Unione europea e difesa: sviluppo storico e situazione attuale
Aggiornamento: 14 nov 2020
(di Stefano Dossi)

Introduzione
“Gigante economico, nano politico e verme militare”. Così nel 1991 il Ministro degli Esteri belga, Mark Eyskens, definiva l’Unione europea. Dai primi anni ‘90 la difesa europea ha fatto grandi passi verso una maggiore integrazione ma vi sono sempre forti resistenze da parte degli Stati membri, alcuni più di altri, riguardo ad una progressiva convergenza in questo settore. I leader sia dell’UE che nazionali favorevoli ad una maggiore integrazione delle capacità di difesa hanno sempre sottolineato che ogni sviluppo in questo ambito non è finalizzato ad un esercito comune europeo ma al rafforzamento dell’industria militare e alla riduzione delle duplicazioni che, come vedremo, sono molte. Nell’immaginario dei decisori politici si tratta dunque di una cooperazione a livello industriale più che a livello operativo. In questa analisi cercheremo di ripercorrere le tappe storiche della politica di sicurezza e difesa comune dell’UE, ne vedremo gli ultimi sviluppi e la situazione attuale.
1 Breve storia della Politica di sicurezza e difesa comune dell’UE
Con la fine della Guerra Fredda e il crollo del sistema bipolare l’Europa si ritrova in un contesto geopolitico aperto a causa del vacuum lasciato dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e dalla progressiva riduzione delle forze americane. Il nuovo assetto internazionale porta dunque i leader della Comunità Economica Europea (CEE) a riflettere in modo più accorto sull’organizzazione di una vera e propria difesa europea. Durante tutta la Guerra Fredda, infatti, il tema difesa era stato delegato alla NATO. Il riavvicinamento delle politiche estere degli Stati membri della CEE comincia dagli anni '70 nel contesto della Cooperazione Politica Europea (CPE), la quale era basata su tradizionali meccanismi diplomatici al di fuori della struttura comunitaria e prevedeva la consultazione tra gli Stati membri riguardo a questioni generali di politica estera. La CPE fu poi istituzionalizzata con l’Atto Unico Europeo del 1986, che ne estese gli obiettivi a tutte le questioni di politica estera. [1] Nonostante l’aumento del numero di dichiarazioni congiunte tra gli anni ’70 e ’80, i risultati rimasero piuttosto scarsi. Gli stati della CEE non riuscirono di fatto a influenzare le decisioni riguardo alle grandi questioni di quel periodo (i negoziati sugli armamenti, il processo di pace nel Medio Oriente e le azioni militari degli Stati Uniti nel centro America).[2] Per rispondere alla riconfigurazione del contesto geopolitico e alle sfide nel campo della sicurezza, verso la fine degli anni ‘80, fu rivitalizzata l’Unione europea occidentale (UEO). [3] I primi 30 anni dell’UEO furono infatti contrassegnati da una situazione di generale inattività, dal momento che le funzioni difensive dell’Europa Occidentale erano espletate dalla NATO. [4] Il nuovo contesto e la derivante necessità di un’identità europea di difesa portarono alla rivitalizzazione dell’organizzazione e ai conseguenti tentativi di ‘fusione’ tra questa e la CEE, poi Unione Europea (UE), a livello di compiti ma anche e soprattutto istituzionale. [5]
1.1 Maastricht e i primi passi verso una politica estera e della difesa europea
Nel febbraio 1992 fu concluso il Trattato di Maastricht. Pietra angolare della costruzione europea, questo trattato dava ufficialmente vita all’Unione europea e confermava la confluenza della CPE all’interno della Politica estera e di sicurezza comune (PESC). Le questioni relative alla difesa nel contesto della PESC erano demandate all’UEO, il braccio militare dell’Unione (ma non parte di quest’ultima).[6]
Dal momento che la sicurezza europea nei primi anni ’90 era ancora fortemente ancorata alla NATO, il quartier generale dell’UEO venne spostato a Bruxelles nel 1992, così da essere vicino a quello dell’Alleanza atlantica. Questa mossa rese più semplice la cooperazione tra le due organizzazioni tanto che nel 1996 fu creata la Identità europea in materia di sicurezza e difesa (ESDI), il primo vero tentativo europeo di coordinamento nel settore della difesa. L’esperimento tuttavia si sviluppò nel quadro della NATO.
