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Finanza Islamica: una panoramica e il caso italiano

Aggiornamento: 14 dic 2020

Finanza Islamica_ una panoramica e il ca
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Abstract

La finanza islamica è un complesso di attività bancarie, finanziarie e assicurative realizzate in conformità con i dettami della legge islamica (shari’a) e che può essere inquadrato nel più ampio genus della finanza etica o sostenibile.

Sin dalla sua nascita, ma soprattutto negli ultimi trent’anni, essa ha esperito una crescita costante e sorprendentemente rapida. L’ascesa della finanza islamica è rimasta tuttavia confinata ad alcune specifiche realtà geografiche[1] non riuscendo, almeno per il momento, a mettere radici solide nei mercati europeo, australiano o americano.

Sebbene la finanza islamica abbia cominciato ad affacciarsi sulla scena europea già a partire dai primi anni 2000, la risposta degli Stati è stata, in generale e con qualche rilevante eccezione, piuttosto deludente.

In Italia, per esempio, la diffusione di questo fenomeno risulta essere ostacolata dall’assenza di quadri di regolamentazione normativa, da una narrativa e una comunicazione distorte nonché da barriere tecniche e culturali.

Il presente lavoro vuole essere una riflessione su diversi aspetti - storici, sociali ed economici - della finanza islamica di cui il nostro Paese, in virtù della sua posizione geopolitica e delle sue tradizioni storiche, dovrebbe prendere maggiore consapevolezza.

1. Introduzione storico-dottrinale

L’Islam è religione e mondo e la shari’a è quell’insieme di regole rivelate direttamente da Dio e interpretate dal fiqh, il quale riflette la storia della umma, la comunità dei fedeli che fa da cornice alle attività individuali, incluse quelle economiche. L’economia islamica rappresenta “quel complesso di pratiche, transazioni, contratti e relazioni tra soggetti che trovano ispirazione e sono conformi ai dettami e alle tradizioni della legge islamica[2]. In tale contesto l’etica gioca un ruolo fondamentale: le risorse naturali appartengono a Allah, di conseguenza crescita economica e tutela della natura sono i due poli entro i quali devono inquadrarsi le attività umane. L’islam ben vede lavoro, guadagno, investimento, a patto che diano risultati positivi per l’intera comunità sia in termini di sviluppo economico, che di relazioni interpersonali; che siano, insomma, conformi ai precetti sciaraitici, shari’a compliant. Le ripercussioni includono la proibizione del monopolio e l’incoraggiamento della concorrenza, seppur non in termini smithiani. Politiche di intervento statale sono apprezzate, in particolare tasse e sussidi per ridurre le disuguaglianze e favorire lo sviluppo (almeno in teoria) sono esplicitamente contemplati dai testi sacri. La giurisprudenza islamica si fonda su verità immutabili rivelate, ma la sua evoluzione e la sua adozione sono frutto di un continuo confronto con le questioni sociali, politiche e economiche specificatamente locali oltre che globali.[3]

Le strutture politiche e economiche concepite tra la fine del sec. VIII e l’epoca degli imperi, rimangono sostanzialmente immutate fino al sec. XVIII, quando, su impulso dell’incontro/scontro con l’Occidente, nel sec. XIX, nell'impero ottomano, vengono apportate una serie di innovazioni, Tanzimāt, su modelli occidentali[4]. La cosiddetta finanza islamica nasce convenzionalmente nel 1963, in Egitto, con la fondazione della Cassa Rurale di Risparmio. Creata su modello delle banche cooperative europee, analizzando primariamente i bisogni delle popolazioni e delle imprese locali, essa ha avuto un’importante funzione di sviluppo economico e sociale. Inoltre gli ingenti surplus finanziari generati dalle crisi petrolifere del 1973, 1979 e 2003-2008, che all'inizio vengono investiti soprattutto nei Paesi occidentali, nel corso del tempo vengono allocati negli strumenti messi a disposizione dalla finanza islamica per la necessità di diversificare il portafoglio titoli.[5]

