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Ucraina - Dieci punti per capire la crisi

Aggiornamento: 5 ago 2022


Ogni guerra ha radici profonde, che non possono mai ridursi agli ultimi accadimenti. L’Ucraina è da sempre terra di confine, terra di cosacchi, terra di dozzine di etnie, che inevitabilmente si riverberano nei sentimenti politici. Come la stessa Russia, un Paese che vive tra vicinanza europea, cultura slava, tendenze verso est. Gli analisti di AMIStaDeS e quelli dell'Associazione Italiana di Intelligence e Geopolitica (AIAIG) hanno deciso di dare il proprio contributo per cercare di capire la crisi.


1. Ucraina, culla dei Rus’: da re Vladimiro ai giorni nostri

Fino all'Alto Medioevo, l'attuale Ucraina fu abitata da popoli nomadi, ma con l'arrivo dei Rus', appartenenti al gruppo norreno dei Variaghi, le terre vennero unificate e Kiev fu nominata “madre di tutte le città dei Rus”.

Tutta la sua popolazione fu inoltre battezzata e cristianizzata su ordine di Vladimir il Grande, che abbandonò così il paganesimo. Dopo varie invasioni, la più significativa delle quali è quella mongola, e la successiva divisione del khanato dell’Orda d’Oro in tre granducati - tra cui Moscovia e Volnyia, al cui interno vi erano rispettivamente Mosca e Kiev -, la prima crebbe in importanza e forza e pose sotto il proprio controllo l'Ucraina (Trattato di Perejaslav, 1654). Nell'ultimo periodo del regime zarista, fu avviata un'opera di russificazione delle terre ucraine, soprattutto a livello linguistico.

Dopo un lungo periodo di guerra civile e anarchia (1917-1922), l'Ucraina entrò ufficialmente a far parte dell'URSS e, quando questa si dissolse (1991), il Parlamento dichiarò l'Ucraina uno Stato indipendente e democratico.

I rapporti con la Russia, inizialmente molto tesi, si inasprirono ulteriormente a fine anni ‘90 a causa dei rapporti tra Ucraina e NATO e peggiorarono quando, nei primi anni 2000, s’instaurò il governo riformista di Juščenko, destituito e poi rieletto dopo la c.d. rivoluzione arancione (2004) scoppiata per sospetti brogli a favore del primo ministro filorusso Janukovyč. Ciò si tradusse in maggiori tensioni nella comunità russofona dell'Est dell'Ucraina, creando i presupposti per quella che sarà la crisi del 2014.


2. Ucraina, terra di confine, tra etnie e religiosità

Se in ucraino krajina significa semplicemente "paese, terra", per l'etimologia slava significa "sul confine": quello che è il secondo Stato più grande d'Europa confina con Russia, Moldavia, Bielorussia, Romania, Polonia, Ungheria e Slovacchia.

Le pianure e le steppe (che ospitano il černozem, letteralmente “terra nera”) sono attraversate da diversi fiumi, mentre gli unici rilievi sono le propaggini dei Carpazi e le montagne della Crimea. Poiché può coprire il fabbisogno alimentare fino a sette volte la sua popolazione, l’Ucraina è stata spesso definita "granaio del mondo” (essa esporta olio di girasole, grano e zucchero), senza dimenticare le riserve di carbone e le centrali idroelettriche sul fiume Dnepr.

Tra la gran varietà di gruppi etnici, il maggiore è quello ucraino, seguito dalla minoranza russa che però non coincide con la più ampia popolazione russofona. Infatti, l'ucraino è considerata la lingua di Stato, ma il russo è largamente diffuso, specialmente a est e a sud: rimane tuttavia difficile determinarne la reale diffusione poiché molte persone parlano il suržik, un misto di ucraino e russo.

La confessione religiosa più diffusa è il cristianesimo ortodosso, che fa capo alla Chiesa ortodossa ucraina (Patriarcato di Mosca) e alla Chiesa ortodossa dell'Ucraina (nata dall'unificazione del Patriarcato di Kiev e della Chiesa ortodossa autocefala ucraina).



