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Il Parlamento Europeo e la Cina: David contro Golia

Il Parlamento Europeo di Bruxelles via Pexels

1. Introduzione


Nel 1975, la Comunità Economica Europea, poi evolutasi nell’attuale Unione europea (UE), avviò le sue relazioni diplomatiche con la Cina. Poco prima vi era stato il riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese come unico governatore della Cina da parte di diversi Stati membri europei (tra cui la Francia nel 1964, l'Italia nel 1970, la Germania e il Regno Unito nel 1972), e qualche anno dopo sarà firmato il primo accordo commerciale tra Europa e Cina (1978).


Quasi in contemporanea, Roy Jenkins, Presidente della Commissione europea dal 1977 al 1981, visitò la Cina nel tentativo di aprire la strada a relazioni più strette. In questa occasione, egli stesso dichiarò:

“[Europa e Cina] dovrebbero cogliere l'occasione [...] per intensificare i nostri contatti [...] e rendersi conto, in un clima di fiducia reciproca, dell'enorme potenziale economico che rappresentiamo gli uni per gli altri.”

Alla fine degli anni '70, la Cina cominciò ad aprirsi al mondo esterno. Sotto la guida di Deng Xiaoping, la politica delle porte aperte spinse gradualmente la Cina a imboccare due strade: il decentramento dei poteri e la liberalizzazione economica.


A una integrazione economica liberale si accompagnò anche una maggiore integrazione politica: nel 1979, Bruxelles e Pechino costituirono un comitato misto di funzionari, mentre nel 1984 si svolsero consultazioni regolari a livello ministeriale nel quadro della Cooperazione politica europea.


Questo graduale avvicinamento tra i due attori spinse il Parlamento Europeo (PE) a intraprendere dei rapporti formali con lo l’Assemblea Nazionale del Popolo, mentre nel 1985 venne firmato il primo vero Accordo sul Commercio e la Cooperazione Economica tra Pechino e Bruxelles, il quale divenne in seguito la base giuridica del loro rapporto interparlamentare.


Alla fine degli anni '80, durante questo periodo di apertura, ci fu un diffuso senso di speranza e ottimismo che queste riforme economiche avrebbero potuto anche potenzialmente portare a riforme politiche. A prova di ciò, la Commissione europea fu così fiduciosa di questo sviluppo che decise di aprire una rappresentanza permanente a Pechino nel 1988. Tuttavia, questo ottimismo fu di breve durata, poiché gli eventi verificatisi nel 1989 sfidarono le speranze e sogni di milioni di cinesi.


2. Tiananmen: il risveglio dal sogno europeo


Quando gli Stati europei si impegnarono a riconoscere la Cina, Deng Xiaoping ammise in parte i fallimenti della rivoluzione culturale promuovendo l'idea di "portare ordine fuori dal caos” (拨 乱 反 正 - [boluan fanzheng]) attraverso delle misure concrete e mirate.


Queste riforme economiche non solo aprirono l'economia e la struttura del potere cinese, ma portarono alla nomina nel Partito Comunista Cinese (PCC) di nuovi leader liberali, tra cui Zhao Ziyang e Hu Yaobang, i quali erano ben visti dal Parlamento Europeo in quanto portatori e rappresentanti di idee più “vicine” all’occidente.


Alla fine degli anni '80, la Cina si modellò all'influenza pervasiva dell'onda liberalista, la quale si insinuò in ogni strato della società cinese, scatenando molte proteste guidate dagli studenti e professori che erano stati discriminati durante la rivoluzione culturale. Al contempo, il Parlamento prendeva nota e richiedeva a Pechino di ascoltare quanto stava avvenendo in piazza Tiananmen. Questo clima teso peggiorò quando il leader liberale Hu Yaobang morì nel 1989, creando un’onda centripeta all’interno della piazza.


