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Quanto è vicino l’Iran a un’arma nucleare?

1. Il cammino verso il PACG


L’ambizione nucleare iraniana è radicata nella guerra del 1980-1988 con l’Iraq, che vide l’ampio utilizzo di armi chimiche ed ebbe un esito catastrofico per entrambe le nazioni. A seguito di segnalazioni circa un programma nucleare clandestino iracheno, la leadership iraniana decise che un deterrente nucleare sarebbe stato fondamentale per la sopravvivenza del paese. Tuttavia, il primo approccio alla tecnologia nucleare iniziò negli anni ‘50, grazie al programma statunitense Atoms for Peace. Nel 1970, l’Iran ratificò il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), limitando il programma ad un uso pacifico e aprendo le porte alle ispezioni dell’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA). Sulla scia della rivoluzione iraniana del 1979, la cooperazione occidentale cessò ma l’Iran, nel frattempo, continuò il suo programma nucleare con l’assistenza di altri stati come Russia, Cina e Pakistan. Nel 2003, un rapporto dell’AIEA concluse che l’Iran non aveva adempiuto ai propri obblighi e il paese, per evitare di essere deferito dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC), avviò negoziati diplomatici con gli UE-3[1], annunciando una sospensione temporanea dell’arricchimento dell’uranio e l’attuazione volontaria del Protocollo Aggiuntivo. Gli UE-3, in cambio, accettarono di riconoscere i diritti nucleari dell’Iran e di discutere i modi in cui avrebbe potuto accedere alla tecnologia moderna fornendo garanzie.


Nel 2005, con l’elezione di Mahmoud Ahmadinejad, l’Iran riprese l’arricchimento, e il suo mancato rispetto del TNP portò a ben sei Risoluzioni dell’UNSC[2] e, quindi, il divieto di possedere tecnologia nucleare e missilistica, l’embargo completo sulle armi e il congelamento dei beni di alcuni individui ed entità iraniane. Nel 2006 iniziarono i negoziati tra la Repubblica islamica e i P5+1[3] con l’obiettivo di assicurarsi che l’Iran non sviluppasse le sue armi nucleari e, al contempo, garantirgli il diritto di arricchire il combustibile nucleare a scopi pacifici, sulla base del terzo pilastro del TNP. Mentre i paesi coinvolti lavoravano a un accordo a lungo termine, nel novembre 2013 è stato firmato a Ginevra il piano d’azione congiunto tra il paese mediorientale e i P5+1 che prevedeva il congelamento a breve termine di parti del programma nucleare iraniano in cambio della riduzione delle sanzioni economiche. Il processo di negoziati portò, due anni dopo, alla Risoluzione 2231, che ha visto approvato l’accordo del Piano d’azione congiunto globale (PACG) e il divieto di trasferire, importare ed esportare armi, materiale nucleare sensibile, equipaggiamenti e missili per una durata specifica.


2. Cos’è l’accordo sul nucleare iraniano e come funziona


Il PACG è un accordo stipulato a Vienna il 14 luglio del 2015 tra la Repubblica islamica dell’Iran e i P5+1. Il governo iraniano ha accettato di riprogettare, convertire e ridurre i suoi impianti nucleari, nonché di implementare il Protocollo Aggiuntivo su base temporanea e volontaria, al fine di ottenere la revoca di tutte le sanzioni economiche relative al nucleare, sbloccando decine di miliardi di dollari di entrate petrolifere e beni congelati. In particolare, le scorte di uranio arricchito sono state ridotte del 97% in 15 anni, da 10.000 kg a 300 kg, quindi una quantità non sufficiente a coprire le fasi di ricerca, sviluppo e test di un’arma nucleare. All’Iran è stato permesso di possedere un uranio con non oltre il 3,67% di purezza, sufficiente ad un uso pacifico e civile, in quanto per una bomba nucleare ne è necessario il 90%. Inoltre, il paese è stato autorizzato a conservare non più di 6.104 delle quasi 20.000 centrifughe di arricchimento di uranio (modificate irreversibilmente). Il governo ha quindi accettato che quella di Natanz sarebbe stata l’unica struttura di arricchimento. L’impianto di Fordow, con le sue 1.044 centrifughe, sarebbe stato convertito in un centro di ricerca nucleare in grado di produrre radioisotopi stabili, estremamente importanti nel campo medico, agricolo, industriale e scientifico. Allo stesso modo, l’impianto di plutonio di Arak sarebbe stato ridisegnato e modernizzato in un “reattore di ricerca ad acqua pesante” in modo da non poter più creare plutonio per armi e il combustibile esaurito sarebbe stato esportato sul mercato internazionale. L’Iran ha inoltre acconsentito a ispezioni illimitate da parte dell’AIEA su tutti i suoi siti nucleari, comprese le miniere, i mulini di uranio e le centrifughe. Di conseguenza, il tempo di breakout[4] sarebbe aumentato da due/tre mesi a un anno, secondo gli esperti.

