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Alle Origini delle dispute nel Mediterraneo Orientale - Parte I

Aggiornamento: 19 nov 2020

Introduzione


Per comprendere a fondo lo stato delle relazioni greco-turche e, di riflesso, le odierne turbolenze che agitano il Mar Mediterraneo Orientale, è imprescindibile tenere in considerazione tanto la attuale posta in gioco tra i due attori quanto la storia dei due Paesi e la memoria collettiva che ne influenza le rispettive percezioni nei confronti dell’altro.

Quello greco-turco è infatti uno di quei (non pochi) casi ove l’accumularsi di questioni irrisolte e immaginari storici collettivi mai sopiti, spesso cavalcati da leader e partiti nazionalisti, ha portato a periodiche frizioni e tensioni tra i due Stati. Ciò che è peculiare al caso greco-turco è l’appartenenza dei due Paesi ad una medesima organizzazione – la NATO – che con il tempo ha assunto (o preteso di assumere) sempre più i caratteri di una comunità di sicurezza all’interno della quale la possibilità di un conflitto tra i propri membri doveva essere pressoché nulla.


Entrambi divenuti membri dell’Alleanza Atlantica nel 1952, Grecia e Turchia hanno sperimentato nelle loro relazioni periodi di intensa collaborazione, ma anche gravi crisi che hanno portato più volte i due Paesi sull’orlo di un conflitto aperto. Comprendere le ragioni dell’una e dell’altra parte circa le rivendicazioni avanzate oggi rende necessario indagare a fondo, da una parte, l’annosa questione delle dispute sul Mar Egeo -che trova le origini in alcune clausole del Trattato di Losanna (1923), della Convenzione di Montreaux (1936) e del Trattato di Parigi (1947)- dall’altra, la ancora più insidiosa e critica evoluzione della questione cipriota, che richiama (in)direttamente alla genesi stessa dello stato greco e alla sua lotta per l’indipendenza dall’Impero Ottomano, che ha dato vita mito nazionalista della Megali Idea (Enosis) proiettato poi all’isola di Cipro sotto dominio coloniale inglese.


1. Dall’indipendenza greca a quella turca


Per quasi un secolo, a partire dall’inizio della guerra d’indipendenza avviata nel Peloponneso nel 1821, i greci hanno combattuto e rivendicato territori nei confronti del Sultanato ottomano. Durante questi anni l’irredentismo greco guardava a tutti quei territori sotto amministrazione della Sublime Porta in cui abitassero popolazioni greco-ortodosse. Il mito della “Megali Idea” – il sogno di una Grande Grecia estesa sulle due rive dell’Egeo che rispolverasse i fasti dell’Impero Bizantino – divenne al tempo dei nazionalismi europei una vera e propria ossessione, raggiungendo il culmine nel primo dopoguerra con la sconfitta dell’Impero Ottomano. L’armistizio di Mudros (31 ottobre 1918) aveva stabilito condizioni durissime per gli ottomani, determinando l’occupazione di diversi territori da parte delle truppe greche, tra cui la regione di Smirne nell’Anatolia occidentale. L’armistizio prima, e il Trattato di Sèvres poi (10 agosto 1920), sembrarono aprire la strada al sogno greco. Ad opporsi, tuttavia, fu il movimento di resistenza nazionale guidato da Mustafa Kemal Ataturk che, tra le altre cose, respinse l’offensiva greca lanciata nel 1921 da Smirne verso Ankara. Nel settembre 1922 i greci si erano ormai ritirati da Smirne, gli inglesi dalla zona degli Stretti, e nell’ottobre venne firmato l’armistizio di Mudanya con il quale cessarono le ostilità. Gli eventi di questo periodo, che nella storiografia turca costituiscono la “lotta nazionale” (Milli Mücadele) e l’atto fondativo della futura repubblica, lasciarono però profonde ferite nell’immaginario dei due paesi e delle rispettive popolazioni. Tuttavia, il periodo post conflitto vide una normalizzazione delle relazioni greco-turche e aprì a un periodo di discreta stabilità nei rapporti bilaterali, con numerosi tentativi di cooperazione tra cui occorre menzionare la Convenzione di Montreaux del 1936.


