accordo nel maggio 2018 e l’adozione di una politica di “maximum pressure”, che ha portato alla reintroduzione di sanzioni economiche su vari settori, tra cui quello petrolifero e bancario, hanno messo a dura prova il rispetto dell’Accordo sul nucleare da parte dell’Iran. L’incapacità europea di far rispettare il patto da parte di tutti i suoi membri ha messo in discussione la fiducia nell’alleanza transatlantica e nelle istituzioni europee da parte di Teheran. Dall’altra parte, il senso di isolamento strategico a livello regionale e la costante minaccia di attacchi da parte dei suoi vicini ha spinto l’Iran ad accrescere la propria influenza nella regione attraverso metodi non convenzionali e partner strategici internazionali disposti ad appoggiarlo, come Russia e Cina. Con la fine dell’embargo sulle armi molti hanno ipotizzato che l’Iran cercherà di acquistare carri armati, jet da combattimento, missili terra-aria e altri sistemi di difesa da Russia e Cina.


L’obiettivo di questo articolo è quello di valutare quali siano le reali possibilità per una maggiore cooperazione militare tra i tre Paesi e quale impatto questa possa avere sui futuri rapporti tra Iran ed Europa, anche alla luce dell’entrata del nuovo presidente statunitense Joe Biden alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio.


2. L’Iran e la sua ‘Look to the East Policy’


Il maggiore avvicinamento ed interesse di Teheran a Cina e Russia è il risultato di diversi fattori. I tre Paesi negli ultimi anni hanno rafforzato i propri rapporti non solo dal punto di vista economico, ma anche militare, cercando di stabilire un fronte comune in contrasto alla presenza occidentale nella regione, ponendosi come una valida alternativa per il perseguimento della pace e sicurezza regionale. Già nel dicembre 2019 i tre Paesi avevano condotto un’esercitazione militare nel Golfo dell’Oman, in seguito a mesi di elevata tensione tra Iran e Stati Uniti, con l’obiettivo dichiarato di rafforzare la sicurezza nell’area e favorire la cooperazione tra le reciproche forze navali. Lo scorso settembre una nuova esercitazione militare organizzata da Pechino nel Caucaso ha visto la partecipazione non solo di Russia e Iran, ma anche di Bielorussia, Pakistan, Myanmar e Armenia.


Oltre all’aspetto ideologico di opposizione all’Occidente, alla base di una maggiore cooperazione tra Russia, Cina e Iran vi sono soprattutto interessi prettamente economici, tra cui quello di assicurare una maggiore sicurezza nel Golfo Persico. Lo Stretto di Hormuz, in particolare, ha un’estrema importanza geopolitica per il commercio globale di idrocarburi. Nel 2018, 20.7 milioni di barili lo hanno attraversato. Secondo le stime di EIA circa il 76% di petrolio greggio transitato per lo Stretto di Hormuz era diretto a mercati asiatici, primo fra tutti la Cina, che dipende significativamente da tale linea commerciale.

Nel settembre del 2019 il presidente iraniano Hassan Rouhani aveva proposto una coalizione per il mantenimento della sicurezza e stabilità a livello regionale chiamata Hormuz Peace Endeavour (HOPE), chiedendo il ritiro degli Stati Uniti e di altre forze extra-regionali dal Golfo. Inutile dire che il tentativo non è mai andato in porto. Al contrario, Iran e Arabia Saudita sono coinvolti in una delle guerre più atroci di questi anni in Yemen. I Paesi del Golfo continuano a vedere l’Iran come una minaccia alla loro integrità e sicurezza. Inoltre, sanno bene che una loro cooperazione con Teheran comporterebbe un deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti. Gli accordi di normalizzazione siglati dagli Emirati Arabi Uniti e Bahrein con Israele lo scorso settembre complicano ogni futuro tentativo di cooperazione e fanno presagire una traiettoria diversa da quella auspicata dall’Iran solamente un anno fa.


Nonostante l’antagonismo della maggior parte dei suoi vicini, la strategia iraniana nella regione rimane prevalentemente di tipo difensivo. Non potendo competere con i suoi vicini a livello militare, Teheran è stata capace di perseguire i suoi interessi strategici nella regione soprattutto attraverso operazioni non convenzionali e tattiche di guerra asimmetriche, servendosi di milizie sciite e organizzazioni satellite in Iraq, Siria, Libano e Yemen.


3. Iran, Russia e Cina. Verso una cooperazione militare trilaterale?


Le relazioni tra Iran e Russia si sono sicuramente rafforzate negli ultimi anni, sia dal punto di vista economico che politico. I rapporti commerciali tra i due Paesi sono cresciuti, nonostante le sanzioni statunitensi, passando da 1.74 miliardi di dollari nel 2019 a 2 miliardi nel 2019. Oltre ai rilevanti sforzi diplomatici condotti da Mosca per persuadere le potenze occidentali a riprendere dei rapporti economici con l’Iran dopo l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo sul nucleare, dal 2015 l’Iran è un valido alleato regionale della Russia in Siria. Qui entrambi sono coinvolti a sostegno delle forze pro-regime di Bashar al-Assad. A luglio 2020, inoltre, i due Paesi hanno concordato il prolungamento di un accordo di cooperazione strategica globale di durata ventennale.