Fig.2: Negoziati sull’accordo iraniano a Vienna, Luglio 2015.

3. La peggiore delle ipotesi: un Iran nucleare


Un’arma nucleare utilizza un materiale fissile per provocare una reazione nucleare a catena. I materiali comunemente usati sono l’uranio 235 (U-235) e il plutonio 239 (Pu-239). Il plutonio è quasi inesistente quindi o l’uranio deve essere arricchito o il plutonio prodotto. L’arricchimento dell’uranio è una tecnologia a duplice uso[5], utilizzata sia per scopi civili che militari.


L’Iran ha sempre affermato che le sue ambizioni nucleari sono destinate a scopi pacifici e l’Ayatollah Ali Khamenei, leader spirituale supremo iraniano, ha ripetutamente ribadito, anche emettendo una fatwa[6], che le armi nucleari sono considerate haram (proibite dalla religione).


Storicamente, prima dell’avvio del suo programma, l’Iran aveva ripetutamente sostenuto la creazione di una zona libera da armi nucleari in Medio Oriente. Nel 1974, mentre crescevano le preoccupazioni nella regione per il programma nucleare di Israele, l’Iran propose formalmente questo concetto in una risoluzione congiunta all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.


Il governo avrebbe poco da guadagnare sviluppando un ampio arsenale di armi nucleari poiché i paesi vicini come l’Arabia Saudita e la Giordania perseguirebbero immediatamente il loro programma in risposta. Israele si oppose fermamente all’accordo e alcuni funzionari israeliani affermarono pubblicamente che il programma rappresentava una minaccia esistenziale per il paese[7].


Prima delle sanzioni legate al nucleare, gli Stati Uniti avevano imposto altre sanzioni severe all’Iran e, secondo il Dipartimento di Stato americano, il paese continua la sua attività terroristica, fornendo supporto a vari gruppi terroristici in tutto il Medio Oriente, nonostante le sanzioni. Per questo, negli Stati Uniti c’è forte preoccupazione poiché, se l’Iran fosse in grado di creare il suo arsenale nucleare, potrebbe consegnarlo nelle mani dei terroristi. Ad ogni modo, al momento, potrebbe essere molto difficile per l’Iran costruire un’arma nucleare poiché dovrebbe ricostruire gran parte delle sue infrastrutture.


4. Conflitti diplomatici


Nel 2018 Donald Trump ha annunciato unilateralmente l’uscita dal PACG rilanciando le sanzioni economiche contro il Paese mediorientale, nell’ottica di indurre l’Iran a ritirarsi dalla Siria dove, secondo il governo USA, i Pasdaran, Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (CGRI), supportano il governo di Bashar al-Assad, forniscono supporto logistico e militare al gruppo della milizia libanese di Hezbollah e, nel contesto della guerra civile yemenita, assistono l’opposizione yemenita. Questa mossa statunitense è stata fortemente criticata dagli altri paesi firmatari poiché l’Iran non aveva mai violato l’accordo, come confermato dall’AIEA. In risposta, il governo di Teheran ha interrotto le vendite dell’eccesso di uranio arricchito e di acqua pesante, annunciando di riprendere l’arricchimento anche fino al 20%, se gli altri firmatari non avessero consentito al Paese di sfruttare il vantaggio economico dell’accordo.