La base della normalizzazione fu il Trattato di Losanna (24 luglio 1923) con cui vennero determinate le nuove frontiere e gli aggiustamenti territoriali tra i due Paesi - oltre che il trasferimento in Grecia della rimanente popolazione greco-ortodossa dell’Anatolia, ad eccezione di Istanbul e alcune isole, e della popolazione greco-musulmana, eccetto quella della Tracia, in Turchia. Fu però solo in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, con il Trattato di Parigi del 1947, che la Grecia acquisì gli attuali possedimenti e confini. Con esso si sancì infatti, tra le altre cose, il passaggio delle isole del Dodecaneso dall’Italia alla Grecia, come compenso per le sofferenze dovute all’occupazione durante la guerra. Tali isole, a lungo domini ottomani ma a grande maggioranza greca, divennero possedimenti italiani in seguito alla guerra italo-turca del 1912 (Trattato di Ouchy), sovranità poi riconosciuta alla Grecia da Mustafa Kemal con il Trattato di Losanna del 1923.


2. Dispute Egeo


Il termine Aegean Dispute fa storicamente riferimento a una serie di controverse dispute, separate ma interconnesse tra loro, che si sono manifestate a partire dagli anni Settanta portando i due paesi sull’orlo di un conflitto aperto nel 1976, 1987 e 1996.

La decennale disputa sul Mar Egeo, al di là di essere sintomo e proiezione del complessivo stato delle relazioni tra i due Paesi, concerne prevalentemente due questioni: la libertà di navigazione, legata alla delimitazione delle rispettive acque territoriali, e i diritti avanzati sulla piattaforma continentale (e Zona Economica Esclusiva).


A complicare il quadro, tuttavia, altre questioni critiche nelle relazioni greco-turche hanno giocato un ruolo nella postura dei governi rispetto al tema in questione. Tra queste occorre menzionare la rimilitarizzazione delle isole greche, il problema delle rispettive minoranze (greci ortodossi a Istanbul e minoranze musulmane in Tracia occidentale) e, naturalmente, la questione di Cipro.


2.1 Piattaforma continentale


Una delle quattro Convenzioni scaturite dalla First United Nations Conference on the Law of the Sea (UNCLOS I), riunitasi a Ginevra nel 1958, codificò per la prima volta il diritto del mare attinente la piattaforma continentale, determinando che:


  • Essa si riferisce al fondale marino e sottosuolo adiacente la costa di uno Stato, comprese le isole, fino a 200 miglia marine al di là del suo mare territoriale;

  • I diritti dello stato costiero sulla piattaforma continentale non pregiudicano lo stato legale delle acque soprastanti (alto mare) o lo spazio aereo sopra di esse;

  • L’esplorazione e lo sfruttamento della piattaforma non può giustificare interferenze alla navigazione o alla pesca; in accordo a questo principio, lo stato costiero può costruire istallazioni per lo sfruttamento e l’esplorazione delle risorse marine;

  • Quando la piattaforma continentale è adiacente al territorio di due o più stati le cui coste sono una di fronte all’altra, i confini della piattaforma continentale, salvo altro accordo tra le parti, sono delimitati dalla linea mediana. Tuttavia, la Convenzione specifica che un’altra linea può esser giustificata da circostanze speciali.

Tale Convenzione, alla luce dei vantaggi conferiti agli stati arcipelaghi in un “mare chiuso” come quello dell’Egeo fu ratificata dalla Grecia ma non dalla Turchia. Quest’ultima, oltre a contestare la definizione di piattaforma continentale includente l’area adiacente le isole, ha sempre inteso la piattaforma continentale egea come “naturale prolungamento” della massa territoriale anatolica. Secondo questa interpretazione, dunque, la piattaforma continentale turca si estenderebbe oltre le isole greche (Figura 1) di fronte alla costa turca; mentre i diritti di sfruttamento del fondale marino di queste ultime non si estenderebbero oltre la delimitazione del loro mare territoriale, ovvero sei miglia marine (secondo la Convenzione del 1958, poi estesa a 12 nel 1982).

