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Una storia delle idee: l’Occidente e l’Islam, oggi

Aggiornamento: 3 mag 2023

Fig.1: Immagine tratta dal documentario Islam and the west. Fonte: https://www.amazon.com/Islam-and-the-West/dp/B07NRTKYHK

1. L’inconsistenza delle categorie


Islam e occidente sono due paradigmi che racchiudono nel loro insieme decine se non centinaia di prospettive e realtà diverse, sottogruppi e scuole di pensiero, filosofie e vere e proprie realtà sociali e antropologiche diverse. Una riduzione in schemi precisi e tranchant del mondo nel quale siamo immersi non è mai possibile, tantomeno auspicabile. Eppure, nei discorsi interculturali, nel confronto con culture lontane, viene dato per scontato, spesso, un certo approccio monolitico che tende a raggruppare gli esseri umani in larghe categorie per renderne la semplificazione concettuale di più vasta diffusione.


Non è sorprendente, quindi, immaginare come questo fenomeno possa indurre a numerose erronee semplificazioni e contraddizioni come quelle attorno al concetto stesso di Medio Oriente o dell’area Middle East and North Africa (MENA). Questi due ultimi paradigmi geografici sono spesso contestati proprio per i loro limiti interpretativi, racchiudendo regioni in cui le popolazioni presentano enormi differenze su piani sociali, storici, etnici e talvolta anche religiosi, data la presenza di milioni di non-musulmani in questi paesi. Che poi, a ben vedere, nemmeno l’Islam di un egiziano è simile a quella di un curdo o di un iraniano. Ci si è chiesti, a questo punto, se valesse davvero la pena utilizzare Medio Oriente o regione MENA come termini di riferimento. Chi scrive adotta la tesi proposta da Micheal Ezekiel Gasper, storico del mondo islamico, per il quale il Medio Oriente esiste semplicemente perché una parte del mondo, occidentale, ha prodotto un discorso geopolitico che ha causato effetti pratici su questa regione geografica. Quando nuovi riallineamenti geostrategici prenderanno il posto di quelli attuali, dando un nuovo significato a questo spazio, allora in quel momento si potrà parlare di qualcosa di diverso rispetto al Medio Oriente.


2. Orientalismo


Con tutti i limiti del caso, legittimando questi termini di analisi, occorre precisare che, se dell’interpretazione di uno spazio geografico, se ne accetta un paradigma immaginato in occidente, bisogna tenere in considerazione criticamente la percezione che di quella parte del mondo l’occidente ha avuto almeno negli ultimi duecento anni circa. Questo significa avere una lucida consapevolezza che il rapporto che l’occidente, sia europeo che americano, ha avuto e ha tutt’ora con il Medio Oriente e l’islam è pesantemente influenzato dell’orientalismo, cioè una disciplina accademica che nasce e si sviluppa tra diciottesimo e ventesimo secolo, per studiare le culture asiatiche, tra cui l’islam.


Una feroce critica degli stereotipi e dei bias mentali che questa disciplina ha lasciato ai moderni occidentali è stata offerta nel 1978 da Edward Said, pensatore palestino-americano di ampissimo impatto nel settore degli studi post-coloniali. Scavando nella storia dell’espansione europea nel Medio Oriente ci si è presto accorti che la narrazione attorno all’idealtipo arabo-musulmano e alle società islamiche si è concentrata attorno a concezioni semplicistiche e fuorvianti, di arretratezza culturale e di incapacità di adottare modelli occidentali di liberal-democrazia giudicati spesso i più avanzati e moderni al mondo, da chi quei modelli li ha immaginati. Secondo Said, questo sarebbe accaduto non solo per ideologia razzista, ma anche perché il potere coloniale europeo ha legittimato in questo modo il proprio dominio in quelle aree geografiche. Attraverso la scienza moderna, nata in Europa, la raccolta di dati, informazioni, conoscenze e lo studio di queste per elaborare modelli e teorie, fin dalla prima spedizione di Napoleone in Egitto, ha permesso di utilizzare nuovi e più sofisticati metodi di controllo, estendendo anche ad ambiti culturali e scientifici le dimensioni del dominio. In altre parole, conoscenza è potere. E gli europei hanno sistematizzato quella conoscenza per assicurarsi il miglior controllo possibile sulle popolazioni colonizzate, apponendo un marchio di oggettivazione scientifica al loro imperialismo e colonialismo.