Con l’elezione di Biden nel 2020, gli USA hanno dichiarato la loro intenzione di rientrare nelle trattative. In seguito all’assassinio del generale Soleimani, per mano di un drone statunitense all’Aeroporto Internazionale di Baghdad, l’Iran ha annunciato che non avrebbe più rispettato il trattato, continuando comunque a coordinare con l’AIEA. A complicare le tensioni, si sono aggiunti il danneggiamento dell’impianto di Natanz e l’uccisione di Mohsen Fakhrizadeh, direttore del programma nucleare iraniano. Le autorità iraniane hanno denunciato il coinvolgimento del Mossad in entrambi i casi.


Dopo aver sospeso i negoziati a Vienna per l’elezione del nuovo presidente iraniano Ebrahim Raisi, con l’arrivo del 2022 sono ripresi i negoziati e l’Iran ha chiesto garanzie credibili sul fatto che un futuro presidente USA non uscirà una seconda volta unilateralmente dall’accordo. Un altro punto critico è la richiesta della rimozione del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dalla lista nera americana delle organizzazioni terroristiche straniere. Durante l’ex amministrazione Trump, la campagna di Washington ha involontariamente spinto il paese mediorientale tra le braccia di un rivale strategico: la Cina. Infatti, Teheran e Pechino hanno firmato un accordo di 25 anni che sembra offrire alla Repubblica islamica più stabilità e un maggior progresso economico di quanto l’Occidente possa fornire. Nel frattempo continuano le trattative a Vienna. Sarà raggiunto un accordo sull’accordo?

5. Conclusioni


Partendo dal presupposto che l’Iran troverà il modo di costruire la sua bomba atomica, dovrebbe essere in grado di diventare una vera e propria potenza nucleare, possedere quindi diverse armi nucleari di varia potenza, vettori tecnicamente affidabili e precisi e dovrebbe essere in grado di rispondere all’attacco nucleare di un avversario con un contrattacco.


Gli equilibri di potere rimarrebbero invariati nel Medio Oriente, ma ci sarebbero soltanto più nazioni con capacità nucleari e, strategicamente parlando, comporterebbe al deterioramento della situazione nell’intera regione. Non c’è dubbio che vi è differenza tra uno stato che possiede capacità nucleari e uno stato che non le possiede, anche quando si tratta di attività non legate al nucleare. Inoltre, come notato sopra, potrebbe incoraggiare altri paesi della regione a sviluppare il proprio arsenale nucleare. Un’ipotetica Teheran nucleare dovrebbe affrontare la questione se sia possibile un equilibrio basato sulla deterrenza con Israele. Tuttavia, Israele difficilmente permetterebbe al paese di diventare una potenza nucleare.


La Repubblica Islamica è tormentata da numerose vulnerabilità strategiche interne ed esterne e la sua economia ha sofferto anni di recessione, deprezzamento della valuta e inflazione, in gran parte a causa delle sanzioni legate all’energia e al terrorismo. Di fronte a un paese economicamente esausto, il governo è stato costretto a sedersi al tavolo dei negoziati.


Sulla scena politica, un ruolo molto importante è svolto dalla propaganda che, se ben strutturata, è difficile da identificare. Il paese probabilmente non ha mai voluto costruire una bomba nucleare funzionante; tuttavia, ha potenzialmente incluso questa mossa tattica in un piano strategico più ampio volto ad intimidire durante i negoziati, con l’intenzione di far leva sulle minacce per ottenere ulteriori concessioni dall’Occidente e la riduzione delle sanzioni esistenti.


La ripresa dei negoziati del PACG diventa una priorità a fronte della situazione di crisi in Ucraina, che ha fortemente influenzato i prezzi globali dell’energia. L’Iran, quindi, potrebbe diventare un prezioso fornitore di energia per l’Europa, nonché un mercato fertile per gli investimenti.

E poi, inizieremmo a scrivere un altro capitolo.


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Note

[1] Francia, Germania e Regno Unito. [2] Risoluzione 1696 (2006); Risoluzione 1737 (2006); Risoluzione 1747 (2007); Risoluzione 1803 (2008); Risoluzione 1835 (2008); Risoluzione 1929 (2010). [3] Membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu e l’Unione Europea. [4] Tempo necessario a creare una bomba atomica. [5] Infatti il TNP non vieta l’arricchimento dell’uranio. [6] Nella religione islamica è un responso giuridico emesso da un giureconsulto. [7] Va ricordato che Israele è l’unica potenza nucleare del Medio Oriente e che, ad oggi, non ha ancora firmato il TNP.


Bibliografia/Sitografia

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