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Covid-19 e i timori del Sultano

Aggiornamento: 14 nov 2020

Un’analisi sulle implicazioni socio-economiche della pandemia in Egitto



1. Introduzione

Gli anni successivi alla rivoluzione del gennaio 2011 e al Colpo di Stato militare del luglio 2013, con il quale è stato destituito il Presidente Mohamed Morsi, sono stati caratterizzati da una drammatica crisi economica. Pertanto, a partire dall’estate del 2014 il nuovo Presidente della Repubblica Araba d’Egitto Fattah el-Sisi ha adottato una serie di misure economiche con l’obiettivo di garantire stabilità macroeconomica e rivitalizzare il sistema economico e produttivo egiziano. Grazie ad un piano di stimolo economico finanziato dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti e dal Kuwait, l’Egitto ha adottato una serie di misure al fine di ridurre l’esorbitante deficit e garantire il pareggio della bilancia dei pagamenti. Quest’ultima è l’insieme delle transazioni di un Paese con il resto del mondo e certifica lo stato dell’economia di un Paese. A tal fine a partire dal 2014 sono state introdotte una serie di misure come l’incremento delle tasse e contrazione dei sussidi e delle agevolazioni fiscali. A ciò si è aggiunta la svalutazione del Sterlina Egiziana e un incremento dei tassi di interesse al fine di contenere le pressioni inflazionistiche.

Tali riforme sono state ulteriormente rafforzate a partire dal 2016, anno in cui l’Egitto ha siglato un accordo, l’Extended Facility Fund, con il Fondo Monetario Internazionale – FMI. L’Egitto ha così ottenuto un prestito di circa 12 miliardi di dollari in cambio dell’implementazione e del rafforzamento di alcune misure al fine di superare quelle criticità economiche che il Fondo Monetario individuava in alti livelli di debito pubblico, eccessivo deficit, un sopravvalutato tasso di cambio e un crollo delle riserve di valuta estera. Il Fondo Monetario ha dunque previsto come condizione per la concessione del prestito l’adozione da parte delle autorità egiziane di una serie di misure come l’incremento delle tasse, la liberalizzazione del tasso di cambio, politiche di consolidamento fiscale e riforme strutturali volte alla razionalizzazione del piano di sussidi, deregolamentazione, privatizzazione e liberalizzazione del mercato del lavoro.

A quattro anni di distanza dall’implementazione delle misure delineate nell’ambito dell’Extended Facility Fund, il programma è stato considerato un successo. Infatti basti pensare che il Prodotto Interno Lordo – PIL è cresciuto ad una media del 5% annuo. Tuttavia, nonostante la crescita economica e la stabilizzazione macroeconomica, le politiche economiche adottate dal governo hanno prodotto alti costi sociali. Misure come il taglio dei sussidi e le riforme del welfare system e del sistema tributario hanno ulteriormente incrementato le disuguaglianze sociali e il livello di povertà, con particolare riguardo per quelle classi sociali che più di altre poggiavano su sussidi e su misure assistenzialistiche.

Partendo da queste considerazioni, il presente lavoro intende indagare l’impatto socio-economico del Covid-19 e le sue possibili conseguenze politiche e sociali. Pertanto, dopo avere illustrato il contesto economico, sociale e politico entro il quale l’epidemia si è abbattuta, mi concentrerò sull’impatto economico del Covid-19. In particolare, mi focalizzerò su tre elementi che sono particolarmente importanti per l’economia egiziana: le rimesse estere, il turismo e i proventi del Canale di Suez. In questo quadro infatti, il Covid-19 potrebbe condurre ad una contrazione delle risorse domestiche e quindi generare un’ulteriore aumento delle disuguaglianze sociali, della disoccupazione e della povertà con conseguenti ricadute in termini di stabilità interna. In conclusione evidenzierò le criticità sociali e politiche che potrebbero manifestarsi come conseguenza delle ricadute economiche del Covid-19.

