top of page

Trasporti e inquinamento: un doppio standard tra Africa ed Europa?

Aggiornamento: 14 dic 2020

L’Unione Europea, i singoli Paesi membri e realtà regionali e addirittura cittadine sono sempre più impegnate a diminuire i livelli di inquinamento atmosferico e di migliorare la qualità dell’aria delle nostre città. Limitazioni all’uso dei veicoli più vecchi, regolamenti sempre più stringenti sulla qualità dei carburanti permessi, incentivo all’uso di mezzi di trasporto ad energia alternativa.

Raramente ci capita di osservare come la tematica dell’inquinamento prodotto dai mezzi di trasporto venga affrontata al di fuori dell’Unione Europea. Un vero peccato, visto che gli sviluppi al di fuori del nostro continente sono ricchi di spunti di riflessione.

Nel 2016, un’inchiesta del Public Eye Network ha fatto scalpore denunciando come trader petroliferi europei vendessero sul mercato africano carburante con un tenore di zolfo 50,100 o addirittura 200 volte maggiore di quanto consentito nei paesi UE. Il tutto rimanendo nella legalità: all’epoca dell’inchiesta, in tutti i Paesi africani la soglia consentita di zolfo era ben sopra le 10 ppm (parti per milione) vigenti in Europa.


Pur in un contesto di limiti meno stringenti rispetto agli standard europei, i Paesi africani si sono mobilitati per migliorare la qualità dei carburanti utilizzati sul continente. Primi tra tutti, cinque Paesi della Comunità dell'Africa orientale (EAC)[1], che nel Gennaio 2015 hanno adottato la regolamentazione più severa in termini di tenore di zolfo di tutto il continente africano: 150 ppm per la benzina e 50 ppm per il diesel. Gli stessi Paesi, nel 2019, discutevano la possibilità di abbassare il limite rispettivamente a 50 ppm e 10 ppm, anche alla luce del fatto che la maggior parte delle importazioni di carburante nel 2018 erano costituiti da volumi con tali caratteristiche.

Se non si può nascondere che diverse compagnie non si fanno problemi ad importare sul continente africano combustibili altamente inquinanti, dall’altra parte è anche vero che spesso il carburante in circolazione è di qualità ben superiore di quanto consentito dai regolamenti locali. A livello globale, la tendenza delle raffinerie è quella di produrre carburante via via più pulito, dovendosi adattare a una domanda sempre più esigente in termini di rispetto ambientale. La produzione di carburante ad alto tenore di zolfo e di altre sostanze nocive è in declino, e riversata in Paesi con standard più permissivi nei quali, allo stesso tempo, iniziano a far breccia anche volumi meno nocivi. Nella maggior parte dei casi è quindi il mercato a spronare un cambiamento della regolamentazione, non il contrario.

Questo discorso vale per i volumi importati, non per i carburanti raffinati in loco. L’Africa sub-sahariana possiede infatti una capacità di raffinazione molto limitata e nella maggior parte dei casi desueta, che rende il continente dipendente dalle importazioni. Le raffinerie locali sono impreparate a far fronte ai cambiamenti legislativi e di mercato che impongono la produzione di carburanti a basso tenore di zolfo. I vari Paesi africani hanno risposto in maniera diversa alla problematica. Vi è chi ha escluso la produzione locale dalle limitazioni in vigore, dando alle raffinerie il tempo di adattarsi ai nuovi standard, come il Ghana e la Costa d’Avorio[2], e chi come il Sud Africa ha preferito ritardare l’entrata in vigore dei nuovi limiti fino a quando le raffinerie locali non si fossero equipaggiate per produrre carburante conforme[3].

Un altro aspetto interessante è quello dell’età media dei veicoli in circolazione, e delle loro emissioni. La maggior parte delle nuove immatricolazioni in Africa sub-Sahariana è costituita da veicoli di seconda mano[4], importati principalmente dall’Europa e dall’Asia. Tali mezzi di trasporto, prodotti 5-10, talvolta anche 15 anni fa, producono emissioni in linea con quanto consentito allora. Come accaduto per i carburanti ad alto tenore di zolfo, ciò che è diventato illegale in Europa è stato commercializzato nei Paesi in cui gli standard ambientali sono meno stringenti.

Diversi Stati africani si sono ritrovati nella posizione di dover sviluppare una regolamentazione che potesse proteggere la salute dei cittadini (ma anche incoraggiare l’acquisto di veicoli prodotti in loco), senza tuttavia privarli dell’opportunità di continuare ad acquistare mezzi usati, spesso l’unica opzione possibile di dotarsi di un mezzo di trasporto privato.

Non possiamo fare a meno di domandarci se anche nella sacrosanta battaglia per un mondo più pulito ci sia un “doppio standard”. I due continenti, l’Africa e l’Europa, partono da posizioni molto diverse ed è comprensibile che le misure adottate siano proporzionate e adattate al contesto regionale/nazionale. Tale differenza non deve però portarci ad accettare un doppio standard che renda moralmente lecito ciò che sarebbe inaccettabile in un’altra parte del mondo.

Nella cartina: Limitazioni all’importazione di veicoli

usati in base alla loro età (UNEP, 2017).


Note [1] Kenya, Tanzania, Burundi, Uganda, Ruanda [2] I due paesi hanno tra le limitazioni più stringenti a livello continentale : 50 ppm sia per il diesel che per la benzina. Alle due raffinerie locali é stato dato tempo fino al 2025 per adattare la produzione ai nuovi standard, ma la mancanza di risorse finanziarie e i ritardi accumulati mettono in dubbio l’effettiva realizzazione del progetto. [3] Il « Clean Fuel Act II » (CF2) sarebbe dovuto entrare in vigore nel 2017, imponendo in Sud Africa gli stessi limiti vigenti nell’Unione Europea, 10 ppm per diesel e benzina. Diversamente dai paesi confinanti, la produzione locale é in grado di far fronte alla pressoché totalità del fabbisogno interno, ma con un output di carburante di qualità 500 ppm. L’introduzione del CF2 é stata posticipata a data da destinarsi, in modo da lasciare il tempo alle raffinerie di adattarsi. La maggioranza del carburante importato, tuttavia, é di qualità 10 ppm: anche in questo caso, il mercato é stato più veloce della regolamentazione, mettendo in seria difficoltà le raffinerie, che non potranno ritardare all’infinito l’adattamento ai nuovi standard. [4] Nel 2015, la percentuale di veicoli di seconda mano sul totale dei veicoli immatricolati èstata dell’80% in Kenya, 85% in Etiopia e 90% in Nigeria

Fonti

198 visualizzazioni0 commenti
bottom of page