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Verso le elezioni europee 2019: Intervista a Francesco Tufarelli

Aggiornamento: 14 nov 2020

Quelle del 23-26 Maggio sono state le elezioni, considerate da più analisti, tra le più importanti della storia dell’Unione europea. Infatti, se da un lato c’è stata l’incognita di BREXIT, che ha visto comunque la partecipazione del Regno Unito, dall’altra probabilmente, si potrebbe assistere ad un mutamento della scena politica grazie all’avanzata dei partiti “euroscettici”. In questa intervista al dott. Tufarelli, presidente di Europolitica, analizziamo come si sono preparati al voto i principali paesi europei e che direzione potrà intraprendere l’Unione europea, a seguito del rinnovo delle sue istituzioni.

Come stanno approcciando i Paesi europei queste elezioni europee?

Innanzitutto, abbiamo un problema atavico dei Paesi europei i quali si approcciano spesso alle elezioni europee come se fossero elezioni nazionali. Ne è di esempio il caso spagnolo il quale si appresta a confermare le recenti elezioni interne e questo si riflette nelle campagne elettorali nelle quali si trovano a parlare delle politiche nazionali. Paradossalmente, l’eccezione in questo caso potrebbe essere l’Inghilterra, la quale tirata dentro in queste elezioni, nonostante il discorso Brexit, in realtà rappresenta un punto interrogativo sul quale possa essere la reazione del popolo britannico. Detto ciò, queste elezioni hanno un pregio, almeno in Italia, ossia il fatto di essere le uniche elezioni che in realtà danno un quadro preciso delle forze politiche, in quanto le uniche elezioni con la preferenza multipla e con la proporzionale pura. Per questi motivi solo dalle europee esce precisamente il risultato elettorale, dove si conosce precisamente la percentuale di preferenza del partito e del singolo candidato, consolidando di fatto il voto. Elemento fondamentale, che dobbiamo ricordare, è che le elezioni europee non modificano la composizione dei parlamenti nazionali, quindi anche ove ci fossero degli scompensi molto forti, questi dovrebbero essere seguiti da delle elezioni politiche per avere veramente un risultato, per cui di per sé il solo spostamento delle percentuali europee non dovrebbero avere delle conseguenze nella politica locali, ed ecco perché è sbagliato l’approccio alle elezioni europee come se fossero delle elezioni locali. Detto ciò, noi abbiamo una differenza atavica rispetto alle precedenti elezioni perché, mentre in Europa c’è stata sempre una certa chiarezza sulle grandi famiglie europee, avendo i popolari, socialisti e i liberali, con i primi due che si alternavano alla guida della Commissione e Parlamento e gli altri erano fondamentali per costruire le alleanze. Già nella scorsa legislatura abbiamo assistito a questa staffetta, ad esempio nel Parlamento Europeo tra socialisti e popolare e, una Commissione costituita da un popolare con un vicepresidente socialista, realizzando una sorta di coabitazione. Adesso abbiamo un terzo elemento, cioè questi paesi in cui stanno iniziando ad emergere dei partiti che si autodefiniscono sovranisti piuttosto che altri populisti, i quali si caratterizzano per delle idee che non sono ascrivibili alla grande tradizione europea dei socialisti, popolari, dei verdi o conservatori, bensì sono dei nuovi partiti con un nuovo approccio, alcuni dei quali in linea con una ideologia sovranista, che di fatto smentisce un po' il disegno dell’Unione europea, di tipo comunitario, il quale non lascia molto spazio ai sovranismi. Quando si parla di populisti invece, si pongono con un atteggiamento di grande sfiducia nelle istituzioni europee, perché anche quelli che accettano l’Unione europea, quindi non coloro che vorrebbero proprio uscirne, affrontano il problema con l’idea di una grande riforma delle istituzioni europee. Il dubbio vero è se questi riusciranno a costruire una massa critica, infatti i passaggi sono vari: in primo luogo avere una rappresentanza politica, cosa che questi partiti non hanno nei propri paesi e quindi sostanzialmente creando più rumore che voti effettivi; in secondo luogo, se a livello di Parlamento Europeo, questa massa critica possa essere sintetizzata in una forza politica omogenea, cosa non scontata, in quanto come visto nelle recenti “réunion” in giro per l’Europa, in realtà producono una qual certa confusione negli obiettivi, negli ideali, nella scelta dei leader e soprattutto dove le politiche nazionali non coincidono con quelle europee, dove gli aulici annunci di collaborazioni in realtà si trasformano in evidenze di programmi profondamente diversi. Inoltre, molto spesso non hanno una rappresentanza parlamentare, dove ricordiamo che a livello di Parlamento Europeo è richiesto un numero di paesi per costituire un gruppo parlamentare, concetto recentemente ribadito nelle ultime sedute del Parlamento stesso, il quale ha fatto riferimento anche ad una comunanza di valori all’interno del gruppo. Anche se ci fosse l’emergere di questa tendenza popolar-sovranista, non è detto che questa riuscirebbe a tradursi in una forza politica omogenea tale da contrastare le forze politiche che attualmente sono al Parlamento Europeo. In questo momento la battaglia in campo elettorale è a favore o contro le istituzioni europee, mentre nelle passate elezioni era incentrata principalmente sull’indirizzo da far prendere a quest’ultime. Da questo punto di vista, non possiamo considerarlo un progresso.