Il 1998 fu un anno cruciale per la politica di sicurezza e difesa europea. A dicembre, il Presidente francese Jacques Chirac e il Primo Ministro britannico Tony Blair si incontrano a Saint-Malo con l’obiettivo di accordarsi sullo sviluppo di una capacità militare europea autonoma nel caso in cui gli Stati Uniti non fossero stati d’accordo a partecipare a operazioni ritenute strategiche dai leader europei. L’accordo che ne risultò sancì per la prima volta un consenso franco-britannico allo sviluppo di una componente difensiva dell’Unione Europea e in particolare di una “capacità di azione autonoma supportata da una forza militare credibile”. La presa di coscienza sulla necessità di avere una certa autonomia di manovra nel settore della sicurezza e della difesa portò a trasformare l’ESDI in PESD (politica europea di sicurezza e difesa). Il cambio di nome può sembrare simbolico ma fu testimonianza della volontà degli Stati membri di impegnarsi nella definizione di una vera e propria politica europea di difesa.
Nel contesto della nuova ESDP è importante menzionare gli accordi Berlin Plus. Avviata nel 1996, questa piattaforma di dialogo tra UE e NATO si concluse ufficialmente nel 2002 con una dichiarazione ufficiale nella quale l’Alleanza Atlantica accordava all’Unione l’utilizzo dei propri asset difensivi in caso di operazioni esclusivamente europee. [7]
1.2 Il trattato di Amsterdam e gli Helsinky Headline Goal
Il trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1999, decretò la fine dell’UEO e l’assorbimento di essa all’interno della ESDP. Venne inoltre creato il Comitato politico e di sicurezza, un organo che funge da ponte tra la PESC, più concentrata sugli aspetti civili, e la PESD, focalizzata sulle questioni militari e di difesa. La creazione di questo nesso è essenziale perché la difesa, prima isolata, comincia ad essere collegata alla politica estera in senso più ampio.
Nello stesso anno il Consiglio europeo, riunitosi ad Helsinky, discusse, tra le altre cose, del possibile sviluppo di forze armate autonome dell’UE in grado di rispondere alle crisi. È importante notare che nel documento finale viene però sottolineato che il raggiungimento di tale obiettivo non avrebbe in nessun caso implicato la nascita di un esercito europeo. [8] A tal fine venne stabilito il primo Helsinky Headline Goal (HLG) che prevedeva la creazione, entro il 2003, di una Rapid Reaction Force composta da 50.000-60.000 uomini, in grado di essere dispiegata entro 60 giorni per un periodo di almeno un anno. Il HLG fu più volte aggiornato negli anni.
1.3 Il cambio di paradigma degli anni 2000
Gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 portarono i decisori politici a cambiare prospettiva e a adottare un approccio più qualitativo che quantitativo nelle decisioni riguardanti la difesa. Perciò si decise di abbandonare il HLG 2003 e definirne uno nuovo, più elaborato, da attuare entro il 2010. I punti cardine del nuovo documento strategico erano l’interoperabilità (tra Stati membri e tra asset militari e civili), il dispiegamento e la sostenibilità (l’estensione nel tempo di un intervento militare). Inoltre, si proponeva la creazione di una Agenzia europea per la difesa (EDA) e di Battlegroups (Gruppi di battaglia), di cui parleremo tra poco.
Gli anni 2000 segnano un’accelerata per la cooperazione europea in materia di difesa. In primo luogo, l’UE adotta la prima Strategia di sicurezza europea (European Security Strategy). Il documento, intitolato ‘A Secure Europe in a Better World’, comincia con un elogio all’Unione Europea per il contributo fondamentale dato al mantenimento di un “periodo di pace e stabilità senza precedenti nella storia europea.” Dopo aver evidenziato la dimensione globale delle sfide contemporanee, la strategia delinea le cinque minacce fondamentali alla sicurezza: il terrorismo, la proliferazione di armi di distruzione di massa, i conflitti regionali, gli Stati falliti e il crimine organizzato.[9] Nella parte conclusiva si esorta l’UE ad essere più dinamica, assertiva e coerente nel contesto internazionale e più incline all’interventismo.
Un’altra tappa importante è senza dubbio la nascita dell’Agenzia europea per la difesa nel luglio del 2004. Il ruolo generale è sostenere gli Stati Membri e il Consiglio nelle decisioni riguardanti l’attivazione della PESD. Nello specifico l’Agenzia si occupa di migliorare le capacità dell’UE nel settore difesa; promuovere una cooperazione europea a livello di armamenti; rafforzare l’industria militare europea e creare un mercato integrato nell’ambito degli equipaggiamenti; promuovere la ricerca nel campo difensivo. [10] A ognuno di questi fini è assegnato un direttorato.
