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Criminal Governance e Tratta di Esseri Umani: il potere nelle reti

Fig.1: Agenti di polizia francesi ispezionano un campo agricolo in cerca di manodopera irregolarmente impiegata. (Europol)

1. Introduzione


La tratta di esseri umani è globalmente riconosciuta come un reato contro l'individuo, a cui gli Stati devono rivolgere la propria attenzione al fine di proteggere chi risiede, soggiorna o transita nei propri territori. Elemento centrale della tratta di esseri umani è la condizione di vulnerabilità della vittima, ovvero l’impossibilità di disporre liberamente del proprio destino. La condizione di vulnerabilità è una sfera nella quale la vittima subisce forme di potere coercitivo o ingannevole da parte degli autori del crimine, nella maggioranza dei casi appartenenti a organizzazioni criminali. La vulnerabilità, come altri elementi che compongono un circuito di tratta, acquisiscono continuità tramite determinate modalità di potere informale, sintetizzate nella nozione di “criminal governance”[1].


Obiettivo di questa analisi è illustrare il contributo della criminal governance alla tratta di persone, quando questa rientra tra le attività di un’organizzazione criminale.


2. La tratta di esseri umani


Secondo la definizione data dalla Direttiva 2011/36 dell’Unione europea, si intende per tratta di esseri umani “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’acco­glienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell’autorità su queste persone, con la minaccia dell’uso o con l’uso stesso della forza o di altre forme di coercizione, con il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di potere o della posi­zione di vulnerabilità o con l’offerta o l’accettazione di somme di denaro o di vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra, a fini di sfruttamento”[2].


Detta definizione è adeguatamente ampia rispetto alla complessità del fenomeno, e deriva dallo strumento giuridico che l’Unione europea ha adottato per adempiere agli obblighi derivanti dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, ratificato il 24 luglio 2006 con decisione del Consiglio. In aggiunta, la Direttiva permette agli Stati membri di adempiere agli obblighi assunti nella Convenzione del Consiglio d’Europa contro la Tratta di Esseri Umani (2005) e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea (2000).


Il primo elemento che emerge da tale definizione è la condotta illecita, consistente nel reclutamento, trasporto, trasferimento, alloggio o accoglienza di persone, compreso il passaggio o il trasferimento dell’autorità su queste persone.


Il secondo elemento è il mezzo: uso coercitivo della forza, inganno, abuso di potere o della posizione di vulnerabilità della vittima. La posizione di vulnerabilità è tale quando un individuo non ha altra scelta effettiva e accettabile se non cedere all’abuso. L’elemento di vulnerabilità, oltre a definire la vittima come tale, nell’ambito dell’immigrazione irregolare differenzia la tratta di esseri umani dal traffico di esseri umani. Quest’ultimo consiste nella fornitura di un servizio di trasferimento oltre confine, in cambio di un compenso pecuniario da parte di quello che si configura più come un cliente, e piuttosto che una vittima, in virtù di un rapporto con il trafficante di tipo consensuale, che termina con l’arrivo a destinazione e il pagamento della somma pattuita.


Il terzo elemento è il fine: lo sfruttamento, con profitto economico o materiale, della prostituzione, del lavoro, del prelievo di organi, di attività illecite commesse sotto costrizione, o del “servizio forzato”, come l’accattonaggio, la schiavitù e la servitù. Tra le attività illecite commesse, figurano principalmente il traffico di sostanze stupefacenti, i furti e i reati contro il patrimonio, e il cosiddetto “forced smuggling”, ovvero il traffico di esseri umani per procura. Inoltre, le vittime minorenni sono principalmente introdotte in attività illegali come il borseggio, il furto su piccola scala, o la vendita di beni illeciti. Infine, una forma difficile da identificare a causa del legame affettivo tra vittima e perpetratore è il matrimonio forzato, a danno di donne e bambine, per matrimoni combinati caratterizzati spesso da notevoli differenze di età.

Fig.2: Donne nigeriane soccorse dalle forze di polizia italiane. (The Guardian)

3. La tratta di esseri umani nell’Unione europea


Ai sensi degli art. 19 e 20 della Direttiva 2011/36, gli Stati membri sono tenuti a redigere relazioni nazionali sui fenomeni di tratta di esseri umani, e consegnarle al Coordinatore Anti-tratta dell’UE per la redazione di un unico report biennale sulle tendenze del fenomeno e sui progressi nel contrasto.


L’obiettivo di redigere un report esaustivo è ostacolato da fattori come l’eterogeneità negli ordinamenti giuridici sulla tratta, nonché le difficoltà operative e culturali nell’identificazione delle vittime. Nel primo caso, la raccolta dei dati sui tipi di sfruttamento può essere influenzata dalle definizioni dei reati di riferimento negli ordinamenti nazionali. Nel secondo caso, le difficoltà nell’identificazione delle vittime da parte degli operatori addetti si traducono in una mancanza di flessibilità nell’osservazione, con il rischio di non rilevare peculiari casistiche di vulnerabilità e abuso. Dette difficoltà possono riguardare l’abilità comunicative degli operatori con le vittime, ma anche la complessità culturale e sociale intrinseca nei circuiti di tratta e nei contesti di vulnerabilità. Nell’analisi delle vulnerabilità di una vittima, ogni caso è a sé, e per identificare un numero di vittime quanto più vicino alla realtà sono necessari flessibilità, approccio interdisciplinare e approfondita conoscenza delle realtà locali in cui la tratta è realizzata, dal reclutamento allo sfruttamento. In ragione di questi ed altri motivi, la tratta di esseri umani nell’UE non è un fenomeno che gode di idonea copertura, e le statistiche sul fenomeno non sono esaustive.