Nel 1975 nasce l’Islamic Development Bank (IDB) in seno a quella che è l’attuale Organization of the Islamic Cooperation (OIC), con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo in accordo con i precetti sciaraitici su scala mondiale[6]. Tra gli anni ‘80 e 90 diversi paesi[7] islamizzano tutto il sistema bancario nazionale, e, nonostante gli scandali che coinvolgono le istituzioni egiziane, e il fallimento della Bank of Credit and Commerce International (BCCI) nel 1991, la finanza islamica fa registrare uno sviluppo costante, almeno fino al 2018. “The Middle East saw a bifurcation with the six countries of the Gulf Co-operation Council (GCC) witnessing very different growth to the rest of the region. And while Asia and sub-Saharan Africa continue to post double-digit growth in terms of assets, the star of 2018’s rankings in terms of percentage growth – Australia/Europe/Americas – experienced a significant setback”[8].

Se da un lato dopo i fatti dell’11 settembre 2001 la fiducia reciproca tra mondi islamici e istituzioni finanziarie occidentali viene meno, dall’altra, queste ultime hanno cercato di riconquistare quella fetta di “mercato” istituendo prodotti e servizi interamente dedicati al mondo musulmano per cercare di attirare i flussi di risparmio. In particolare, in Europa, il sistema bancario islamico ha cominciato a essere oggetto di dibattito all’inizio degli anni 2000, soprattutto in Gran Bretagna, ciò a dimostrazione che la finanza islamica non si contrappone necessariamente alla finanza occidentale/convenzionale.

Standard & Poor’s (S&P) (Islamic Finance Outlook 2020 Edition) stima il valore totale corrente di questa industria in una cifra vicina ai i 2,4 trilioni di dollari.

Nel biennio 2020-21 è prevedibile che il tasso crescita dell’Islamic finance subisca una contrazione (soprattutto nel comparto dell’Islamic banking) a causa delle misure istituzionali intraprese per arginare la pandemia da Covid-19, e come conseguenza della recessione in quei Paesi (Malaysia, Indonesia, Iran, Pakistan) che rappresentano il cuore pulsante dell’industria. Ciononostante si prevede una lenta ripresa già nella seconda metà del 2021, trainata essenzialmente dalla standardizzazione degli strumenti finanziari, dalla digitalizzazione, dal possibile allineamento tra criteri islamici e principi di sostenibilità ambientale.[9]

2. Le caratteristiche coraniche della finanza islamica

Vediamo più da vicino come funziona la finanza islamica attraverso alcuni concetti e strumenti. Come accennato, essa è regolata dalla shari’a e si pone nel “sistema umma” nel quale si collocano scelte e attività individuali.

In un sistema dove tutto ciò che accade è considerato volere di Dio, incertezza (divieto di stipulare contratti che prevedono elementi di incertezza e/o ambiguità), ghàrar, e speculazione, maysìr, sono condannate al pari del ribà’ e l’assicurazione di beni e servizi non ha ragion d’essere; beninteso: ciò non vuol dire che non esistano garanzie. Nello specifico l’incompatibilità dell’assicurazione convenzionale con i precetti sciaraitici comincia a essere discussa negli anni ‘80 del XX secolo. Nel 1985 il Grande Consiglio dei giuristi islamici dell’ OIC approva il sistema takàful [10] riguardante, per l’appunto, il settore assicurativo, come alternativo e fondato sulla cooperazione e sulla mutua assistenza. Libero sia da maysìr che da gharar , l’istituzione de at-tabarru’, la donazione, regola il rapporto tra ogni singolo assicurato e il fondo mutualistico.

Negli obiettivi di equità e di giustizia economico-sociale che sono alla base del modello islamico, trova la sua ragion d’essere anche il pagamento della zakàh[11] come dovere morale e così come regolata dai precetti. La zakàh rappresenta un importante strumento di politica economica nel conseguire obiettivi di redistribuzione reddituale.