1.4 I battlegroup
Come sopra citato, tra gli obiettivi del HLG 2010 vi era la creazione di gruppi di combattimento che fossero velocemente dispiegabili. Ebbene, il 2004 è anche l’anno della nascita dei Battlegroups dell’Unione europea. Con questo termine si intende un battaglione formato da circa 1500 soldati che possa essere dispiegabile in massimo 10 giorni e che sia sostenibile per almeno 30 giorni (estendibile a 120). A livello concettuale questi gruppi potrebbero attivarsi sotto mandato delle Nazioni Unite oppure in brevi azioni prima dell’arrivo dei peacekeepers o durante l’attesa di rinforzi da parte delle truppe delle NU. [11] Questi gruppi sono sotto il controllo dell’Unione ma è compito degli Stati membri stabilire gli elementi operativi e strategici, in particolare con riguardo al trasporto e agli aspetti logistici. [12] Attualmente vi sono tredici battaglioni, due dei quali, a giro, rimangono in stand-by pronti ad intervenire. Questi gruppi sono operativi dal 1° gennaio 2007 ma fino ad ora non sono mai stati utilizzati.
1.5 Il trattato di Lisbona
La vera svolta per la difesa europea avviene nel 2009 con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona il quale prevede che gli Stati membri possano organizzare una politica di difesa comune attraverso il principio della cooperazione strutturata aperta a tutti gli Stati membri che si impegnano a prendere parte ai programmi europei di equipaggiamento militare e a fornire unità di combattimento che siano disponibili per azioni immediate. In linea con questa norma il Consiglio può affidare la realizzazione di una missione ad un gruppo di Stati membri che si rendano disponibili e che dispongano delle capacità necessarie. Vengono altresì introdotte le clausole di mutua assistenza – invocata solo una volta dalla Francia dopo gli attacchi terroristici del novembre 2015 - e di solidarietà tra gli Stati membri rispettivamente nel caso in cui uno di essi sia oggetto di un’aggressione armata o di un attacco terroristico o disastro naturale.
2 Sviluppi recenti
Nel novembre 2014 si insedia la Commissione Juncker e il portafoglio di Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza viene assegnato all’italiana Federica Mogherini, prima Ministro deli Esteri italiano. Fin dall’inizio del suo mandato, Mogherini aveva insistito sulla necessità di un cambio di paradigma nella politica estera europea. Infatti, già all’inizio del 2015 aveva presentato al Consiglio europeo un documento che descriveva le nuove sfide per l’UE e sottolineava la necessità di una revisione della strategia europea in materia di sicurezza del 2003 (SSE). [13] Tale valutazione evidenziava le possibili conseguenze del mutato contesto internazionale e si concentrava in particolare sulla questione della difesa dell’Unione. A tal riguardo, l’analisi sottolineava come le ambizioni in questo campo superassero di gran lunga le capacità dell’Unione. Sebbene da una parte riconoscesse che la politica di sicurezza e difesa comune avesse visto sviluppi a partire dagli anni 2000, dall’altra il documento evidenziava le limitazioni nell’ambito delle missioni PSDC, il fatto che i battlegroups non fossero mai stati dispiegati e la mancata attivazione delle cooperazioni strutturate permanenti.
2.1 Una strategia globale per l’UE
Il documento sulla strategia globale dell’Unione Europea (EUGS), intitolato “Visione condivisa, azione comune: un’Europa più forte”, venne presentato dall’Alto rappresentante e approvato dal Consiglio Europeo il 28 giugno 2016. [14] L’obiettivo principale era la creazione di un quadro strategico all’interno del quale l’Unione potesse confrontarsi con le sfide internazionali in modo coerente, sfruttando appieno gli strumenti a sua disposizione. Tale strategia, seguendo i suggerimenti contenuti nella valutazione del 2015, si concentra sulla dimensione di sicurezza e difesa ed in particolare sulla necessità di una maggiore cooperazione europea in quest’ultimo settore. Nell’introduzione Mogherini dichiara che “l'idea secondo cui l'Europa è esclusivamente una “potenza civile" non si addice a una realtà in evoluzione” e che dunque “per l'Europa, potere di persuasione (soft power) e potere di coercizione (hard power) vanno di pari passo.” Tutto questi sviluppi sarebbero dovuti avvenire all’interno di quadro di stretta collaborazione con la NATO.