Spontaneamente, altre migliaia di studenti si riunirono in piazza Tiananmen per protestare, chiedendo riforme più liberali. Per sostenere il loro messaggio, una statua della dea della democrazia fu costruita e posta al centro della piazza. Pochi mesi dopo questa costruzione, nel mese di giugno, l'Esercito Popolare di Liberazione avanzò su Pechino e brutalmente sgomberò la piazza.


A seguito di questo giro di vite sui manifestanti pro-democrazia nel 1989, molti Stati membri interruppero le loro relazioni diplomatiche con Pechino. Lo stesso Parlamento Europeo decise di interrompere i rapporti interparlamentari con l’Assemblea Nazionale, avvertendo che l’abuso dei diritti umani avrebbe danneggiato la relazione tra UE e la Cina. Inoltre, il Consiglio europeo condannò "la brutale repressione in atto" e impose una serie di sanzioni, tra cui l’embargo sulle armi.


La violazione dei diritti dell'uomo e dei principi democratici in Cina portò alla consapevolezza all'interno della Comunità europea che qualsiasi tentativo di riforma politica liberale in Cina era fallito. Questo incidente servì come un campanello d'allarme e sottolineò la necessità di promuovere i diritti fondamentali in Cina. E uno dei primi attori europei a muoversi in questa direzione fu, appunto, il Parlamento Europeo.


3. Da Tiananmen allo Xinjiang: il ruolo del Parlamento europeo nella difesa dei diritti umani


Nel 1994, su richiesta dell'Ufficio di Presidenza del Parlamento Europeo, la Direzione Generale per la Ricerca, in collaborazione con l'Unità per i Diritti Umani, pubblicò "Il Parlamento Europeo e i diritti umani." Come risposta indiretta agli incidenti di Tiananmen, il Parlamento volle ribadire l'importanza dei diritti umani fornendo un elenco cronologico di tutte le risoluzioni del PE che avevano condannato tali abusi dal luglio 1989 al luglio 1993.


Secondo quel documento, il Parlamento aveva adottato 345 risoluzioni, di cui otto rivolte alla Cina sulle 63 concernenti l’Asia. Inoltre, erano state presentate 147 interrogazioni parlamentari sulle stesse questioni nei confronti della Cina. Ciò indicò una crescente consapevolezza delle violazioni dei diritti fondamentali non solo in generale, ma in particolare in Asia, dove diversi Paesi stavano registrando una notevole crescita economica, denominata ‘The East Asian Miracle’, secondo la relazione annuale della Banca mondiale.


Nel 1995, il Parlamento pubblicò la risoluzione sull'anniversario del massacro di piazza Tiananmen, che ricordava "la condanna per la dura repressione da parte delle autorità cinesi nei confronti delle manifestazioni pro-democrazia a Pechino", invitando "la Commissione e il Consiglio a sottolineare il loro riguardo verso i diritti umani nei rapporti diplomatici e commerciali con le autorità cinesi". Inoltre, ricordò "al governo cinese che lo sviluppo delle relazioni dell'UE con la Cina dipenderà in gran parte dall'atteggiamento del governo cinese nei confronti dei diritti umani".


Questa grande preoccupazione parlamentare era condivisa in tutti i settori, compresa la Delegazione per le Relazioni con la Repubblica Popolare Cinese. I diritti umani sono stati la priorità assoluta tra i numerosi scopi della Delegazione. Ad esempio, a causa di violazioni dei diritti umani, nel 1991 è stato concesso alla Delegazione di visitare e interagire con i rappresentanti del Tibet come prova del fatto che il Parlamento volesse essere proattivo nei luoghi in cui si erano verificati tali abusi.