Similmente, in linea con il principio islamico secondo il quale non ci può essere guadagno senza l’assunzione di rischio, poiché il risultato futuro potrebbe non essere equo per le parti coinvolte, è il divieto di ribà’ : ribà’ an-nasi’a (del debito), e ribà’ af-fadl (dello scambio). Il primo si riferisce alla dilatazione temporale che il debitore concede al creditore per la restituzione del prestito in cambio del pagamento di un premio (l’interesse, per l’appunto). Il divieto sta nel fissare ex ante un incremento sul capitale che è considerato sia iniquo che ingiusto dal momento che la moneta non è considerata riserva di valore, ma solo mezzo di scambio. Il secondo fa riferimento a scambi non monetari tra beni: il baratto, e esiste per garantire più equità e meno conflittualità negli scambi sia a livello qualitativo che quantitativo.

Come bypassare, a oggi, tale predisposizione?

L’AAOIFI (Accounting and Auditing Organization for Islamic Financial Institutions) ha autorizzato forme di finanziamento partecipative che escludono il tasso di interesse e che sono basate sul principio di Profit and Loss Sharing (PLS) per cui tutte le parti coinvolte in un contratto sono chiamate a rispondere alla “condivisione dei profitti e/o delle perdite che il progetto ha generato”. Il PLS è alla base delle strutture contrattuali del mudàraba e del mushàraka, utilizzate in schemi di partnership.

Nello specifico il contratto mudàraba si configura come una doppia vendita nella quale il cliente partecipa solo ai profitti. La ripartizione del capitale e dei profitti viene fatta tra soci e eredi. Nel contratto mushàraka , invece, il cliente partecipa sia ai profitti che alle perdite. Le parti mettono in comune il capitale e il lavoro per poi dividere i profitti, le perdite, la gestione del progetto.

Fonte: PORZIO, C., Banca e finanza islamica, Bancaria editrice, Roma, 2009

Accanto a questi tipi di contratti, le obbligazioni islamiche, I sukuk “... che, nel rispetto della shari’a, riproducono gli stessi flussi di cassa di un bond: il pagamento periodico di cedole e rimborso del capitale a scadenza”[12]. Essi sono apparsi proprio per poter diversificare la gamma di prodotti finanziari circoscritti all’ambito commerciale tradizionale, e hanno rappresentato un fattore di crescita del mercato dei capitali islamico.[13]


Fonte: SNOUSSI,K.J.La finanza islamica. Un modello finanziario alternativo e complementare

Di qui la banca islamica si configura come un gestore di fondi che raccoglie depositi per investire in progetti imprenditoriali, esponendosi a profili di rischio[14]. Essa non concede prestiti a interesse, ma investe in operazioni in forma di contratti di scambio, di partecipazione, o di leasing. In presenza di redditi non coerenti con i principi islamici tali somme vengono accantonate come riserve e distribuite a fini caritatevoli. Allo scopo di analizzare la coerenza del guadagno con i precetti dottrinali le banche sono dotate dello shari’a board, comitati composti da dottori della legge islamica, le cui fatàwa certificano che l’attività bancaria avvenga nel rispetto dei principi islamici, influenzandone, di contro, l’operatività.

3. La finanza islamica e la sua (presunta) “immunità” di fronte alle crisi finanziarie

Vincolata ai precetti di un testo sacro millenario, la finanza islamica si sforza di coniugare i canoni dell’efficienza allocativa con il rispetto di quei principi religiosi, etici e sociali che sono stati ampiamente descritti in precedenza. Tra i suoi obiettivi prioritari rientra quello di limitare il verificarsi di fenomeni di azzardo morale e asimmetrie informative, enfatizzando l’elemento fiduciario nel rapporto creditore-debitore.

Nella maggior parte dei contributi sul tema, la finanza islamica viene sovente raffigurata come in possesso di una sorta di sistema immunitario, una “corazza” in grado di renderla impermeabile di fronte alle crisi finanziarie - almeno rispetto a crisi di natura speculativa e con caratteristiche simili a quelle che hanno martoriato l’economia occidentale durante il primo decennio di questo secolo.