Nondimeno, i dati inerenti al biennio 2017-2018 danno un’idea della pervasività del fenomeno nell’UE, con 26.268 vittime identificate. I dati, derivanti dal report sulla tratta di esseri umani della Commissione europea (2020), comprendono anche il Regno Unito. Sulla totalità delle vittime, il 58% era di genere femminile, mentre il 38% di genere maschile.


Nell’Unione europea, la prima forma di sfruttamento è di tipo sessuale, con il 46% delle vittime identificate. Per il biennio considerato, lo sfruttamento sessuale è la forma maggioritaria in 15 Stati membri, con Ungheria (97%), Estonia (82%), Slovenia (80%), Romania (68%) e Germania (67%) in cima alla classifica. Le donne rappresentano la maggioranza (92%), mentre solo il 7% delle vittime è rappresentato da uomini: la percentuale estremamente alta riferita a donne e bambine potrebbe essere determinata dal tipo di domanda, storicamente composta da uomini. La seconda forma di sfruttamento è di tipo lavorativo (22%). In questo caso, la prevalenza di genere è maschile (79%). Nelle altre forme di sfruttamento, il 63 % delle vittime era donna. La percentuale maggioritaria rappresentata dalle donne sulla totalità delle vittime è un determinata dalle dinamiche di sfruttamento, come menzionato in precedenza, ma anche dall’accentuata vulnerabilità riferita al genere: specie se di origine esterna all’Unione, donne e bambine soffrono condizioni di violenza sistemica e discriminazione tali da porle in una posizione di vulnerabilità tendenzialmente maggiore rispetto alle vittime di genere maschile: ne consegue una maggiore esposizione al rischio di reclutamento. Inoltre, vi sono forme di sfruttamento, come il matrimonio forzato, in cui le vittime sono esclusivamente donne, in ragione delle dinamiche culturali alla base dello sfruttamento, in cui il genere femminile è visto come subordinato a quello maschile. Con riguardo al genere, quindi, è possibile affermare che la tratta di esseri umani è tendenzialmente improntata sullo sfruttamento di vittime di genere femminile. Nondimeno, tra i dati presentati nel report, il 4% delle vittime totali non è ascritta a un genere, e allo stesso modo il 2% delle vittime di sfruttamento sessuale. Detto deficit statistico potrebbe avere causa tanto in problematiche riferite al raccoglimento delle informazioni da parte di ogni Stato membro, che nell’identificazione del genere riferito a un dato individuo. Difatti, qualora una vittima si definisca in un genere “non-binario”, non risultano etichette specifiche a tal riguardo, e il mancato riconoscimento a livello statistico potrebbe avere importanti conseguenze sulla valutazione delle vulnerabilità caratteristiche degli individui “non-binari”, e sull’esposizione al rischio che ne consegue.


Con riguardo alla cittadinanza delle vittime, nel biennio 2017-2018, il 41% degli individui identificati come vittime aveva cittadinanza europea, di cui il 27% identificati nello Stato di cittadinanza. La percentuale aumenta se si analizzano le vittime minorenni, cittadine dell’UE per il 57% dei casi, di cui il 49% trafficate nel medesimo paese di cittadinanza. In merito ai cittadini di Stati terzi, essi rappresentano il 56 % delle vittime di tratta di esseri umani. Le vittime provengono in maggioranza da Nigeria, Albania, Vietnam, Cina e Sudan, ma i dati variano a seconda del tipo di sfruttamento delle vittime di cittadinanza non europea, principalmente sessuale (41%) e lavorativo (24%). Nigeria (68%), Albania (58%) e Cina (52%) figurano tra i primi tre paesi per proporzione di vittime di sfruttamento sessuale, insieme a Iraq (15%) e Pakistan (14%). Il Sudan, invece, presenta la maggiore proporzione di vittime di sfruttamento lavorativo (88%), seguito da Eritrea (54%), India (53%), Bangladesh (46%) e Pakistan (39%).


Occorre notare che le regioni di provenienza delle vittime sono estremamente differenti, tanto nella distanza dall’Unione che nella modalità di ingresso: la distanza dall’Unione determina la necessità di ricorrere a determinati vettori di trasporto, con effetti sulla regolarità dell’ingresso nell’Unione e sulle vulnerabilità delle vittime. Data la Direttiva 2004/82/CE del Consiglio, i vettori di trasporto verso l’UE sono tenuti a comunicare le informazioni dei passeggeri prima del loro ingresso: il controllo sulla regolarità del visto e dei documenti atti all’ingresso è quindi esternalizzata ai vettori, e ciò implica che le vittime che fanno ingresso per via aerea abbiano il visto d’ingresso prima dell’accesso al mezzo di trasporto, accedendo quindi regolarmente nell’Unione. In mezzi come aerei, il controllo dei passeggeri, e dell’autorizzazione ad accedere all’Unione, è naturalmente serrato, mentre scarseggia o latita in presenza di trasporti informali e non controllati, come i mezzi che attraversano i confini di terra dell’Unione o i natanti di piccole dimensioni che raggiungono le coste greche, italiane e spagnole. Le vittime provenienti dalla Cina, ad esempio, arrivano necessariamente per via aerea, mentre l’Albania è appena al di là della frontiera esterna, e l’attraversamento irregolare della frontiera con la Grecia è molto più difficile da monitorare. Se però la lontana Cina e la vicina Albania sono entrambe ai primi posti come Stati di origine delle vittime, è il caso di considerare lo status giuridico dal punto di vista migratorio come possibile circostanza di vulnerabilità, a prescindere dalla regolarità del soggiorno, in quanto l’architettura giuridica dell’Unione e degli Stati membri sul rilascio dei permessi di soggiorno presenta dei limiti abilmente sfruttati dalle organizzazioni o dai singoli responsabili dello sfruttamento.


