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Il caso Patrick Zaki: stavolta andrà tutto bene, forse

Aggiornamento: 21 gen 2022

Di Alessandra Serranò, Agf

1. Introduzione


669 giorni di detenzione. 22 mesi di prigionia. Quasi due anni di vita passati in carcere. Questo è il tempo sottratto a Patrick Zaki, un tempo che non gli verrà più restituito. Tempo sottratto agli affetti della famiglia e degli amici, ai suoi studi universitari e soprattutto al suo attivismo per i diritti delle minoranze. Il suo grido di aiuto questa volta non è rimasto inascoltato, grazie anche a una forte mobilitazione mediatica e della cittadinanza attiva. Una mobilitazione che ha portato alla sua scarcerazione, ma non a una definitiva assoluzione dai reati contestati. Pertanto, rimane indispensabile mantenere alta l’attenzione su questo caso, per evitare che possa finire nel dimenticatoio come tanti altri. Il calvario giudiziario subito dello studente egiziano è una prassi tristemente comune in Egitto per i dissidenti.


Il regime di Al-Sisi è uno dei più repressivi nei confronti dell’informazione e degli oppositori politici, sottoposti a una stretta censura. Ciò nonostante, l’Egitto è un attore fondamentale nel Mediterraneo, nonché partner commerciale privilegiato per l’Italia. Per tali motivazioni economiche e geopolitiche probabilmente l’Unione europea, e soprattutto l’Italia, hanno troppo spesso chiuso un occhio per la salvaguardia dei diritti umani in Egitto. Un immobilismo politico dettato da logiche, per così dire, di “Realpolitik”, ma nonostante ciò sembra lecito chiedersi: quanto vale la tutela dei diritti umani?


2. Chi è Patrick Zaki?


Patrick Zaki nasce il 16 giugno 1991 a Mansura, una città a nord della capitale egiziana. Studente appassionato alle tematiche riguardanti la tutela delle minoranze, ha collaborato con l’associazione Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR) per la difesa dei diritti civili. Il suo attivismo lo spinge a supportare, durante le elezioni presidenziali del 2018, il candidato Khaled Ali, politico impegnato nella lotta per la difesa dei diritti umani in Egitto. A causa delle numerose intimidazioni e degli arresti tra le fila dei suoi collaboratori, Khaled Ali sarà costretto a ritirare la sua candidatura per la corsa alle presidenziali.


Dall’autunno del 2019, frequenta un master presso l’Alma Mater Studiorum (Università di Bologna) in “Women’s and Gender Studies”, per approfondire ulteriormente la passione per la salvaguardia dei diritti. L’attenzione di Patrick Zaki alla tutela delle minoranze deriva anche dalla sua esperienza personale: la famiglia dello studente egiziano appartiene alla minoranza cristiano coopta, una confessione religiosa che ha subito e subisce tuttora forti discriminazioni in Egitto.


3. L’arresto e l’inizio del “processo farsa”


Durante una pausa dagli studi, Patrick Zaki rientra in Egitto per passare un periodo di vacanze a casa e per visitare la propria famiglia. Il 7 febbraio 2020 atterra all’aeroporto del Cairo, ma da questo momento inizia il calvario giudiziario dell’attivista egiziano: non si hanno certezze su cosa accada dal momento del suo fermo da parte degli agenti dei servizi segreti egiziani, ma è certo che per quasi 24 ore si perdono le sue tracce. Viene arrestato all’aeroporto del Cairo e riappare il giorno successivo davanti alla Procura di Mansura (la sua città natale) in stato di fermo per cinque accuse, senza avere la possibilità di mettersi in contatto con familiari e amici.


Secondo quanto riportato dal suo avvocato, in quelle 24 ore di “blackout” da qualsiasi tipo di tutela giudiziaria, Patrick Zaki subisce maltrattamenti e abusi, torture con elettroshock e minacce di ulteriori violenze, anche sessuali. Un trattamento che sembra essere un terribile dejà vu e che riporta alla memoria la ferita ancora aperta dell’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni. La notizia dell’arresto di Patrick Zaki verrà data solamente il 9 febbraio da parte dell’EIPR, l’associazione umanitaria con la quale collaborava.

https://www.amnesty-lombardia.it/public/2020/02/Patrick-George-Zaki-Amnesty-997x538.jpeg

4. La strategia della custodia cautelare: quali accuse?


Patrick Zaki viene accusato di 5 capi d’imputazione, tutti riguardanti reati politici e di stampo sovversivo: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie, propaganda per il terrorismo. La pena prevista per queste imputazioni va da un minimo di 25 anni di reclusione fino all’ergastolo. In caso di reati politici la legislazione egiziana non prevede possibilità di appello, ma esclusivamente la concessione della grazia da parte del presidente. In questo modo, per il regime è possibile esercitare un controllo preventivo nei confronti dei dissidenti e una forte censura per arginare le voci contrarie alle posizioni filogovernative.


