top of page

Breve storia delle relazioni tra Cina e Russia: un’amicizia con molti limiti. I parte:XVII sec.-1962

Aggiornamento: 25 giu 2023

Fig.1: Stretta di mano tra Xi Jinping e Vladimir Putin durante l’incontro dei due leader a Mosca, 21 marzo 2023. Fonte: Xinhua/Xie Huanchi

1. Introduzione


“Stiamo fronteggiando cambiamenti che non si vedevano da 100 anni a questa parte”. “Hai ragione, mio caro amico. A presto”. Così Xi Jinping e Vladimir Putin si sono salutati, al termine della recente visita del presidente cinese a Mosca. Parole al miele, che, nonostante il chiaro intento propagandistico, sono abbastanza inusuali per lo stile diplomatico cinese, sempre equilibrato e molto attento al lessico utilizzato. Considerando anche l’“amicizia senza limiti” che i due leader si sono promessi a febbraio 2022, può sembrare che tra i due colossi asiatici via sia una perfetta condivisione di ideali e obiettivi geopolitici.


La realtà, come sempre, è leggermente più complicata. Cina e Russia, superpotenze e imperi di lunghissima data, divise da più di 4250 km di confine in comune, ‘compagni’ di governi comunisti ideologicamente contrapposti, nonostante la crescente ostilità del mondo occidentale, ben si guardano dal legarsi insieme con un’alleanza formale. Il motivo? Secoli e secoli di scontri ideologici, riavvicinamenti, divisioni, convergenze di vedute e aperti conflitti armati hanno lasciato nei ricordi dei due popoli cicatrici molto profonde.


E per Paesi nei quali la storia nazionale ha un ruolo così fondamentale, il burrascoso passato e le dispute ancora irrisolte influenzano direttamente le decisioni dei due governi. Solo analizzandoli meglio, è possibile avere un’idea del futuro di questa “comprehensive strategic partnership” tra l’Orso russo e il Dragone cinese.


In questo lavoro diviso su più parti, la prima sarà dedicata ai rapporti tra i due Stati fino al cosiddetto “Sino-Soviet split” di fine anni Cinquanta. Nelle successive si analizzeranno, tra le altre cose, gli scontri militari sul confine siberiano, gli effetti del crollo dell’URSS sulla dirigenza del Partito Comunista Cinese, fino ad arrivare all’era Xi-Putin, con un breve sguardo su qualche scenario futuro post- guerra d’Ucraina.


2. I primi contatti


I primi contatti tra i due popoli risalgono al XVII secolo. Nel 1618, la Russia Moscovita, liberatasi dal dominio mongolo, cominciò a espandersi verso Ovest, trovandosi necessariamente di fronte l’impero Qing, in quegli anni al massimo del suo splendore. La discrepanza nei rapporti di forza a favore dell’Impero del Mezzo si dimostrò fin da subito nettissima: dopo che al primo ambasciatore russo a Pechino, Nikolaij Milescu, fu fatto chiaramente capire che la Russia sarebbe stato considerato un semplice “Stato tributario” della Cina, l’iniziale espansione moscovita verso il fiume Amur, in Siberia, fu rapidamente sbaragliata dal superiore esercito dell’imperatore Kangxi[1] . Il seguente Trattato di Nertčinsk, firmato il 27 agosto 1689, il primo concluso dalla Cina con uno Stato europeo, consolidò la posizione di superiorità militare cinese sul vicino per i due secoli a venire. Tanta era la distanza culturale tra i due Paesi che l’imperatore riteneva la natura dei russi “simile a quella degli animali”[2], troppo primitivi per essere considerati propri pari.


La sovranità sui territori a ridosso del fiume Amur rimase una fonte di contenzioso molto a lungo. Nonostante il trattato di Kyakhta del 1727, che tentava di delimitare le frontiere, e dichiarava “eterna pace e amicizia tra i due imperi” - terminologia già popolare allora -, le difficoltà cinesi dopo la prima guerra dell’oppio (1840-42) permisero allo Zar Nicola I di riaprire le ostilità in Siberia, ottenendo, con la Convenzione di Pechino del 1860, tutto il territorio tra l’Ussuri e il mare, compresa la strategicamente fondamentale città portuale di Vladivostok.