Il migrante irregolare può dover dipendere da un’organizzazione criminale o da uno sfruttatore per evitare il rimpatrio, mentre il migrante in posizione regolare può andare incontro a vari scenari, tra cui la necessità di mantenere un contratto di lavoro per mantenere la regolarità del proprio soggiorno, spesso tradotta in una condizione di dipendenza dal datore di lavoro. Ulteriore scenario comprende fenomeno di “overstaying”, in cui un migrante entra in una posizione inizialmente regolare, salvo poi non rispettare i limiti di soggiorno consentiti, e permanere sul territorio in maniera irregolare: anche in questa circostanza, la vittima è esposta al rimpatrio, oltre che impossibilitata a lavorare con un regolare contratto, con la conseguenza di una maggiore esposizione al reclutamento in circuiti di tratta. Non è infine da dimenticare lo scenario di rischio che riguarda con frequenza i richiedenti protezione internazionale: se da un lato la loro posizione è regolare, secondo la Direttiva 2013/33/UE gli Stati membri devono garantire l’accesso dei richiedenti all'occupazione dipendente o autonoma “entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale […]”. In questo lasso di tempo, prolungabile per esigenze di mercato del lavoro interno, i richiedenti asilo sono esposti a vulnerabilità economica per periodi che possono variare in ragione delle limitazioni imposte dallo Stato membro in cui risiedono.


Ciò su cui bisogna concentrarsi è quindi anche la condizione di soggiorno delle vittime, o potenziali tali, in quanto lo sfruttamento e il ricatto passano anche da questa dimensione.


La protezione delle vittime negli scenari appena menzionati è data da un approccio giuridico opportuno, che valuti la tratta di esseri umani come reato contro la persona, e non come reato migratorio. Nel contrasto alla tratta e nella protezione delle vittime con cittadinanza nell’Unione, la base giuridica della Direttiva 2011/36, ovvero gli artt. 82, par. 2, e 83, par. 1 del TFUE, conferisce competenza dell’Unione nel campo della cooperazione giudiziaria e di polizia nel contrasto a “sfere di criminalità particolarmente grave”, tra cui figura anche la tratta di esseri umani. Dette basi giuridiche permettono all’Unione di sviluppare una competenza non solo verso la tratta “esterna”, intesa come attraversamento irregolare della frontiera esterna, ma anche verso la tratta “interna” all’UE, come fenomeno che coinvolge anche gli individui con cittadinanza nell’Unione. L’Articolo 79 (par. 2, lett. d) TFUE come base giuridica per la Direttiva, avrebbe favorito un approccio maggiormente improntato sulla tratta come forma di immigrazione irregolare, rischiando di penalizzare la dimensione di sfruttamento, in favore di quella migratoria. Pertanto, date le basi giuridiche della Direttiva 2011/36, la tratta di esseri umani figura in primis come un reato contro la persona, perpetrato da individui e organizzazioni criminali, a beneficio degli stessi o di terzi.

Fig.3: Arresto del boss di un gruppo specializzato nella tratta di esseri umani, Berlino. (Europol)

4. Le organizzazioni criminali nell’UE e la tratta di esseri umani


La presenza di una sovrastruttura criminale nella tratta di persone è riconosciuta dalle istituzioni europee. Nella Strategia europea per la lotta alla tratta di esseri umani (2021-2025), il fenomeno è definito come “forma particolarmente grave di criminalità organizzata” e la strategia stessa è “strettamente interconnessa” con la Strategia contro la Criminalità Organizzata per il 2021-2025. Nel quadro giuridico europeo[3], la definizione di “organizzazione criminale” è minima e non esaustiva. La struttura basilare prevede l’associazione strutturata di più di due persone, che commettano reati passibili di pena o misura di sicurezza privativa della libertà di minimo quattro anni, al fine di ottenere un vantaggio finanziario o materiale. Detta associazione strutturata prevede una continuità nell’esistenza e una sistematicità dell’organizzazione nell’attuazione di uno o più reati. Tuttavia, data l’eterogeneità strutturale delle organizzazioni, la definizione non fornisce elementi definitori riguardanti l’interno della struttura organizzativa. Con riguardo invece alla partecipazione ad un’organizzazione criminale, nella Decisione 2008/841/GAI del Consiglio figurano: fornitura di informazioni o mezzi materiali; reclutamento di nuovi membri; finanziamento delle attività; intesa con una o più persone per attuare un’attività propedeutica alla commissione dei reati. Nell’Unione europea, le organizzazioni criminali incontrano una serie di notevoli opportunità per la costruzione di reti criminali transnazionali. Dette opportunità si sviluppano su cinque linee d’azione, sorte con la nascita e l’allargamento dello spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia[4].