Ciò, tuttavia, non sarebbe soltanto la conseguenza, come pure si legge spesso, del divieto imposto dal Corano alla finanza islamica di operare in settori o attività di investimento ad alto rischio. Lo dimostra il fatto che il mercato immobiliare – un settore tradizionalmente soggetto alla formazione di bolle speculative – costituisce uno dei settori di più intenso utilizzo degli strumenti finanziari islamici.

È opinione diffusa[15], condivisa peraltro dagli autori di questo contributo, che motivi ulteriori vadano rintracciati nella rigida regolamentazione e supervisione dei criteri operativi delle banche islamiche posta in essere dai comitati dei dottori della legge islamica (gli “Shari’a Supervisory Boards”) e nell’assenza di dispersione del rischio di credito.

Ovviamente, non è possibile, almeno per il momento, avere una controprova fattuale di quanto appena affermato: per poter effettivamente verificare la resilienza dell’Islamic finance sarebbe infatti necessario osservare empiricamente la reazione del sistema bancario e finanziario islamico di fronte al formarsi e all’incedere di una crisi nei contesti regionali più esposti.

Ciononostante, dall’analisi delle cause sottostanti le più recenti crisi finanziarie occidentali, sembrano effettivamente emergere (sempre a comunque a livello teorico) elementi in favore di questa presunta “immunità” della finanza islamica.

La crisi dei mutui subprime (2007-2008) si presta perfettamente allo scopo e viene quindi presa qui come termine di paragone.

I diversi motivi all’origine della crisi subprime affondano le proprie radici nel ventennio precedente al fallimento della Lehman Brothers. Negli anni Ottanta del secolo scorso, il sistema bancario americano viene infatti attraversato da profondi cambiamenti: in particolare, nel contesto di quel mutato clima economico-culturale a cui si fa generalmente riferimento con il nome “Washington Consensus”[16] si inaugurano politiche di liberalizzazione e de-regolamentazione dei mercati, compresi i mercati finanziari. La deregolamentazione crea profittevoli opportunità di investimento sia all’interno dei singoli paesi che attraverso investimenti in altri paesi ma sposta gli orizzonti temporali dell’investimento dal lungo periodo (investimento produttivo) al brevissimo periodo (movimenti speculativi)[17]. Perfino la fuoriuscita di capitali in cerca di investimenti meno rischiosi (flight-to-quality) può ora avvenire in maniera rapida e disordinata, con comportamenti imitativi e causando seri problemi di instabilità finanziaria.

Alla deregolamentazione dei mercati finanziari, si accompagnano, in quegli anni, la modifica dei criteri operativi delle banche (il passaggio da un modello “generate to hold” ad un modello “generate to distribute”), la proliferazione di strumenti finanziari derivati (Abs, Mbs, CDO, CDO2, CDS) e una mal concepita “cartolarizzazione” (securitization).

Il combinato disposto di questi fattori, unito all’inaffidabilità delle autorità nazionali preposte al monitoraggio e all’incompetenza (la malafede?) delle Agenzie di rating, determina una sistematica diffusione del rischio di credito lungo tutto il sistema finanziario.

In buona sostanza, le banche americane, soggette peraltro a notevoli pressioni politiche (la politica “Una casa per tutti”), perdono l’incentivo a controllare la qualità dei loro clienti nonché la loro effettiva capacità di ripagare i debiti contratti.

Ebbene, è evidente come il verificarsi di queste situazioni sia molto meno probabile nel contesto della finanza islamica:

- in primo luogo, la condivisione dei rischi di investimento (PLS) genera automaticamente un forte interesse al controllo reciproco tra creditore e debitore, incentiva la comunicazione e la trasparenza tra tutte le parti coinvolte in una transazione. Comunicazione e trasparenza contribuiscono a loro volta a migliorare la disciplina di mercato, fornendo implicitamente un meccanismo attraverso cui controllare i prestiti più rischiosi e garantire una maggiore stabilità finanziaria[18];

- i prodotti finanziari derivati che non svolgono una funzione di copertura del rischio ma che hanno finalità meramente speculativa sono, in secondo luogo, unanimemente ritenuti vietati dalla Legge islamica;

- in terzo luogo, poiché la finanza islamica si basa sul capitale proprio e non sul debito, anche in presenza di eventuali sofferenze sui crediti, i mutui ipotecari sarebbero stati sostenuti da una struttura patrimoniale solida.

