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Terrorismo islamista e flussi migratori

Aggiornamento: 7 set 2021

1. Introduzione


I fenomeni migratori costituiscono uno degli eventi epocali più significativi per l’evoluzione delle società occidentali, determinando l’incontro con la diversità nella quotidianità.


Ne scaturiscono complesse problematiche di tipo sociologico, criminologico e giuridico, incentrate sulla necessità di una corretta integrazione che si pone, quindi, come una questione inderogabile in funzione della tutela dei diritti di tutti e di una possibile convivenza dai connotati positivi.


L’Europa è stata recentemente scenario di nuovi attentati di matrice islamista, come l’attacco all’arma sferrato il 29 ottobre 2020 nella basilica di Notre-Dame a Nizza dal ventunenne Brahim Aoussaoui, durante il quale sono state uccise tre persone (come risulta da Ansa). Brahim Aoussaoui, di nazionalità tunisina, era giunto in Europa partendo lo scorso 18 settembre dal porto tunisino di Sfax a bordo di un barchino con altre dieci persone. Il ragazzo, approdato due giorni dopo a Lampedusa, è successivamente sfuggito all’ordine di lasciare l’Italia giunto dopo la quarantena in nave (come risulta dal Corriere della Sera).


Questi accadimenti alimentano lo stato di paura e di diffidenza verso le popolazioni migranti e ci impongono di indagare sul reale pericolo che esse rappresentano, al fine di comprendere, in ultima istanza, se l’immigrazione può rappresentare un mero veicolo per la diffusione del terrorismo in Europa, oppure se possa contribuire a contrastarlo.


2. Il Mediterraneo: mare di immigrazione, criminalità organizzata e terrorismo


L’area mediterranea è divenuta una zona di transito dei flussi migratori transcontinentali, provenienti non solo dagli Stati che vi si affacciano, ma anche dall’Asia, dal Medioriente e, soprattutto, dall’Africa sub-sahariana. L’immigrazione irregolare si è evoluta negli anni causando gravi incertezze sul piano della sicurezza sia degli individui che dei paesi che si occupano della loro accoglienza. Il rapporto annuale 2004 di Europol (https://www.europol.europa.eu/) ha sottolineato che “la complessa operazione di spostamento di vasti gruppi umani tra paesi diversi richiede un livello di organizzazione e di sofisticazione che solo la criminalità organizzata può raggiungere”. Tale correlazione assume tuttora connotati significativi, al punto che il 27 marzo 2017 il Consiglio europeo ha deciso di proseguire, per il periodo 2018-2021, il ciclo programmatico dell'Unione Europea per la criminalità organizzata e la criminalità internazionale grave, annoverando tra le priorità la lotta alla facilitazione dell’immigrazione illegale (https://www.europol.europa.eu/crime-areas-and-trends/eu-policy-cycle-empact).


Il traffico di esseri umani gestito da gruppi criminali assume la conformazione di una rete con ramificazioni nel mondo intero, agevolato, in particolar modo, dalla corruzione e da attività illecite di ogni tipo.


Il Sahel, regione tradizionalmente dedicata alle rotte commerciali, rappresenta ad oggi una zona grigia che sfugge al controllo regolare degli Stati che fanno parte di quest’area ed è diventato zona di transito per le popolazioni che fuggono dalla povertà, ma anche luogo di instabilità e terreno fertile per lo sviluppo di reti terroristiche e criminali. Inoltre, l’attuale situazione della sicurezza in Libia ha permesso ad alcuni gruppi criminali di trarne vantaggio, coinvolgendo sia gruppi armati, che reti della criminalità organizzata, compresi i trafficanti di migranti.[1]


3. L’immigrazione irregolare come espressione della criminalità organizzata


Per i servizi di sicurezza la lotta contro le reti di trafficanti di migranti è un’attività relativamente recente, che si è resa necessaria da quando i confini dei paesi coinvolti nella guerra fredda sono scomparsi e la globalizzazione è diventata una realtà tangibile. Secondo un rapporto dei Servizi Segreti britannici del novembre 1997, i dati statistici sugli atti criminali legati all’immigrazione irregolare di stranieri verso i Paesi dell’Unione europea indicano un aumento del 91% dei casi dal 1991 al 1996[2].