Con il crollo degli imperi coloniali, il testimone è passato a nuovi eredi. La guerra al terrore che gli Stati Uniti hanno condotto in Medio Oriente aveva come imprescindibile presupposto ideologico l’esportazione della democrazia. Bandiera sventolata dai neocon statunitensi per legittimare l’impresa.

Fig.2: "il fardello dell’uomo bianco” qui in versione inglese e americana. Fonte: Wikipedia

3. Islam e democrazia


Paesi diversi, momenti storici diversi, ma non storie particolarmente diverse. Il modo in cui l’occidente si interfaccia all’Islam segue direttive simili, con radici comuni. Fuor di malinteso, è opportuno notare che non si sostiene in questa sede che non ci siano state differenze tra il modo in cui gli inglesi hanno gestito colonie e amministrazioni fiduciarie in Medio Oriente rispetto ai francesi, agli italiani o ai governi sostenuti dagli Stati Uniti al rovesciamento di quelli in Iraq o Afghanistan. Però, come notato da Said, certe narrazioni comuni sono state ampiamente condivise in maniera transnazionale nei vari milieu culturali europei.


Sarebbe esercizio puerile ripescare affermazioni di amministratori o esploratori dell’epoca coloniale per dimostrarne le anacronistiche e stereotipate considerazioni sull’Islam, valgano quindi esempi più contemporanei. Il politologo Samuel Huntigton già nel 1984 evidenziava le difficili coesistenze tra Islam e democrazia mentre lo storico Bernard Lewis nel 1996 faceva notare quanti pochi paesi al mondo, a maggioranza musulmana, potessero considerarsi democratici. Anche tra i pensatori musulmani, alcuni come Sayyid Abu’l-A’la Maududi e Sayyid Qutb hanno giudicato la democrazia e l’Islam incompatibili, sperando addirittura che non arrivassero mai al punto di dover coesistere, vista la provenienza occidentale di questo concetto, quindi percepito come corrotto e pericoloso per le società dei fedeli. Per l’Italia, valga la celebre Oriana Fallaci, che è stata largamente conosciuta – e apprezzata – per le sue tesi estremamente dure nei confronti dell’Islam.


Discendere nelle diatribe teologiche sul valore di antichi sistemi decisionali come la shura, ovvero la consultazione tra fedeli che sembra quasi far rima con il concetto di democrazia, sarebbe interessante ma più adatto a esperti di storia delle religioni, di antropologia e teologia. In questa sede basta l’argomentazione proposta del sociologo Asef Bayat in Making islam democratic, su quanto la domanda della compatibilità tra Islam e democrazia sia irrilevante e mal posta perché quel che ci si dovrebbe chiedere, sarebbe piuttosto quali condizioni potrebbero permettere lo sviluppo della democrazia in una società a maggioranza musulmana. Anche secondo il sociologo Stefano Allievi la domanda è poco pertinente, in quanto analizzando il contesto italiano, spagnolo e portoghese della fine degli anni 30 o quello latino-americano degli anni 70 si sarebbero riscontrati regimi dittatoriali con forte ricorso al cristianesimo ma non per questo incompatibili con la democrazia a causa della fede in Cristo. Tantomeno si sarebbe ricondotto alla religione la radice dell’assenza dello stato di diritto o della democrazia.


Ma perché è così difficile per gli occidentali uscire da questo imbuto ideologico quando si tratta di Islam?