2.2 I primi importanti passi verso un’effettiva integrazione europea nella Difesa
La nuova visione europea non tarda a tradursi in risultati. Nel dicembre 2017 il Consiglio istituisce la prima Cooperazione strutturata permanente (PESCO) a cui prendono parte venticinque Stati (tutti tranne la Danimarca, il Regno Unito – causa Brexit- e Malta. A quasi tre anni dall’approvazione della PESCO i progetti di difesa congiunti, inizialmente 17, sono 47. [15] Il nostro paese prende parte a 21 di questi, in alcuni casi con un ruolo di leader.
Il 2017 è anche l’anno dello European Defence Industrial Development Program (EDIDP) con il quale vengono messi a disposizione 500 milioni da usare come cofinanziamento per lo sviluppo congiunto di progetti riguardanti gli equipaggiamenti e la tecnologia di difesa. Poco prima, in maggio, l’UE aveva anche lanciato la Preparatory Action on Defense Research (PADR), che per la prima volta dava a sostegno diretto alla ricerca e sviluppo in campo difensivo attingendo da fondi comuni dell’Unione.
2.3 Il Fondo europeo per la difesa
Quelli appena citati sono piccoli ma significativi tasselli nella strada verso la definizione del Fondo europeo per la difesa (EDF). Quest’ultimo, proposto dalla Commissione europea nel maggio 2018 ma già attivo dal 2017, funge da ombrello per tutte le iniziative nel campo della difesa e da catalizzatore per l’industria europea. La cifra proposta dalla Commissione e sostenuta dal Parlamento europeo per questa iniziativa è di 13 miliardi (in prezzi correnti) per i prossimi sette anni (il quadro finanziario pluriennale 2021 – 2027), di cui 4,7 miliardi per i progetti comuni di ricerca e 8.9 per lo sviluppo di capacità militari. I negoziati sono ancora in corso e si dovrebbero concludere prima della fine del 2020 ma la cifra appena citata è stata già fortemente ridimensionata. Nel dicembre 2019, la Presidenza (del Consiglio dell’UE) finlandese ha presentato la sua proposta negoziale per il prossimo QFP tagliando più della metà del bilancio dell’EDF fino ad arrivare a 6 miliardi su 7 anni. Nel febbraio del 2020 Charles Michel, il Presidente del Consiglio europeo, ha avanzato le sue cifre per il prossimo bilancio pluriennale proponendo 7 miliardi per la difesa. La cifra viene aumentata a 8 miliardi nella proposta del nuovo QFP post-pandemia della Commissione europea e di nuovo abbassata a 7 miliardi dal Consiglio europeo del 21 luglio (quello del Recovery Plan). La decisione finale sul bilancio dovrebbe avvenire entro dicembre di quest’anno. [16] Per assicurare l’implementazione dell’EDF, la Presidente Von der Leyen ha anche creato un nuovo direttorato generale nella Commissione, DG DEFIS (Direttorato generale per l’industria della difesa e lo spazio).
I tagli operati al Fondo europeo per la difesa sono una pessima notizia per il processo di integrazione europeo nel settore. Un miliardo all’anno per progetti collaborativi non è una grande somma. Il rischio è che gli Stati non siano incentivati a partecipare e continuino ad affidare lo sviluppo dei progetti ai propri campioni nazionali poiché senza investimenti adatti non si possono creare economie di scala e senza queste la convenienza dell’approccio internazionale si riduce.
Nonostante ciò, è importante sottolineare che questo Fondo segna l’ingresso ufficiale della Difesa nelle politiche dell’UE con un piano strategico settennale. Un pieno sfruttamento di questo fondo – a patto che abbia risorse sufficienti - renderebbe non solo molto più efficiente il sistema di ricerca e sviluppo in ambito difensivo ma fungerebbe anche da catalizzatore per l’UE a livello strategico, rendendola più autonoma anche a livello operativo. [17]
3 Perché è necessaria una maggiore integrazione europea in materia di difesa?
Diverse sono i livelli su cui si fonda tale necessità.
Livello geostrategico: gli ultimi anni sono stati contraddistinti dalla nascita di complesse sfide alla sicurezza, molto più che nei sessant’anni precedenti. Tra queste si pensi alla pressione migratoria dall’Africa e dal Medio Oriente, alla destabilizzazione da parte della Russia del vicinato europeo, all’ambivalenza di Trump rispetto alla NATO, al decrescente impegno americano sul nostro continente e infine alle minacce cibernetiche. Una risposta efficace in questo contesto non può che venire dall’Unione europea. Gli Stati membri presi singolarmente non hanno infatti le capacità né i mezzi per competere con le grandi potenze globali come Stati Uniti, Cina e Russia.