La creazione di uno spazio unico di Libertà, Sicurezza e Giustizia, incentrato su un controllo efficace e concentrato sulle frontiere esterne, al fine di garantire l’assenza di controlli sistematici alle frontiere interne, ha posto nuove sfide alla sicurezza interna degli Stati membri, divenuti altamente interdipendenti in merito. Detto spazio presenta una frontiera esterna di 11.000 km di confine terrestre, e 74.000 km di confine marittimo, e, premesse le eccezioni, i controlli di carattere sistematico alle frontiere nazionali sono vietati ai sensi del Codice Frontiere Schengen, mentre resta possibile il controllo della frontiera interna su base occasionale. In pratica, la frontiera esterna comune implica un livello elevato di vulnerabilità alla criminalità organizzata [5], a causa dell'elevata permeabilità delle frontiere nazionali a fenomeni transnazionali, come migrazioni e traffici illeciti, tra cui la tratta di persone.


La libera circolazione all'interno dell'area Schengen, accelerata dalla diminuzione dei controlli alle frontiere interne, presenta opportunità per le organizzazioni criminali di espandersi attraverso reti di sostegno e reclutamento, facendo leva anche su comunità di diaspora. Dal punto di vista economico, le organizzazioni criminali hanno da tempo intuito le potenzialità del mercato unico, in cui è possibile espandere i propri mercati illeciti, diversificare le attività economiche illecite, e infiltrare l’economia legale. Dal punto di vista giuridico, vi è una mancanza di armonizzazione tra i sistemi giuridici degli Stati membri per il contrasto alla criminalità organizzata, con conseguente risposta frammentaria e inefficace. Infine, le organizzazioni criminali fanno pieno uso delle tecnologie di comunicazione: dalle comunicazioni criptate, alla falsificazione dei documenti, alle reti di trasporto pubblico sul suolo europeo, il progresso tecnologico risulta tutt’oggi cruciale per eludere i controlli statali, proteggere le loro operazioni, e collegare a distanza gli organi decisionali.


Lo scenario europeo è costellato da organizzazioni inserite in reti criminali transnazionali. Nel 2017, in Europa si contavano oltre 5000 gruppi criminali sotto investigazione dell’EUROPOL[6], di cui il 40% composto in prevalenza da membri di cittadinanza non europea. Il 65% dei gruppi è composto da membri di nazionalità multipla, e 7 gruppi su 10 operano in più di tre Paesi, per un totale di oltre 180 nazionalità degli individui identificati come membri di organizzazioni criminali. In questo quadro, troviamo organizzazioni criminali europee che cooperano con organizzazioni provenienti da Europa dell’Est, Sud America, Asia Sud-orientale e Africa Subsahariana, nello sviluppo di vari settori dell’economia illegale, sovente sovrapposti tra loro[7].


Le principali attività in Europa consistono nel traffico di stupefacenti, nei reati contro il patrimonio, nella tratta di esseri umani, nelle frodi, e nel traffico di migranti. Con riguardo alla tratta di esseri umani, le organizzazioni responsabili sono prevalentemente di origine esterna all’UE, e reclutano in prevalenza all’interno di comunità della medesima nazionalità, tanto nel paese di origine quanto in quello di transito o destinazione. Tra le reti di tratta di esseri umani dirette all’Europa, o operanti interamente nell’UE, le maggiori organizzazioni hanno base in Nigeria, Cina, Albania, Romania e Vietnam.


I metodi di reclutamento variano tra le organizzazioni, come anche le modalità di coercizione e sfruttamento della vulnerabilità. Le vittime vengono trasportate in più modalità, in rotte articolate e suddivise tra più organizzazioni o cellule di una sola organizzazione.


A seguito della pandemia, il reclutamento delle vittime e l’interazione con la domanda dei servizi si sono parzialmente spostati in rete. Nondimeno, al netto delle tattiche di ingaggio utilizzate online, i contesti reali a rischio di reclutamento, forzoso o ingannevole, giocano ancora un ruolo predominante, soprattutto in aree a rischio come centri di prima accoglienza, quartieri periferici, orfanotrofi e centri per disabilità.


Con riguardo alle vittime di origine esterna all’UE, quando l’ingresso di una vittima nell’UE avviene in maniera irregolare, e si ricorre al favoreggiamento di movimento e soggiorno irregolari (traffico di esseri umani), non è raro che un rapporto tra cliente e trasportatore si trasformi in una relazione asimmetrica mirata allo sfruttamento. La divisione delle rotte in più segmenti implica che il viaggio necessiti di più di un trafficante da pagare, e di documenti fraudolenti per proseguire: il cliente contrae così un debito economico, poi reiterato e impugnato a fini di sfruttamento. In più, la frammentazione delle rotte implica il coinvolgimento di più attori e organizzazioni competenti in dati territori, non è quindi raro trovare attività illecite, come anche la tratta di persone, che siano sostenute da alleanze o accordi ad-hoc.