3. Se la Russia chiude il gas: quali rischi per l’Europa?

L’aggressione di Mosca sta avendo importanti ripercussioni sul mercato dell’energia. Il 24 febbraio 2022, per la prima volta dal 2014, il valore future del petrolio Brent, che funge da riferimento sul mercato europeo, ha superato i $100 dollari al barile a causa della riduzione nelle forniture dalla Russia. Le conseguenze non si sono fatte attendere, con i prezzi delle pompe di benzina schizzati a valori record. Quanto al gas naturale, la situazione è ancora più sensibile: l’Ucraina è un importante snodo infrastrutturale per le forniture gasifere europee. I gasdotti Brotherhood, Progress e Sojuz, che penetrano trasversalmente il territorio ucraino, sono, insieme alla conduttura Jamal-Europe, le principali vie attraverso cui il gas russo giunge in Europa e ne soddisfa quasi il 40% della domanda. Nonostante le assicurazioni di Mosca che scongiurerebbero improvvise interruzioni delle forniture, quella del gas è sicuramente una delle carte migliori in mano a Vladimir Putin.

Già da qualche mese, in Europa si stanno sperimentando le conseguenze dovute alla scarsità di combustibile, con le riserve gasifere che hanno a lungo toccato i minimi storici. Tuttavia, i mercati ci dicono che, nonostante l’invasione, negli ultimi giorni le esportazioni di gas russo sono aumentate marginalmente, sospinte dall’incremento dei prezzi europei che, qualora si verificassero grossi cali o cessazioni nelle forniture, aumenterebbero drasticamente con conseguenze difficili da prevedere. Va citato inoltre il North Stream 2: esso, collegando la Russia alla Germania, avrebbe permesso a Mosca di esportare il proprio gas all’Europa senza preoccuparsi più del passaggio attraverso l’Ucraina; tuttavia, a seguito dell’invasione russa il progetto è stato bloccato.



4. La crisi del 2014: i fatti di Crimea e il conflitto congelato in Donbass

Quello che oggi appare agli occhi europei un desiderio europeista e di democrazia non è necessariamente un quadro totale della situazione ucraina. Quando il presidente Janukovyč (già vittorioso alle elezioni sulla Tymošenko) nell’autunno 2013 ha deciso di rinunciare all’adesione UE in favore di un prestito russo, la parte più occidentale ha dato via a una rivolta che ha cambiato l’assetto del potere – anche con scontri violenti, quelli che noi chiamiamo Euromaidan – portando al conflitto che abbiamo oggi, tra una parte di Ucraina che vuole andare a ovest e una parte – russofila e appoggiata dalla Russia – che vuole rimanere a est e che ha unilateralmente dichiarato l’indipendenza (Lugansk e Donetsk). La contromossa russa – oltre l’appoggio ai separatisti - è stata l’occupazione prima (20 febbraio 2014) e l’annessione poi (16 marzo, tramite referendum rifiutato dall’Occidente) della Crimea, tradizionalmente a maggioranza russofona e sede – nella città di Sebastopoli - di una delle maggiori strutture della marina russa: la Flotta del Mar Nero.

Con due accordi (Minsk e Minsk II) mai applicati (dalle milizie filo-russe, certo, ma in primis dall’Ucraina che dal 2015 non ha fatto un passo in tal senso), e una diplomazia europea impotente rispetto alla volontà americana di ingolfare la Russia e limitarne l’influenza nel proprio cortile, probabilmente le responsabilità del conflitto sono ben lungi dall’essere solo russe: Minsk II prevedeva il riconoscimento all’interno dello Stato ucraino di una maggiore autonomia delle regioni separatiste, attraverso una riforma costituzionale mai sviluppata da Kiev.

Il conflitto nel Donbass rappresenta oggi il prototipo di finto conflitto congelato: le azioni armate non sono mai terminate davvero, in particolare a causa dell’incapacità di Kiev di controllare le milizie nazionaliste ucraine, mentre da parte filorussa vi è sempre stata la necessità di mantenere alta la tensione per ostacolare ulteriori spostamenti dell’establishment ucraino verso occidente. A ciò si aggiungono le tensioni tipiche dello spazio ex sovietico, fatto di Stati nazionali con un’estesa presenza di minoranze etniche su cui potenze regionali e globali spingono costantemente per implementare le rispettive agende.


