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Lo sviluppo dell’industria militare turca e la dottrina Erdogan: il caso dei droni

Aggiornamento: 25 nov 2021

1. Introduzione


Il nuovo ruolo di Ankara come attore affermato nella produzione, vendita e utilizzo dei c.d. droni aerei (UAV- Unmanned/Uninhabited Aerial Vehicle) è frutto da una parte da contingenze di sicurezza interne (lotta al separatismo/terrorismo PKK), dall’altra degli sviluppi regionali che hanno portato le élite politiche turche a una dottrina di difesa non tanto nuova[1] quanto aggiornata a livello tattico e operativo in funzione del nuovo contesto e minacce alla sua sicurezza. Il tutto alimentato dalla necessità di maggiore autonomia a livello di industria e produzione militare, necessità palesatasi in più occasioni nella storia recente e il cui rimedio è stato assunto come obiettivo di ordine primario dalle élite turche, Recep Tayyip Erdoğan in primis. Laddove, infatti, sino ai primi anni Duemila Ankara era completamente dipendente dagli UAVs di fabbricazione israeliana nella sua lotta al separatismo e terrorismo di matrice curda, in poco più di un decennio la Turchia è andata affermandosi come paese esportatore di UAVs di pregiata qualità; tali da ottenere ottimi risultati nei confronti dei sistemi di difesa russi in Siria, Libia e Nagorno-Karabakh e risultando in alcuni casi dei veri e propri game-changer (Libia). L’industria nazionale ha dotato le Forze Armate Turche (TAF) di oltre 140 Unmanned Combat Aerial Vehicles (UCAVs), più di quanti ne abbiano Israele e il Regno Unito.


Come e perché la “Yeni Turkiye” (nuova Turchia) di Erdoğan ha deciso di optare verso lo sviluppo di sistemi aerei a pilotaggio remoto in maniera così determinata e determinante?


2. Il Piano internazionale e Regionale: La fine della Guerra Fredda e la lotta al PKK


Con la fine della Guerra Fredda, la venuta meno di quella che fu il principale motivo dell’ingresso di Ankara nel Patto Atlantico, così come la formazione stessa di questo - ovvero la minaccia sovietica - provocò nelle élite turche del tempo iniziali interrogativi e preoccupazioni sul ruolo e rilevanza del Paese nel contesto e strategia NATO. Tale fu una delle motivazioni che spinsero l’allora Presidente Turgut Özal a ricercare con ostinazione un ruolo proattivo di Ankara nella coalizione a guida americana per la liberazione del Kuwait. La partecipazione turca - con la messa a disposizione delle proprie basi e spazio aereo – sottolineò la perdurante importanza del Paese nel mantenimento della sicurezza e stabilità regionale. Tuttavia, gli sviluppi post-bellici della Guerra del Golfo del 1990-’91, con la venuta meno dell’autorità centrale irachena sulla regione settentrionale (curda) - divenuta presto santuario operativo del gruppo curdo-turco PKK - ebbero un profondo impatto sulla percezione di sicurezza del Paese[2]. A ciò si combinava poi la perdurante ostilità nei rapporti turco-siriani, con il regime di Damasco che forniva il suo supporto ai separatisti del PKK.


Alla luce di tale contesto, Ankara iniziò a spostare crescentemente la propria attenzione dai suoi confini settentrionali (ex-Urss) verso quelli sud-orientali[3]. Da una parte, in meno di un decennio incrementò la propria presenza di truppe di terra dal fronte nord a quello sud-orientale; dall’altra iniziò un notevole sforzo per il miglioramento qualitativo del personale e dell’equipaggiamento militare, in linea con le nuove esigenze. Le Forze Armate Turche (TAF) a metà degli anni Novanta decisero di riorganizzare la propria struttura e composizione e fornirsi di un adeguato equipaggiamento con maggiore mobilità e forza di fuoco (elicotteri d’attacco, artiglieria leggera, personale carrista ed equipaggiamento hi-tech). È anche in quest’ottica che si inserisce l’accordo di cooperazione militare siglato con Israele del febbraio 1996: con questo, non solo Tel Aviv si prese carico dell’upgrade di 54 F-4 Phantom dell’Aviazione turca[4] e fornì equipaggiamento di electronic warfare, ma Ankara saldò un asse che le permise di incrementare la propria pressione sulla Siria con l’obiettivo - riuscito[5]- di porre fine al suo appoggio al PKK. Proprio gli sforzi intrapresi dalla metà degli anni Novanta nella lotta contro il PKK hanno rappresentato una grossa ‘opportunità’ operativa in un conflitto a bassa intensità che sarà poi una costante nel nuovo millennio.


