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È il Confucianesimo la chiave per il successo asiatico nella lotta contro il Covid-19?

Aggiornamento: 14 nov 2020


La crisi globale generata dal diffondersi del Sars-Covid 2, o nuovo Coronavirus, è ormai considerata da molti esperti e analisti come la più grave crisi ad essersi abbattuta sul nostro pianeta dalla fine della Seconda guerra mondiale. Non è un mistero infatti che ciò che avverrà dopo, quando l’emergenza sanitaria sarà rientrata (o quantomeno contenuta), plasmerà le sorti del nostro pianeta per gli anni a venire.

Tuttavia, non è facile prevedere cosa accadrà nel post-pandemia. Moltissimi esperti come politologi, scienziati, storici, economisti e persino filosofi stanno ora dibattendo su quelle che saranno le sorti del mondo e della globalizzazione così come le conosciamo oggi. Laura Spinney, giornalista e autrice del libro Pale Rider: The Spanish Flu of 1918 and How It Changed the World, è convinta che, da sempre nella storia le pandemie abbiano accelerato i processi storici in corso e che la pandemia di Covid-19 non sia un’eccezione a questa regola. Stephen Walt invece, professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard ha recentemente espresso il suo pensiero in un articolo pubblicato su Foreign Policy in cui afferma che la pandemia accelererà sicuramente quel processo che vede lo spostamento del baricentro geopolitico da occidente verso oriente, e dello stesso avviso di Walt sembra essere Kishore Mahbubani, ex diplomatico singaporiano e autore di numerosi libri sull’declino del occidente e la contemporanea ascesa dell’Asia. Mahbubani non ha dubbi, il futuro è asiatico. In un articolo pubblicato sull’Economist il diplomatico singaporiano afferma chiaramente che la crisi del Covid-19 fungerà da spartiacque tra l’ottima risposta della leadership orientale e quella disastrosa dell’occidente, sancendo definitivamente l’inizio del tanto dibattuto secolo asiatico. In futuro il mondo guarderà sempre più ad oriente in cerca di modelli di riferimento e molto meno ad un occidente ormai in caduta libera.

Non soltanto la Cina infatti, ma anche paesi democratici come la Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Hong Kong hanno infatti ottenuto straordinari successi nella lotta contro il virus. Non solo oggi i numeri dei contagi in questi paesi appaiono assai più contenuti di quelli che si registrano in Europa e in Nord America, ma i governi di questi paesi sono anche riusciti ad evitare l’utilizzo di misure estreme come il lockdown che avrebbero messo in ginocchio le loro economie. La domanda che molti si sono posti è la seguente: Come ci sono riusciti?


Il successo del modello asiatico sembra basarsi su due precondizioni: un elevato e rapido dispiegamento di strumenti tecnologici come droni, app, geolocalizzazione tramite big data e una popolazione ben educata e disciplinata da sempre attenta al rispetto delle regole. In Europa ci si è sin da subito domandati se questo modello fosse replicabile ma con le domande sono arrivati anche i dubbi. Da anni infatti assistiamo ad un acceso dibattito in seno all’opinione pubblica sulla privacy e le minacce che le nuove tecnologie come lo sfruttamento dei big data e la geolocalizzazione porrebbero verso di essa. Oggi in Italia, in Francia e in altri paesi del vecchio continente si sta procedendo con lo sviluppo di queste app, in America i colossi Google e Microsoft stanno facendo altrettanto, ma la risposta è stata innegabilmente tardiva rispetto all’Asia. Come mai gli stessi dubbi non sono emersi in estremo oriente?


Innanzitutto, non è vero che questi dubbi non ci siano anche in Asia. Il governo di Taiwan per esempio ha rassicurato infatti che i dati raccolti verranno utilizzati solo al fine di contenere il diffondersi del virus. Tuttavia, è in negabile che sudcoreani, taiwanesi e singaporiani si siano dimostrati molto più disciplinati di italiani, spagnoli, francesi e americani. Alcuni hanno provato ad attribuire questo successo a motivi culturali. La Corea del Sud, cosi come nazioni con prevalenza di popolazione cinese come Taiwan, Hong Kong e Singapore rientrano infatti in quella che viene generalmente definita Asia confuciana, ovvero quella parte del continente (in cui rientrano anche Giappone, Vietnam e la stessa Cina) dove il Confucianesimo ha giocato un ruolo culturale predominante.

Ne è convinto per esempio il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han che in un’intervista per il quotidiano spagnolo El Pais ha affermato che in generale i governi asiatici hanno una mentalità più autoritaria dovuta proprio all’eredità confuciana che insegna il rispetto per l’autorità. Le persone sono più obedienti che in Europa e hanno anche più fiducia nello stato. La consapevolezza critica della sorveglianza, continua il filosofo coreano, è praticamente inesistente anche in paesi democratici come la Corea e il Giappone. Ciò avrebbe permesso una più facile e rapida accettazione delle tecnologie dispiegate per combattere il virus senza scatenare moti di indignazione e preoccupazione nell’opinione pubblica. In generale si tende a sacrificare i propri spazi e le proprie libertà personali in nome della sicurezza di tutti. Un collettivismo generale che consente una più facile attuazione delle direttive dall’alto.