2. Contesto economico

All’indomani della rivoluzione del 2011, l’Egitto dovette fare i conti con drammatiche performance economiche. Il PIL passò dal 5.1% del 2010 all’1.8% del 2011. L’inflazione raggiunse un picco del 9% nell’aprile 2014 e a causa del deterioramento del generale contesto economico e sociale gli investimenti crollarono dal 9% del 2010 al -9.6% del 2013. In aggiunta, come evidenziato dalla Banca Mondiale nel 2015, 1/3 della popolazione egiziana viveva al di sotto della soglia della povertà. A ciò si aggiunse un incremento delle disuguaglianze e della disoccupazione. Quest’ultima passò dall’8.9% del 2010 al 14% del 2014.

Al fine di far fronte a questa situazione, il nuovo presidente della Repubblica Araba D’Egitto Fattah el-Sisi giunse al potere promettendo una rapida ripresa del sistema economico. Egli pertanto grazie agli aiuti dei Paesi del Golfo quali Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti intraprese una serie di misure di liberalizzazione economica al fine di ridurre il deficit e garantire stabilità macroeconomica. Tali misure vennero incrementate nell’ambito di un accordo siglato nel 2016 tra il Governo egiziano e il Fondo Monetario Internazionale. Tale accordo, l’External Facility Fund, prevedeva la concessione di un prestito triennale dell’ammontare complessivo di 12 miliardi di dollari, in cambio di misure volte a garantire stabilità macroeconomica e riduzione del deficit. In particolare, il Fondo Monetario apponeva come condizioni alla concessione del prestito l’adozione da parte del governo egiziano di misure indirizzate a contrastare gli squilibri della bilancia dei pagamenti, il crescente debito pubblico, la bassa crescita economica e l’alta disoccupazione. In questo quadro, le autorità egiziane si impegnarono in politiche di svalutazione del tasso di cambio, adozione di nuove imposte sul valore aggiunto, privatizzazioni, riforma del meccanismo dei sussidi, deregolamentazione e liberalizzazione del mercato del lavoro.

Le politiche adottate dal Presidente el-Sisi confermarono un rinnovato allontanamento da quelle politiche di welfare State adottate con Nasser e uno spostamento verso le dinamiche del libero-mercato. Questo spostamento fu accelerato dall’accordo del 2016 siglato con il FMI che invitò l’Egitto a rivedere l’eredità del suo precedente modello di Stato sviluppista considerato responsabile delle criticità contemporanee. Infatti il Fondo Monetario Internazionale evidenziò che le distorsioni economiche, che l’Egitto stava vivendo, erano conseguenze di quelle politiche economiche interventiste basate su espansivo welfare system di sussidi universali, ampio settore pubblico e modello industriale basato su politiche di industrializzazione per sostituzione delle importazioni e protezione delle proprie infant industries. Pertanto, considerando questo modello come responsabile di scarsa competitività e bassa produttività, il Fondo Monetario Internazionale invitò l’Egitto ad adottare politiche market-oriented basate su liberalizzazione, deregolamentazione, flessibilità, privatizzazioni e riforme strutturali volte alla riduzione del deficit.

A distanza di quattro anni, il Fondo Monetario Internazionale ha giudicato le riforme adottate dal Governo egiziano come un innegabile successo che ha fatto dell’Egitto il Paese con i tassi di crescita più alti di tutta la regione del Nord Africa. Infatti il PIL è balzato dal 3.7% del 2017 al 5.6% del 2019. Mentre il deficit si è ridotto dal 9.7% del 2018 al 8.1% del 2019. L’inflazione si è fortemente contratta e la disoccupazione si è attestata intorno all’8%, il più basso indice degli ultimi 20 anni.

Tuttavia tali progressi sono avvenuti al prezzo di un incremento delle disuguaglianze sociali e di un peggioramento delle condizioni di vita di quei gruppi sociali che maggiormente dipendevano dalle misure di welfare e dai sussidi che sono stati contratti. Infatti come stimato dall’Egyptian Central Agency for Public Mobilization and Statistics, l’istituto Nazionale di Statistica Egiziano, la popolazione classificata come povera è passata dal 28% del 2015 al 32.5% del 2018. Mentre la popolazione che vive sotto la soglia nazionale di povertà definita di 736 Sterline Egiziane (circa 40 Euro) per capita al mese è passata dal 16.7% del 2000 al 32.5% del 2018. Mentre coloro che vivono in condizioni di assoluta indigenza sono passati dal 2.9% al 6.2%. Inoltre la Banca Mondiale stima che circa il 60% della popolazione egiziana è povera o a rischio povertà.