Secondo la versione della Procura di Mansura Patrick Zaki viene fermato l’8 febbraio durante un controllo a un posto di blocco nel quartiere di Jadyala e arrestato a causa di un mandato di cattura pendente nei suoi confronti da settembre 2020 (mandato mai notificato ufficialmente allo stesso Zaki secondo la difesa).


Dopo un breve periodo detentivo presso Talkha, lo studente egiziano viene trasferito nella prigione di Mansura il 25 febbraio. La prima udienza del processo è prevista per il 7 marzo, ma due giorni prima viene trasferito nel carcere di Tora (noto come “lo scorpione”), il principale istituto penitenziario di massima sicurezza per i prigionieri politici, dove i detenuti vivono in condizioni degradanti e di sovraffollamento disumano.


5. Il calvario giudiziario e l’insperata svolta di dicembre


In questo momento inizia il vero calvario giudiziario del giovane attivista egiziano: la prima udienza fissata per il 7 marzo 2020 viene rinviata di due settimane, prorogando la custodia cautelare e rinviando l’inizio del dibattimento in tribunale. Questa strategia verrà perpetuata dai giudici in più di 20 occasioni nei successivi mesi, prolungando la detenzione di Patrick Zaki in maniera arbitraria e senza dare alla difesa la possibilità di accesso e revisione degli atti. La prigionia viene prorogata proprio a causa dei continui rinvii (ad intervalli di 15 giorni prima e di 45 giorni successivamente), utilizzando come pretesto anche l’emergenza pandemica, che ha aggravato le condizioni di vita dei detenuti e ridotto la tutela dei loro diritti. Infatti, durante i mesi di reclusione Patrick Zaki ha avuto occasione di incontrare i propri familiari e avvocati solo in rarissime occasioni.


La prima udienza si svolge effettivamente il 14 settembre 2021 e dopo una breve seduta viene fissato un aggiornamento per il 28 settembre. A questo punto del processo sono decadute quasi tutte le accuse più gravi per mancanza di prove, restando in piedi il reato di diffusione di notizie false. L’accusa fa riferimento a un articolo pubblicato da Patrick Zaki nel 2019 riguardante le discriminazioni subite dalla minoranza cristiano-coopta in Egitto. Per tale reato l’imputato rischia fino ad un massimo di cinque anni di reclusione, riducibili a poco più di tre nel caso di Zaki, che ha già scontato 19 mesi di carcere.


La vera svolta avviene durante la terza udienza del 7 dicembre: i giudici, in maniera del tutto inaspettata e soprattutto insperata, decidono per la scarcerazione di Patrick Zaki dopo 669 giorni di detenzione. Tuttavia, non decade l’accusa di diffusione di notizie false, per la quale viene rinviata l’udienza al 1° febbraio 2022. L’8 dicembre Zaki viene rilasciato dal commissariato di Mansura, nel quale aveva trascorso le ultime ore, e dove ad aspettarlo c’erano la madre, la sorella e la sua fidanzata. Probabilmente il rilascio di Patrick Zaki, più che alla clemenza dei giudici, è dovuto all’avvicinarsi del termine massimo di custodia cautelare prima di un processo, previsto in 24 mesi.


6. La rilevanza mediatica e internazionale: l’impegno della comunità bolognese


Questa volta l’eco del grido di aiuto di Patrick Zaki è stato raccolto ed ascoltato fin dall’inizio della vicenda. Una copertura mediatica che probabilmente è mancata, e manca tuttora, alla vicenda del giovane nostro connazionale torturato e ucciso dai servizi segreti egiziani, Giulio Regeni. Grazie all’impegno di diverse comunità e istituzioni si è acceso fin da subito un faro sulla sorte dello studente egiziano, che ha permesso di mantenere sempre viva la speranza della sua liberazione. Non solo la famiglia e la rete di amici di Patrick Zaki, ma soprattutto la comunità degli studenti dell’Alma Mater si è mobilitata per chiedere la liberazione di Patrick. Una rete di sicurezza che si è stretta attorno al proprio membro fatta da studenti, professori e cittadini comuni della città di Bologna che hanno mantenuto altissima l’attenzione mediatica attraverso manifestazioni e appelli a ogni proroga della detenzione di Zaki. Una città e una comunità, quelle di Bologna, accoglienti e inclusive che hanno fin da subito mobilitato le proprie risorse per la liberazione dello studente, divenuto ormai cittadino onorario (diversi comuni hanno conferito la cittadinanza onoraria a Patrick Zaki).


