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NOPEC, ovvero capire il mercato del petrolio di oggi alla luce di un paradosso

Aggiornamento: 14 dic 2020


(di Greta Zunino) Avanzata oltre 15 volte fin dal 2000, un gruppo bipartisan di senatori statunitensi ha riproposto recentemente l'adozione del "No Oil Producing and Exporting Cartels Act" (NOPEC), una misura atta a rimuovere l'immunità di stato ai Paesi e alle organizzazioni considerate responsabili di collusione e comportamento anti-competitivo ai danni degli USA. In questo caso, oggetto dell'accusa sono i paesi membri dell'OPEC+ (l'OPEC più la Russia, in sintonia crescente per quel che riguarda la coordinazione dei livelli di produzione) e le relative compagnie petrolifere nazionali.

La misura mira in particolare ad abrogare la regola secondo la quale, nel diritto federale, i governi stranieri non possono essere accusati dei crimini previsti dalla legge anti-trust statunitense.

La proposta di legge è un esempio di scuola per cercare di capire alcuni dei principi base che regolano il mercato petrolifero e per analizzare alcuni sviluppi recenti che costituiscono una novità assoluta rispetto alle dinamiche e agli attori che potremmo definire "tradizionali".


Oil for dummies: l'offerta scende, il prezzo sale - La proposta di adozione del NOPEC nasce dalla volontà americana di contenere il prezzo internazionale del greggio. Nel corso dell'ultimo incontro dell''OPEC+, nel Dicembre 2018, l'Organizzazione ha accordato un taglio della produzione di 1.2 milioni di barili al giorno (mb/d) a partire da Gennaio 2019 e per un periodo iniziale di sei mesi, su una produzione base di Dicembre 2018 stimata a 32.7 mb/d.

L'impatto di questo taglio è da sommare alla ridotta produzione iraniana, a seguito delle sanzioni re-imposte dagli USA, e di quella venezuelana, a causa della crisi economico-politica interna, che complessivamente e in concorso altre dinamiche di mercato, hanno portato a un aumento del prezzo medio del barile dai 52$ del 2017 ai 69$ del 2018.


Un grattacapo presidenziale - Gli Stati Uniti hanno accusato l'OPEC, attraverso il taglio di produzione, di aver causato un aumento artificiale del prezzo, a tutto danno dei consumatori americani.

"OPEC please relax and take it easy. World cannot take a price hike - fragile!" ha twittato recentemente il Presidente Trump, che negli ultimi tempi non si è fatto remore ad accusare l'OPEC a colpi di tweet. La preoccupazione per l'aumento del prezzo del greggio assume un valore doppiamente politico per Trump, che ha bisogno, più di ogni altra cosa, di una situazione economica positiva per mirare alla rielezione nel 2020.

Se è vero che un prezzo del petrolio alle stelle metterebbe in difficoltà l'economia americana nel complesso, è anche vero che in quanto paese produttore, un prezzo sostenuto contribuirebbe ad un maggiore successo della nascente industria petrolifera (Nascente si fa per dire: gli USA hanno sorpassato ripetutamente l'Arabia Saudita e la Russia in termini di produzione nel 2018). I 65$ al barile di oggi, discutibilmente percepiti come la diretta conseguenza di misure atte a destabilizzare l'economia americana, costituiscono un prezzo troppo elevato per i consumatori, mentre i produttori potrebbero essere in attivo anche con un prezzo più contenuto.


Tanto rumore per nulla - Il NOPEC appare più una misura propagandistica che uno strumento efficace per contenere il prezzo del greggio. Immaginiamo che la legislazione passi e che una causa venga effettivamente aperta contro la compagnia petrolifera nazionale (NOC) di un paese aderente all'OPEC. A livello pratico, la misura non potrebbe fare altro che portare al congelamento delle attività economico-finanziarie e dei beni del soggetto incriminato nel territorio statunitense. Sarebbe abbastanza per convincere una potenza quale l'OPEC, in controllo, nel 2017, di oltre l'80% delle risorse petrolifere mondiali, ad allentare la presa sul mercato? Difficile da credere. Gli Stati Uniti fanno leva sul proprio peso a livello internazionale e sul loro status di grande produttore, ma riesce difficile immaginare uno dei più grandi cartelli della storia smantellato con un simile escamotage.