Giustamente ha detto che le elezioni europee non devono essere confuse con le elezioni nazionali. È pur vero che nella realtà dei fatti, specialmente nella dinamica comunicativa, un forte risultato alle elezioni europee potrebbe cambiare il peso a favore di una o dell’altra parte governativa. In tal caso, qualora tale esecutivo rimanga in essere, si potrebbe prefigurare un possibile rimpasto di governo? E quale potrebbe essere il successivo test per confermare la tenuta di questo governo?

In questo momento le fibrillazioni governative prescindono dal discorso elettorale europeo. Dobbiamo ricordare che questo è il primo governo in Italia basato su uno strumento privatistico quale è il contratto, tra due forze politiche che si sono date battaglia e si sono trovati ad allearsi, e non in base ad un programma elettorale. È chiaro che ogni verifica elettorale sicuramente eccita le modifiche all’interno dell’esecutivo che tra l’altro devono risultare evidenti, infatti mentre negli anni ’80 ad esempio cambiando il Ministro delle partecipazioni statali, che i cittadini non percepivano quale figura primaria nell’impianto di governo, si andava a cambiare gli equilibri di enti quali ENI, IRI ed EFI. Ad oggi questo riferimento non è più così forte per cui se sarà richiesto un riallineamento c.d. per l’inversione delle proporzioni elettorali a quel punto, probabilmente sarà necessario un cambiamento forte. Un ulteriore problema, è che questo governo si appresta ad affrontare una manovra economica difficile e complessa, con una serie di clausole di salvaguardia attivate, tra cui quella riguardante l’aumento dell’IVA che potrebbe arrivare a colpire quasi un quarto del prezzo dei singoli beni. Per questo è importante avere un governo che eserciti nella sua pienezza dei poteri e sufficientemente coeso, perché la legge di bilancio, attualmente prevede una serie di passaggi parlamentari, tra voti e discussioni, per cui una maggioranza non coesa non regge a questo impatto. Per questi motivi, se ci dovesse essere un riallineamento, questo dovrà essere molto chiaro e probabilmente sarà necessario una sorta di “tagliando” per questo contratto al fine di ridefinire le priorità dello stesso. Il problema ad oggi, passata le elezioni europee, è sicuramente la legge di bilancio, dove ci andremo a presentare davanti ad un nuovo Parlamento e Commissione europea, anche se questo aspetto ha più una natura tecnica che politica, che in ogni caso necessita di un governo che affronti questo tipo di situazioni.