3. Il Piano domestico: complesso militare, relazioni civili-militari e leadership


Come sottolineato da Yeşi̇ltaş, a partire dagli anni Novanta la TAF ha intrapreso una decisiva, seppur poco notata, deviazione dalla tradizionale cultura strategica ortodossa: è andato emergendo infatti un approccio effect-based fondato su una filosofia e struttura militare che personalizza le priorità di investimento e di approvvigionamento nel settore della difesa. Questo, a livello operativo, è connesso con un particolare concetto, quello delle Rapid Decisive Operations (RDOs), ovvero l’esecuzione in sequenza di costanti strikes su obiettivi multipli attraverso il coordinamento del potere aereo, navale, di terra e di spazio con il fine di avere un forte impatto sulla percezione del nemico e, quando necessario, occupare fisicamente il terreno[6]. Per riuscire ad effettuare ciò, la TAF ha fondato la propria dottrina e il proprio sviluppo dell’industria della difesa su tre principali pilastri: il miglioramento a) della capacità e prontezza militare (military readiness); b) delle capacità di primo attacco e azione e c) di quelle di deterrenza.

Immagine 0: Turkey Military Spending/Defense Budget 1990-2021[7]

3.1 Lo Sviluppo dell’industria militare


Come conseguenza dell’inasprimento delle frizioni tra le due nuove superpotenze e il cristallizzarsi del bipolarismo e della Guerra Fredda, la Turchia, così come molti altri paesi, sviluppò un profondo legame di dipendenza con l’alleato egemone statunitense in materia di sviluppo e forniture militari. Tra il 1946 e il 1952 gli Stati Uniti fornirono oltre un miliardo di dollari in equipaggiamento militare e addestramento[8]. Presto, con l’entrata del Paese nell’Alleanza (1952), le Forze Armate turche orientarono il proprio sviluppo e ammodernamento verso il raggiungimento degli standard NATO. In tal senso, i bisogni della TAF erano spesso determinati dagli stessi Stati Uniti, e i governi di Ankara non fecero alcunché per cambiare tale situazione di completa dipendenza. Un primo allarme si ebbe con la crisi cipriota del 1964, quando l’allora Presidente Johnson, con una fin troppo dura (ma efficace) lettera al Primo Ministro turco Inönü, avvertì che gli Stati Uniti non avrebbero tollerato l’utilizzo da parte di Ankara delle forniture statunitensi per invadere l’isola, e che i suoi alleati NATO non avrebbero considerato invocabile l’art. V del Trattato qualora, in risposta di tale atto, l’Unione Sovietica avesse dichiarato guerra alla Turchia. La ulteriore conferma e realizzazione dei pericoli derivanti da una totale dipendenza in tale campo Ankara la ebbe un decennio più tardi, quando dopo aver lanciato la sua “operazione di pace” per fermare i massacri dei turco-ciprioti nell’Isola, occupandone il 40% del territorio, il Congresso statunitense impose un duro embargo sulle esportazioni di armi verso l’alleato turco. Le élite turche compresero la necessità di diversificare le fonti di acquisto per le proprie forniture militari così come quella di avviare una produzione locale[9].