Fig.2: Modifiche dei confini Sino-Russi tra il XVII e XIX sec. Fonte: Library of Congress Geography and Map Division, Washington, USA

3. Tra Rivoluzione Russa e nascita della Repubblica Popolare Cinese


A cavallo dei primi decenni del Novecento, entrambi i Paesi erano alle prese con enormi stravolgimenti politici interni: la Russia, per altro impegnata nella Prima Guerra Mondiale, con la Rivoluzione d’Ottobre del 1917; la Cina, con il crollo del millenario impero e la fondazione della repubblica da parte di Sun Yat-Set. Non furono quindi in grado di porre resistenza all’improvvisa conquista giapponese della Manciuria del 1931, che congelò ogni tipo di contenzioso territoriale al post-conferenza di Yalta del 1945[3].


Nel frattempo, però, si ponevano prime basi verso la convergenza ideologica tra i due futuri regimi. Nel 1921, a Shanghai, veniva fondato il Partito Comunista Cinese (PCC), con l’aiuto di teorici marxisti-leninisti russi, che venne sostenuto dall’Unione Sovietica durante la guerra civile contro il Kuomingtan (KMT) di Chiank-Kai Shek. Ciò nonostante, durante la Seconda Guerra Mondiale, Stalin più volte sottolineò la sua scarsa fiducia nei confronti del PCC quale futura guida della Cina, convinto che sarebbero stati i nazionalisti del KMT ad uscire dalla contesta con il Paese in pugno. In nome della realpolitik, Stalin riteneva che “i sino-comunisti fossero un elemento di secondaria importanza, che poteva tranquillamente essere sacrificato[4].


Un affronto che Mao Zedong in primis non dimenticò mai, e che pose i semi per il sentimento di diffidenza e mancanza di fiducia reciproca che contraddistingue ancora oggi i rapporti tra le due superpotenze.


4. La visita di Mao a Mosca


Nel frattempo, in Asia infuriava ancora la Seconda Guerra Mondiale, e sia l’Orso che il Dragone condividevano lo stesso nemico: il Giappone. Da qui lo spunto per un nuovo Trattato di Amicizia ed Alleanza (firmato con Chiang Kai-Shek, senza consultare il Partito Comunista) in funzione antinipponica, nel quale si cercava anche di mitigare per l’ennesima volta i contenziosi territoriali di confine. Alla Cina veniva riconosciuta la sovranità sulle tre province nordorientali della Manciuria (corrispondenti alle attuali province dello Liaoning, Jiling ed Heilongjiang), mentre il porto franco di Dairen e la base navale di Port Arthur sarebbero state cogestite da cinesi e sovietici. Quel che salta all’occhio a un lettore contemporaneo del trattato è l’articolo V, nel quale si affermava “il mutuo rispetto per la sovranità e l’integrità territoriale e il principio di non interferenza negli affari interni”[5]. Concetti quanto mai cari anche a Xi e Putin.


A guerra terminata, Mao era ben consapevole delle difficoltà interne della giovane Repubblica Popolare Cinese (RPC), uscita da una lunga guerra civile contro i nazionalisti del Kuomingtan e priva di riconoscimento internazionale, e l’Unione Sovietica rappresentava l’unica nazione in grado di fornire i necessari aiuti economici e tecnologici per migliorare le condizioni di vita di un Paese ancora poverissimo. Il primo incontro tra il presidente cinese e Stalin si svolse a Mosca, nel dicembre 1949, in un clima di reciproca diffidenza: il Grande Timoniere fu trattato come un sottoposto, in una voluta dimostrazione di superiorità da parte della leadership sovietica. Il comunicato ufficiale affermava che Stalin aveva "ricevuto" il dirigente cinese: un'espressione sgradevole che implicava che questi fosse di rango inferiore (durante la guerra Stalin si "incontrava" o "riceveva la visita" di Churchill o di Roosevelt)[6].


Anche il Trattato di Amicizia, per lo meno nelle clausole di mutua assistenza bellica, si rivelò presto non così vincolante. I dubbi di Mao sull’effettiva volontà di Stalin di combattere attivamente ‘l’imperialismo americano’ in Asia si concretizzarono durante la Guerra di Corea (1950-1953): nonostante il dispiegamento sul terreno di più di un milione di truppe cinesi a supporto della Corea del Nord, Stalin si rifiutò di supportare militarmente l’alleato, seppur originariamente fosse stato proprio lui a spingerlo ad intervenire, persuadendolo della possibilità di strappare delle concessioni agli americani sul loro sostegno ai nazionalisti esuli a Taiwan[7].