Collegato a quest’ultimo discorso, la Commissione Europea ha già annunciato che terminate le elezioni saranno inviate informative a diversi Paesi, tra cui il Belgio e l’Italia, riguardanti procedure di infrazione dovute ad un tendenziale aumento del debito pubblico. Come può essere considerata una procedura avviata da una istituzione uscente, rispetto ad un governo maggiormente “rinvigorito” dalle ultime elezioni?

Ricordiamo che la Commissione europea, per sua natura comunitaria, ha uno strano destino. Qualche anno fa, alla fine della scorsa legislatura, un giornale intitolò “venticinque uomini senza un posto di lavoro” inserendo i volti e i nomi dei commissari europei. Questo perché in realtà, i commissari europei travalicando spesso le legislature dei propri paesi, si trovano ad essere in Commissione pur non essendo espressione del Governo che lo ha indicato. Di conseguenza, il fatto che la Commissione arrivi “sfiancata” alla fine della legislatura è un fatto abbastanza normale e anzi, ciò fa sì che la Commissione sia considerata uno degli organi maggiormente comunitari, in quanto una volta nominato, perde quelle che sono le prerogative nazionali, cosa che invece non succede per il capi di Stato e di governo e soprattutto, i governi nazionali non possono revocare i commissari in corsa. In questo caso, si potrebbe avere una sorta di avvicendamento in quanto, il candidato socialista alla presidenza della Commissione Frans Timmermans, è il vice-presidente dell’attuale Commissione Juncker. In ogni caso, l’infrazione comunitaria è frutto di un istruttoria fatta dalle Direzioni Generali, la quale va distinta dal momento politico in cui la Commissione decide di applicarla. Il fatto di non mandarla in un certo momento, quale in questo caso, a ridosso delle elezioni non vuol dire che la contestazione dello Stato scompare, quindi non bisogna pensare che se uno Stato ha un problema serio, questo potrebbe essere assolto da Commissioni successive, che può essere mediato ma non eliminato, per cui se a Giugno dovessimo rientrare tra i paesi con problemi economici di disallineamento forti, è difficile che la nuova Commissione possa cambiare un parere individuato dalla Direzione generale, tutt’al più ci può essere un allargamento di maglie. Inoltre, ci troviamo anche in un momento particolare, dovuto oltre al momento politico di subentro della Commissione, ma anche alla vigilia del riassetto del programma europeo 2021-2027, sede adatta per una serie di contemperamenti.


A seguito dei recenti avvenimenti nel Regno Unito la Brexit è ancora possibile? O la probabile vittoria del neopartito di Farage, il Brexit party dato dai sondaggi intorno al 30%, alle europee può dare una spinta ulteriore verso la definitiva uscita?