5. Crimea e Donbass “gemelli diversi”: cosa dice il Diritto?

Secondo Putin “per il Donbass, un’altra soluzione stile Crimea era impensabile” (2014). Pur somigliandosi molto, infatti, le due situazioni sono diverse e due concetti giuridici ci vengono in soccorso:

- Un nuovo Stato nasce quando vi sono tre elementi (popolo, territorio e sovranità [controllo effettivo sul popolo e sul territorio da parte di un’autorità di governo]) – a prescindere dal riconoscimento degli altri Stati - esattamente come a un essere umano non si dirà che non è vivo se respira e il suo cuore batte;

- Tra i soggetti cui si applica il principio di autodeterminazione dei popoli vi sono i gruppi infra-statuali ben individuabili rispetto al resto della popolazione di uno Stato: qui il principio non dà diritto all’indipendenza se è loro concessa una forte autonomia per perseguire il proprio sviluppo politico, economico e sociale (c.d. autodeterminazione interna).

Crimea: ex khanato ottomano ceduto alla Russia di Caterina II (1783), rimase parte della Repubblica Socialista Sovietica Russa finché Kruscev non la “donò” a quella Ucraina (1954). Dopo un referendum (gennaio 1991) con cui chiedeva di rientrare nella Repubblica Russa, alla Crimea fu concessa solo l’autonomia all’interno dell’Ucraina: dichiarò l’indipendenza, che fu però revocata da Kiev. Crollata l’URSS (25 dicembre 1991), nacque l’attuale Ucraina la cui Costituzione inquadra la Crimea come Repubblica autonoma e Sebastopoli come città con status speciale. Al referendum (27 maggio 1994; 80% sì) – proposto dal neoeletto presidente di Crimea, il separatista Yuri Meshkov – che prevedeva tra l’altro la doppia cittadinanza (ucraina e russa) per gli abitanti di Crimea e un Trattato che ne regolasse i rapporti con l’Ucraina, Kiev rispose modificando la Costituzione. I futuri presidenti di Crimea sarebbero stati nominati (e rimossi) dal governo ucraino, non più eletti: la Crimea, formalmente Repubblica, era nei fatti meno autonoma della Provincia di Bolzano. Il principio di autodeterminazione interna appare compromesso già da allora; la maggioranza della popolazione (i russofoni sono circa il 70%) si identifica da tempo in un governo filorusso.

Donbass: militarizzato dai Russi nel Seicento in funzione anti-Tatara, fu assorbito definitivamente nell’impero russo quando Caterina II fece distruggere l’Etmanato cosacco (1775). Con una popolazione da sempre mista - diverse minoranze e ucraini concentrati nelle campagne mentre i russi nelle città - dopo un timido tentativo d’indipendenza (1918), il Donbass fu prima sottoposto alla “russificazione” voluta da Stalin, con ucraini e cosacchi vittime dell’Holodomor, e poi occupato da Hitler, che deportò i lavoratori specializzati sterminando il resto della popolazione. Riunificata all’URSS (1943), Mosca favorì il trasferimento di popolazione russa nella regione (45% nel 1959). Il conflitto scoppiato nel 2014 non si è determinato in un senso o nell’altro perché nessuna delle due fazioni, russa e ucraina, prevalgono sull’altra, controllano il territorio o si identificano in un governo preciso (non sussiste nessuno dei tre elementi) come invece avvenuto in Crimea. Kiev non ha attuato la nuova legge sullo status speciale prevista dagli accordi di Minsk a tutela della minoranza russa e anzi si segnalano una forte emigrazione verso la Russia e la normativa, varata dall'ex presidente Porošenko, che prevedeva la riconversione delle scuole di lingua russa in scuole di lingua ucraina entro il 2020: ciò mette a rischio il principio di autodeterminazione interna.