3.1.1 La liberalizzazione nel settore della difesa e la nascita dell’SSM


Il primo passaggio chiave per la costruzione di un’industria nazionale della difesa è stato avviato a metà anni Ottanta all’interno del vasto programma di liberalizzazioni del governo Özal. Prima di allora, infatti, la cooperazione tra settore pubblico e privato era pressoché inesistente: gran parte delle industrie erano di proprietà statale e gestite dalle forze armate[10]. Nel 1985 il governo fondò la Defence Industry Development and Support Administration Office (DIDA; SAGEB in turco) per promuovere uno sviluppo dell’industria della difesa e di ammodernamento delle Forze Armate trasferendo tecnologia e capitali nel Paese. Poiché in breve tempo si verificarono rapidi cambiamenti tecnologici (anche) nel dominio militare (rivoluzione tecnologica con i sistemi computerizzati), la struttura del DIDA venne riformata e trasformata nel Undersecratariat for Defence Industries (SSM). L’SSM era subordinato al Ministero della Difesa, ma dotato di una personalità legale e budget separati (il budget del SSM, ad esempio, non passava attraverso lo scrutinio parlamentare e della Corte dei Conti). L’SSM aveva come obiettivo quello della costruzione di un apparato industriale nazionale che potesse affievolire la dipendenza della Turchia dall’esportazione di sistemi militari dall’estero: anche per questo, pur nell’ambito della liberalizzazione e apertura alle imprese esterne, la priorità nel reperimento delle forniture necessarie, qualora possibile, doveva esser data alle industrie della difesa del Paese. Essa è stata poi un elemento fondamentale nel trasferimento di tecnologie necessarie alla produzione locale, anche grazie alla creazione di Joint Ventures (JV) con paesi esteri: uno dei più importanti step in tal senso è stata nel 1984 la creazione della Turkish Aerospace Industries (TAI) - di cui i partner turchi conservavano il 51%, mentre la General Dynamics and General Electric il 49% - per il progetto degli F-16.


Grazie alla TAI, non solo la Turchia fu uno dei cinque paesi che producevano localmente tali aerei da combattimento (producendone tra il 1984 e il 2003 oltre 278 esemplari, 46 dei quali esportati in Egitto, mentre i restanti sono entrati in servizio dell’aeronautica turca), ma la nuova industria domestica ha potuto fare notevoli progressi durante gli anni Novanta con l’acquisizione di nuove tecnologie. Fino al 1990, tuttavia, SSM e il Ministero della Difesa optarono prevalentemente per il direct-procurement o “off-the-shelf purchase model” per armare ed equipaggiare la TAF. Sebbene gli sforzi compiuti tra gli anni Ottanta e Novanta permisero un incremento del livello di produzione domestica, questa era principalmente sotto licenza straniera e tramite cooperazione e JV. Proprio in questo periodo, visti gli sviluppi tecnologici globali, la Turchia avviò il proprio programma per l’acquisto dall’estero di sistemi UAV[11].


3.1.2 La capitalizzazione degli sforzi nel nuovo millennio


Tali passaggi e progressi nel settore resero possibile un rapido sviluppo della propria capacità tecniche e capitale umano che aprì la strada alla fase successiva degli anni Duemila in cui la Turchia iniziò a passare allo sviluppo di design, ingegneria e sistemi integrati di origine nazionale[12]. È infatti proprio sotto la guida del partito islamico-conservatore che si verifica una profonda spinta in tal senso. Il 2004 in particolare rappresenta un punto di svolta per l’industria della difesa turca: molte delle licenze di quei programmi di approvvigionamento off-the-shelf vennero cancellati e si dette impulso a progetti di iniziativa domestica. Le imprese nazionali nel settore della difesa ricevettero un crescente numero di contratti e, sotto la supervisione del SSM, le corporazioni turche nel settore della difesa quali ASELSAN, TAI e ROKETSAN divennero i centri motore di questo sviluppo, caratterizzato da una “espansione orizzontale” in termini di numero e scopo dei progetti[13]. Molti dei progetti di alto profilo attuali, quali la corvetta MilGem, il carro armato Altay, l’elicottero d’attacco T-129 e i droni tipo ANKA sono prodotti di questo periodo. Come riportato dal Turkish Defence Industry Product Catalogue (p.6) “Negli anni 2010s furono enfatizzati i progetti di design nazionale sotto responsabilità dei principali partner domestici per assicurare che le tecnologie critiche e le capacità di progettazione fossero il più possibile acquisite e a disposizione nel mercato interno”. Durante questa decade ha anche avuto inizio una spinta alle esportazioni.