Dunque si può notare come la crescita economica innegabile di cui l’Egitto ha goduto negli ultimi anni ha generato un deterioramento degli standard di vita dei ceti sociali più vulnerabili. Ciò è stato una conseguenza diretta delle misure di riduzione del deficit e aggiustamento strutturale adottate dal governo egiziano e incoraggiate dal FMI. Tutto ciò ha contribuito da un lato ad accrescere le disparità sociali, dall’altro a incrementare il malcontento sociale, soprattutto delle più giovani generazioni.

3. Contesto sociale

Le riforme economiche e le misure di liberalizzazione e privatizzazione sono stata attuate in un contesto di progressiva limitazione delle libertà individuali e collettive nonché di contrazione di ogni spazio o forma di dibattito sociale e partecipazione alla vita pubblica. Dunque a partire dal 2014, anno in cui el-Sisi è giunto al potere, la crescita economica e la pace sociale sono state garantite al prezzo di una progressiva limitazione di ogni forma di libertà e di partecipazione sociale.

Il Governo si è impegnato nella modifica e nell’adozione di leggi volte a incrementare il suo controllo su ogni forma di partecipazione alla vita pubblica. Tra queste leggi, particolarmente importanti sono la Protest Law adottata nel 2013 ed emendata nel 2016; la nuova NGO law del 2019 che disciplina le Organizzazioni Non Governative – ONG; gli emendamenti del settembre 2014 al codice penale; la Terrorism Law del 2014; la Military Court Law del 2014. La Protest Law dà il diritto ai servizi di sicurezza di proibire e cancellare, sulla base di non specificate circostanze, ogni evento considerato come una “minaccia alla sicurezza” o che possa “disturbare la pace”. Dunque questa legge sottopone l’autorizzazione di ogni manifestazione alla discrezionalità dei servizi di sicurezza. La nuova NGO Law del 2019 oltre a confermare restrizioni in merito alla creazione di ONG, prevede limitazioni nel reperimento dei fondi e la sottoposizione delle loro attività al controllo dei servizi di sicurezza, infine proibisce la pratica di ogni attività senza previa autorizzazione governativa. Gli emendamenti al codice penale acuiscono il potere dei servizi di sicurezza e prevedono la punibilità individuale e collettiva per atti di ostilità o che potrebbero danneggiare l’interesse nazionale. Così come nel caso della Terrorism Law, le disposizioni legali sono vaghe, accentuando così la discrezionalità delle autorità. La Terrorism Law elabora una definizione molto ampia di terrorismo e attività terroristiche e incrementa il controllo del potere esecutivo su quello giudiziario. Infine la Military Court Law dà mandato all’esercito di assistere la polizia per ragioni di ordine pubblico e prevede la possibilità che civili vengano processati dinanzi a tribunali militari.

A tutto ciò si affianca una progressiva contrazione del rispetto dei diritti umani. Infatti come evidenziato da Amnesty International, a partire dal 2014 in Egitto si registra un progressivo deterioramento della protezione e promozione dei diritti umani. Sempre più ricorrenti sono pratiche di detenzione arbitraria e processi non equi. A ciò si affianca il ricorrente ricorso a pratiche di tortura, sparizione forzata e trattamenti inumani e degradanti. Tali misure sono ulteriormente aggravate da una pressoché totale impunità degli apparati di polizia e di sicurezza.

Dunque a partire dal 2014, il Governo egiziano ha adottato una serie di misure che da un lato hanno incrementato l’impunità e la discrezionalità dei servizi di sicurezza e del potere militare e dall’altra hanno ridotto drasticamente ogni spazio di partecipazione sociale. Tale repressione ha colpito sia gli individui sia la collettività così come dimostrato dagli stringenti controlli cui sono sottoposte, tra gli altri, le ONG e i sindacati indipendenti. Tali azioni rispondono dunque ad una duplice logica. Da un lato, la necessità di reprimere ogni forma di dissenso sociale che possa minare la stabilità del nuovo regime instauratosi a seguito del Colpo di Stato del 2013. Dall’altro, la necessità di garantire la pace sociale e un ambiente economico stabile che possa così essere in grado di attrarre gli investimenti economici dei grandi capitali stranieri.