Dai dati appena menzionati si evince come nell’Unione europea la tratta di persone abbia un’accentuata probabilità di verificarsi, grazie ai fattori di debolezza sistemica dati dalla creazione di uno spazio di sicurezza unico, da tempo sfruttati dalle organizzazioni criminali. Non solo, ma le organizzazioni criminali autoctone hanno capitalizzato sulle criticità di uno spazio unico per estendere le loro reti all’estero e permettere l’ingresso di organizzazioni di origine esterna. Inoltre, va notato che, data la maggiore capacità di proiezione delle organizzazioni criminali, nonché di gestione degli affari per conto di terzi, le vittime si trovano di fronte a una rete estremamente coercitiva e persecutoria, nonché elusiva dell’autorità statale, che potrebbe consentire alle organizzazioni criminali di “contattare” la vittima anche a seguito dell’identificazione e dell’eventuale processo.


Il quadro europeo è difatti critico, e necessita di cooperazione giudiziaria sistematica per far fronte a reti criminali transnazionali definibili come “sistemi complessi di connessioni”[8], con struttura capillare e interattiva con i cambiamenti interni ed esterni alle reti. Infine, ad operazioni complesse corrisponde una struttura organizzativa complessa, con regole e sanzioni stabilite informalmente, ma raccolte in una forma di governance sui comportamenti della popolazione e dell’organizzazione, utile al mantenimento dei traffici e delle attività illecite. Per questo motivo, come si vedrà in seguito, le istituzioni europee fronteggiano reti criminali complesse, altamente influenti sui territori in cui operano e stabiliscono i propri snodi. Dette organizzazioni esercitano forme di governance non necessariamente in conflitto con lo Stato, ma sicuramente concepite in virtù delle sue debolezze.


5. Criminal Governance, le aree di influenza e le possibili intersezioni con la tratta di esseri umani


La natura delle attività della tratta di esseri umani implica il raggiungimento di almeno quattro obiettivi preliminari: l’elusione della repressione statale, la cooperazione con altre organizzazioni criminali, la collaborazione da parte della popolazione, e il regime di deterrenza sulle vittime nei circuiti di tratta. Il raggiungimento di detti obiettivi, strategici per organizzare e reiterare gli schemi di traffico, e di tratta di esseri umani, presuppone l'esistenza di un potere esercitato sui differenti attori coinvolti. Nella tratta di esseri umani, detto potere informale risulta alla base della stabilità nei circuiti di sfruttamento, nelle rotte di trasferimento, e nell’acquiescenza di potenziali testimoni.


La criminal governance è un concetto particolarmente utile a definire il potere esercitato. Per definizione, la “criminal governance” consiste nell’imposizione di regole o restrizioni sul comportamento da parte di un’organizzazione criminale[9]. La criminal governance non è in opposizione frontale allo Stato, ed è esercitata da attori che non contestano l’autorità statale, con la quale detta governance interagisce in un cosiddetto “duopolio della violenza”[10] La criminal governance si pone quindi in via complementare alla State governance, sviluppandosi nei “vuoti a rendere” territoriali e sociali di uno Stato, e nei mercati criminalizzati o altamente deregolamentati, accomunati dalla mancata sorveglianza sulle condizioni di sfruttamento. Pertanto, la criminal governance non è propria delle regioni in via di sviluppo: l’assenza o debolezza dell’autorità statale, e lo spazio disponibile per la criminal governance, sono fattori persistenti anche in stati meno fragili e capaci di gestire l’ordine pubblico, come gli Stati membri dell’UE.


La criminal governance è divisa in tre livelli, a seconda dei destinatari del potere. Al primo livello c’è il controllo sui propri membri, definito come “internal governance”. Al secondo livello, definito “criminal-market-governance”, il controllo è su attori criminali terzi. Il concetto è legato allo spazio operativo legato alle attività economiche. Data l’interazione con attori di minore capacità economico-militare, detta governance è asimmetrica. Al terzo livello, definito come “civilian-criminal-governance”, vengono controllati gli individui non direttamente coinvolti, e la popolazione sotto l’influenza dell’organizzazione criminale.


Nei circuiti di tratta di esseri umani, i destinatari e le dimensioni di criminal governance sono definiti in ragione del tipo di attività criminale e degli attori coinvolti. Le organizzazioni criminali interagiscono con attori criminali indipendenti, esponenti dell’economia legale, e con le vittime. Nella prospettiva della criminal governance, esponenti di imprese legali, attori criminali autonomi, e facilitatori finanziari rientrano nella “market-governance”. Sebbene le vittime potrebbero essere definite come “coinvolte” nelle attività criminali, il consenso della vittima di tratta non sussiste, e gli illeciti commessi, entro un certo limite, non sono responsabilità della vittima ma del trafficante. La mancanza di consenso rende la vittima paragonabile a un individuo non direttamente coinvolto, sottoposto pertanto alla “criminal-civil-governance”. I gruppi maggiormente operativi nella tratta di esseri umani gestiscono operazioni con un gran numero di persone trafficate su grandi distanze, con al contempo la gestione di grandi somme di denaro, e l’eventuale ricorso ad assistenza legale.


