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La politica internazionale in "salsa cinese"

Aggiornamento: 1 apr 2023

L’inizio dello storico terzo mandato di Xi è stato caratterizzato da un rinnovato impegno della Cina come potenza diplomatica mondiale. L’accordo di pace tra Iran e Arabia Saudita rafforza l’immagine della Repubblica Popolare come broker internazionale di pace. Ma difficilmente Xi potrà (o vorrà) ripetere l’exploit a Mosca nella sua prossima visita. Più che la pace in Ucraina, l’obiettivo dell’ex Impero del Centro è quello di proporre ai Paesi “non allineati” una nuova visione di come dovrebbero essere strutturate le relazioni internazionali. Ovviamente in salsa cinese.


L’accordo tra Iran e Arabia Saudita


Xi Jinping, fresco di ufficializzazione dell’inizio del suo terzo mandato da presidente della Repubblica Popolare Cinese, è immediatamente passato all’attacco nell’arena diplomatica e geopolitica mondiale, desideroso di mettere a frutto le opportunità che la peculiare posizione internazionale della Cina può offrigli.


Il ruolo di mediatore nell’eterna contesa tra Arabia Saudita e Iran, riconosciuto profusamente da entrambi i contendenti, è solo il primo passo di una rinnovata assertività cinese in aree anche lontane dai propri interessi strettamente regionali. Analizzando più da vicino le ragioni che hanno portato la Cina a impegnarsi in questa partita, le si possono racchiudere in due categorie.


La prima: interessi economici e infrastrutturali. Già a dicembre, Xi e il re saudita Salman bin Abdulaziz avevano firmato un accordo di partenariato strategico per un valore complessivo di 30 miliardi di dollari. Inoltre, è bene ricordare come dal Medio Oriente provenga più del 50% delle importazioni di idrocarburi cinesi, con l’Arabia Saudita quale primo fornitore. Anche l’Iran, alleato storico in funzione anti-americana, rientra nei progetti di potenziamento del corridoio terreste delle Vie della Seta centroasiatico e mediorientale, alternativo a quello passante per Russia e Ucraina, ad oggi reso quasi impraticabile dalla guerra. In questa prospettiva va ricondotto il desiderio cinese di porsi come Paese di riferimento per le ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale, sottolineato dal protagonismo di Xi al vertice di Samarcanda dello scorso autunno.


La seconda: miglioramento dell’immagine internazionale e rafforzamento di un soft power sinico in difficoltà. Necessità che, nella visione globale di un leader che vuole essere ricordato nei libri di storia come colui che ha riportato la Cina in cima alla piramide delle potenze, può addirittura essere gerarchicamente più importante della parte strettamente economica. Innanzitutto, riuscire con tanta efficacia a essere protagonisti in un’area del mondo tradizionalmente a trazione statunitense è una grande vittoria di per sé. Gli interlocutori a cui la Cina vuole apparire quale riferimento alternativo per il mantenimento della pace e della stabilità globale non sono tanto i Paesi occidentali, visti come succubi del padre-padrone a stelle e strisce, e in ogni modo in decadenza da tempo, ma tutti quei “non allineati” che si sentono adeguatamente rappresentati dal sistema unipolare con protagonista gli Stati Uniti.


Dimostrazione plastica di questa disaffezione verso gli interessi e le richieste americane è stata l’ultima votazione alle Nazioni Unite di condanna verso la guerra d’aggressione russa. Benché la stragrande maggioranza dei Paesi si sia dichiarato d’accordo, l’astensione di Stati come la Cina stessa, l’India, il Pakistan, il Sudafrica ha fatto sì che più della metà della popolazione mondiale sia rappresentata da governi che o approvano il comportamento russo, o quantomeno non vogliono prendere posizione in un conflitto nel quale l’Occidente sta impegnando a pieno motore la propria macchina industriale e propagandistica. Messaggio che è arrivato forte e chiaro alla leadership del Partito Comunista: si sono aperti spazi di manovra che fino a qualche anno fa apparivano inimmaginabili.