Un paese diviso - Il NOPEC, proposto a più riprese sia da esponenti Democratici che Repubblicani, è un argomento altamente polarizzante e non evidente nelle conseguenze che potrebbe portare nel lungo termine. Una misura così audace, politicizzata e, potremmo azzardare, "nazionalista", se messa in atto, causerebbe un'ondata di atti di rappresaglia sulle compagnie e sui cittadini americani tali da forzare un legislatore oculato a soppesare attentamente i pro e i contro della sua adozione. George Bush, nel 2007, rigettò una proposta di NOPEC già approvata da entrambe le Camere sottolineando il rischio troppo elevato che le compagnie americane avrebbero potuto correre se la legge fosse stata implementata. L'American Petroleum Institution (API) e la Camera di Commercio americana si sono schierate apertamente contro il NOPEC, facendo presente che diverse compagnie petrolifere americane operano in paesi appartenenti all'OPEC, e che i Sauditi stessi hanno recentemente acquistato nientemeno che la più grande raffineria statunitense (Port Arthur, Texas).


Swing, swing, swing - Al di là delle difficoltà di applicazione e delle possibili conseguenze indirette, il NOPEC, anche se approvato, avrebbe scarso potere sulle attuali dinamiche petrolifere globali. Gli Stati Uniti hanno guadagnato la leadership nella produzione globale di greggio, ma l'unico Paese che possa vantare di avere un potere reale sulla produzione e quindi sul prezzo rimane l'Arabia Saudita. La sua posizione, in gergo petrolifero, viene definita "swing producer": l'unico in grado di aumentare o diminuire la produzione di greggio al punto da avere un vero impatto sul mercato mondiale sul lungo periodo. A differenza del rivale americano, l'Arabia Saudita basa la propria ricchezza su riserve convenzionali sfruttabili a bassissimo costo e rapide da mettere in moto o mettere in stand-by, cosa non altrettanto semplice per il non-convenzionale americano.


La fine di un'amicizia - L'adozione del NOPEC porterebbe a una rimodulazione definitiva dell'alleanza tra gli USA e l'Arabia Saudita, unite da una pluridecennale amicizia di convenienza basata sullo scambio di armi e petrolio. Il rapporto tra le due potenze, non privo di frizioni, è oggetto di revisione da quando gli Stati Uniti hanno cominciato a coprire un ruolo rilevante in qualità di paese produttore. Gli USA sono passati da essere acquirenti a concorrenti, mantenendo tuttavia inalterato il bisogno di un rapporto equilibrato in termini energetici, spesso venuto a mancare. Qualunque azione messa in campo dall'OPEC+ andrebbe in qualche modo a danneggiare una componente americana: se l'OPEC aumenta la produzione e il prezzo scende, i produttori di non-convenzionale statunitensi si trovano in difficoltà a ricoprire i costi di produzione; se l'OPEC taglia la produzione, il prezzo del greggio aumenta e ad avere la peggio sono i consumatori americani (e non solo).

Il NOPEC, rivolgendosi a tutti i paesi considerati mettere in atto pratiche anti-competitive ai danni della nazione americana, andrebbe a colpire anche la Russia, parte dell'OPEC+ e i cui rapporti con gli Stati Uniti, già deteriorati, non potrebbero che peggiorare ulteriormente.


Davide non può battere Golia - Il NOPEC ha, più che in ogni altra occasione precedente, la probabilità di essere adottato, portando con sé una vera e propria dichiarazione di guerra da parte degli Stati Uniti ai più grandi produttori di petrolio al mondo. Mentre da un punto di vista teorico la misura in sé non ha il potere di fermare direttamente la collusione tra i membri del cartello, da un punto di vista pratico la sua adozione potrebbe scatenare una serie di eventi a catena di portata mondiale, capaci di destabilizzare ulteriormente il mercato petrolifero. A dire il vero, è decisamente più probabile che l'adozione del NOPEC porti ad un ennesimo aumento del prezzo del greggio, più che a convincere il cartello petrolifero più importante del pianeta ad obbedire al volere americano. Il Decreto farebbe scattare immediatamente una reazione ostile da parte dei paesi incriminati e dall'Organizzazione stessa che, se coalizzata, potrebbe dare serio filo da torcere agli Stati Uniti sia nel settore petrolifero che in tutte le altre attività economiche che orbitano intorno alla super-potenza.

Gli USA non sono mai stati una potenza produttrice come oggigiorno, eppure proprio oggi vogliono mettere in atto una misura atta, in teoria, a moderare il peso dei propri concorrenti, senza averne veramente la forza (l'Arabia Saudita rimarrà comunque il solo paese in grado di cambiare le sorti del mercato globale) e rischiando fortemente di scatenare una reazione ostile da parte dei paesi interessati nei confronti della totalità delle attività economiche, e non solo, statunitensi.


Il gioco vale la candela?



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