I circuiti richiedono varie operazioni eseguite su base transnazionale: il reclutamento delle vittime, il trasporto verso le destinazioni di sfruttamento (case d’incontri, poli di manifattura, ecc.), l'alloggio e il trattenimento forzoso delle vittime presso “safe houses”[11], e l’eventuale creazione di documenti falsi. Dette operazioni hanno successo alle condizioni ambientali idonee, definite dalle funzioni della criminal governance. Le funzioni della criminal governance sono il controllo dell’ordine pubblico, la giustizia, le attività fiscali, la regolamentazione di mercati leciti e illeciti, l’influenza politica [12].


Nella tratta di esseri umani, solo alcune delle funzioni sono presenti, al fine di assolvere alle necessità operative. Nel controllo dell’ordine, funzioni come l’imposizione del divieto di furto, del silenzio omertoso e del controllo dei movimenti in un dato territorio sono principalmente dirette alle vittime di tratta e alla popolazione presente nell’area di sfruttamento, al fine di proteggere le vittime e gli affari da elementi di disturbo, garantire la discrezione, e monitorare passivamente il transito di avversari o forze dell’ordine. Dal punto di vista della giustizia informale, funzione primaria è la riscossione di debiti e l’applicazione dei patti con l’organizzazione criminale: ne sono destinatari tanto le vittime, quanto gli attori criminali terzi all’organizzazione. Unitamente alla riscossione dei debiti, le organizzazioni svolgono anche una funzione punitiva, estesa alle vittime e talvolta consistente in sorveglianza continuativa, come parte integrante della coercizione. In casi isolati, le funzioni si estendono a regolare comportamenti individuali inerenti alla sfera sessuale o religiosa, al fine di reiterare condizioni di vulnerabilità delle vittime.


Infine, la funzione regolamentare ha effetto sull’economia lecita e illecita. Le vittime di tratta subiscono una “tassazione” delle attività illecite che potrebbe essere meglio definibile come percentuale fissa, non negoziabile, e sovente maggioritaria sui guadagni delle attività commesse sotto coercizione. La funzione si estende talvolta agli attori criminali terzi. Con riguardo all’economia lecita, le organizzazioni criminali infiltrano le aziende con esternalità utili al supporto delle attività di tratta. Settori legali esposti a infiltrazioni in Europa sono il settore dei trasporti su strada, come anche la compravendita di immobili e appartamenti. Funzioni come l’attività fiscale sulla popolazione e l’influenza politica non sono parte del quadro di governance nella tratta: entrambe le funzioni potrebbero compromettere operazioni per natura discrete, a fronte di guadagni finanziari relativamente esigui rispetto ai margini dati dallo sfruttamento, nel primo caso, o di obiettivi politici dai benefici aleatori, nel secondo caso.


Infine, data la natura transnazionale della tratta e delle reti criminali, composte da differenti organizzazioni in cooperazione su una sola rotta o da una sola organizzazione estesa e ramificata su tutta la rotta, la criminal governance può essere delegata ad attori minori, subordinati alla struttura e divisi per specializzazione, e presenta estensione transnazionale. A seconda della struttura organizzativa, l’unità decisionale finale può essere più o meno in alto rispetto agli attori specializzati, i quali sono però addetti all’esercizio materiale delle funzioni, sulle vittime o su attori terzi. Scenari in cui è possibile osservare l’elemento transnazionale della criminal governance, e aggiuntivo rispetto alla definizione originale, sono quelli in cui vittima è parte di una comunità etnica in cui l’organizzazione è infiltrata, o quando l’organizzazione è a conoscenza dei familiari della vittima nel paese di origine, la coercizione è proiettata e aumentano gli elementi di vulnerabilità.

Fig.4: Un “caporale” in un calzaturificio in cui era presente manodopera irregolare, ripreso durante le indagini della Guardia di Finanza, Vigevano. (Corriere della Sera)

6. Casi studio


A seguire, verranno analizzate le dinamiche di criminal governance in tre paesi “sorgente” per importanti percentuali di vittime di tratta. In particolare, verranno analizzati circuiti con origine in Cina, Nigeria, e Romania. Osservando i dati presi in analisi poc’anzi, i paesi destano particolare interesse per i seguenti motivi: un quinto delle vittime con cittadinanza esterna all’Unione è originaria della Nigeria; la Cina è il quarto paese per cittadinanza delle vittime non originarie dell’Unione; la Romania è il primo Paese nell’Unione per cittadinanza delle vittime europee. I tre Paesi presentano dinamiche politiche, sociali ed economiche profondamente diverse, soprattutto dal punto di vista della presenza statale: se le realtà della Nigeria sono caratterizzate dall’assenza o dalla debolezza dello Stato centrale, la Cina ha invece effettività di governo elevata, e la Romania è uno Stato membro dell’Unione. La criminal governance e le organizzazioni criminali persistono in ognuno dei tre casi, in forme specifiche e definite in funzione dello Stato di origine.


Dal punto di vista della criminal governance, i casi cinese e nigeriano presentano peculiari caratteristiche, legate alla distanza geografica tra i centri decisionali e i luoghi di sfruttamento delle vittime e controllo degli affari, ai metodi di coercizione e controllo sulle vittime, e alle capacità di infiltrazione del tessuto economico di uno o più Stati membri. Le organizzazioni criminali originarie dei paesi presi in analisi presentano strutture organizzative estese e articolate, distribuite su più continenti, o in più Stati membri, nel caso della Romania. Infine, le organizzazioni prese in analisi gestiscono l’intero circuito di tratta, dal reclutamento allo sfruttamento, e talvolta intraprendono azioni violente contro le vittime anche a seguito di un’identificazione e un processo da parte delle autorità: è quindi possibile osservare molteplici funzioni di criminal governance esercitate da una sola organizzazione.