6. C’è davvero la Russia dietro i cyber-attacchi in Ucraina?

Il 15 febbraio 2022, Ucraina e Stati Uniti hanno accusato la Russia di aver condotto attacchi Distributed Denial-of-Service (DDoS) contro due istituti bancari e il Ministero della Difesa di Kiev. L’offensiva è stata preceduta da una serie di altri hackeraggi, perpetrati sin da inizio gennaio, a danno di oltre 70 siti web governativi e da un malware all’interno dei sistemi statali ucraini, scoperto da Microsoft. La Russia ha negato, ma molti sono gli indizi a sostegno di tali accuse: le tattiche di cyber offensive sono da tempo parte della dottrina militare russa, infatti sia l’azione militare in Georgia (2008) che quella in Crimea (2014) furono precedute da attacchi informatici. A ciò che ormai appare come un modus operandi, si aggiungono i numerosi episodi in cui Mosca ha sfruttato il dominio cyber per colpire proprio l’Ucraina: ad esempio, nel 2015 e nel 2016 le reti elettriche del Paese furono messe parzialmente fuori uso, o nel 2017 il ransomware NotPetya causò ingenti danni economici che si riverberarono a livello globale. L’operazione del 15 febbraio potrebbe essere la risposta russa all’U.S.-Ukraine Charter on Strategic Partnership (novembre 2021), in virtù del quale Washington offre grande supporto a Kiev sul fronte informatico. Anche il Cyber Attack Predictive Index (CAPI), sulla base di una valutazione incrociata tra forza informatica, motivazioni per attaccare, assenza di ripercussioni, coerenza con la strategia del Paese e vulnerabilità tecnologiche dell’obiettivo, ha recentemente registrato il massimo livello di rischio di attacchi cyber russi a danno dell’Ucraina.

A ulteriore conferma del coinvolgimento russo e in risposta all’atteggiamento dispotico di Putin, Anonymous si è apertamente schierato contro il Presidente, hackerando i siti governativi del Cremlino e del Ministero della Difesa e diffondendo informazioni prima negate ai cittadini russi dalla censura.


7. La NATO e l'Ucraina: un matrimonio che non s’ha da fare?

A partire dagli anni Novanta, la NATO ha subito un processo di trasformazione che ha portato a una progressiva apertura ai Paesi dell’ex blocco sovietico. Il processo, avviatosi con l’approvazione della Nuova Concezione Strategica (1991), ha visto la sua prima tappa nel lancio del programma Partnership for Peace (1994) per poi cristallizzarsi nel 1997: l’invito fatto a Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia ad avviare i colloqui di adesione decreta la nascita della c.d. politica della “open door”. Nel 1997 viene inoltre istituita la Commissione NATO-Ucraina (NUC) per favorire lo sviluppo delle relazioni tra l’Alleanza atlantica e Kiev.

Tra il 1999 e il 2009 sono entrati nell’Alleanza sette Paesi dell’ex Patto di Varsavia e le tre Repubbliche baltiche che erano state parte integrante dell’Unione Sovietica. Durante il summit di Bucarest (2008), gli Alleati si sono detti favorevoli alle aspirazioni euro atlantiche di Georgia e Ucraina e che entrambe sarebbero entrate nella NATO.

Dal 2016, l’Alleanza supporta Kiev attraverso il pacchetto di assistenza globale per l'Ucraina, adottato in occasione del vertice di Varsavia; esercitazioni militari congiunte sono inoltre organizzate con cadenza annuale. Nel 2020 il presidente Zelens'kyj ha approvato la nuova strategia di sicurezza nazionale del Paese, che prevede lo sviluppo del partenariato distintivo con la NATO con l’obiettivo dell’adesione: l'Ucraina diventa così uno dei sei "partner con opportunità rafforzate", acquisendo uno status speciale riservato agli stretti alleati della NATO.

All’indomani dell’attacco di Mosca, l’Alleanza ha definito l’azione una grave violazione del diritto internazionale oltre che una seria minaccia alla sicurezza euro atlantica.


8. La Dottrina Primakov muove i fili della politica estera russa

Ad aver ispirato il modus pensandi ed agendi del Cremlino nelle ultime decadi sono i principi teorici della dottrina Primakov. Non solo il capo di stato maggiore Gerasimov – la cui dottrina, peraltro inesistente, divenuta paradigma inflazionato tra molti analisti - non può essere considerato il deus ex machina del pensiero strategico russo corrente, ma i suoi sforzi nel definire alcuni concetti operativi di carattere militare (per prevenire, e non promuovere, la "hybrid warfare") vanno reputati proprio funzionali alla scuola di pensiero dall’ex primo ministro russo Primakov. Questi nella seconda metà degli anni 90 enunciò quattro postulati maggiori secondo cui la Russia deve: svilupparsi verso un mondo multipolare che controbilanci l'egemonia statunitense tramite un sistema condiviso di governance tra le maggiori potenze globali; esercitare il suo primatosullo spazio Post-Sovietico (leggasi ближнее зарубежье, "near abroad") e guidare l'integrazione euroasiatica; contrastare l'espansione della NATO; promuovere una partnership privilegiata con la Cina.