Anche l’Unione europea ha dato il proprio sostegno alla causa dello studente egiziano che, come migliaia di studenti di scambi internazionali, aveva deciso di formarsi per un periodo proprio in Europa. Infatti, il Parlamento Europeo ha approvato il 18 dicembre 2020 una risoluzione in cui “deplora […] con la massima fermezza la continua e crescente repressione, per mano delle autorità statali e delle forze di sicurezza egiziane, ai danni dei diritti fondamentali e di difensori dei diritti umani […] e chiede la liberazione immediata e incondizionata di Patrick George Zaki e il ritiro di tutte le accuse a suo carico”[1].


7. Gli sforzi del governo italiano: luci ed ombre


Anche il governo italiano e le sue istituzioni hanno dato il proprio contributo per mantenere costante le pressioni sull’Egitto, con luci e ombre su modalità e tempistiche dell’efficacia di tali misure. Certamente il conferimento della cittadinanza italiana a Patrick Zaki sarebbe stato (e sarebbe tuttora) un gesto importante, non risolutivo, ma sicuramente forte. Il 7 luglio 2021 la Camera ha approvato con 358 voti favorevoli una mozione (approvata 3 mesi prima anche dal Senato) per concedere allo studente egiziano la cittadinanza italiana, frutto anche di una campagna di raccolta firme attivata dai cittadini. Ciò avrebbe probabilmente accelerato l’iter di scarcerazione di Zaki e rimane tuttora enigmatico lo stallo della procedura per l’ottenimento della cittadinanza che aumenterebbe la tutela giudiziaria dell’imputato, mandando un forte segnale al regime di Al-Sisi.


Emblematico il caso del conferimento della Legione d’Onore al presidente egiziano da parte di Macron il 7 dicembre 2020. Il Presidente del Consiglio Mario Draghi, politico da sempre attento ai toni, non ha esitato a definire Erdogan un dittatore, ma è rimasto in silenzio davanti al conferimento della massima onorificenza francese al capo del regime egiziano. La cerimonia è andata in onda solamente sui canali d’informazione egiziani, un goffo tentativo di mantenere sottotraccia un episodio che avrebbe messo in forte imbarazzo l’Eliseo nei confronti dell’Italia e l’Ue, che si stavano spendendo per la liberazione di Patrick Zaki. Questa vicenda, apparentemente senza importanza, è sintomatica dell’esistenza di interessi politico-economici che legano l’Europa, e soprattutto l’Italia, al regime di Al-Sisi, che troppo spesso si nascondono dietro logiche di Realpolitik.

Di AP/LaPresse

8. Relazioni economiche Italia-Egitto: quanto vale il rispetto dei diritti umani?


Il regime di Al-Sisi è un alleato prezioso per l’Ue, oltre ad essere un partner economico molto vantaggioso per l’Italia, che risulta essere il più grande rivenditore di armamenti per l’Egitto. Nell’intricato scacchiere del Nord Africa, aggravato dalla crisi apparentemente infinita della Libia e dalla recente crisi tunisina, l’Egitto rappresenta un attore affidabile per le strategie geopolitiche europee. Il governo di Al-Sisi, grazie ad un apparato repressivo molto efficiente, è un alleato indispensabile per la strategia europea nel Mediterraneo, dalla stabilizzazione della Libia (con particolare attenzione alla fornitura di gas) alla gestione dei flussi migratori.


Oltre alle questioni geopolitiche, hanno pari importanza, se non addirittura maggiore, quelle economiche: lo scorso anno i governi di Italia ed Egitto hanno firmato un accordo commerciale per la vendita di fregate militari e armamenti da un valore stimabile in 10 miliardi di euro nei prossimi anni. La prima delle due fregate di classe Fremm (la nave Emilio Bianchi) previste da contratto è stata consegnata il 23 dicembre 2020 nel porto di La Spezia, ma per evitare polemiche in un momento “apparentemente” delicato nelle relazioni Italia-Egitto il varo della nave è stato tenuto sottotraccia. La “Bianchi” e la “Schergat” (la seconda nave prevista dall’accordo) sono gli ultimi esemplari prodotti da Orizzonte sistemi navali, un consorzio controllato al 51% da Fincantieri e con una partecipazione di Leonardo (ex Finmeccanica), pertanto a forte influenza statale.