4. Il concetto di archivio


Per provare a proporre una spiegazione, qui si vuole utilizzare uno strumento concettuale immaginato da Derrida che è quello di archivio. Secondo il filosofo francese, l’archivio non è altro che un luogo della coscienza di una collettività che stratifica con il tempo e con i secoli, una serie di nozioni e credenze comuni. Un luogo dove «uomini e dèi comandano, dove l’autorità e l’ordine sociale sono applicati, il luogo da dove l’ordine sociale è dato.» (p. 1 Derrida 1995). Secondo Gabriele Proglio, studioso di islamofobia e studi postcoloniali, il concetto di Derrida può essere adattato in quello di archivio coloniale, cioè il luogo etereo e astratto della coscienza di una comunità che immagazzina idee derivanti da una determinata tradizione, in questo caso coloniale, reiterandole, riapplicandole e riadattandole a nuovi contesti per mantenere una continuità con il passato. La spiegazione di questo fenomeno trascende la semplice riproposizione di concetti sempre uguali a quelli del passato riapplicati acriticamente, poiché accede ad una dimensione interpretativa che va ben oltre, condensando una riformulazione degli stessi che permette la vera continuità tra passato e presente. Nelle parole del professor Proglio:

«Nel 1911, i sostenitori dell’invasione in Libia da parte di Giolitti e San Giuliano, usarono strumenti retorici che replicavano il discorso della Francia e della Gran Bretagna riguardo le loro conquiste territoriali per legittimare i loro sforzi, ma adattando la loro retorica al contesto italiano. Di conseguenza, collegare direttamente colonialismo e il post-colonialismo significherebbe appiattire tutte le modalità con le quali la memoria storica è costruita è immaginata e pensata.» (intervista a Gabriele Proglio)

In questo modo si potrebbe spiegare, seppure con dovuti limiti, uno dei motivi per i quali gli occidentali sembrano avere difficoltà a rapportarsi con l’alterità arabo-musulmana: secoli di orientalismo avrebbero in qualche modo compromesso una visione più realistica e dell’Islam. L’interpretazione qui proposta spiegherebbe in qualche modo anche altri fattori che hanno a che fare maggiormente con la percezione riguardo la sicurezza e la stabilità percepita dagli occidentali e in particolar modo dagli europei.

Fonte: Then & now youtube channel

5. L’occidente ha guardato troppo a sé


A un certo punto dello sviluppo del pensiero occidentale, ci siamo assuefatti della convinzione che i nostri modelli di vita associata fossero universali e quindi addirittura di necessaria diffusione al mondo intero. Anche questa volta, non stupirebbe se ci stessimo riferendo a idee di civilizzazione relative al periodo coloniale e relegate a quell’epoca, ma al contrario, ci si riferisce qui a teorie ben più contemporanee. Un esempio lampante di ciò è la teoria della Fine della storia e l’ultimo uomo di Francis Fukuyama, politologo nippo-americano che ha offerto un’interessante punto di vista utile per questa analisi. Secondo Fukuyama, con il disgregamento dell’Unione Sovietica tra 1989 e 1991, si disgrega anche l’unico e ultimo modello di vita associata che poteva concorrere con quello liberal-democratico di cui gli Stati Uniti erano e sono i campioni. In quest’ottica, la storia è concepita in maniera hegeliana, cioè secondo un movimento dello spirito che mira a realizzarsi nel mondo attraverso alcuni passaggi inevitabili che hanno il loro coronamento nel sistema politico liberal-democratico come migliore dei sistemi di vita associata possibili. In altre parole, la storia, raggiunto lo sviluppo in occidente nello stato di diritto e nel suo progressivo allargamento, si sarebbe ormai conclusa e l’ultimo uomo sarebbe in particolare quello europeo che mira a costruire una società internazionale di pace per comune condivisione di principi liberal-democratici simili tra tutti gli stati. Progetto di utopica applicazione secondo Lucio Caracciolo in quanto la storia non è un processo fattibile di abolizione forzata.