Fonte: Siousiouras, P, Chysochou G; “The Aegean Dispute in the Context of Contemporary Judicial Decisions on Maritime Delimitation”

2.2 Mare territoriale e zona contigua:


Un’altra Convenzione redatta a Ginevra nel 1958 fu quella concernente il mare territoriale e la cosiddetta zona contigua. Essa permetteva agli Stati costieri di estendere fino a 12 miglia la giurisdizione. Né la Grecia né la Turchia firmarono questa convenzione, continuando piuttosto a osservare e rispettare, per la delimitazione del proprio mare territoriale, il limite delle sei miglia marine[1] adottato in precedenza dalla gran parte degli stati costieri. Data l’enorme quantità di isole greche presente nell’Egeo (più di 2'300), circa il 35% delle acque in questione, secondo il limite delle 6 miglia (blu più scuro in Figura 2), si caratterizzava come mare territoriale greco, mentre solo l’8% erano a giurisdizione turca. Tuttavia, nel caso in cui Atene decidesse di estendere a 12 miglia (blu intermedio in Figura 2) la delimitazione del proprio mare territoriale, le percentuali passerebbero a 70%-10% e tutte le navi salpanti dai porti turchi dell’Egeo sarebbero obbligate a passare attraverso acque greche. La Turchia, nel corso dei decenni, ha sempre identificato un tentativo greco in tal senso come casus belli.

Figura 2 Fonte: Le Monde Diplomatique

3. Una disputa sempre più complessa


A partire dagli anni Settanta vi furono i primi tentativi di rilevamento di giacimenti di risorse energetiche nel Mar Egeo e, con essi, si manifestarono le prime dispute tra Grecia e Turchia sulla piattaforma continentale.

Nel maggio del 1974 Ankara annunciò l’invio di una nave per rilevamenti magnetometrici ai fini di future trivellazioni in quella che, secondo l’allora Ministro per l’Energia e Risorse Naturali Cahit Kayra, era piattaforma continentale turca, ma che nei fatti si sovrapponeva a quella rivendicata dalla Grecia, essendo al di là delle isole di Lesbo e Chios. La nave Candarli, accompagnata da 32 navi da guerra della Marina turca, entrò nel Mare Egeo il 29 maggio e passò sei giorni a condurre rilevamenti e a stazionare nell’area; a nulla valsero le proteste del governo greco, a cui Ankara rispose un mese dopo concedendo ulteriori licenze di esplorazione alla Turkish State Petroleum Company, questa volta nelle acque del Dodecaneso.


Nel giro di alcune settimane una sequenza di eventi sconvolse i due Paesi: il tentato golpe a Cipro contro Makarios, la seguente invasione e occupazione turca di circa il 40% dell’isola e la caduta della giunta militare greca.

Le due operazioni militari turche sull’isola di Cipro - 20 luglio e 14 agosto 1974- oltre che a far temere la comunità internazionale, in particolare Washington e la NATO, circa un potenziale conflitto tra le due parti, complicarono notevolmente anche l’intero quadro delle dispute sul Mar Egeo aggiungendo ulteriori elementi di frizione. Da una parte, quello sulle zone di controllo del traffico aereo (Flight Information Region, FIR), dall’altra quello della militarizzazione delle isole greche.


Inoltre, l’occupazione turca della parte settentrionale dell’isola di Cipro e, soprattutto, l’autoproclamazione di questa a Repubblica Turca di Cipro del Nord (RTCN) nel 1983, pose le basi delle odierne dispute nel Mediterraneo Orientale per lo sfruttamento dei giacimenti di gas, in quanto Ankara e Lefkoşa rivendicano il diritto a una propria Zona Economica Esclusiva - pur essendo la RTCN riconosciuta dalla sola Turchia e pur non avendo ratificato la Convenzione di Montego Bay del 1982.