Al riguardo bisogna fare chiarezza. Il Regno Unito viene chiamato a votare in questa fase, perché l’Unione europea non può fare sconti ai paesi, per cui “deal” o “no deal” se sei dentro voti, se sei fuori non voti ma lo devi essere con un accordo, per cui ci vuole chiarezza. Chiarezza su cui Theresa May, in questi giorni, ha avuto molta difficoltà. Questo perché, come tecnica puramente negoziale, ha sottoposto il suo Parlamento ad una serie di voti sfibrati, uno dopo l’altro, cercando di trovare un accordo su un testo per gli inglesi assolutamente inaccettabile, per cui questi voti le sono serviti per raccontare agli inglesi come lei fosse molto determinata ma il Parlamento non l’aiutasse. Questo denota un certo scollamento tra il premier e il Parlamento, dove all’interno di quest’ultimo si assiste ad un ulteriore scollamento tra i membri del partito conservatore, e mettono Theresa May in una posizione abbastanza isolata. Questo isolamento però è anche la forza della May, perché in realtà è da sola al comando senza oppositori che vogliano prendere il suo posto, se non legittimati da elezioni, vista l’incarico scomodo che si trova a gestire. Le dimissioni quindi svolgono più un ruolo di minaccia per andare ad una verifica elettorale, piuttosto che il convincimento di qualcuno di sostituirla. Per quanto riguarda il discorso della Brexit, secondo i principi generali del diritto, ci vorrebbe un altro referendum per smentire il precedente, perché comunque gli inglesi si sono espressi. Le successive elezioni, infatti, sono state interpretate come una conferma del voto europeo, ma non sono del tutto convinto fosse così, che comunque ha portato a questa trattativa con Michel Barnier e la Commissione europea molto faticosa. Noi come Europolitica e Parabola, abbiamo uno strumento che si occupa di questo, Brexit sentinel osservatorio sulla Brexit, dove abbiamo esaminato queste vicende. Per quanto riguarda il Brexit party di Nigel Farage, in realtà aspettiamo la prova del voto perché loro stanno facendo degli strani sondaggi in cui disallineano il leader del partito, che vale 7-8% in questo momento, a un emozione, ovvero l’uscita dalla Brexit. Ora, se il Brexit party fosse il titolare unico dell’uscita del Regno Unito, dovremmo riscontrare un calo dal referendum del 2016, in cui si era attestato intorno al 51% rispetto all’attuale 37% dei sondaggi. Probabilmente in realtà non lo è, poiché ci sono socialisti e conservatori che vogliono l’uscita dall’UE, ma parallelamente alla prova del voto è difficile che questo 37% resti attaccato a Farage. Si è fatto da una parte, un sondaggio elettorale sulle persone e sui partiti, e dall’altro un sondaggio elettorale sull’emozione. Peraltro, un partito che si chiama “Brexit” all’interno del Parlamento europeo sarebbe perfettamente isolato e quindi sarebbe difficile formare un gruppo, ricordando che il gruppo misto all’interno del Parlamento europeo è diverso da quello italiano, in quanto conta come gruppo misto a cui non sono riconosciute le “royalties” riconosciute da noi.

Fig. 1 Il leader del partito “Brexit Party”, Nigel Farage.

Che ruolo potranno giocare i movimenti sovranisti ed euroscettici nelle prossime elezioni?

Anche qui siamo davanti ad un’emozione, ma anche ad un controsenso, in quanto la propaganda del “prima gli…” non funziona in questo tipo di elezioni. In ogni caso, bisogna vedere se si confermano nei risultati elettorali. In secondo luogo, riprendendo il discorso in apertura, bisogna vedere la capacità successiva di questi partiti di creare un gruppo politico omogeneo all’interno del Parlamento europeo, poiché se da un lato esprimi un numero di deputati forte, ma dall’altra non riesci ad aggregarti in un partito, la tua incidenza sul parlamento è praticamente zero. In terzo luogo, i commissari europei vengono espressi dai governi nazionali, nei quali questi esponenti non sono presenti, per cui saranno espressioni di altre forze politiche. Quello del sovranismo e populismo denota un problema delle istituzioni comunitarie, però da qui a pensare che questi partiti possano anche condividere un ruolo guida nelle elezioni del prossimo Parlamento Europeo, lo vedo onestamente difficile, anche per via della loro disomogeneità che sarà ancora più calcata a livello europeo. Paradossalmente, lo stesso Parlamento europeo che per i popolari e per i socialisti mitiga le differenze, e quindi li fa essere presenti nello stesso organo, tant’è vero che il partito popolare non ha rinunciato alla presenza di Orban, visto quasi come una “pecorella smarrita”, così come i socialisti quando hanno fatto entrare i comunisti o quando hanno fatto il passaggio ai vari partiti socialisti europei, diventando più inclusivi, questo discorso non può essere fatto per questi partiti c.d. sovranisti o populisti il fatto di trovarsi al Parlamento europeo può essere considerato un aggravante, perché a quel punto emergeranno le loro contraddizioni, ad esempio sul tema dell’immigrazione, dove si rischia di ripartire da zero, cosa impossibile nel caso italiano in quanto siamo un paese con tre parti del territorio coperte dall’acqua, quindi fondamentalmente siamo lo sbarco preferito, dove una politica di porti aperti o porti chiusi, resta indifferente a tale fattore. Per questo motivo è stato richiesto più volte un riassorbimento ai paesi europei, cosa non avvenuta, per cui ripartire da zero non aiuterebbe l’Italia a mantenere le promesse. Per questo motivo, l’alleanza tra partiti sovranisti potrebbe essere la causa stessa del declino di questi partiti, perché il Parlamento europeo è il posto meno ideale per questo tipo di alleanze.