Il tentativo di realizzare questo progetto post-storico di vera e propria fine della storia e superamento della stessa ha cercato la propria applicazione in Europa e nel progetto di integrazione europea il cui scopo ultimo sarebbe stato quello di pacificare un continente e quindi congelarne gli sviluppi della storia. Ne consegue che ogni altro modello di vita associata diverso da quello liberal-democratico non sarebbe adatto alla missione prefissata e da qui, il passo all’ostilità occidentale nei confronti dell’Islam è breve, in quanto sistema valoriale giudicato come pericoloso e inaffidabile. Atteggiamento acuito dall’emersione del fondamentalismo islamico, delle crisi migratorie e al processo di accrescimento delle minoranze musulmane in Europa che ha portato nelle stesse società europee un multiculturalismo spesso avversato.


6. Conclusioni


In conclusione, pare legittimo sostenere che il rapporto che l’occidente ha sviluppato con l’Islam sia particolarmente influenzato da percezioni storiche di lunga durata che hanno le loro radici nell’epoca colonial, dove l’orientalismo si radica mantenendo alcune continuità con il mondo contemporaneo. La percezione del mondo islamico è anche influenzata dal modo in cui una significativa parte dell’occidente ha di narrarsi e di concepirsi, oltre che di dotarsi di una missione specifica, che non gli permette di sviluppare agevolmente un rapporto più inclusivo con culture considerate per certi versi antitetiche.


Con le dovute eccezioni, il dialogo interculturale diventa, quindi, molto complicato e le ostilità emergono in maniera accentuata, come nel caso del successo alle elezioni di partiti politici che adottano una retorica più dura nei confronti degli immigrati e delle alterità arabo-musulmane presenti nei diversi paesi europei.


Se prima lo scontro tra occidente ed Islam sembrava una questione di dirimente centralità, dal 2022 la guerra in Ucraina ha spostato l’attenzione allo scontro tra occidente e civiltà russa, quasi a voler dimostrare schizofrenicamente che Samuel Huntington con Lo scontro delle civiltà aveva saputo intuire le tendenze del nuovo millennio. Ma la realtà è più complessa di così ed entrambi i confronti dovrebbero portare a più ampie considerazioni sul ruolo dell’occidente nel mondo.


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Bibliografia/Sitografia


  • Micheal E. Bonine, Abbas Amanat, Micheal Ezekiel Gasper (edited by),Is there a Middle East? The evolution of a geopolitical concept, Stanford University Press, California, 2012, pp. 231-240

  • Edward W. Said, Orientalism, London, Penguin Books, 2003

  • Francesco Martini, Ritorno al Vangelo: la sfida dei cathiolic neocon, sito web di Limes, 12/04/2003 reperibile al link https://www.limesonline.com/i-neocons-vogliono-una-chiesa-samaritana/44918; ma anche Il Medio Oriente dei neocon,7/10/2013, carta a colori sul sito web di Limes reperibile al link https://www.limesonline.com/il-medio-oriente-dei-neocon/51668

  • Bican ŞAHİN, Is Islam an Obstacle to Democratization in the Muslim World? The Debate of the Compatibility of Islam and Democracy Revisited, Hacettepe Üniversity, The Faculty of Economics and Administrative Sciences, Department of Public Administration, Beytepe / ANKARA 2006

  • Gema Martin-Muñoz, “Le débat sur l’Islam et la démocratie ou quand l’imaginaire l’emporte ”, Civilisations, 48 | 2001, 177-188

  • Asef Bayat, Making islam democratic, social movement and post-islamist turn, Stanford university press, California, 2007, pp. 4-9

  • Intervista a Stefano Allievi 6/10/2021

  • Jacques Derrida, Archive fever, a freudian impression, Chicago, The University of Chicago Press, 1995, p. 1

  • Intervista a Gabriele Proglio 21/09/2021

  • Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano, 2017

  • Lucio Caracciolo, La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa, Feltrinelli, Milano, 2022

  • Samuel Huntington, The Clash of Civilizations?, Foreign Affairs , Summer, 1993, Vol. 72, No. 3 (Summer, 1993), pp. 22-49

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