L’immigrazione irregolare e le rotte migratorie illegali possono risultare particolarmente dannose per la sicurezza nazionale, in quanto potrebbero costituire un canale di reclutamento per gruppi terroristici oltre che “linee logistiche” di collegamento con la criminalità organizzata[3].


Per i paesi in prima linea sul fronte dell’immigrazione, come l’Italia, rimane alto il rischio che i numerosi foreign fighters sopravvissuti alla sconfitta dello Stato Islamico penetrino in Europa, nascosti tra i migranti provenienti dai Balcani o dal Nord Africa[4]. Il secondo grande rischio è che i migranti, soggetti a una situazione di stress psicologico a causa della durezza dell’esperienza migratoria, possano essere oggetto dell’azione di propaganda e reclutamento dei gruppi jihadisti, che ne sfrutterebbero la vulnerabilità anche attraverso aiuti economici[5]. Radicalizzazione, terrorismo e migrazione illegale possono essere dunque fattori interconnessi.


4. Il terrorismo jihadista in Occidente


La nostra generazione è stata testimone, dal 2014 al 2019, di un totale di 121 brutali azioni perpetrate in nome del jihad[6]. Atti compiuti certamente da terroristi che hanno importato la violenza in Europa, ma anche da un numero rilevante di individui nati e cresciuti in Europa, cittadini europei o regolarmente residenti in Europa, che hanno colpito dall’interno.

La prevalenza dei soggetti radicalizzati coinvolti nella pianificazione o nella condotta di azioni terroristiche (circa l’89% del totale) è rappresentata da immigrati regolari, di seconda e di terza generazione, appartenenti in prevalenza alle comunità marocchine, algerine e tunisine, con un’età media di 22 anni[7].


In questo scenario, a partire dal 2014, l’Europa è altresì divenuta ‘esportatrice’ di terrorismo, con circa 5.000 volontari partiti con lo scopo e l’ambizione di combattere in Siria, sul totale dei 60.000 foreign fighters[8].


Questi dati ci spingono a considerare il terrorismo islamista non solo un fenomeno importato, ma anche come una patologia di origine endemica, che può essere debellata solamente comprendendone la reale origine. Il percorso per riuscire in tale impresa passa attraverso la conoscenza dei protagonisti e lo studio di un fenomeno religioso-culturale scarsamente preso in considerazione: l’“Islam europeo”.


5. Musulmani d’Occidente


Dell’Islam si parla il più delle volte in termini di politica estera, quando non di confronto-scontro tra civiltà. Esiste tuttavia un “Islam interno” all’Occidente, anche se paradossalmente poco conosciuto, rappresentato dai musulmani che vivono, in qualche caso da più generazioni, in Europa.


Oggi, infatti, non si può più parlare di Islam e Occidente. È accaduto qualcosa di qualitativamente diverso: oggi l’Islam è in Occidente.


L’Islam nasce migrante[9], ma la migrazione non è un fine in sé; come il suo prototipo, la hijra, è il mezzo attraverso il quale costruire una società islamica. L’Islam apparentemente mal tollera di rimanere in situazione di minoranza, va infatti ricordato che è proprio dal momento in cui diventa maggioranza, a Medina, che istituisce il suo calendario; in questo suo spostarsi dalla Mecca a Medina, nella hijra del 622 d.C. (quella che noi chiamiamo Egira), trova la sua data di nascita: non quella del profeta Muhammad, bensì della sua comunità, la umma. L’odierno Islam europeo si ritrova in una situazione molto più “meccana” che non “medinese”, rappresentando una minoranza appena tollerata e talvolta stigmatizzata.


Un’ulteriore peculiarità dell’Islam europeo è il carattere “ummico” (da umma[10]), è proprio qui, infatti, che il musulmano emigrato scopre e vive in modo carnale il vero significato di “comunità”, composta di usi e costumi in parte differenti[11].

6. La situazione italiana


Il ciclo migratorio italiano appare più tardivo di quello europeo centro-settentrionale, in quanto l’Italia è stata esportatrice di manodopera fino ai primi anni Settanta. In compenso sono riscontrabili delle particolarità: la prima consiste in una presenza già molto evidente dell’Islam, bruciando le tappe rispetto ad altri paesi europei; un altro aspetto peculiare è la provenienza diversificata, che, di fatto, impedisce l’identificazione con un solo paese di provenienza; infine, pochi migranti provengono da ex colonie.