- Infine, un monitoraggio costante e indipendente è garantito, oltre che dai già citati Shari’a Supervisory Boards, anche da organismi internazionali che, nel dettare linee guida e codici di condotta per l’imprese operanti nell’industria, tengono conto del c.d. shari’a risk[19]. Tra questi ricordiamo, oltre il già citato AAOIFI, l’International Financial Services Board (IFSB), l’International Islamic Financial Market (IIFM) e l’International Islamic Rating Agency (IIRA).

4. La finanza islamica in Italia: dai primi passi alle prospettive future

Ormai da diversi anni si sente parlare, in Italia, delle potenzialità offerte dalla finanza islamica. Già nel 2006, Giovanni Lippa – all’epoca lecturer presso la Scuola di Studi Politici e per l'Alta Formazione Europea e Mediterranea "Jean Monnet" e oggi nel quadro dirigenziale di Banca UBAE (Unione delle Banche Arabe ed Europee) – spronava gli operatori italiani a non farsi sfuggire l’occasione ma anzi ad “anticipare le esigenze dei clienti islamici aprendosi ad un mercato potenziale in espansione”[20].

All’avanguardia su tale percorso è senz’altro la Gran Bretagna[21] che, come già anticipato, si è ritagliata un posto di primaria importanza per la diffusione della finanza islamica. Infatti, seguendo il principio ‘no obstacles, no special favors’, ha emendato il proprio sistema fiscale (ad esempio eliminando nel 2003 la doppia imposta di registro sui finanziamenti immobiliari) e ha stabilito standard specifici di coperture del capitale e di gestione del rischio per creare un ambiente favorevole all’introduzione della finanza islamica.

In Italia, al contrario, lo sviluppo della finanza islamica è stato fortemente condizionato dalla mancata predisposizione di un quadro normativo favorevole, sia in termini fiscali (imposta di registro, deducibilità fiscale degli oneri finanziari, Iva) che regolamentari (recepimento dei prodotti islamici nella definizione e regolamentazione dell’attività bancaria): la prima transazione mudaraba operata in Italia[22] si è rivelata infatti estremamente costosa proprio per il permanere della doppia imposta di registro sul murabaha, a causa del fittizio doppio trasferimento di proprietà dell’immobile. Una seconda iniziativa italiana nel settore islamico[23] ha invece richiesto diversi mesi di analisi giuridica e fiscale per riuscire a soddisfare sia le esigenze della shari’a che quelle del codice civile italiano.

Nonostante la mancanza di un quadro normativo di riferimento, indispensabile per lo sviluppo del settore, a partire dal 2010 sono proliferate convention, seminari, pubblicazioni cartacee e in rete sulla finanza e le banche islamiche. La repentina ascesa del comparto ha attirato l’attenzione di Banca d’Italia[24] e di altri tra i maggiori gruppi bancari e assicurativi italiani (tra cui MPS e Assicurazioni Generali), indotti a commissionare studi di fattibilità per l'introduzione, nella propria offerta, di strumenti e servizi shari'a compliant [25]. Da un punto di vista giuridico, peraltro, gli strumenti finanziari islamici sembravano peraltro potersi inserire senza grandi difficoltà nel nostro ordinamento, secondo quanto aveva concluso la CONSOB in un’autorevole indagine del 2014[26].

Nel 2017 qualcosa appariva finalmente muoversi dal punto di vista della regolamentazione di alcuni prodotti finanziari islamici, grazie ad una proposta di legge - a firma dell’allora deputato Maurizio Bernardo - presentata alla Camera dei Deputati il 2 maggio e intitolata “Disposizioni concernenti il trattamento fiscale delle operazioni di finanza islamica”.