3.1 Militarizzazione isole


Tra il 1974 e il 1975 le tensioni tra i due Paesi crebbero notevolmente, con dichiarazioni da parte turca sempre più revisioniste circa l’intero assetto del Mar Egeo. Ad alimentare il clima di tensione erano soprattutto le rispettive opposizioni interne ai due paesi, guidate da Bulent Ecevit e Andreas Papandreou, che adottarono una retorica sempre più incendiaria nel criticare quei pochi tentativi di dialogo tra i governi. Ciò portò ad un allontanamento tra le parti e, da parte turca, all’istituzione di un nuovo comando militare, la “Fourth Army” (soprannominata anche “Aegean Army”) predisposta, a detta turca, alla difesa della costa dell’Anatolia in risposta alla fortificazione e militarizzazione delle isole greche. Posto al di fuori della struttura NATO, questo nuovo comando alimentò le preoccupazioni di Atene circa potenziali nuove iniziative militari di Ankara nell’Egeo.


Contro la fortificazione e militarizzazione delle isole greche dell’Egeo Ankara invocò alcune clausole del Trattato d Losanna e del Trattato di Parigi del 1947. Dal punto di vista giuridico Atene ha invece sempre fatto riferimento alla Convenzione di Montreux e al fatto che Ankara non facesse parte del Trattato di Parigi, dunque come attore esterno non poteva sindacarne l’ottemperanza. In seguito all’invasione turca di Cipro Atene si è poi sempre appellata all’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, il quale garantisce ad ogni stato l’inalienabile diritto alla legittima difesa del proprio territorio, sottolineando in questo modo più volte il senso di insicurezza generato da un fait accompli che Ankara avrebbe potuto ripetere altrove.


Dal punto di vista giuridico sono varie le norme che fanno quindi riferimento alla demilitarizzazione delle isole greche nell’Egeo. Esse vengono solitamente divise in tre raggruppamenti:


  • Isole di Samotrace e Lemnos: Nella Convenzione sugli Stretti facente parte il Trattato di Losanna si prevedeva la loro demilitarizzazione. Tuttavia, secondo Atene la successiva Convenzione di Montreux del 1936, seppur indirettamente, ne autorizzò la rimilitarizzazione (Shmitt p. 64)

  • Mytilene, Chios, Samos e Ikaria: Il Trattato di Losanna prevedeva esplicitamente la demilitarizzazione di queste, se non per la presenza di un piccolo contingente militare e forze ordinarie di polizia civile in proporzione alla popolazione.

  • Dodecaneso: il Trattato di Parigi proibisce specificamente all’articolo 14 ogni installazione militare, lo stazionamento di unità militari e la produzione di materiale bellico. Sono permesse invece forze di sicurezza interne, dotate di armamentario leggero.

Soprattutto a partire dal post 1974 Atene iniziò a trasferire a scopo difensivo artiglieria, mezzi blindati e truppe su alcune isole (Lesbo, Chios, Samos, Ikaria), ma anche vere e proprie basi militari (Lemnos). Inoltre, le forze di sicurezza interne delle isole del Dodecaneso vennero rafforzate al punto da non esser più distinguibili dalle unità militari greche.


