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Orion: una nuova navicella per tornare nello spazio profondo

Aggiornamento: 22 ago 2022

Lo sviluppo delle architetture per l’esplorazione umana dello spazio profondo è una delle principali ragioni che spingono per il ritorno sulla Luna. Questo interesse non è esclusivo degli Stati Uniti, ma condiviso dai numerosi attori pubblici e privati che popolano il settore spaziale. L’obiettivo di rendere sostenibile l’esplorazione umana della Luna, rende il nuovo programma statunitense Artemis estremamente innovativo, permettendo all’umanità di replicare finalmente il giant leap compiuto da Neil Armstrong cinquant’anni fa. Gli Stati Uniti hanno quindi intrapreso un percorso di rivoluzione delle proprie architetture – iniziato con la dismissione degli Space Shuttle nel 2011 –, che permetterà al Paese di continuare a mantenere la leadership in un settore sempre più aperto alla concorrenza pubblica e privata. Washington ha anche intrapreso un percorso di cooperazione internazionale, ma anche in sinergia con il crescente settore privato spaziale nazionale. In questo modo, i partner internazionali potranno partecipare allo sviluppo tecnologie da utilizzare nello spazio profondo, mentre il settore privato spinge sull’innovazione per rendere lo spazio economicamente sfruttabile. Iniziando con l’Orion Multi-Purpose Crew Vehicle, questo articolo è il primo di una breve serie analizza le nuove architetture spaziali statunitensi e le principali questioni politiche che ne hanno caratterizzato lo sviluppo.

Nel 2005, George W. Bush istituì l’ambizioso programma Constellation, ambendo a rinnovare le architetture spaziali statunitensi e a riportare un equipaggio sulla Luna entro il 2020. Il primo passo fu la dismissione degli Space Shuttle, che dal 2011 ha lasciato gli Stati Uniti senza la capacità di lanciare esseri umani nello spazio, dovendo invece fare affidamento sui lanciatori russi. Constellation prevedeva di porre velocemente rimedio a questo problema attraverso la creazione della famiglia di vettori Ares, da utilizzare per il lancio del Crew Exploration Vehicle. L’acutizzarsi della Grande Recessione e lo scarso interesse pubblico causarono nel 2009 la cancellazione del programma da parte dell’amministrazione Obama. Non tutto però è andato perduto, infatti Orion nasce proprio dal concept del Crew Exploration Vehicle. Tale veicolo nasceva non solo per sostituire lo Space Shuttle nelle missioni in low-Earth orbit (LEO), ma anche per permettere il ritorno di missioni con equipaggio sulla Luna. Il lancio della navicella sarebbe dovuto avvenire con un Ares I nel primo caso, mentre con un Ares V – che avrebbe trasportato anche un lander – nel secondo[1]. La cancellazione del programma ha però comportato l’accorpamento di Ares I e V in un unico razzo, più flessibile ed economico, che dal 2011 è conosciuto come Space Launch System[2]. Confrontato ad Apollo, il Crew Module di Orion – sviluppato dalla Lockheed Martin – risulta essere molto più voluminoso e pesante, ma anche capace di supportare missioni nello spazio profondo fino a 21 giorni, trasportando fino a sei astronauti.

Testato con le missioni Pad Abort-1 del 2010[3] e Ascent Abort-2 del 2019[4], il Crew Module sarà dotato anche del Launch Abort System (LAS), un motore a combustibile solido per permettere alla navicella di allontanarsi dal lanciatore in caso di avaria[5]. Quest’ultima sarà anche rivestita da una membrana protettiva in fibra di vetro, progettata per resistere a stress e attrito in fase di lancio e rientro con performance di dieci volte maggiori rispetto a quelle dello Shuttle. Sviluppato dalla Boeing, lo scudo termico del Crew Module sarà costituito di materiale ablativo, che si consumerà in fase di rientro e che dovrà essere reinstallato sulla navicella per il lancio successivo[6]. Il Crew Module è infatti parzialmente riutilizzabile[7] ed è stato progettato sia per il rientro in mare, che al suolo. Nel primo caso, l’atterraggio è tecnicamente meno complesso, ma molto oneroso per i costi della flotta di recupero. Nel secondo caso, l’atterraggio richiede invece che la navicella venga appesantita dalla dotazione di retrorazzi e airbag. Tuttavia, l’assenza di requisiti di peso delle missioni del programma Artemis ha impedito di prendere una decisione definitiva in merito[8]. Il Crew Module è inoltre stato progettato con una logica modulare, per permettere facilmente l’aggiornamento o la sostituzione di strumentazioni e tecnologie. Questo risulterà particolarmente utile per eventuali missioni al di là della Luna, che richiederanno un’ulteriore evoluzione tecnologica delle strumentazioni di bordo[9].