Livello politico: l’idea soprastante è largamente accettata dai cittadini dell’Unione, anche se i motivi cambiano a seconda della nazionalità; il 68% degli europei ha infatti dichiarato di essere favorevole a un maggior ruolo dell’UE in materia di sicurezza e difesa. [18] Tale posizione è stata recepita anche dai leader, tanto che la Cancelliera Merkel, in un suo recente discorso al Parlamento europeo ha affermato che l’Unione deve “lavorare con la prospettiva di istituire un giorno un vero e proprio esercito europeo”. [19]
Livello economico e tecnologico: la spesa militare dei paesi europei è diminuita in modo drastico dal 2009. Solo dal 2014 alcuni Stati membri, tredici su ventisette, hanno aumentato gli investimenti tornado ai livelli pre-crisi in questo settore. Il trend discendente non ha invece toccato paesi come Stati Uniti e Cina. Gli USA rimangono infatti saldamente in testa alla classifica dei maggiori investitori con oltre 732 miliardi di dollari spesi nel 2019 per la difesa, un aumento di quasi 80 miliardi rispetto all’anno precedente. Al secondo posto troviamo la Cina con 261 miliardi, un incremento del 5% rispetto al 2018. Il bilancio per la difesa russo si attesta invece a 65,1 miliardi. Presi singolarmente, gli Stati dell’Unione non eccellono in termini di investimenti in difesa ma la somma dei bilanci UE arriva a 356 miliardi di dollari che, pur essendo la metà rispetto agli USA, è una somma ingente. [20]

3.1 Spendere meno, meglio e insieme
Il problema dell’Europa non è quindi spendere di più, almeno per ora, ma è quello di spendere meglio e soprattutto assieme. Attualmente la frammentazione e le numerose duplicazioni fanno perdere all’industria della difesa europea tra i 20 e i 100 miliardi all’anno (nel 2016, secondo uno studio della Commissione europea le perdite ammontavano a 26,4 miliardi). Ciò accade perché i paesi UE tendono a favorire l’industria militare nazionale senza avere una visione d’insieme. Circa 80% degli appalti e più del 90% dei progetti di ricerca in questo ambito sono infatti assegnati ai così detti campioni nazionali (Leonardo, ex Finmeccanica, per l’Italia). Come conseguenza, l’UE ha sei volte il numero dei sistemi difensivi degli USA: a fronte di 30 carrarmati statunitensi, nell’UE ve ne sono 178; a fronte di 4 modelli di corazzate e fregate a stelle e strisce i paesi europei ne hanno 29. Per non parlare dei modelli di aerei: 6 contro 20.
Per contrastare tale fenomeno serve più cooperazione e l’UE può fungere da cornice per progetti collaborativi raccogliendo le risorse degli Stati e dando vita a tecnologie ed equipaggiamenti più innovativi (perché gli investimenti sarebbero maggiori rispetto a quelli di un singolo paese). Oltre a ridurre duplicazioni e frammentazioni questo approccio migliorerebbe di molto anche l’interoperabilità tra i vari sistemi ed attiverebbe economie di scala che aiuterebbero l’industria militare europea in termini di competitività internazionale dando all’UE una maggiore autonomia rispetto alle potenze da cui importiamo tecnologie di difesa (si pensi alla grande diatriba sugli F-35 statunitensi). Questa cornice europea esiste, è il fondo europeo per la difesa che dal 2021 sarà pienamente operativo e sosterrà i progetti durante tutta la catena di produzione, dalla fase di ricerca a quella di sviluppo ed acquisizione. Francia e Germania si sono già dette favorevoli a una maggiore integrazione europea nella difesa così come l’Italia – che ha un eccellente apparato industriale militare – e molti altri paesi.
4 Conclusione
Il processo di integrazione in un settore nazionale per eccellenza come la difesa è un’esigenza chiara a livello europeo. Le difficoltà sono molte, prima fra tutte la reticenza degli Stati nel togliere le prerogative ai propri campioni nazionali. Nessuno, per ora, pensa realisticamente alla creazione di un esercito dell’Unione europea e i Battlegroup ne sono una prova inconfutabile: mai utilizzati dal 2007 e probabilmente mai lo saranno. Tuttavia, vi è un generale consenso sull’importanza di eliminare le duplicazioni e la frammentazione del mercato della difesa, se non altro per risparmiare soldi, soprattutto in esportazione e per schermarsi dai chiari di luna americani che con l’amministrazione Trump possono essere tanto repentini quanto dannosi.