Questo accordo commerciale, oltre a mettere in forte imbarazzo i governi italiani succedutisi negli ultimi due anni e a far perdere di credibilità gli impegni presi per le vicende Zaki e Regeni, viola una legge dello Stato: la normativa prevista dalla legge n.185 del 1990 dispone il divieto di vendita e cessione di materiale bellico ai paesi che non rispettano i diritti umani, che sono invischiati in un conflitto o che aggirano embarghi internazionali. Risulta lampante ormai da anni il mancato rispetto dei diritti umani da parte del regime di Al-Sisi, ma ciò non basta per fermare tali interessi economici, oltre ad acuire il dolore di una famiglia, quella di Giulio Regeni, che dal 2016 è ancora alla ricerca della verità.


9. Giulio e Patrick: la storia si ripete ma con un finale diverso


Analizzando il caso Zaki è quantomeno doveroso e inevitabile riflettere sull’uccisione di Giulio Regeni: il corpo del giovane ricercatore dell’università di Cambridge viene ritrovato sul ciglio di una strada della capitale egiziana il 3 febbraio 2016. Il corpo martoriato è irriconoscibile, tanto che la madre Paola riuscirà a identificarlo solo dalla punta del naso. Presenta evidenti segni di torture e pestaggi, bruciature di sigarette e oltre due dozzine di fratture. La presunta causa delle morte viene imputata a una estesa emorragia cerebrale e alla frattura di una vertebra dovute a un forte colpo al collo.


L’inziale versione della polizia egiziana fa riferimento a un banale incidente stradale, ma i segni delle torture subite da Giulio Regeni sono evidenti. Nonostante un’iniziale apparente collaborazione delle autorità egiziane si evidenziano fin da subito chiari tentativi di depistaggio. Vengono avvalorate le tesi di un omicidio per motivi personali, legate allo spaccio di sostanze stupefacenti. Il 24 marzo 2016 la polizia egiziana uccide quattro uomini, ritenuti responsabili dell’omicidio di Giulio a seguito di un tentativo di rapimento. Anche questa ipotesi viene prontamente smentita dalle indagini, mettendo in risalto l’ennesimo tentativo di depistaggio della polizia.


La Procura di Roma ha parallelamente aperto un’indagine per fare luce sull’uccisione di Giulio Regeni: le indagini preliminari si sono concluse il 20 dicembre 2020 e sono stati rinviati a giudizio quattro agenti del National Security Agency (i servizi segreti egiziani). Tuttavia, gli indagati sono irreperibili a causa della mancata collaborazione delle autorità giudiziarie egiziane, che fino ad ora si sono rifiutate di comunicare gli indirizzi di residenza degli agenti, rendendo impossibile l’inizio del processo. Secondo la Procura il reale movente della tortura e brutale uccisione del ricercatore italiano è un presunto tentativo di finanziamento di movimenti sovversivi.


Chi non si è mai arreso di fronte a tali difficoltà è la famiglia di Giulio Regeni, che da anni sta lottando per avere giustizia anche grazie al supporto mediatico. Una famiglia spesso lasciata sola dalle istituzioni italiane a combattere una battaglia troppo importante, quella per la ricerca doverosa della verità.

https://www.adnkronos.com/resources/0259-1112a13b8183-7fb6ccc70504-1000/format/big/regeni_genitori_fg_1901.jpg

10. Conclusioni


Stavolta è andato tutto bene, più o meno. Patrick Zaki è stato finalmente scarcerato, ma ciò non significa che sia libero o fuori pericolo. Il 1° febbraio si terrà la prossima udienza, con il rischio di una condanna fino a cinque anni di reclusione. Per lo studente egiziano non è stato previsto un obbligo di firma, né tantomeno il divieto di espatriare. Sembrerebbe una buona notizia, tanto che molti si sono chiesti quando potrà fare ritorno a Bologna, la città che lo ha accolto. Ma un eventuale viaggio in Italia potrebbe essere interpretato come un tentativo di fuga, pretesto per un’ulteriore incarcerazione. Ciò spiegherebbe anche il basso profilo di Patrick Zaki nelle dichiarazioni delle poche interviste finora rilasciate, temendo una ritorsione nei suoi confronti nel caso in cui raccontasse cosa è davvero successo in questi due anni. Bisogna ricordare che è ancora sotto processo, pertanto il pericolo di una condanna non è ancora definitivamente scongiurato.