L’obiettivo della proposta, come si evince chiaramente dal preambolo, era duplice: da un lato creare un quadro normativo ben definito per incentivare l’ingresso degli investimenti dall’estero; dall’altro applicare l’imposizione fiscale degli strumenti finanziari tradizionali a quelli shari’a compliant. La fine della XVII legislatura ha però determinato il decadimento della proposta di legge e delle grandi opportunità economiche ad essa connesse.


5. Conclusioni

Ebbene, nel momento in cui scriviamo (agosto 2020), non ci risulta che siano operative, sul territorio italiano, banche islamiche né tantomeno che “Islamic windows” siano state aperte presso le banche convenzionali. L’Italia è rimasta indietro rispetto ad altri paesi europei, nonostante il nostro posizionamento geografico, la rete di piccole istituzioni finanziarie diffuse sul territorio e il crescente interesse verso la finanza sostenibile rendano il nostro Paese un candidato naturale per lo sviluppo dei prodotti in esame.

Perché? Avanziamo delle ipotesi.

Uno dei motivi potrebbe essere il disinteresse per un prodotto ritenuto erroneamente non accessibile. La denominazione in lingua araba dello strumento finanziario – in assenza di una legge di trasposizione (e quindi “traduzione”) dello stesso – potrebbe aver indotto a credere che gli strumenti finanziari islamici si rivolgono solo ad una clientela di religione musulmana. L’esperienza di altri paesi dimostra come ciò non sia affatto vero.

Un secondo ostacolo, forse di più difficile soluzione, può individuarsi nella carenza di personale specializzato nelle funzioni di shari'a compliance e è quindi legato alla carenza di investimenti in capitale umano e formazione. Ciò potrebbe peraltro determinare in futuro una forte concorrenza tra gli intermediari al fine di dotarsi delle migliori risorse umane con conseguente aumento dei costi di gestione.

Il motivo più rilevante sembra però doversi individuare nell'assenza di una volontà politica da parte delle autorità competenti. Si potrebbe affermare, in altre parole, che persiste, in Italia più che altrove, una sorta di discriminazione politica e culturale che impedisce una rapida integrazione di questa realtà. In un’intervista rilasciata nel 2014, Alberto Brugnoni, fondatore dell'Assaif, primo ufficio di finanza islamica a lavorare in Europa, ha affermato che la finanza islamica sarebbe in grado, tecnicamente già domani, di emettere sukuk sul mercato italiano. Tuttavia – sostiene Brugnoni – la finanza può esistere solo in relazione ad un accordo politico che la classe dirigente ha ripetutamente procrastinato. Il grande interesse nei confronti dell'islamic finance da parte del mondo finanziario convenzionale fa, quindi, da contraltare ad un'opinione pubblica mediamente e mediaticamente ostile all'Islam, onde per cui non si comprende ancora come si possano ipotizzare investimenti di massa in prodotti shari'a compliant da parte di cittadini musulmani e non.

Eppure in Italia, il potenziale per uno sviluppo rapido del settore di Islamic Banking esiste e si riflette nelle forti analogie che intercorrono tra questo e il settore bancario nostrano, in particolare con il fenomeno tipicamente italiano delle casse di risparmio e delle banche popolari, che hanno consentito l'affermazione di un sistema produttivo centrato sulla piccola e media impresa. Il rapporto molto stretto tra banca e impresa ha infatti portato ad una fidelizzazione della clientela ed allo sviluppo di un'elevata conoscenza del tessuto imprenditoriale e della realtà delle singole imprese. L'esperienza maturata con le banche popolari e di credito cooperativo potrebbe essere ora reindirizzata per favorire l'insediamento di operatori islamici sul territorio.