L’UE negli ultimi anni ha fatto grandi passi avanti per favorire questa integrazione ma le risorse destinate a questo settore sono ancora limitate e, come si evince dalle conclusioni del Consiglio europeo, il bilancio della difesa è sempre il primo ad essere tagliato in caso vi sia necessità di ridirezionare le risorse verso altri settori. In ogni caso, le fondamenta poste dal Trattato di Lisbona sono ulteriormente rafforzate con la proposta per un Fondo europeo per la difesa che accentrerà progressivamente le risorse e porterà risultati nel medio-lungo termine grazie al sostegno, tra gli altri, dei Francesi e dei Tedeschi.
Note
[1] La PESC, sito dell’Istituto degli studi di politica internazionale (ISPI), consultabile su http://www.ispionline.it/it/europa_a_scuola/documenti/PESC.htm.
[2] F. Dehousse, After Amsterdam: A Report on the Common Foreign and Security Policy of the European Union, in European Journal of International Law 9, 1998, p. 527.
[3] L’Unione europea occidentale è un’organizzazione intergovernativa, indipendente dagli sviluppi comunitari, fondata nel 1954 a seguito della firma del Trattato di Parigi che sancì l’allargamento del Trattato di Bruxelles (1948) all’Italia e alla Repubblica Federale Tedesca.
[4] Unione Europea Occidentale, Dizionario di Storia (2011), Treccani, consultabile su http://www.treccani.it/enciclopedia/unione-europea-occidentale_%28Dizionario-di-Storia%29/.
[5] E. Letta (a cura di), Le prospettive di integrazione tra Unione europea e l’Unione europea occidentale: effetti sulle strutture politico‐istituzionali attualmente esistenti, Informazioni della difesa, Roma, CeMISS, 1999, p. 19.
[6] Anne Deighton, Western European Union, 1954-1997, Defence, Security, Integration, (Oxford: European Interdependence Research Unit, 1997).
[7] EEAS website, Berlin Plus Agreement, consultabile all’indirizzo http://www.eufp.eu/eeas-berlin-plus-agreement.
[8] European Council, Presidency Conclusions, Helsinky, 10-11 dicembre 1999. Consultabile all’indirizzo http://www.europarl.europa.eu/summits/hel1_en.htm#b.
[9] A Secure Europe in a better World, European Security Strategy, Bruxelles, 12 dicembre 2003, pp. 4-6.
[10] Consiglio dell’Unione Europea, Azione comune sullo stabilimento di una Agenzia europea per la difesa, in Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, Bruxelles, L 245/17, 17 luglio 2004, art. 5.
[11] Franco-British Summit: Strengthening European Cooperation in Security and Defence, Londra, 24 novembre 2003.
[12] Declaration on European Military Capabilities, Capability Commitments Conference, Bruxelles 22 Novembre 2004.
[13] Servizio di azione esterna dell’Unione Europea, The European Union in a changing global environment: a more connected, contested and complex world, Bruxelles, 25 giugno 2015.
[14] Consiglio dell’Unione Europea, Una strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell'Unione
Europea, 10715/16, Bruxelles, 28 giugno 2016.
[15] Per la lista dei progetti di cooperazione si visiti il sito https://www.consilium.europa.eu/media/41333/pesco-projects-12-nov-2019.pdf.
[16] European Parliament, Proposal for a regulation establishing the European Defence Fund.
[17] Brattberg E., Valášek T., EU Defense Cooperation: Progress Amid Transatlantic Concerns, Carnegie, 21 novembre 2019.
[18] Eurobarometro maggio 2018, https://www.europarl.europa.eu/at-your-service/files/be-heard/eurobarometer/2018/delivering_on_europe_citizens_views_on_current_and_future_eu_action/report.pdf.
[19] Ufficio stampa del Parlamento europeo, Merkel: Il nazionalismo e l'egoismo non devono mai più avere una possibilità in Europa.
[20] SIPRI, Trends in World military expenditure 2019. Consultabile all’indirizzo https://www.sipri.org/sites/default/files/2020-04/fs_2020_04_milex_0_0.pdf.
[21] Parlamento europeo, Infografica: rafforzare la difesa Ue facendo sistema.
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