Studenti cinesi che protestano in Piazza Tiananmen via Northern_Square (IG)

In effetti, l'importanza dell'istituzione della Delegazione parlamentare per la Repubblica Popolare Cinese può essere pienamente apprezzata nel contesto della crescente partecipazione del Parlamento alla politica estera dell'Unione europea e, in particolare, nella salvaguardia dei diritti umani. Diventando sempre più un attore autonomo in questo scenario, il Parlamento ha promosso la propria filosofia strettamente legata ai valori fondamentali dell’Unione, scontrandosi non poche volte con Pechino. Nel 2004, Yuchun Lan pubblicò un documento intitolato "Il Parlamento Europeo e la questione Cina-Taiwan: un approccio empirico" in cui dimostrava concretamente come il Parlamento non solo si fosse discostato dalle posizioni della Commissione e del Consiglio (come nel caso del'approvazione del PE nella domanda di adesione di Taiwan al l'ONU), ma come avesse anche assunto posizioni antitetiche rispetto all'impegno dell'UE e al riconoscimento della 'One China Policy', indicando Taiwan[1] come 'Repubblica di Cina'.


Di conseguenza, il Parlamento Europeo si è adoperato per equilibrare la promozione degli interessi economici del Consiglio e dei Commissari e la difesa dei diritti umani e dei valori democratici. Ciò significa che il PE ha garantito che gli interessi economici non fossero perseguiti ad ogni costo, ma che venissero controbilanciati con gli interessi fondamentali dell’Unione. Inoltre, per quanto riguarda il mandato di promuovere i diritti umani e la democrazia nel rispetto dei valori europei, il Parlamento si è anche pronunciato contro la revoca dell'embargo cinese sulle armi deciso nel 1989, opponendosi veementemente al fine di sottolineare l'importanza delle preoccupazioni in materia di diritti umani.


Un altro esempio può essere esplorato nel caso dello Xinjiang. Secondo Amnesty, nella regione autonoma uigura dello Xinjiang nord-occidentale della Cina, più di 1 milione di uiguri, kazaki e gruppi etnici musulmani sono stati internati in "campi di istruzione" e in altre strutture coercitive analoghe.


Nello stesso periodo, l’UE apriva i negoziati con la Cina su ciò che sarebbe diventato uno degli accordi più importanti e grandi in termini di numero persone coinvolte, l'accordo globale sugli investimenti, chiamato anche CAI. Concretamente, si tratta di un accordo che tenta di sostituire i 25 trattati bilaterali di investimento considerati obsoleti tra la Cina e gli Stati membri dell'UE, al fine di stabilire un quadro giuridico uniforme per gli investimenti UE-Cina. Se adottato, cambierebbe radicalmente il rapporto tra gli Stati Membri e la Cina, in quanto, più volte Pechino ha usato gli investimenti diretti esteri come arma politica per condizionare il comportamento di alcuni Paesi.


Il negoziato è stato lungo e faticoso in quanto vi erano molti punti contrastanti con la normativa europea, come: la trasparenza, i diritti dei lavoratori, l’impatto ambientale degli investimenti e uguale accesso al mercato cinese da parte di aziende europee. Nonostante le difficoltà interne all’accordo, anche esternamente vi erano diversi problemi. Uno tra questi era legato alla questione dello Xinjiang.


Questa preoccupazione ha raggiunto il suo apice con la fuoriuscita dei cosiddetti “Xinjiang Papers”. Provocando scalpore in tutto il mondo, queste 400 pagine di documenti riservati del governo cinese spiegano in dettaglio il trattamento dei musulmani uiguri.


È stato un ‘leak’ così sensazionale che il New York Times lo ha definito come "una delle fughe di notizie di documenti governativi più significative all'interno del partito comunista cinese”.


Di conseguenza, nel 2020, il Parlamento Europeo pubblicò una risoluzione sul lavoro forzato e la situazione uigura, in cui "deplora profondamente le persecuzioni in corso e le gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani che costituiscono crimini contro l'umanità", dichiarando che "la lotta contro il lavoro forzato è una priorità [...] e, anche nel quadro dell'accordo globale sugli investimenti, gli investimenti dell'UE dovranno rispettare le pertinenti convenzioni dell'OIL sul lavoro forzato”.


Aderendo ai valori europei che caratterizzano la sua identità politica, il Parlamento aveva chiaramente esternato le sue preoccupazioni in merito alla violazione dei diritti umani della Cina nell'accordo internazionale tra Bruxelles e Pechino, in particolare – come si vedrà meglio più avanti - nel caso dell’Accordo comprensivo sugli investimenti (CAI), mettendosi formalmente contro con il dragone cinese.