Questi fattori comportano un insieme di conseguenze sintetizzabili con la seguente equazione sociale: maggiore dispersione lavorativo/residenziale + minor peso relativo dell’associazionismo etnico/laico + immigrazione da posti in fase di maggior “effervescenza” islamica = maggior peso dell’aggregazione a carattere cultural/religioso. In tale contesto, le moschee e quanto sta intorno a loro giocano un ruolo aggregativo importante, enfatizzato dalla mancanza o debolezza di interlocutori associativi laici di qualche peso o rappresentatività. Il fatto di organizzarsi per creare una sala di preghiera o una moschea può costituire una forma e una modalità di integrazione, e non il suo contrario, attivando così capacità di organizzazione e di collegamento con la realtà circostante, impegno associativo, oltre che contatto a livello politico e di quartiere[12].


7. I giovani musulmani e l’Europeizzazione dell’Islam


La trasmissione religiosa, scontata nei paesi d’origine, diventa assai più complessa in emigrazione.


Le prime generazioni di immigrati sono musulmane in ragione del loro paese d’origine, che ha trasmesso loro un’identità ben precisa. I figli, invece, sono alla ricerca di un’identità religiosa che né l’etnia di appartenenza né il paese d’origine dei loro padri sono in grado di fornire in modo esaustivo, molte volte anche a causa di limiti linguistici riscontrabili nello studio del testo sacro (soprattutto per i musulmani non appartenenti a popolazioni arabe).

In un certo senso, molti musulmani di seconda generazione percorrono, per motivi di distacco progressivo dall’Islam dei padri, una sorta di percorso di conversione e di ri-socializzazione islamica, il quale può seguire anche vie inedite e differenti dalla “naturale” trasmissione religiosa, che passano attraverso rotture e contrapposizioni, abbandoni più o meno traumatici e recuperi più o meno radicali (alcune volte anche deviati)[13]. Quello che non di rado i giovani musulmani vedono negli occhi dell’altro (a scuola, nei mass media, nei discorsi politici, ecc.), è l’immagine riflessa e distorta di un’identità religiosa che stentano a riconoscere come propria. Questa continua pressione sociale non può non causare seri problemi nella formazione dell’identità religiosa, ostacolandone altresì la sua accettazione e affermazione sociale.


8. Conclusioni


I migranti provenienti da Stati a prevalenza musulmana e inclini al terrorismo rappresentano di fatto un veicolo importante attraverso il quale il terrorismo si trasferisce, ma solo una minoranza di essi può essere associata all’aumento del fenomeno terroristico nei paesi ospitanti. È quindi improbabile che l’immigrazione di per sé possa rappresentare una causa diretta del terrorismo. Una correlazione verificata, invece, è quella tra le reti criminali che sfruttano l’immigrazione irregolare e le organizzazioni terroristiche che utilizzano le comunità di migranti come bacino di reclutamento[14].


Si conferma dunque un trend consolidato: la partecipazione ad attacchi terroristici di soggetti quasi esclusivamente “homegrown, radicalizzati all’interno dei paesi europei[15].

Se ci si chiedesse “quanti tipi di Islam ci siano in Italia e quale sia il predominante”, non risulterebbe più possibile negare l’esistenza di un vero e proprio Islam europeo, della cui formazione l’Occidente si deve rendere parte attiva, comprendendone le naturali esigenze al fine di evitare che da esso possano gemmare forme deviate e radicali. La lotta al terrorismo passa anche (e soprattutto) attraverso lo sviluppo e la promozione di politiche sociali che aboliscano il concetto di “integrazione” intesa quale mera accettazione di un fenomeno “estraneo”. Dobbiamo renderci consapevoli di un’irreversibile multiculturalità ormai insita nel nostro Paese e in tutto il territorio europeo, che abbiamo il dovere di proteggere affinché diventi un efficace strumento per la lotta contro il crimine.


I giovani musulmani europei (seconde o terze generazioni di migranti), attraverso ritorni periodici nella patria d’origine, potrebbero inoltre veicolare comportamenti e attitudini intellettuali acquisite nel paese di residenza, assumendo un ruolo sempre più importante nell’evoluzione complessiva dell’Islam, in un’ottica di costruttivo confronto.