4. Impatto del Covid-19

La diffusione della pandemia di Covid-19 si inserisce dunque in un quadro caratterizzato da una fase di forte crescita economica, ma anche di crescenti disuguaglianze. Al fine di far fronte a quest’ultimo aspetto il governo ha adottato nel corso degli anni una serie di misure volte a controbilanciare le ricadute negative delle politiche di liberalizzazione e privatizzazione. Il governo ha così previsto misure assistenzialistiche di trasferimento diretto di denaro contante come i programmi Takaful e Karama. Il primo è indirizzato alle famiglie povere con figli inferiori ai 18 anni mentre il secondo ha come destinatari disabili e anziani che non sono in grado di lavorare. Tuttavia questi programmi coprono meno del 10% della popolazione che rientra in queste categorie. A ciò si aggiungono altri programmi come il Tamween Food Program che prevede agevolazioni fiscali per l’acquisto di determinati beni alimentari. Poi ci sono i sussidi in merito all’acquisto di benzina e alle spese per l’elettricità e le agevolazioni fiscali per servizi sanitari e scolastici. Nonostante i sussidi e le agevolazioni siano stati profondamente ridimensionati, questi costituiscono ancora una componente considerevole nell’ambito delle misure volte al sostegno dei ceti meno abbienti.

In questo quadro, la diffusione del Covid-19 ha destabilizzato i progetti di el-Sisi. Infatti quest’ultimo era intenzionato a ristabilire la centralità dell’Egitto nelle dinamiche geopolitiche regionali e presentare la Repubblica egiziana come uno Stato economicamente affidabile e prospero, socialmente stabile e pacificato dopo i turbolenti anni del triennio 2011-2013 e in grado così di attrarre investimenti diretti esteri.

La pandemia ha rallentato la crescita economica che l’Egitto ha osservato negli anni precedenti. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale ha ritoccato al ribasso le previsioni di crescita del PIL prevedendo per il 2020, una crescita del 2%. In linea con le tendenze globali, la pandemia ha profondamente danneggiato la supply chain dell’Egitto e ha minato tre settori chiave della sua economia: il settore turistico, le rimesse straniere e gli introiti che provengono dal Canale di Suez. Ogni contrazione di questi tre settori ha considerevoli conseguenze per l’economia e la popolazione.

Il turismo è un’importante risorsa di lavoro e valuta straniera, ammonta al 12% del PIL e impiega il 10% della forza lavoro totale. Dopo i tumultuosi anni successivi alla rivoluzione, il settore turistico si è completamente ristabilizzato nel 2018, anno in cui si è registrato un introito totale dell’ammontare di 12.4 miliardi di dollari. Il governo ha stimato che da marzo 2020, il settore turistico ha perso circa un miliardo di dollari al mese mettendo a rischio il lavoro di 1.4 milioni di lavoratori. Le rimesse rappresentano un’altra importante fonte di introiti per l’economia egiziana. Esse hanno raggiunto il valore di 26.8 miliardi di dollari nel 2019 e ammontano al 10% del PIL. Il Covid-19 ha portato al licenziamento di molti lavoratori o al congelamento dei loro stipendi, generando di conseguenza la contrazione dell’ammontare totale delle rimesse che i lavoratori emigrati hanno potuto spedire alle loro famiglie. Ciò ha contribuito a incrementare il livello di povertà, soprattutto per quelle famiglie le cui uniche fonti di sostentamento erano le rimesse dei loro parenti emigrati. Infine, ci sono i proventi del Canale di Suez, che nel 2019 ammontavano a circa 5.8 miliardi di dollari. La contrazione del commercio internazionale e la progressiva riduzione del passaggio di navi lungo il Canale hanno portato ad una contrazione dei proventi. Ciò ha inciso sulla capacità del governo di finanziare i programmi di assistenza sociale elaborati al fine di controbilanciare gli impatti negativi delle politiche di liberalizzazione adottate.