Note [1] Le più importanti sono: i sei paesi del GCC, la Malaysia, l’Indonesia, l’Iran, il Pakistan, la Turchia, il Sudan. [2] HAMAUI, R., MAURI, M. Economia e Finanza Islamica. Quando I Mercati incontrano il Mondo del Profeta, il Mulino, Bologna, 2009, p. 12. [3] È necessario tenere presente che i mondi arabo-musulmani (ne parliamo al plurale) non sono realtà monolitiche e statiche. Inoltre, sin dalle origini non è esistita un’autorità centrale dalla quale dipendesse un’interpretazione univoca delle sacre scritture. Ne risultano molteplici realtà distinte per cultura, sviluppo economico, area geopolitica di appartenenza, scuola giuridica e relativo peso all’interno del paese di riferimento, spesso presente in diversa proporzione. [4] Nel 1856 vengono autorizzate a operare istituzioni bancarie a capitale straniero: gli stranieri giocano un ruolo fondamentale sia nel finanziare che nel gestire tali strutture. Se da un lato il crollo dell’impero ottomano, definitivamente avvenuto dopo la prima guerra mondiale, contribuisce ulteriormente a mettere nelle mani occidentali le strutture finanziarie creando un ambiente cosmopolita, dall’altro vede i mondi arabo-musulmani in una posizione di subalternità che fa da propulsore verso la nascita di movimenti nazionalisti e indipendentisti. HAMAUI, R., MAURI, M., Op. Cit., 2009, pp. 38 e seg. [5] Per un approfondimento cfr. HAMAUI, R., MAURI, M. Economia e Finanza Islamica. Quando I Mercati incontrano il Mondo del Profeta, il Mulino, Bologna, 2009, p. 57. [6] Dello stesso anno nasce, a Dubai, la prima banca islamica privata, seguita da altre in molti paesi arabo-musulmani, nei quali l’islamizzazione a diversi gradi dà vita a sistemi misti. [7] Tra cui l’Iran, il Pakistan, il Sudan. Cfr HAMAUI, R., MAURI, Op. Cit., 2009, p. 54. [8] www.thebanker.com/Reports/The-Banker-s-Top-Islamic-Financial-Institutions-2019, https://ceif.iba.edu.pk/pdf/Islamic_Finance_201911.pdf [9] La cui ineluttabile centralità si è manifestata, a livello globale, proprio in occasione dell'esplosione della crisi pandemica. [10] Ad oggi l’’assicurazione takàful è un settore in crescita integrato nell’International Cooperative and Mutual Insurance Federation, l’organizzazione che rappresenta le mutue assicurazioni a livello globale, con sede in Gran Bretagna. [11] L’obbligo prescritto dal Corano di “purificare” il proprio patrimonio. Una volta l’anno, ogni musulmano maggiorenne, oltre le tasse ordinarie che vengono pagate allo Stato, dà una quota pari al 2,5% del valore dei propri beni, in particolare di quelli soggetti a aumentare (e non del suo reddito), da considerare accanto all’elemosina volontaria, sàdaqa, raccomandata dal Corano (II; 271). [12] HAMAUI, R., MAURI, M., Op. cit. , 2009, p. 111 e seg. [13] “I sukuk danno la possibilità agli investitori di sottoscrivere certificati d’investimento shari’a compliant che possono poi essere negoziati sul mercato secondario, permettendo un’efficiente gestione della liquidità. “La finanza islamica rifiuta istituzioni quali gli hedge funds e i private equity che si limitano a moltiplicare il denaro spostandolo verso investimenti ad alto rischio e alto reddito. Il denaro è solo un mezzo o uno strumento di produttività, come avevano originariamente immaginato Adam Smith e David Ricardo. Questo principio è cementato nei sukūk, le obbligazioni islamiche, che devono sempre essere legate a investimenti reali, per esempio la costruzione di un'autostrada a pedaggio, e mai destinate a scopi puramente speculativi”. Per un approfondimento, cfr. NAPOLEONI, L., Economia Canaglia. Il Lato Oscuro del Nuovo Ordine Mondiale, Il Saggiatore, Milano, 2009 [14] Si ricorda la preferenza islamica per l’economia reale, per questo motivo le attività non hanno durata eccessiva e sono sempre in relazione alle passività. [15] NAPOLEONI, L., Op. cit.,2009 [16] Un’impostazione di stampo liberista sostanzialmente avversa all’intervento pubblico in economia e che rilancia il ruolo delle istituzioni, del libero commercio e, in anni recenti, della globalizzazione. [17] MARELLI E., SIGNORELLI, M. “Politica economica. Le politiche nel nuovo scenario europeo e globale”. Giappichelli, Torino, 2019, pp. 275-277. [18] ÖZTURK I., “Global financial crisis highlights benefits of Islamic finance”, 23 November 2008. [19] HAMAUI, R., MAURI, M., Op. cit.,, 2009, p. 75 e seg. [20] LIPPA, G. “La realtà operativa delle banche islamiche tra tradizione e innovazione”. IURE ORIENTALIA II (2006), pp.110-127 [21] Sul tema si veda: AINLEY, MASHAYEKHI, HICKS, RAHMAN, RAVALIA “Islamic Finance in the United Kingdom: Regulation and Challanges”, London, Financial Services Authority, 2007. [22] Nello specifico, si è trattato di un’operazione immobiliare di acquisizione di un edificio industriale da parte di uno “special purpose vehicle”. Successivamente l’edificio è stato ceduto a un’associazione musulmana locale per la costituzione di un centro culturale. [23] Riguardante, in questo caso, l'implementazione di una transazione ijara wa iqtina. [24] BANCA D’ITALIA “Finanza islamica e sistemi finanziari convenzionali”. Quaderni di economia e finanza numero 73, 2010 [25] MPS “Finanza islamica nel mondo, un business profittevole per l’Europa?”, 2012. [26] ALVARO, S., La Finanza Islamica nel Contesto Giuridico ed Economico Italiano, in Quaderni Giuridici, CONSOB, 2014 BIBLIOGRAFIA