Han continua affermando che “A Taiwan, lo Stato invia simultaneamente a tutti i cittadini un SMS per localizzare le persone che hanno avuto contatti con persone infette o per informare di luoghi ed edifici in cui le persone sono state infettate. Già in una fase molto precoce, Taiwan ha utilizzato una connessione dati per individuare possibili persone infette in base ai viaggi che avevano effettuato. Chiunque si avvicini a un edificio in cui una persona infetta è stata in Corea riceve attraverso l’app “Corona-app” un segnale di allarme. Tutti i luoghi in cui sono stati infettati sono registrati nell'applicazione. La protezione dei dati e la sfera privata non sono molto prese in considerazione. Le telecamere di sorveglianza sono installate in ogni edificio in Corea su ogni piano, in ogni ufficio o in ogni negozio. È praticamente impossibile muoversi negli spazi pubblici senza essere filmato da una videocamera. Con i dati del telefono cellulare e il materiale filmato tramite video, è possibile creare il profilo di movimento completo di una persona infetta.”

Lee Sung-Yoon, anch’egli sudcoreano e professore di relazioni internazionali alla Tufts University ha dichiarato in una recente intervista al Wall Street Journal che “"La maggior parte delle persone si sottomettono volentieri all'autorità e pochi si lamentano. L'enfasi confuciana sul rispetto per l'autorità, la stabilità sociale e il bene della nazione al di sopra dell'individualismo è un fattore di miglioramento in un momento di crisi nazionale".


C’è anche chi però si è dimostrato scettico difronte alla tesi culturale per spiegare il successo asiatico. È il caso di Nathan Park che invece sostiene che attribuire il successo asiatico a fattori culturali quali il substrato culturale confuciano sia razzista e fuorviante. Secondo Park, gli occidentali (soprattutto gli americani) tendono a considera le popolazioni asiatiche come una massa omogenea e obbediente peccando di semplificazione e di una visione orientalista dello scenario asiatico. “Quando una politica sociale sembra funzionare in un paese asiatico (solitamente Giappone e più recentemente Corea del Sud), gli occidentali – soprattutto gli americani- sono pronti ad affermare che simili politiche solo grazie alla presunta omogeneità e armonia delle società asiatiche. Una tale armonia tuttavia, esiste soltanto in una fantasia razzista che immagina una società di compiacenti asiatici. La Corea del Sud in particolare non è quella società comunitaria che gli americani amano immaginare” conclude Park.

Secondo il parere di chi scrive, utilizzare il Confucianesimo come chiave di volta per dischiudere il segreto che vi è dietro lo straordinario successo asiatico nella lotta globale al virus rischia di essere un’operazione semplicistica e riduttiva. E come spesso accade tutte le operazioni di questo tipo si rivelano fallaci. Molteplici sono stati infatti i fattori che hanno permesso a questi paesi di diventare esempi virtuosi, tra questi vi sono sicuramente un efficiente burocrazia, una linea di comando chiara e decisa, una leadership competente e soprattutto l’esperienza pregressa di situazioni simili (Taiwan con la SARS e la Corea con il virus H1N1).


Ciononostante, è anche vero che sottostimare l’elemento culturale che questi Paesi hanno in comune fra loro può essere altrettanto controproducente. Esiste infatti un’ampia letteratura che indaga a fondo sull’impatto che il Confucianesimo ha avuto nel plasmare profondamente queste società. L’eredità culturale è semplicemente troppo ingombrante per essere ignorata in toto, senza contare che proprio l’alta burocratizzazione di cui godono queste società è figlia proprio degli insegnamenti del grande maestro. Pertanto, se è chiaramente evidente che il Confucianesimo da solo non basti, e altrettanto vero bensì che questi abbia giocato un ruolo chiave nel successo di questi paesi.



Sitografia

T. W. Martin, East vs. West: Coronavirus Fight Tests Divergent Strategies, in The Wall Street Journal, March 13, 2020.

K. Mahbubani, Kishore Mahbubani on the dawn of the Asian century, in Economist, April 20, 2020.

S. N. Park, Confucianism Isn’t Helping Beat the Coronavirus, in Foreign Policy, April 2, 2020.

L. Spinney, Coronavirus and the geopolitics of disease, in NewStatesman, February 19, 2020.

S. M. Walt et al., How the World Will Look After the Coronavirus Pandemic, in Foreign Policy, March 20, 2020.

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