4. Il momento della rottura: le contro-sanzioni cinesi e il gelo parlamentare


Nel 2021, dopo che il Consiglio sanzionò cinque cittadini cinesi "responsabili di gravi violazioni dei diritti umani", la Cina rispose con contro-sanzioni su cinque eurodeputati, tre parlamentari degli Stati membri dell'UE e due think tank. Nonostante quest’azione politica sia considerata come un importante regresso nelle relazioni UE-Cina, è da sottolineare però come inizialmente il dibattito del PE sull’accordo degli investimenti non fu molto acceso: tuttavia, queste contromisure inaspettate attirarono l'attenzione parlamentare sull’accordo sugli investimenti, aumentando le loro perplessità a riguardo.


In effetti, nella Risoluzione UE (2021/2644) del 20 Maggio 2021, il PE ha perentoriamente dichiarato che "qualsiasi discussione sulla ratifica da parte del Parlamento europeo è stata giustamente congelata a causa delle sanzioni cinesi in vigore”, avvertendo che la Commissione dovrebbe chiedere il parere del Parlamento prima di procedere verso la finalizzazione di questo accordo.


Reinhard Bütikofer, presidente della Delegazione per la Cina, ha detto che "il destino di questo accordo è molto in discussione”, esprimendo il sentimento unitario del Parlamento che chiede la revoca delle sanzioni prima di qualsiasi ulteriore progresso, anche se tutti gli attori coinvolti sanno che questo accordo è troppo cruciale per essere lasciato morire poiché rappresenterebbe il primo accordo internazionale assoluto sugli investimenti tra Bruxelles e Pechino.


In qualità di solido difensore dei diritti, il ruolo del Parlamento Europeo è stato l’unico a ricordare alle altre istituzioni che un attacco frontale contro un organo dell'Unione europea è considerato un attacco all'intera Unione. E, ciò che è successo è che le richieste sensibili provenienti dal Parlamento europeo non sono state ascoltate non solo dal Partito Comunista Cinese, ma neppure dalla Commissione e dal Consiglio. Quindi, se questo feedback viene trascurato, si rischia che il Parlamento dirà di no al CAI, perché nessuna delle sue raccomandazioni sono state prese in considerazione.


Già in passato, intorno agli anni 2000, quando l’UE e la Cina stavano vivendo ciò che venne denominata “luna di miele”, il Consiglio propose di levare le sanzioni decennali imposte alla Cina, tuttavia, il Parlamento si oppose fermamente, in quanto vi erano seri abusi dei diritti umani in Tibet. Difatti, il PE divenne uno dei promotori dell’iniziativa di boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino del 2008, scontrandosi con il Consiglio su questa decisione.


Esaminando il ruolo del Parlamento Europeo nella politica estera dell'Unione europea, si può notare come ci siano degli episodi di attrito interistituzionale e come questi si riflettano poi nella relazione con Pechino. Come ha commentato il Commissario Europeo per il Commercio Valdis Dombrovskis: "non possiamo ignorare il più ampio contesto delle relazioni tra l'UE e la Cina", includendo il Parlamento come altro papabile attore da tenere al tavolo dei grandi. Le altre due grandi istituzioni europee, cioè la Commissione e il Consiglio, tendono a privilegiare gli aspetti economici e culturali rispetto a quelli sociali. Questo è dovuto anche ad una diversa missione e diversa impostazione nell’approccio con la Cina. Il Parlamento è direttamente eletto dai cittadini europei e devono rendere loro conto, mentre nelle altre due istituzioni, vi sono più attori in gioco, come lobby, investitori, compagnie private e ONG.


Il Parlamento si è sempre posto a capo di questa battaglia con Pechino, e mesi fa, ha accolto l’iniziativa di dieci gruppi per i diritti umani, i quali hanno affermato che l'UE dovrebbe dare priorità ai diritti in relazione alla Cina, sostenendo il ruolo del Parlamento come difensore dei diritti umani nell'Unione europea. Tuttavia, il numero di occasioni in cui l'Unione potrebbe interagire con la Cina è diminuita, poiché l'Assemblea interparlamentare UE-Cina è attualmente sospesa.