Se dovesse fare una previsione post-elettorale, prevederebbe una possibile alleanza tra PPE, socialisti e liberali o tra PPE, nel caso di reintegro di Orban, e questi partiti sovranisti?

Io personalmente ad ora vedo più una alleanza tra popolari, sociali e liberali con annessione dei verdi, cioè tutte forze che sono secondo uno schema europea, che sicuramente deve essere novellato, ma che mantenga i principi attuali. L’alleanza con i sovranisti, dipende naturalmente dai numeri di quest’ultimi, ma non attribuisco ad Orban queste grandi capacità di mediazione e di accordo. Inoltre, anche nei paesi dove ci sono rappresentanza di questi partiti al governo, come in Austria, al momento hanno destabilizzazioni interne. Per cui non vedo una predisposizione ad una forte squadra europea. Ripeto, il problema è ancor prima dell’alleanza con i popolari, che i sovranisti riescano a fare un’alleanza tra di loro. Rischiamo di trovarci a un non partito, dove a differenza del caso nazionale, in cui un partito al 7-8-10% rappresenta un partito, in Europa se sei all’interno del gruppo misto, non necessariamente conti. In più, difficilmente avrebbero una rappresentanza in Commissione forte, per cui probabilmente sono un motivo di allarme ma non è esattamente il giro giusto.


Per quanto riguarda i Verdi, il dibattito pubblico si è notevolmente spostato su queste dinamiche, anche grazie all’attivismo giovanile guidato da Greta Thunberg. Mentre in altri Paesi europei hanno ottenuto maggior risultati nel tempo, basti pensare ai Paesi scandinavi o, più vicino a noi, in Germania dove si punta ad un 20% dei voti, in Italia come mai non si riesce ad ottenere un movimento del genere?

Prima di tutto perché esiste una tradizione completamente differente, nel senso che anche emozionalmente, altri Paesi hanno avuto una tradizione verde più forte, ad esempio a seguito dell’inondazione in Germania, il partito di Joschka Fischer ebbe una imposizione molto forte, ma aveva una intagliatura forte, aveva il Ministro degli Interni ed Esteri al governo, e non era basato soltanto su posizioni solamente ambientaliste, ma aveva una piattaforma politica forte, cosa che in Italia non succede. In più i verdi si sono trovati divisi, dando la sensazione di una divisione di verdi di destra e di sinistra, cosa da evitare, in quanto questi partiti sono caratterizzati dalla trasversalità politica. In terzo luogo, fondamentalmente nel nostro paese non c’è un rapporto così forte di causa – effetto, a seguito di catastrofi, di allinearci a partiti di stampo ambientalista, perché mentre negli altri paesi è stato fatto un salto culturale, per cui la tutela dell’ambiente, l’assetto idrogeologico del territorio e comunque combattere determinate politiche di abusivismo, da noi questo è un po’ immaturo. Le persone non vedono nei verdi un baluardo alla tutela del territorio, anche dal punto di vista idrogeologico, ma come una scelta più o meno ambientalista, ed è un po’ poco per costruire un partito.

Fig. 2 Il logo del Partito Verde Europeo.

Un’ultima considerazione, che direzione potrebbe avere questa Unione Europea post-elettorale? Potremmo avere una Unione più “forte” o più “spaccata”?