Con la fine dell’embargo sulle armi sicuramente si aprono nuovi fronti per rafforzare la cooperazione militare tra i due Paesi. L’ambasciatore russo in Iran Levan Dzahagaryan lo scorso ottobre ha fatto intendere che Mosca non avrebbe alcun problema a vendere il tanto agognato S-400 all’Iran.

Russian S-400

L’S-400, apertamente osteggiato dagli Stati Uniti e oggetto di disputa internazionale, è uno dei più sofisticati sistemi d’arma antiaereo, capace di intercettare e neutralizzare veicoli aerei, AWACS (Airborne Warning and Control System), missili da crociera e missili balistici. L’S-400 è capace di colpire fino a 400 chilometri di distanza e 30 chilometri di altitudine. Cina, Turchia, India, Arabia Saudita e Bielorussia hanno già formalmente siglato l’acquisto del sistema.


Se fino a questo momento, l’Iran non ha ancora dichiarato di voler acquistare l’S-400 dalla Russia, una tale acquisizione comporterebbe numerosi vantaggi, tra i quali la possibilità di competere a livello militare con il sistema statunitense F-35 utilizzato da Israele, rischiando di stravolgere gli equilibri di potere nella regione. Per quanto riguarda i rapporti con la Cina, negli ultimi anni la Repubblica Iraniana è diventata sempre più dipendente da Pechino dal punto di vista diplomatico, economico, militare e tecnologico. Nonostante le sanzioni imposte dagli Stati Uniti, il commercio bilaterale tra i due Paesi e le importazioni di petrolio da parte della Cina sono continuati negli ultimi anni.

Source: Chinese General Administration of Customs.

Nel 2016 la visita del presidente cinese Xi Jinping a Teheran ha sancito l’inizio di un partenariato strategico della durata di 25 anni. La bozza, che dovrebbe essere ratificata nel 2021, prevede vari progetti infrastrutturali nel contesto della Belt and Road Initiative (BRI) e collaborazioni in ambito energetico, petrolchimico e militare. Formazione ed esercitazioni congiunte, progetti di ricerca e sviluppo di armi e condivisione di intelligence sono tra gli aspetti citati nel patto.


L’accordo ha sicuramente dei benefici economici per entrambi. Per l’Iran, i 400 miliardi di dollari che la Cina dovrebbe investire nel Paese sono sicuramente importanti per dare una spinta ad un’economia per anni martoriata da una serie di sanzioni economiche. Per Pechino, il patto permetterebbe l’acquisto di petrolio e gas ad un prezzo vantaggioso e di avere un accesso privilegiato sullo Stretto di Hormuz, andando ad arricchire la vasta rete di porti e stazioni di rifornimento che si estendono dal Mare Cinese al Canale di Suez, in linea con le ambizioni cinesi di espansione in Eurasia. Negli anni ’90, la Cina ha trasferito tecnologia nucleare e know-how, supportando il programma missilistico e nucleare iraniano. Ciò che preoccupa Stati Uniti ed Europa è che un tale rapporto e supporto possa riprendere con la fine dell’embargo.


Diversi fattori, tuttavia, potrebbero ostacolare la vendita di armi e sistemi militari avanzati a Teheran. Se è vero che Pechino negli ultimi anni ha accresciuto la sua influenza nella regione, facendosi spazio anche in settori tradizionalmente dominati da Stati Uniti e Russia, tra cui quello della vendita di armi, allo stesso tempo la strategia cinese in Eurasia rimane fortemente incentrata sullo sviluppo economico. Fornendo aiuti finanziari svincolati da qualsiasi tipo di coinvolgimento o riforma politica, Pechino si è spesso presentata come una valida alternativa al modello liberale occidentale e fautore di una pace e sviluppo mondiale attraverso metodi pacifici.


Come accennato in precedenza, uno degli elementi alla base di una maggiore cooperazione militare tra Iran, Cina e Russia, potrebbe essere l’interesse a mantenere la sicurezza nel Golfo Persico, fondamentale per delle linee commerciali funzionali. La stessa sicurezza, però, potrebbe incidere negativamente sulla decisione o meno di fornire armi all’Iran. Pechino è consapevole che alla base dei suoi interessi commerciali e della sicurezza nel Golfo, vi è il mantenimento di una relazione funzionale con gli Stati Uniti. Vendere armi all’Iran, in questo momento, metterebbe sicuramente a repentaglio questa relazione.