A maggior ragione è necessario mantenere alta l’attenzione su questa vicenda. Da parte dell’opinione di pubblica ma soprattutto del governo italiano, che probabilmente finora non ha fatto tutto il possibile per la definitiva liberazione di Patrick Zaki. Il conferimento della cittadinanza italiana sarebbe un gesto importante, non solo a livello formale ma anche sostanziale, perché darebbe una maggiore tutela giudiziaria. Inoltre, per quanto vantaggiosi, potrebbe essere opportuno una rivalutazione degli accordi commerciali per la fornitura di materiale bellico all’Egitto. Un affare da oltre 10 miliardi che però contrasta con i principi costituzionali e le leggi italiane (la famiglia di Giulio Regeni ha fatto ricorso contro il governo italiano per la violazione della legge n.185 del 1990 che, come visto poc’anzi, vieta la vendita di armamenti a paesi che non rispettano la tutela dei diritti umani).


Inoltre, risulta fondamentale l’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica. Affinché il finale di questa vicenda possa essere diverso. Per non dimenticare tutti i prigionieri politici tuttora presenti nelle sovraffollate carceri egiziane. Per onorare la memoria di Giulio Regeni e supportare la ricerca della verità da parte della sua famiglia. Perché stavolta andrà tutto bene, forse.


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Il caso Patrick Zaki stavolta andrà tutto bene, forse - Davide Giacomino
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Note

[1] Risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2020 sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto, segnatamente il caso degli attivisti dell'organizzazione Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR) (2020/2912(RSP)


Bibliografia/Sitografia

  • Rapporto Amnesty International 2020-2021 “Medio Oriente-Africa del Nord”, https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-2020-2021/medio-oriente-e-africa-del-nord/egitto/

  • E. Panarella, ilmessaggero.it, “Presidenziali Egitto: si ritira anche l'avvocato Ali. Resta solo al-Sisi”

  • A. Magnani, ilsole24ore.com, “Patrick Zaki a processo in Egitto, ecco che cosa rischia”

  • ilfattoquotidiano.it, “Patrick Zaki, ventuno mesi senza la libertà”

  • L. Tomasetta, tpi.it, “Cos’è Tora, il carcere di massima sicurezza dove è detenuto Patrick Zaky”

  • Per un ulteriore approfondimento sull’impatto del Covid-19 nel sistema carcerario egiziano: C. Morelli, www.amistades.it., “Egitto - Quando l'epidemia di coronavirus incontra la crisi dei diritti umani”

  • ilpost.it, “Patrick Zaki è stato scarcerato”

  • I. Artiaco, fanpage.it, “Patrick Zaki esce di prigione dopo 669 giorni, è libero ma non assolto: l’udienza il 1 febbraio”

  • bologna.repubblica.it, “Patrick Zaky è cittadino onorario di Bologna”

  • Risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2020 sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto, segnatamente il caso degli attivisti dell'organizzazione Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR) (2020/2912(RSP))

  • repubblica.it, “Camera, ok alla mozione per la cittadinanza italiana a Zaki. Letta: "Ora il governo faccia la sua parte"

  • S. Montefiori, corriere.it, “Egitto, Al Sisi incassa anche la Legion d'Onore da Macron. La cerimonia «nascosta» dall'Eliseo”

  • lastampa.it, “Draghi: “Erdogan dittatore” e la Turchia convoca l’ambasciatore italiano”

  • C. Cornet, internazionale.it, “Cosa c’è dietro all’accordo sulla vendita di armi tra Italia ed Egitto”

  • G. Beretta, osservatoriodiritti.it, “Armi all’Egitto: l’Italia continua a venderle, ma manca collaborazione per Regeni”

  • Testo di legge 9 luglio 1990, n.185 pubblicato in Gazzetta Ufficiale

  • C. Tecce, espresso.repubblica.it, “L’Italia vende nuove armi e altre navi da guerra all’Egitto”

  • F. Buonuomo, osservatoriodiritti.it, “Giulio Regeni: ecco cosa sappiamo a cinque anni dalla morte del ricercatore”

  • theguardian.com, “Egyptian police claim to shoot dead gang that killed Giulio Regeni”

  • G. Foschini, roma.repubblica.it, "Così gli 007 egiziani uccisero Giulio Regeni. E decisero di depistare le indagini"

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