4. Sull’orlo del conflitto, gli antecedenti


4.1. Sismik 1 - 1976


Nonostante i ripetuti avvertimenti da parte greca, nell’agosto del 1976 Ankara condusse un nuovo rilevamento sismologico nelle acque contese inviando la nave Sismik 1, rendendo chiaro che ogni interferenza greca avrebbe provocato una reazione turca. Mentre il leader dell’opposizione greca invocò l’affondamento della nave, il premier greco Karamanlis si appellò contemporaneamente al Consiglio di Sicurezza ONU e alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. I due organi, tuttavia, rimandarono la questione a negoziati bilaterali pacifici (risoluzione 395). Nonostante il viaggio della Sismik 1 abbia alzato notevolmente i livelli di tensione tra le parti, l’episodio mostrò la volontà dei due governi di non lasciarsi trasportare in un conflitto aperto: da una parte, Ankara ridimensionò notevolmente -da 32 a 1- le navi da guerra affiancate alla Sismik 1, dall’altra il governo greco non mostrò alcuna intenzione di utilizzo della forza per fermare quella che riteneva un’intrusione in un’area da lei rivendicata, cercando piuttosto di ricondurre la disputa a trattative diplomatiche e giurisdizionali. Ciò si rivelerà essere una costante nei decenni a venire nelle relazioni greco-turche, dove l’emergere di provocazioni turche e aumento delle tensioni porterà i due Paesi in uno stato d’allerta tale da far temere lo scoppio di un conflitto, salvo poi ricondurre il tutto a successivi negoziati che, nonostante inconcludenti, funzioneranno da valvola di sfogo. In attesa della successiva crisi.


4.2. Sismik 2 - 1987


Essa occorse nel marzo del 1987, con le stesse modalità: quando la Northern Aegean Petroleum Company greca annunciò l’avvio di perforazioni 10 miglia a est dall’isola di Thasos, Ankara rispose inviando nuovamente la nave Sismik 1, accompagnata da una nave militare, per ricerche oceanografiche sulla piattaforma continentale rivendicata da Ankara. Il primo ministro greco Papandreou - colui che dieci anni prima, da leader dell’opposizione, invocò l’affondamento della nave turca - tenendo un incendiario discorso alla Nazione si disse pronto a difendere, anche con la forza, i diritti greci; ritenne responsabilità NATO e statunitense ogni sviluppo ulteriore e pose le forze armate greche in totale stato d’allerta. La pronta e ferma risposta greca e la diplomazia favorita dagli Alleati, tra cui l’Unione Europea che nel frattempo aveva ammesso tra i suoi membri la Grecia, concorsero a evitare un ulteriore escalation delle tensioni fino al conflitto.


Tale episodio, in ogni caso, fu il turning point per quello che passò alla storia come lo “Spirito di Davos”, ovvero un vero e proprio rapprochement greco-turco favorito da un’intesa personale tra lo stesso Papandreou e il nuovo leader turco, Turgut Ozal. Ben presto però si comprese che lo “spirito di Davos” creatosi tra i due leader, con il reciproco riconoscimento di come le proprie nazioni avessero solo da guadagnare in una stabilizzazione delle loro relazioni, poco poteva incidere sulla complessa matassa di dispute, frizioni, diverse interpretazioni del diritto internazionale e interessi nazionali da rivendicare di fronte alle opposizioni interne. La posta in gioco e le diverse dispute erano semplicemente troppe e interbloccate tra loro per poter portare ad una vera normalizzazione.


4.3. Imia/Kardak - 1996


Così, ancora una volta a un decennio di distanza, nel gennaio del 1996 il perenne impasse nel percorso verso un accordo onnicomprensivo tra le parti portò nuovamente a un innalzamento delle tensioni. Questa volta, per la prima volta, la Turchia mise in discussione la sovranità greca su una serie di isolotti dell’Egeo che, benché disabitati, erano fino ad allora stati riconosciuti come territorio greco. Quella che si presentava come una bizzarra “flags war” – alcuni abitanti della vicina isola Kalyminos sbarcarono ad Imia e vi installarono una bandiera greca, nei giorni successivi sostituita con una turca da un team di reporter della testata turca Hurriyet - ben presto portò i due Paesi a mobilitare le proprie navi militari e ad uno stato di allerta generale anche lungo la green line cipriota. Il peggio fu evitato ancora una volta grazie alle iniziative diplomatiche di Washington e delle cancellerie europee.