Diverse iniziative unilaterali occidentali hanno contribuito a minare il paradigma Primakov agli occhi di Mosca, inibendo lo storico baluardo difensivo della profondità strategica e favorendo una sistematica percezione d'accerchiamento. Tra le più significative, le promesse non mantenute contro un allargamento NATO a Est negli anni ‘90, il bombardamento della Jugoslavia (1999), l'invasione dell'Iraq (2003), il dispiegamento di sistemi anti-missili nell'Europa dell'Est, la politica NATO della "porta aperta" verso Georgia e Ucraina (2008), il successivo sostegno a rivoluzioni in quelle e altre ex repubbliche sovietiche come l’EuroMaidan (2014), inframezzato dal bombardamento NATO della Libia (2011), e culminato con la contrapposizione in Siria.

È l’eredità della traiettoria Primakov, unita alla memoria delle esperienze appena citate, a plasmare oggi la grand strategy russa, ispirare la strategia di sicurezza nazionale e orientare le scelte del politburo di Mosca, compresa quella di condurre un’invasione su vasta scala dell’Ucraina.



9. L’UE tra diplomazia e sanzioni: ago della bilancia o bella addormentata?

E l’Europa? Inizialmente si sono registrati i tentativi di singoli Stati membri di disinnescare la crisi per via diplomatica, con incontri di alto livello a Mosca, Kiev e Washington (per coordinarsi con gli alleati americani). Questo metodo non ha portato risultati: l’UE, che non ha giocato alcun ruolo diplomatico specialmente tramite il proprio Rappresentante per la Politica Estera e la Sicurezza Comune, Josep Borrell, si è invece compattata nell’approvare nuove sanzioni per colpire l’economia russa dopo l’invasione dell’Ucraina.

Ma le sanzioni danneggiano anche chi le adotta. Alcuni Paesi suggerivano maggiore cautela, ma le posizioni cambiano rapidamente. In una settimana sono stati adottati tre pacchetti di sanzioni, e potrebbe non essere finita. È stato colpito direttamente l’establishment politico ed economico russo e i settori energetici, finanziari, commerciali, dei trasporti, dei visti. Alcune banche russe sono state escluse dal sistema finanziario internazionale Swift, mentre l’UE ha appoggiato per la prima volta la vendita di armi letali a un Paese terzo (i membri UE della NATO continuano a inviare truppe ed equipaggiamenti anche attraverso l’Alleanza nordatlantica). Dalle sanzioni resta per ora escluso il gas, di cui l’Europa è dipendente. Lo spazio aereo UE è stato chiuso ai voli russi e potrebbe esserlo anche quello marittimo.

Si parla inoltre di far entrare Kiev nell’Unione, ma la questione è piuttosto complessa.


10. Il difficile equilibrismo di Pechino tra Mosca, Kiev e Washington

A differenza dei Paesi occidentali, la cui condanna all’invasione è stata unanime e immediata, Pechino ha temporeggiato evitando di esporsi troppo e cercando di mantenere, almeno nelle prime fasi, una posizione ambigua. L’Ucraina rappresenta una delle principali porte di accesso all’Europa per la Belt and Road Initiative (la nuova Via della Seta) e quindi per la penetrazione commerciale ed economica verso i mercati occidentali. Inoltre, la politica estera cinese è sempre stata a favore del sostegno della sovranità territoriale e contro le ingerenze straniere negli affari interni di un Paese terzo. A tal proposito, è significativo il fatto che la Cina non abbia mai riconosciuto la Crimea come parte della Russia. Tuttavia, Mosca è il più importante partner strategico di Pechino (legame rinsaldato recentemente dalla visita di Putin in occasione delle Olimpiadi invernali) che alla fine, dopo aver mantenuto un atteggiamento di quasi-neutralità, ha deciso di esporsi. Il Ministero degli esteri cinese ha deciso di non utilizzare la parola “invasione” per descrivere quanto sta accadendo in Ucraina e il governo di Pechino (che non ha condannato le azioni della Russia) si è fermamente opposto alle sanzioni contro Mosca. Al contrario, nelle ultime ore la Cina ha allentato alcune restrizioni sulle importazioni di grano, fornendo alla Russia un’ancora di salvataggio e un importante contrappeso alle sanzioni occidentali, attirandosi le critiche di Stati Uniti e Australia.

Per la Cina sembrano tornati i tempi della diplomazia triangolare della Guerra Fredda, quando Pechino si trovava in bilico tra Mosca e Washington.





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