Anche se attualmente non ci sono contatti diretti a livello parlamentare, e l’accordo sugli investimenti è stato burocraticamente congelato, non è morto. Ogni azione politica ha alcuni significati impliciti nascosti, per esempio, uno dei motivi per cui non si è discusso il CAI quando Ursula von der Leyen è volata in Cina nell'aprile 2023, potrebbe essere stato quello di non provocare un rifiuto pubblico da parte di Xi Jinping dell'accordo.


Di conseguenza, il CAI inaugura un nuovo empasse politico nella relazione UE-Cina, nel quale il Parlamento europeo è una componente chiave e si scontra sistematicamente con la Cina. Pertanto, quanto più l'accordo tra Pechino e Bruxelles sarà di importanza strategica, tanto più aumenterà la posizione del Parlamento europeo tra i vari interlocutori internazionali.


5. Conclusioni


Sin dagli anni ’90, il Parlamento si è fatto promotore dei valori europei, trovandosi sistematicamente in contraddizione con i valori cinesi. Liberalismo contro socialismo, individuo contro la collettività e universalismo contro particolarismo: sono queste le principali lotte che vedono l’Unione, e in primis, il Parlamento a scontrarsi con un gigante economico, quale è la Cina.


In una realtà più diplomatica, il Parlamento ha provato a ingaggiare Pechino attraverso un dialogo sui diritti umani più serrato e pragmatico; tuttavia, nonostante un primo periodo di effettivo miglioramento, questo tema è diventato un tabù per la dirigenza cinese e viene trattato in pochissimi fora, come il dialogo per i diritti umani tra l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea e la Cina.


È evidentemente uno scontro impari, soprattutto, se si ricorda anche come in alcune vicende il Consiglio e la Commissione hanno scavalcato le considerazioni e le priorità del Parlamento per assecondare volontà politiche ben precise mirate solo all’aspetto economico, trascurando quello dei diritti umani. Tuttavia, nonostante le sanzioni, il Parlamento è saldo nella sua posizione a difesa dei diritti umani contro una Cina sempre più assertiva e, in un certo senso, potente, dato l’avvicinamento di Mosca a Pechino.


Per aspettare il prossimo episodio di scontro diretto tra David e Golia, è necessario attendere le elezioni europee del 2024. Solo allora, la Cina, potrà comprendere quanto ancora il Parlamento è robusto e unito, e se è possibile trovare compromessi che portino a un passo avanti verso la chiusura e ratifica del CAI, senza però fare passi indietro sul campo dei diritti umani.


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Il Parlamento Europeo e la Cina_David contro Golia_Simone Crotti
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Note

[1] In questa analisi, il termine "Taiwan" è usato per indicare, dal punto di vista geografico, l'isola e, dal punto di vista politico, la "Repubblica della Cina (Taiwan)", che ha giurisdizione esclusiva sulla stessa isola, così come le isole Penghu, le isole Kinmen, le isole Kinmen e altre isole minori.


Bibliografia


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  • Antonio Angelino, “Il ‘miracolo asiatico’ nei documenti della world bank (modelli di industrializzazione a confronto dagli anni ’90 alla crisi globale)”, Il politico 79, no. 2 (2014), 196.


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  • Hui Wang, China's New Order: Society, Politics, and Economy in Transition. trans. Rebecca Karl (Cambridge: Harvard University Press, 2006), 97.


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  • Yen-Lin Chung, “The Ousting of General Secretary Hu Yaobang: The Roles Played by Peng Zhen and Other Party Elders”, China Review 19, no. 1 (2019), 94.


  • Yuchun Lan, “The European Parliament and the China–Taiwan Issue: An Empirical Approach”, European Foreign Affairs Review 9, no. 1 (2004), 128.


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