Per le missioni lunari, il Crew Module verrà lanciato insieme allo European Service Module (ESM), un modulo di servizio sviluppato dall’Agenzia Spaziale Europea sul modello dell’Automated Transfer Vehicle (ATV) utilizzato per il rifornimento della Stazione Spaziale Internazionale[10]. Questo rappresenta un importante elemento di cooperazione internazionale, con la NASA che risparmierà i costi di sviluppo attingendo dal know-how europeo e l’Agenzia Spaziale Europea che vedrà saldata dagli Stati Uniti la propria quota per il mantenimento della Stazione Spaziale Internazionale. L’ESM ha un diametro di 5 metri e una lunghezza 4, con una massa di 3,5 tonnellate e si occuperà principalmente di fornire acqua e ossigeno necessari per il supporto vitale, produrre energia elettrica, trasportare carichi non pressurizzati e fornire la spinta propulsiva necessaria per le manovre di trasferimento orbitale e di controllo d’assetto[11]. Questo modulo non sarà riutilizzabile ed è infatti previsto che si sganci dal Crew Module al momento del rientro nell’atmosfera terrestre[12].

Orion ha già superato con successo numerosi test, tra cui anche un volo orbitale di collaudo del Crew Module avvenuto nel 2014 (Exploration Flight Test-1)[13]. Per tanto, la navicella risulta l’architettura della nuova età di esplorazione lunare al più avanzato livello di sviluppo. Le missioni attualmente pianificate di Orion risultano Artemis 1, 2 e 3, che prevedono, nell’ordine, un volo di test della durata di dieci giorni in orbita lunare (2020), un volo con equipaggio in orbita cislunare (2023) e un volo con equipaggio fino al Gateway, con successiva discesa verso il polo sud lunare (2024)[14]. Tuttavia, per raggiungere questi obiettivi, Orion da sola non basta. È infatti necessario che essa venga lanciata nello spazio con una potenza pari a quella del Saturn V, il grande missile che permise agli astronauti di Apollo di raggiungere la Luna. È per questo che gli Stati Uniti stanno ultimando la costruzione dello Space Launch System, un nuovo potentissimo vettore che permetterà la costruzione del Gateway e il ritorno di equipaggi umani sulla Luna.

[1] NASA, Constellation - The next giant leap has begun, 2008. Disponibile a questo link.

[2] NASA, Explore Moon to Mars, cit.

[3] NASA, Orion Pad Abort 1 Test a Spectacular Success. Disponibile a questo link.

[4] NASA, Successful Orion Test Brings NASA Closer to Moon, Mars Missions, 2 liglio 2019. Disponibile a questo link.

[5] NASA, Orion Launch Abort System (LAS). Disponibile a questo link.

[6] NASA, Heat Shield Install Brings Orion Spacecraft Closer to Space, 16 agosto 2018. Disponibile a questo link.

[7] Cfr. NASA, Orion Crew Exploration Vehicle. Disponibile a questo link.

[8] NASA, Orion Recovery Operations. Disponibile a questo link.

[9] Cfr. J. Scharr, NASA Goes ‘Green’: Next Spacecraft to Be Reusable, space.com, 13 giugno 2013. Disponibile a questo link.

[10] NASA, European Service Module (ESM). Disponibile a questo link.

[11] Cfr. P. Berthe, A. P. Over, M. Picardo, A. W. Byers, Orion European Service Module (ESM) development, integration and qualification status, NASA. Disponibile a questo link

[12] Cfr. Artemis 2, European Space Agency. Disponibile a questo link.

[13] Cfr. NASA, Orion Exploration Flight Test-1. Disponibile a questo link.

[14] NASA, Artemis Moon Program Advances – The Story So Far, 31 maggio 2019. Vedi qui

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