- AINLEY, MASHAYEKHI, HICKS, RAHMAN, RAVALIA “Islamic Finance in the United Kingdom: Regulation and Challanges”, London, Financial Services Authority, 2007

- ALVARO, S., La Finanza Islamica nel Contesto Giuridico ed Economico Italiano, in Quaderni Giuridici, CONSOB, 2014 disponibile al seguente link

- BANCA D’ITALIA “Finanza islamica e sistemi finanziari convenzionali”. Quaderni di economia e finanza numero 73, 2010

- GOMEL, G.; CICOGNA, A.; DE FALCO, D.M.; DELLA PENNA, V.; DI BONA DE SARZANA, L.; DI MARIA, A.; DI NATALE, P.; FRENI, A.; MASCIANTONIO, S.; ODDO, G.; VADALÀ, E., Finanza Islamica e Sistemi Finanzairi Convenzionali, Quaderni di economia e finanza numero 73, 2010 disponibile al seguente link N. 73 - Finanza islamica e sistemi finanziari convenzionali.

- LIPPA, G. “La realtà operativa delle banche islamiche tra tradizione e innovazione”. IURE ORIENTALIA II, 2006

- MARELLI E., SIGNORELLI, M. “Politica economica. Le politiche nel nuovo scenario europeo e globale”. Giappichelli, Torino, 2019

- MOïSI, D. La Geopolitica delle Emozioni, Garzanti, Milano, 2009

- MPS “Finanza islamica nel mondo, un business profittevole per l’Europa?”, 2012.

- NAPOLEONI, L., Economia Canaglia. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale, Il Saggiatore, Milano, 2009

- ÖZTURK I., “Global financial crisis highlights benefits of Islamic finance”, 23 November 2008.

- PALUMBO, G. La Finanza Islamica, il Mondo dell'Intelligence- Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica Mondo, 2014, disponibile al seguente link

- PORZIO, C., Banca e finanza islamica, Bancaria editrice, Roma, 2009.

- SNOUSSI, K.J., La finanza islamica. Un modello finanziario alternativo e complementare, Obarrao Edizioni, Milano, 2013

- S&P Global Ratings, Islamic Finance Outlook, 2019 disponibile al seguente link

Sitografia

thebanker.com


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