Le Iniziative Globali di Xi Jinping


“Rispetto della sovranità e l’integrità territoriale di ogni nazione”, “fine della mentalità da guerra fredda”, “riguardo nei confronti delle necessità di sicurezza di tutti i Paesi”: questi i concetti più pregnanti che la Cina ha voluto esprimere con forza nel recente Position paper on the settlement of the Ukraine Crisis in 12 punti.


Questo documento, lontano dall’essere un concreto progetto di pace duratura in Ucraina, vuole segnalare piuttosto agli occhi di quegli Stati che stanno soffrendo le conseguenze del conflitto (crisi alimentare, rallentamento delle catene di approvvigionamento, effetti indiretti delle sanzioni), e che non hanno particolare interesse nel prendere posizione per uno dei due contendenti, che la Cina è l’unica in grado di proporre una visione del mondo, basata sul multipolarismo e la non ingerenza negli affari interni, alternativa a quella (fallimentare) a stelle e strisce. Musica per le orecchie di tanti governi che rifiutano la dicotomia tra democrazie e autocrazie come distinguo principale tra alleati e nemici, che anzi ritengono essere eco del passato colonialista e paternalistico occidentale. Critiche a cui la Cina, essendo essa stessa stata colonizzata dalle potenze europee alla fine del XIX secolo, è immune.


Ma l’attivismo diplomatico cinese non si limita alla guerra d’Ucraina. Di poco precedente al suddetto documento, quasi come se ne fosse una base teorica, il ministero degli esteri di Pechino ha pubblicato sul proprio sito la cosiddetta Iniziativa di Sicurezza Globale (ISG). Di nuovo il concetto di “indivisibilità della sicurezza”, utile per le rivendicazioni cinesi su Taiwan e sul Mar Cinese Meridionale, viene posto come cardine per la stabilità del futuro mondo multipolare che immagina la Cina. Non è un caso che il Global Times, quotidiano del Partito in lingua inglese, abbia definito l’accordo mediorientale come esempio concreto della potenzialità dell’ISG nella risoluzione di controversie, anche tra Paesi tanto distanti tra loro come Iran e Arabia Saudita.


Ciò che ora serve a Pechino sono alcuni partner importanti che possano sostenere le proprie rinnovate ambizioni geopolitiche. Ed è ben consapevole dell’importanza di conquistare i cuori, oltre che le menti, dei Paesi che per decenni sono rimasti ai margini del modello di crescita in stile occidentale. Ecco perché all’ISG è stata affiancata l’Iniziativa per la Civiltà Globale (IGC), nella quale Xi in prima persona ha voluto delineare l’idea di modernizzazione “in stile cinese”, i cui cardini sono indipendenza, autosufficienza, e rispetto delle diversità culturali e storiche. Ben diverso dal modello di relazioni internazionali a trazione statunitense, legato a un’idea di egemonia e sfere d’influenza, contro il quale la Cina sa di poter offrire “un sistema sociale migliore”.


Conclusione

Gli occhi del mondo ora si sposteranno su Mosca, dove si consumerà il tanto atteso incontro tra Xi e Putin, forse seguito da un colloquio anche con Zelensky, che sarebbe il primo tra i due leader dallo scoppio della guerra ad oggi. L’incontro al Cremlino, oltre a cementare una partnership sempre più sbilanciata a favore di Pechino, come già brillantemente sottolineato da Alexander Gabuev su Foreing Affairs, potrebbe rivelarsi la vetrina perfetta per dimostrare la capacità cinese di porsi come riferimento diplomatico nelle principali controversie mondiali, cercando di ribaltare la narrativa occidentale di una Cina aggressiva con i propri vicini e pericolosa per la sicurezza nazionale dei propri rivali (baloon gate, inferenze nella raccolta dei dati, assertività militare nel Mar Cinese Meridionale).


In un mondo sempre meno occidentale-centrico, gli ex Paesi non allineati sono la nuova posta in gioco per le grandi potenze. La Cina, saldamente guidata dall’uomo più potente dai tempi di Mao, non esiterà a giocarsi tutte le carte a propria disposizione.

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