Al fine di limitare l’impatto economico della pandemia, l’Egitto ha adottato differenti decisioni politiche con l’obiettivo di evitare la paralisi completa delle attività produttive e garantire il mantenimento di sussidi e sovvenzioni. Per quanto riguarda il primo punto, ossia evitare la paralisi delle attività produttive, il governo ha escluso sin da subito l’ipotesi di un lockdown totale optando invece per lo stabilimento di un coprifuoco serale. Al fine invece di garantire il mantenimento dei sussidi e delle sovvenzioni, l’Egitto ha fatto ricorso ad un pacchetto di 2.8 miliardi di dollari messo a disposizione dal Fondo Monetario Internazionale senza condizionalità al fine di far fronte alle conseguenze del Covid-19. A ciò si è successivamente aggiunta la sottoscrizione di un altro prestito sottoscritto sempre con il Fondo Monetario Internazionale nel giugno 2020 e pari a 5.2 miliardi di dollari. Quest’ultimo prestito è accompagnato da condizionalità e dunque dall’adozione di specifiche politiche volte a garantire la stabilità macroeconomica del Paese e la riduzione del deficit.

5. Il Covid-19 e l’impatto sociale

Le riforme di liberalizzazione economica messe in piedi a partire dal 2014 hanno contribuito ad accrescere il divario tra ricchi e poveri e aumentato la fascia di coloro che vivono in condizioni di povertà o di estrema povertà. Il Governo ha cercato di incanalare parte dei proventi derivanti dalle positive performance del sistema economico verso politiche di assistenzialismo sociale volte a controbilanciare gli effetti negativi delle riforme economiche. La crescita economica ha consentito inoltre al Governo di procedere ad una graduale riduzione del deficit come auspicato dal Fondo Monetario Internazionale. Ciò ha consentito all’Egitto di presentarsi dinanzi al Fondo e agli altri potenziali partner e investitori stranieri come un Paese affidabile.

Il Covid-19 ha frenato queste dinamiche, inserendosi inoltre in un contesto in cui in Egitto si registrava un incremento delle disuguaglianze e della precarietà sociale ed economica. La pandemia pertanto va ad ampliare queste dinamiche riducendo la portata delle risorse economiche da destinare alle misure di assistenza sociale.

A ciò si aggiunge un’altra importante conseguenza socio-economica. L’Egitto si caratterizza per livelli di disoccupazione giovanile particolarmente alti. In particolare, si registrano alti tassi di disoccupazione soprattutto con riferimento a giovani istruiti e qualificati. Ciò riflette le criticità di un mercato del lavoro che non è in grado di garantire una corretta transizione dal mondo della scuola al mercato del lavoro e inglobare così i nuovi arrivati nel tessuto socio-economico nazionale. Ai limiti del mercato del lavoro, si aggiunge il ruolo che il lavoro informale ricopre in Egitto. Con lavoro informale si fa riferimento a forme di lavoro che coinvolgono imprese private non registrate, non soggette alle leggi e ai regolamenti nazionali sul lavoro e non idonee a offrire protezione sociale ai lavoratori. Il settore informale impiega circa il 60% della manodopera. Dunque l’Egitto ha circa 12 milioni di lavoratori che quotidianamente sono impiegati nell’economia informale e loro sono tra i più vulnerabili con riguardo alla pandemia a causa della totale assenza di sussidi sociali e coperture mediche. Alle debolezze del mercato del lavoro si aggiunge la progressiva erosione dei posti di lavoro. Il Governo stima che tra marzo e giugno circa 600.000 persone abbiano perso il proprio posto di lavoro. Tale cifra non include le ripercussioni economiche che il Covid-19 ha avuto nell’economia informale a causa della contrazione della domanda di beni e servizi dovuta alla limitazione dei movimenti e alla chiusura di attività commerciali e produttive.