Qui dobbiamo pure vedere cosa intendiamo per Unione più “forte”. Un gruppo di poche persone che crea una comunità ha determinate organizzazioni, quando questo gruppo diventa di 28 membri, dopo un allargamento del 2004 abbastanza traumatico, con l’ingresso di dieci nuovi membri a cui a seguito una crisi economica nel 2009, è chiaro che alcuni meccanismi sono saltati. Così come pure c’è una tendenza molto forte in Europa a dimenticarne i pregi, ad esempio alzarsi senza luce e con l’acqua fredda probabilmente sarebbe fattore di ritardo nell’uscita quotidiana. Alla stessa maniera, si danno per acquisite certe conquiste europee, non fra le cose fatte ma fra le cose che ci spettano, e non è esattamente così. Anche l’adesione per i nostri amici dei paesi dell’est è stata una conquista, non una cosa che gli spetta, tanto è vero che l’alleanza a cui partecipavano prima non gliel’aveva data, per cui non è un dato così scontato. Da poco abbiamo fatto un libro dal titolo “Eurostorie di ordinario successo in tempo di Brexit”, dove vediamo come l’Europa è costellata da storie di successo, poi ha avuto una crisi economica seria e importante che chiaramente pesa sui paesi, i quali reagiscono diversamente. Per questo motivo c’è stata molta sfiducia, l’euro che è passato da essere l’eroe dei primi anni duemila è diventato il problema principale. Inoltre, molte politiche nazionali sbagliate sono state addebitate all’Europa, dove la demagogia del “Ce lo chiede l’Europea” non funziona, perché l’Europa ci chiede quello che i paesi membri gli dicono di chiederci, perché noi siamo tra i paesi fondatori, per cui le richieste sono state tutte valutate da noi. Ogni tanto abbiamo perso, quindi chiaramente come in tutti gli stati democratici ci chiede delle cose su cui non eravamo d’accordo, però questa è la convivenza. L’unico problema è che non abbiamo un alternativa, perché in realtà i paesi europei staccati tra di loro, come dimostra il caso BREXIT, dove la Gran Bretagna pur essendo un paese forte con il Commonwealth e l’alleanza con gli Stati Uniti, abbiamo visto che sono tutte cose che non bastano, questo anche perché il Commonwealth non esiste più nei termini che la conoscevamo, gli Stati Uniti non sono quelli di Obama ma di Trump, ma neanche gli Stati Uniti di Obama avrebbero dato una copertura ad una operazione del genere, per cui si è in uno stato di stallo. Figuriamoci gli altri paesi, diventerebbero inevitabilmente delle colonie acquisiti nell’orbita che può essere americana, russa o cinese. Ora, l’Italia è piuttosto abituata a fare da colonia, però non lo riterrei decisamente un progresso, per cui la direzione che va presa è una coesione forte dei paesi che nell’Europa credono, con una Commissione forte, preferibilmente con dei personaggi che abbiano una storia rispettabile nei loro paesi. Purtroppo, bisognerebbe alzare il tiro da questo punto di vista, per dare la sensazione che in Europa si mandino i migliori e non chi viene “scartato” a livello locale, e in questo senso vanno anche una serie di personaggi che hanno deciso di candidarsi in altri paesi europei, sia italiani, francesi e spagnoli, dando un po’ la linea di questa Europa partecipata. Questa non è neanche una novità, ad esempio ricordiamo Monica Frassoni, fu eletta nei Verdi qualche legislazione fa in Belgio e non era stato visto come un fenomeno eccezionale, ma come una cosa normale, in quanto se hai una possibilità di voti dove si vota, ti vai a candidare in un altro paese, cosciente di andare a far parte di un Parlamento che è espressione della democrazia e quindi della volontà dei popoli. L’incremento di questi partiti lo posso vedere, è un segno di democrazia, e quindi i vari partiti che in Europa hanno queste posizioni, ma devo dire che anche in Italia, gli stessi partiti che si definiscono sovranisti o antieuropeista, quando arrivano nelle istituzioni europee la linea è più moderata andando alla modifica piuttosto che alla rottura della stessa. Anche perché dal sistema non si torna indietro, non essendo una scelta irreversibili, specialmente perché l’assetto mondiale che si è venuto a creare dal 1957 in poi non danno la possibilità ad un paese isolato di sopravvivere in questo tempo di globalizzazione, per cui voler lasciare l’Unione comporta inevitabilmente il fatto di essere condannate ad essere una colonia.

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