· Cina


Caratterizzate da segretezza, le cosiddette “Società Triadi”, definite come tali in virtù dei tre elementi base della filosofia cinese (cielo, terra, uomo), sono strutturate orizzontalmente, divise per etnia, presentano legami d’alto livello con le autorità statali cinesi, e dispongono di aziende strategiche per lo sviluppo della propria economia, specie nel settore dei trasporti su gomma. Oltre alla forte presenza nell’economia legale, le reti criminali cinesi sono specializzate nella tratta di esseri umani volta allo sfruttamento sessuale e lavorativo.


Lo sfruttamento lavorativo è funzionale all’economia legale di matrice cinese in Europa, mentre lo sfruttamento sessuale, prima atto a soddisfare esclusivamente la domanda da parte di membri della comunità locale cinese e di lavoratori cinesi, oggi punta a soddisfare una domanda più ampia, verso clienti esterni alle comunità di diaspora. Lo sfruttamento lavorativo avviene in grandi poli manifatturieri di Italia, Spagna o Regno Unito, mentre lo sfruttamento sessuale è capillarizzato nelle città europee, e attuato in strutture fittizie come centri massaggi, ristoranti, centri estetici. La presenza delle triadi è segnalata anche in Austria, Slovenia, e Cipro.


Il reclutamento delle vittime avviene in Cina, tramite l’inganno alternato alla coercizione: con la promessa di un lavoro stabile, le vittime si indebitano con il trafficante per il viaggio. Nel circuito di impiego, vengono poi sfruttate le criticità giuridiche connesse allo status del soggiorno, come l’assenza o l’irregolarità di un contratto lavorativo. In aggiunta, le vittime subiscono violenza fisica come minacce e abusi fisici, o la negazione dell’accesso a cure mediche urgenti, l’alloggio in condizioni precarie e la limitazione della libertà individuale. La capacità di coercizione è accentuata dall’integrazione dei gruppi nelle comunità di diaspora, oltre che dai legami politici in Cina.


La criminal governance delle organizzazioni cinesi si declina principalmente nella “criminal-civilian-governance” verso le vittime di tratta. In questo senso, il controllo dell’ordine consiste nella costrizione al silenzio e il controllo dei movimenti degli individui, in siti di produzione o locali per lo sfruttamento sessuale, tramite la coercizione e la limitazione della libertà. La funzione giudiziaria si declina invece nella gestione di debiti per conto di terzi, e nella sorveglianza sulle vittime. Infine, la funzione regolamentare è intrinseca alle attività di sfruttamento, ma non avviene tramite l’estorsione o la tassa informale, le vittime ricevono un compenso già largamente decurtato.



· Nigeria


Al primo posto come paese di provenienza dei sospettati di tratta nel biennio 2017-2018, la Nigeria ha visto la nascita di organizzazioni estremamente violente, ma che formano una rete orizzontale, in cui le interazioni sussistono per il tempo necessario alla realizzazione di un progetto criminale.


Le connessioni transnazionali, nondimeno, sono verticalizzate, come nel caso dei Black Axe. Quest’organizzazione, presente in Italia da tempo ma con origini in Nigeria e nota per l’estrema violenza, presenta catene decisionali che iniziano in Nigeria, e presentano nodi decisionali a livello continentale e nazionale. In Europa, le organizzazioni nigeriane operano intensivamente nella tratta di esseri umani a fini di sfruttamento prevalentemente sessuale, e la maggioranza di vittime è di genere femminile.


Lo schema di reclutamento non è basato sull’inganno o sulla coercizione, ma sul condizionamento psicologico della vittima tramite rituali religiosi: le donne reclutate affrontano un rito di iniziazione, comunemente definito come “voodoo”, in cui assimilano una forma di coercizione psicologica: l’indottrinamento comporta credenze secondo cui, in caso di disobbedienza o insolvenza del debito pattuito per il viaggio verso l’Europa, le vittime e i loro familiari patirebbero mali incurabili e incontrastabili. Al di là della violenza psicologica, la tratta come processo viene reiterata e garantita anche tramite la deterrenza fisica dagli uomini delle organizzazioni, incaricati di aggredire brutalmente le vittime in caso di disobbedienza. Oltre che ai familiari delle vittime, nell’ambito del controllo delle comunità di diaspora nigeriane la violenza si estende anche ad attori criminali non membri o civili.


In termini di criminal governance, il controllo dell’ordine è la funzione di punta: la violenza è utile al controllo delle comunità, ma non dei territori in sé, e i modi operandi verso le vittime garantiscono l’omertà. In aggiunta, il rito voodoo funge da ulteriore forma di controllo delle pratiche religiose. La giustizia informale è fortemente internalizzata nelle comunità e nei circuiti di tratta, e ne consegue un controllo serrato sulle vittime. Infine, la funzione regolamentare è implicita nel circuito di tratta e la pesante tassazione è parte integrante del debito pattuito durante il rito di iniziazione.