Da non sottovalutare sono anche i rapporti che Pechino e Mosca hanno instaurato con i Paesi del Golfo negli ultimi anni. Dal 2017, Russia e Arabia Saudita hanno sviluppato una cooperazione in ambito economico attraverso la creazione di un Fondo di Investimento comune del valore di 6 miliardi di dollari. Simili investimenti hanno visto la luce anche con gli Emirati Arabi Uniti e Kuwait. Per quanto riguarda la Cina, Pechino ha importato 40 miliardi di dollari di petrolio dall’Arabia Saudita nel 2019 e Dubai rappresenta uno dei maggiori hub per il trasporto di merci cinesi. I due Paesi del Golfo sono, inoltre, anche tra i Paesi importatori di armi cinesi, in particolari di droni militari come il Wing Loong I e II e il CH-4. Sembra, inoltre, che l’Arabia Saudita abbia allargato il suo arsenale missilistico proprio grazie a Pechino.


4. Quale ruolo per l’Europa?


Una maggiore cooperazione economica e militare tra Iran, Cina e Russia rischia di minare gli interessi europei in Eurasia, escludendo maggiormente l’Europa da successive dinamiche e politiche regionali. Con l’embargo sulle armi imposto dall’Unione Europea in vigore fino al 2023, la politica estera dell’Unione Europea nei confronti dell’Iran si è dimostrata poco flessibile e compatta nel portare avanti gli impegni presi con l’Accordo sul nucleare e salvaguardare gli interessi economici di Teheran. Il tentativo europeo di sorpassare le sanzioni statunitensi attraverso la creazione di un sistema di transizione finanziaria alternativo (INSTEX) sembra non aver mai veramente funzionato. Sia stata questa una scelta propagandistica o meno, quello che è certo è che ha contributo ad indebolire i rapporti con Teheran e svelare la debolezza dell’Unione.


Un nuovo ruolo si apre per l’Unione Europea con la vittoria di Joe Biden alle presidenziali statunitensi. Il futuro presidente Biden si è dichiarato propenso a riaprire i negoziati sul nucleare e rafforzare l’alleanza transatlantica attraverso una rinnovata politica multilaterale, indebolita dalla presidenza di Trump. Sicuramente non sarà facile per la nuova amministrazione riaprire le trattative e rimuovere le sanzioni in ambito politico ed economico imposte all’Iran in questi anni. Inoltre, opposizioni interne sia negli Stati Uniti che in Iran potrebbero ostacolare future politiche di riavvicinamento. Lo stesso Ministro degli esteri iraniano Mohammed Javad Zarif, nonostante sia favorevole ad un possibile rientro degli Stati Uniti nell’Accordo, si è espresso a sfavore di una totale riapertura dei negoziati con Biden.


Il ruolo dell’Unione Europea potrebbe essere vitale in questo nuovo processo nel rafforzare nuove relazioni multilaterali e nel mediare per ristabilire i rapporti tra Teheran e la comunità internazionale. Oltre ad agevolare la ripresa di relazioni diplomatiche, sarebbe anche importante dedicare maggiore attenzione ad un potenziale pacchetto economico che possa risanare l’economia iraniana e agevolare la ripresa dell’Accordo da parte dell’Iran.


5. Conclusione


Nonostante la vendita di armi altamente sofisticate all’Iran da parte di Russia e Cina sia una prospettiva remota, ciò non diminuisce la possibilità di una maggiore cooperazione militare tra i tre Paesi, che possa alterare l’attuale equilibrio regionale fungendo da alternativa alla presenza occidentale nell’area. Quanto l’Iran, con la fine dell’embargo, sia intenzionato a investire su armi convenzionali rimane ancora da capire. Il vantaggio qualitativo che ne deriverebbe sarebbe comunque minore rispetto a quello dei suoi avversari e non aiuterebbe a creare una maggiore sicurezza nel Golfo Persico, fondamentale per salvaguardare accrescere le attuali linee commerciali.


Un altro aspetto da non sottovalutare, inoltre, è la reale disponibilità economica di Teheran a breve termine per l’acquisto di armi da Russia e Cina. Il budget a disposizione per l’acquisto di arsenali militari ha sofferto a causa delle varie sanzioni economiche e dalla pandemia in corso.


Ciò che sembra più probabile che avvenga è che con la fine dell’embargo sulle armi Teheran cerchi di continuare ad accrescere la sua influenza nella regione attraverso il rafforzamento delle sue capacità difensive e delle sue armi di produzione domestica. Non dimentichiamo che l’Iran possiede uno dei più grandi arsenali di missili balistici e da crociera nella regione. Non è da sottovalutare la possibilità che decida di incrementare la vendita di armi di propria produzione ad attori regionali ed internazionali.


Fino a quando il piano di lavoro del futuro presidente statunitense Joe Biden nei confronti dell’Iran non sarà chiaro, è poco probabile che Teheran, Pechino e Mosca intraprendano delle azioni azzardate che possano minare potenziali trattative e la prossima campagna elettorale del presidente iraniano Rouhani che si terrà a giugno 2021.


Per quanto riguarda l’Unione Europea, è nel suo interesse ora sviluppare una politica estera più compatta nei confronti dell’Iran e proporre nuovi accordi multilaterali che possano avanzare i suoi interessi e riaffermare la propria influenza e credibilità.


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