Fig.3: Il primo incontro tra Mao e Stalin a Mosca, 1949. Le espressioni serie e la distanza fisica tra i due leader denotano il clima molto teso tra i due. Fonte: Wikimedia Commons

5. L’età d’oro dei rapporti Sino-Sovietici


A conflitto terminato, con centinaia di migliaia di soldati cinesi caduti, Mao fece capire chiaramente alle controparti sovietiche che, in cambio del suo impegno in Corea, si aspettava un lauto supporto economico dal più ricco e avanzato vicino. E così, nel 1953, i due leader firmarono un accordo che prevedeva il co-finanziamento di circa 100 progetti industriali, specialmente nel campo dell’energia e dell’estrazione di materie prime. Più di 10.000 scienziati e ingegneri provenienti da Unione Sovietica ed Europa Orientale furono mandati in Cina durante tutti gli anni Cinquanta, per aiutare le controparti locali a modernizzare la nascente industria nazionale, e viceversa una gran massa di lavoratori cinesi si stanziò nella Siberia russa, storicamente poco popolata e bisognosa di forza lavoro.


Anche gli interscambi culturali crebbero esponenzialmente: un gran numero di studenti cinesi fu invitato a studiare nelle università russe, e aumentarono gli incontri diplomatici tra gli esponenti dei due Partiti Comunisti. A livello militare, i due Paesi si accordarono per grandi finanziamenti nel campo della difesa, specialmente nel settore della marina, debolezza strutturale della Cina che aveva pagata caramente durante le colonizzazioni europee di metà XIX secolo.


Il possesso di armi nucleari rappresentava un’altra necessità strategica fondamentale agli occhi di Mao, consapevole del rischio di affidarsi unicamente all’ombrello nucleare sovietico, del quale per altro non era certo di potersi fidare completamente. Le prime richieste di supporto per la costruzione di un programma nucleare vennero rifiutate da Mosca, con il pretesto che la Cina non possedeva le capacità finanziarie necessarie per imbarcarsi in una simile iniziativa. Alla fine, grazie alle concessioni cinesi sullo sfruttamento delle proprie miniere di uranio, nel 1954 fu raggiunto un accordo tra i due vicini, con l’Unione Sovietica che mise a disposizione ingegneri, equipaggiamento e un reattore nucleare ad acqua pesante.


In ambito internazionale, Pechino e Mosca si trovarono spesso - più per convergenza degli obiettivi strategici che per sincera cooperazione - a presentarsi come un blocco unico. Significativo fu lo sforzo congiunto per convincere il leader comunista del Vietnam del Nord, Ho Chi Minh, ad accettare la temporanea divisione del Vietnam certificata dall’Accordo di Ginevra del 1954. In nome della fratellanza tra i due più importanti partiti comunisti, i sovietici abbandonarono la base militare di Port Arthur (oggi Lüshunkou, all’estremità della penisola di Liaodong), lasciandone la piena sovranità alla Cina[8].

Fig.4: Questo poster propagandistico degli anni Cinquanta dichiara “amicizia eterna” tra i due Paesi. Fonte: CinaOggi

6. Le prime crepe ideologiche


Pragmatismo e necessità economico-strategiche avevano rappresentato la bussola dei rapporti sino-sovietici durante tutti gli anni Cinquanta, durante i quali entrambe le superpotenze necessitavano di stabilità reciproca per dedicarsi allo sviluppo economico e alla ridefinizione degli assetti politici interni. Ma ben presto le diverse visioni sulle basi ideologiche del marxismo-leninismo e le mai sopite divergenze di interessi nazionali cominciarono a mettere in crisi la solidità apparentemente granitica dell’amicizia tra i due Paesi.


La morte di Stalin, e la salita al potere di Nikita Khrushchev, impressero una decisa svolta nello stile di leadership sovietico, e portarono in definitiva ad una rottura inconciliabile tra i due Partiti Comunisti. Il 25 febbraio 1956, dopo la fine ufficiale del XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), Khrushchev, dinnanzi allo sgomento di tutti i delegati presenti, si lanciò in una lunga invettiva contro gli errori e i crimini del suo predecessore, dichiarando la necessità di una “de-stalinizzazione” della politica del PCUS. In particolare, ciò che più contrariò Mao fu l’enfasi posta sul rifiuto del culto della personalità del leader, processo che il Grande Timoniere stava portando avanti con successo in patria, e sulla necessità di “coesistenza pacifica” con gli Stati Uniti, ben lontana dall’idea di “rivoluzione continua” e “lotta all’imperialismo” che costituivano i cardini ideologici del PCC[9].


La fiducia reciproca tra le due leadership cominciò ad affievolirsi sempre di più. La collaborazione in campo nucleare procedeva sempre più lentamente, con Mosca che, nella visione di Pechino, voleva in realtà soggiogare la Cina integrandola come subordinata nelle proprie strutture, invece che sponsorizzarne la crescita indipendente.


