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Yemen nel suo quarto anno di guerra


Oggi andiamo in Yemen, un conflitto che ogni tanto (ma proprio ogni tanto!) fa capolino nei nostri tg. La foto è quella di Buthaina, una ragazzina che nell’agosto 2017 è stata vittima, assieme alla sua famiglia, di un bombardamento che ha ridotto in macerie la sua abitazione. Un’immagine, che come quella del piccolo Aylan, ha fatto il giro del mondo per poi cadere nel dimenticatoio.

L’obiettivo di oggi è tirare fuori da quell’oblio questo conflitto, che dal 2015 continua a mietere incessantemente vittime. Anche qui la componente religiosa della popolazione ha un suo ruolo, ma fa quasi da corollario ai “classici” giochi di potere. Il 58% della popolazione è sunnita, il 42% sciita. A quest’ultima corrente appartengono i ribelli Houti, e ciò spiega perché la coalizione internazionale è guidata dall’Arabia Saudita (antisciita per antonomasia) mentre l’Iran (baluardo dello sciismo) manda aiuti a sostegno degli Houti.

Ciononostante, lo scoppio del conflitto non è dovuto a motivi religiosi, bensì – come sempre – a decenni di repressione. Difatti, dopo l’unificazione dello Yemen del Sud e di quello del Nord sotto un’unica bandiera e la nomina a presidente di ʿAlī ʿAbd Allāh Sāleh, quest’ultimo ha comunque adottato una politica autoritaria e ha, quando più quando meno ma sempre in maniera costante, represso le tribù Houti che cercavano di destituirlo. Nel 2011, il vento delle primavere arabe ha investito anche lo Yemen e Saleh ha dovuto lasciare il potere a un “suo uomo”, Hadi. Ciononostante, nel febbraio 2015 questi sembra aver dato le dimissioni, o perlomeno questa era la voce di palazzo che ha fatto scoppiare le violenze che hanno portato al suo autoesilio a Riyad, da dove ha continuato a rivendicare la presidenza. Da allora gli scontri sono stati senza quartiere, i bombardamenti della coalizione hanno martoriato lo Yemen e causato migliaia di morti. Il 4 dicembre 2017 Saleh è stato ucciso, a Sanaa, dai ribelli Houti, in una scena che ha riproposto le stesse dinamiche della morte di Gheddafi in Libia. Ma purtroppo questo non ha costituito la fine del conflitto, anzi…Siamo ufficialmente entrati nel quarto anno di guerra.


Vedi il Report 2018 di Human Rights Watch

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