Fin dal 1974 il ciclo di confrontazione-negoziazione-confrontazione tra Grecia e Turchia è stato una costante nel panorama Mediterraneo, ed è tuttora in corso in una nuova fase di acceso confronto. Tensioni che si inseriscono in un quadro regionale, se possibile, ancora più complesso e intrigato.


5. Conclusioni


Fin dal 1974 il ciclo di confrontazione-negoziazione-confrontazione tra Grecia e Turchia è stato una costante nel panorama Mediterraneo, ed è tuttora in corso in una nuova fase di acceso confronto. Nonostante le pressioni domestiche, le spinte ideologiche e le differenti interpretazioni del diritto internazionale, il ricorso all’uso della forza militare è stato evitato nelle acque del Mar Egeo, sebbene durante le crisi del 1974, 1976, 1987 e 1996 i due Paesi siano sembrati sull’orlo del conflitto. Sotto i diversi governi succedutisi un certo grado di pragmatismo ha dominato sulle pulsioni nazionaliste, sia perché un conflitto aperto non era nell’interesse delle parti, sia perché l’appartenenza dei due Paesi alla NATO e al percorso in divenire europeo ha ricondotto in ultima istanza ad una descalation.


E tuttavia l’intera gamma di dispute e questioni irrisolte grava ancora nelle relazioni greco-turche, sulla NATO e sull’Unione Europea, vista anche l’ammissione di Cipro del 2004. A partire dai primi anni 2000 si era pensato che l’ammissione di questa e i prospetti di adesione turca all’UE potessero ricondurre il tutto nell’alveo di negoziazioni pacifiche e all’implementazione dell’acquis comunitario.


La recente assertività turca e l’allontanamento di Erdogan dal progetto europeo hanno invece fatto riemergere le tensioni nel Mar Egeo e nel Mediterraneo Orientale facendo temere nuovamente l’innesco di un conflitto. Tensioni che si inseriscono in un quadro regionale, se possibile, ancora più complesso e intrigato.


Intanto, ancora una volta, Atene e Ankara si sono trovate unite da un disastro naturale che ha colpito i due Paesi. Nonostante le forti tensioni degli ultimi mesi, i rispettivi leader hanno espresso la propria solidarietà e vicinanza alle reciproche popolazioni, dicendosi pronti a sostenersi e collaborare per farvi fronte. Nell’estate del 1999, a breve distanza dall’escalation di tensioni relative agli episodi di Imia/Kardak, i due Paesi sperimentarono un forte riavvicinamento politico-diplomatico anche a causa di due terribili scosse di terremoto che colpirono prima la Turchia (17 agosto, causando oltre 17mila morti), poi la Grecia (7 settembre) e che dettero vita alla c.d. “earthquake diplomacy” tra Ankara e Atene. Chissà se il più recente episodio possa ricondurre i due governi a un più mite confronto e un atteggiamento maggiormente cooperativo.


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ALLE ORIGINI DELLE DISPUTE NEL MEDITERRA
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Note

[1] Questo è vero solo riguardo al Mar Egeo, la Turchia infatti per quanto riguarda il Mar Nero adottò già in quegli anni le 12 miglia marine come criterio per la delimitazione del proprio mar territoriale.


Bibliografia


D. CONSTAS (ed), The Greek-Turkish Conflict in the 1990s-Domestic and External Influence, Londra, 1991

R, McDONALD, The Problem of Cyprus, Adelphi Papers, n° 234, 1988

F. MOUSTAKIS, The Greek-Turkish Relationship and NATO, Londra, 2003

M. N. SCHMITT, “The Aegean Angst: The Greek-Turkish Dispute”, Naval War College Review, Vol. 49, N°3, 1996 https://digital-commons.usnwc.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=3084&context=nwc-review

P. SIOUSIOURAS, G. CHRYSOCHOU, “The Aegean Dispute in the Context of Contemporary Judicial Decisions on Maritime Delimitation”, Laws, 2014, 3, pp. 12–49;

A. WILSON, The Aegean Dispute, Adelphi Papers, n° 155, 1979


Sitografia





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