La radicalizzazione del PCC e la decisa svolta autoritaria voluta da Mao non piacquero affatto all’Unione Sovietica, memore delle simili iniziative staliniane degli anni Trenta. Il Grande Balzo in Avanti (1958-1961), colossale piano economico e sociale della Repubblica Popolare per industrializzare rapidamente la Cina, venne accolto con grande freddezza a Mosca, e ciò convinse Mao dell’intrinseco “revisionismo” all’interno della leadership sovietica, e della distanza ideologica ormai incolmabile tra i due sistemi che volevano affermarsi come riferimento internazionale del mondo comunista[10].


Al XXII Congresso del PCUS, la proposta sovietica di abbandonare la “dittatura del proletariato” in favore della “dittatura del popolo” fu la goccia che fece traboccare il vaso: Zhou Enlai, primo ministro cinese, abbandonò la riunione e, tornato in patria, annunciò solennemente che “la Repubblica Popolare non si sottometterà mai all’Unione Sovietica, e farà affidamento unicamente sulle proprie forze per conseguire il socialismo”[11]. Nel 1966, Mao declinò l’invito al XXIII Congresso del PCUS, terminando ufficialmente le relazioni tra i due governi. Per rivedere un incontro formale tra i due leader dell’URSS e della RPC si dovette aspettare fino al 1989, con la visita di Gorbachev a Pechino da Deng Xiaoping.


Il periodo della crisi sino-sovietica era ufficialmente iniziato.


(scarica l'analisi)

Breve storia delle relazioni tra Cina e Russia. Un’amicizia con molti limiti
.pdf
Scarica PDF • 578KB

Note

[1] Cfr. S. Bordone, I Rapporti Sino-Russi dalle origini alla proclamazione della Repubblica Popolare Cinese, in Il Politico, Settembre-Dicembre 2014, vol. 79, n.3, p. 88-90 [2] M. Mancall, Russia and China, Their Diplomatic Relations to 1728, Cambridge (Massachussetts), 1971, p 162 [3] Cfr. G. Borsa, Dieci anni che cambiarono il mondo 1941-1951, Milano, 1995, pp. 27-33 [4] A. B. Ulam, Storia della politica estera sovietica (1917-1967), Milano, 1970, pp. 678-680 [5] Il testo integrale del trattato si può consultare in The American Journal of International Law, Cambridge (Massachussetts), aprile 1946, vol. 40, n. 2, pp.51-63, [6] A. B. Ulam. op.cit., p.703 [7] Cfr. J. Niu, The Birth of the People's Republic of China and the Korean War , in M. P. Leffler, O.A. Westad (eds.), The Cambridge History of the The Cold War, Cambridge & New York, 2010, Vol. I, pp. 221-241. [8] Cfr. A. Berkofsky, Russia and China: The Past and Present of a Rocky Relationship, in Il Politico, op.cit., pp.108-112 [9] Per un approfondimento sulla reazione cinese al XX Congresso del PCUS, cfr. L. M. Lüthi, The Sino-Soviet Split, Princeton, 2008 (X edizione), pp. 46-54 [10] Luthi, op. cit., pp. 109-115 [11] Li P., and Ma Z. (eds.), Zhou Enlai nianpu, 1949–1976 [A Chronicle of Zhou Enlai’s Life, 1949–1976], Pechino, 1997, vol.2, p. 442


Bibliografia

  • A. Berkofsky, Russia and China: The Past and Present of a Rocky Relationship, in Il Politico, Settembre-Dicembre 2014, vol. 79, n. 3, pp. 108-123

  • S. Bordone, I Rapporti Sino-Russi dalle origini alla proclamazione della Repubblica Popolare Cinese, in Il Politico, Settembre-Dicembre 2014, vol. 79, n.3, pp. 88-107

  • G. Borsa, Dieci anni che cambiarono il mondo 1941-1951, Milano, 1995

  • Li P., and Ma Z. (eds.), Zhou Enlai nianpu, 1949–1976 [A Chronicle of Zhou Enlai’s Life, 1949–1976], Pechino, 1997, vol.2

  • L. M. Lüthi, The Sino-Soviet Split, Princeton, 2008 (X edizione)

  • M. Mancall, Russia and China, Their Diplomatic Relations to 1728, Cambridge (Massachussetts), 1971

  • J. Niu, The Birth of the People's Republic of China and the Korean War , in M. P. Leffler, O.A. Westad (eds.), The Cambridge History of the The Cold War, Cambridge & New York, 2010, Vol. Ic

  • The American Journal of International Law, Cambridge (Massachussetts), aprile 1946, vol. 40, n. 2, pp.51-63,

  • A. B. Ulam, Storia della politica estera sovietica (1917-1967), Milano, 1970


686 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page