Tutto ciò ha inevitabili conseguenze in termini sociali. Innanzitutto la perdita di lavoro e di reddito portano ad un progressivo aumento della povertà. Ciò dovrebbe essere colmato con un incremento delle misure di assistenza sociale. Questo risulta tuttavia al quanto proibitivo a causa della contrazione economica in atto. Per questo motivo, il Governo egiziano ha trattato con estrema cautela la gestione della pandemia puntando a una chiusura parziale e ad una riapertura rapida al fine di garantire una ripresa economica il più rapida possibile. A ciò si affianca un incremento delle misure repressive e di controllo da parte degli apparati statali, come confermato dall’ennesima proroga dello Stato di Emergenza voluta dal Presidente el-Sisi il 20 luglio 2020 al fine di affrontare la pandemia. Tale misura è stata introdotta per la prima volta il 10 aprile 2017 a seguito di un attentato terroristico ed è stata rinnovata con frequenza trimestrale. Lo Stato di Emergenza consente al Governo di intercettare e monitorare tutte le forme di comunicazione, imporre la censura e confiscare pubblicazioni, imporre il coprifuoco o ordinare la chiusura di stabilimenti commerciali, nonché designare aree per l’evacuazione. Consente inoltre alle forze di sicurezza di detenere le persone per qualsiasi periodo di tempo senza fornire alcuna motivazione.

6. Conclusioni

Il sistema economico egiziano ha goduto negli ultimi anni di forti e rapidi ritmi di crescita economica. Tuttavia, le misure di liberalizzazione, privatizzazione e di aggiustamento strutturale adottate come condizione del prestito concesso dal Fondo Monetario Internazionale, hanno portato ad un incremento delle disuguaglianze e della povertà. Infatti, la riforma fiscale, l’introduzione di nuove imposte sul valore aggiunto, la contrazione dei sussidi e delle agevolazioni fiscali, hanno portato ad un incremento nel numero di coloro che vivono al di sotto della soglia di povertà o che sono a rischio povertà. Il Governo ha cercato di controbilanciare gli effetti negativi delle politiche adottate attraverso il ricorso a misure assistenzialistiche di trasferimento diretto di denaro come i programmi Takaful e Karama.

La pandemia di Covid-19 ha dunque colpito l’Egitto durante una fase di forte e rapida crescita economica, in cui l’economia del Cairo si posizionava su tassi di crescita del PIL del 5% annuo e con ulteriori previsioni di crescita. Tuttavia il Covid-19 ha drasticamente alterato questa fase di crescita. Oggi si stima che l’Egitto dovrà attendere il 2021 per ritornare a livelli di crescita economici analoghi a quelli pre-Covid-19, fermo restando che in Autunno non si manifesti una seconda ondata della pandemia.

Il Covid-19 ha profondamente danneggiato alcuni settori vitali dell’economia egiziana come il settore del turismo, le rimesse estere e gli introiti provenienti dal Canale di Suez. Il turismo è un settore fondamentale per l’Egitto non solo in termini economici, ma anche in termini occupazionali. Le rimesse svolgono un ruolo fondamentale nel contrasto alla povertà. Infatti per molte famiglie le rimesse sono l’unico mezzo di sussistenza. Nei decenni passati, l’Egitto ha visto un forte movimento emigratorio, soprattutto verso i Paesi del Golfo, Arabia Saudita in primis. Oggi il Covid-19, che ha fortemente danneggiato anche quei Paesi, ha ridotto le possibilità lavorative e portato a licenziamenti, con evidenti ricadute sull’ammontare delle rimesse. Infine, la contrazione del commercio internazionale ha ridotto i passaggi lungo il Canale di Suez con conseguente riduzione degli introiti, diminuendo ulteriormente le possibilità economiche del Governo egiziano.

La contrazione economica sta danneggiando l’abilità del Governo sia di finanziare i precedenti programmi assistenziali sviluppati negli anni precedenti sia di espandere tali progetti per inglobare i nuovi poveri nonché di far fronte agli squilibri del mercato del lavoro. Crescente povertà e aumento della disoccupazione giovanile rappresentato un mix fortemente destabilizzante così come dimostrato dalla rivoluzione del gennaio del 2011.

A causa del Covid-19 la povertà è in crescita, le misure di assistenza non riescono a mitigarne gli effetti e la disoccupazione giovanile è in costante aumento. Il Governo egiziano è ben consapevole delle ripercussioni sociali che tali fattori possono generare. L’impatto del Covid-19 è solo all’inizio e le sue ripercussioni potrebbero andare ben oltre gli aspetti economici. La stabilità sociale del Paese non è assicurata e i prossimi mesi potrebbero riservare non poche sorprese.

Bibliografia/Sitografia

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