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Terrorismo islamista e Flussi migratori
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Note


[1] C. BERTOLOTTI, Correlazione tra flussi migratori e minaccia riconducibile al terrorismo di matrice confessionale, Codice AO-CC-01, CeMISS, 2020, pp. 84-85. [2] X. RAUFER, S. QUèré, La criminalità organizzata, Presses Universitaires de France, Parigi, p. 166. [3] Come risulta dal Rapporto dell’Intelligence 2019 al Parlamento italiano https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr.nsf/category/relazione-annuale.html. [4] C. BERTOLOTTI, C. SULMONI, Islamic State-linked terrorism in Europe. Suicide attaks and self-starters: what the numbers say, Documento di studio presentato al laboratorio di ricercar avanzata della Nato, Skopje, 2018. [5] E.F. BERROGLIO, C. OLDANI, Migration toward Europe and Foreign Terrorist Fighters, Trinity College, 2018 (http://www.g7g20.utoronto.ca/comment/180723-bergoglio_errico-oldani.html). [6] Fonte dataset START InSight, dati aggiornati al 10.12.2019 (https://www.startinsight.eu/tag/claudio-bertolotti/). [7] Evoluzione di un fenomeno che trova conferma nel trend degli arresti avvenuti in 18 paesi dell’Unione Europea: European Union Terrorism Situation and Trend, Report 2018, Europol, p. 10. [8] C. BERTOLOTTI, Op. Cit., p. 95. [9] Un famoso detto dell’imam sciita Ja’far, divenuto un hadit per i sunniti recita (qui nella traduzione e con il commento di L. MASSIGNON, Parola data, Adelphi, Milano, 1995): “L’Islam è cominciato esule (a Medina), e ridiventerà esule (a Kufa o a Gerusalemme, sua prima e ultima qibla) come al suo esordio; e beati coloro fra i membri della Comunità di Muhammad che sceglieranno l’esilio”. [10] Significa “Comunità”: Parola che nell’uso comune include i musulmani nel loro insieme. [11] S. ALLIEVI, Musulmani d’Occidente – Tendenze dell’islam europeo, Carocci, Roma, 2005, pp. 25-40. [12]S. ALLIEVI, Il multiculturalismo alla prova. L’islam come attore sociale interno, in “Sociologia e Politiche sociali”, 2000, n. 3, pp. 45-81. [13] S. ALLIEVI, Nouveaux protagonistes de l’islam européen. Naissace d’une culture euro-islamique? Le role des convertis, in “European University Institute Working Papers”, 2000, n. 18; per un approfondimento sul tema della “devianza” si rimanda all’analisi dell’autore: Profili criminologici e vittimologia del terrorismo, AMIStaDeS – Fai Amicizia con il Sapere, par. 3-4-6 (https://www.amistades.info/post/profili-criminologici-e-vittimologia-del-terrorismo). [14] V. BOVE, T. BOHMELT, Does Immigration Induce Terrorism?, The Journal of Politics, 2016, pp. 572-588. [15] European Union Terrorism Situation and Trend, Report 2018, Europol, p. 25.


Bibliografia


C. BERTOLOTTI, C. SULMONI, Islamic State-linked terrorism in Europe. Suicide attacks and self-starters: what the numbers say, Documento di studio presentato al laboratorio di ricercar avanzata della Nato, Skopje, 2018;

C. BERTOLOTTI, Correlazione tra flussi migratori e minaccia riconducibile al terrorismo di matrice confessionale, Codice AO-CC-01, CeMISS, 2020;

E.F. BERROGLIO, C. OLDANI, Migration toward Europe and Foreign Terrorist Fighters, Trinity College, 2018;

European Union Terrorism Situation and Trend, Report 2018, Europol;

L. MASSIGNON, Parola data, Adelphi, Milano, 1995;

S. ALLIEVI, Il multiculturalismo alla prova. L’islam come attore sociale interno, in “Sociologia e Politiche sociali”, 2000, n. 3;

S. ALLIEVI, Musulmani d’Occidente – Tendenze dell’islam europeo, Carocci, Roma, 2005;

S. ALLIEVI, Nouveaux protagonistes de l’islam européen. Naissance d’une culture euro-islamique? Le role des convertis, in “European University Institute Working Papers”, 2000, n. 18;

V. BOVE, T. BOHMELT, Does Immigration Induce Terrorism?, The Journal of Politics, 2016.

X. RAUFER, S. QUÈRÉ, La criminalità organizzata, Presses Universitaires de France, Parigi;


Sitografia


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