· Romania


Il paese è di origine primaria per le vittime di tratta con sfruttamento sessuale e lavorativo. Le organizzazioni criminali sono molteplici, e gestiscono reti indipendenti in Europa. Secondo il Dipartimento di Stato USA, i singoli trafficanti sono cittadini rumeni con legami familiari ed etnici con le organizzazioni. Dette organizzazioni operano in Italia, Germania e Regno Unito. Il reclutamento avviene con l’inganno, con il metodo del lover boy, ma anche con proposte fittizie di matrimonio. Nondimeno, le vittime, in prevalenza donne e bambini, vengono spesso reclutate con il consenso delle famiglie. A seguito del reclutamento, come negli altri casi sussiste la coercizione e l’estrema violenza nei confronti delle vittime, specie se di genere femminile, con minacce anche sulla famiglia della vittima.


Le organizzazioni romene esercitano il richiamo all’omertà, ma non emergono elementi ulteriori nella sfera del controllo dell’ordine. Resta infine la funzione regolamentare, che come in precedenza prevede il prelievo di una parte maggioritaria degli introiti dello sfruttamento sessuale, o importanti trattenute dai compensi delle vittime di sfruttamento lavorativo.


7. Conclusioni


Come altri mercati illeciti, anche la tratta di esseri umani è un insieme complesso di attività, in cui è necessaria una struttura retrostante che garantisca efficienza e sicurezza negli affari, su un piano transnazionale. Riconoscere la presenza di un potere criminale informale in date realtà economiche, geografiche e sociali dell’Unione, ancor prima di osservare dinamiche di sfruttamento, è fondamentale per comprendere l’esposizione al rischio degli individui presenti in determinati scenari. In particolare, quando l’oggetto di traffico illecito è un essere umano, analizzare la criminal governance è utile per comprendere ulteriori aspetti di vittimizzazione in precedenza ignorati, tramite le dinamiche di sfruttamento, ma soprattutto di reiterazione dello stesso. A tal riguardo, la violenza a scopo coercitivo resta il comune denominatore di ogni organizzazione coinvolta nel contesto, e caratterizza il centro di gravità dei modelli di governance analizzati.


Nella tratta di persone, ciò che manca nelle esternalità della criminal governance è la protezione degli individui: la tratta di esseri umani, fondata sulla vulnerabilità individuale e diretta al profitto tramite la violenza, non prevede margini di manovra per la protezione delle vittime, se non al fine di tutelare i profitti. Ne emerge un quadro di potere distaccato e violento, scevro dal carisma che è possibile individuare in altri scenari di criminal governance. Dal punto di vista della protezione delle vittime, comprendere le possibili funzioni di governance che un’organizzazione può esercitare è utile nel calcolare l’esposizione alla violenza di una vittima non solo durante lo sfruttamento, ma anche a seguito di un processo giudiziario, analizzando le capacità e le intenzioni retrostanti a una potenziale minaccia di carattere punitivo.


Il contrasto alla tratta di esseri umani da parte dell’Unione europea presenta molte criticità, dalle difficoltà nell’identificazione alle precarie tutele per le vittime senza cittadinanza nell’Unione, ma un’ulteriore criticità sta nell’attenzione insufficiente data alle organizzazioni criminali: un focus maggiore gioverebbe alla costruzione di indicatori utili alla valutazione dell’influenza criminale in un dato territorio, e offrirebbe nuovi spunti nello sviluppo di politiche statali ed europee più incisive, tanto nel contrasto quanto nella protezione degli individui dalle minacce criminali. La criminal governance è un concetto di recente definizione ed aperto ad applicazioni in differenti scenari criminali, e la lista delle funzioni redatta dall’autore non è esaustiva. L’applicazione della criminal governance al contesto della tratta di esseri umani è un primo tentativo di applicare un concetto dal notevole potenziale analitico a uno scenario criminale transnazionale, critico e pervasivo nell’Unione europea.


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ANALISI 1 T_CO - ROMEI REV CC v2.2
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Note

[1] B. LESSING, Conceptualizing Criminal Governance., 2020. [2] Direttiva 2011/36/UE Del Parlamento Europeo e Del Consiglio del 5 aprile 2011, art. 2.1 [3] V. Decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio del 24 ottobre 2008, art. 1. [4] F. ALLUM, S. GILMOUR, Routledge Handbook of Transnational Organized Crime, 2nd Edition, 2021, p. 29. [5] F. ALLUM, S. GILMOUR, op. cit., p. 528. [6] F. ALLUM, S. GILMOUR, op. cit., p. 528. [7] F. ALLUM, S. GILMOUR, op. cit., p. 240. [8] F. ALLUM, S. GILMOUR, op. cit., p. 24. [9] B. LESSING, op. cit., 2020, p. 3. [10] B. LESSING. op. cit., 2020, p. 2. [11] F. ALLUM, S. GILMOUR, op. cit., p. 239. [12] B. LESSING, op. cit., 2020, p. 7.


Bibliografia

  • B. LESSING. Conceptualizing Criminal Governance, 2020.

  • Direttiva 2011/36/UE Del Parlamento Europeo e Del Consiglio del 5 aprile 2011.

  • Decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio del 24 ottobre 2008.

  • F. ALLUM, S. GILMOUR, Routledge Handbook of Transnational Organized Crime, 2nd Edition, 2021.

Sitografia



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