3.2 L’Industria turca dei droni


Sotto la leadership della Presidenza delle Industrie della Difesa (SSB)[14] lo sviluppo e le attività di produzione domestica di veicoli a pilotaggio remoto, iniziate negli anni Novanta[15], hanno conosciuto una rilevante crescita a partire dal 2004. Un punto di svolta arrivò proprio quell’anno con la realizzazione dell’ANKA Multi-Role ISR (Intelligence, Surveilllance and Reconnaissance) System Project da parte della TAI e il cui primo volo operativo si registrò nel dicembre 2010. Il progetto ANKA è nato con lo scopo di produrre a livello domestico un sistema UAV per il riconoscimento, sorveglianza, target, ricognizione e rilevamento che rispecchiasse le esigenze delle Forze Armate Turche e include lo sviluppo di molteplici prototipi[16].

Immagine 1 - ANKA[17]

Per un Paese che a lungo è stato ampiamente dipendente sulla tecnologia estera per la propria industria e forze armate, creare soluzioni alternative nazionali risulta di vitale importanza. Un forte interesse turco nell’acquisizione delle capacità nazionali di sviluppare UCAV (droni armati) emerse non a caso a partire dal 2008, quando cercò di acquistare dagli Stati Uniti l’MQ-1 Predator ma gli venne offerta invece la versione non armata dello stesso. Come conseguenza, Ankara rifiutò l’offerta di Washington per acquistare nel 2010 il drone (comunque non armato) israeliano Heron TPs, ma optando da allora per un ambizioso approccio dedito alla produzione interna di UAVs armati[18]. A differenza della classe ANKA (specialmente il primo prototipo) che, in ultima istanza, “boasted a foreign engine, a foreign automatic take-off and landing system, foreign landing gear, a foreign light data computer, foreign radio, foreign sensors, and a foreign targeting pod—even a foreign name (“Anka” is a Persian word)”[19], grandi passi in avanti sono stati compiuti dalla Joint Venture Kalekalip – Baykar Makina. Questa nel 2005 lanciò il programma Bayraktar mini-UAV systems, e il cui prodotto, interamente nazionale, entrò in servizio della TAF nel 2007. Lo stesso anno iniziò anche lo sviluppo del prototipo (armato) tattico Bayraktar TB2 il quale, con oltre 110mila ore di volo operativo, è in dotazione della TAF, della Gendarmeria e della Polizia Nazionale Turca dal 2014, mentre dal 2020 dieci mezzi sono in servizio del Turkish Naval Forces Command. Nel 2019 ha avuto luogo invece il primo volo del UAV Bayraktar Akinci che, nel luglio 2021, con 874 voli di prova alle spalle ha dimostrato le proprie capacità di combattimento riuscendo a colpire con precisione i bersagli assegnati. Con la sua apertura alare di oltre 20 metri è il più grande drone in produzione in Turchia e, secondo il Presidente Erdoğan, con la sua produzione, “la Turchia è entrata tra i migliori tre paesi al mondo nella produzione di tali tecnologie”. Una terza azienda turca nel settore che ha contribuito allo sviluppo dell’industria nazionale dei droni è stata la Vestel Defence Industry: nel 2005 ha iniziato lo sviluppo del sistema prototipo Efe Mini UAV, mentre nel 2007 ha avuto più successo la produzione del Karayel Tactical UAV che, a partire dal 2015, ha operato più di 10mila ore di volo; la sua variante armata (Karayel-SU) è invece in fase di test dal 2018, trovando l’interesse di Riyad per la sua acquisizione (immagine 6).


Immagini 2 e 3[20]


3.2.1 I droni come “game-changer” e la ricerca di un’autonomia nazionale nel settore


E’ chiaro che la Turchia concepisce queste nuove tecnologie come “game-changer weapons” e ha fatto della loro produzione e sviluppo locale un elemento di forte orgoglio nazionale con la convinzione che possano elevare lo status regionale e internazionale del Paese. Poiché in più occasioni i suoi alleati le hanno negato l’acquisto o condizionato l’utilizzo di tali sistemi d’arma, Ankara ha optato per la produzione a livello locale con un duplice obiettivo: mandare un segnale politico, riducendo la dipendenza dalla produzione estera e, al contempo, cercare di porsi tra i paesi capofila di quella che è ritenuta una vera e propria rivoluzione militare (non tanto) futura[21]. A fianco dei sistemi UAV menzionati, aziende nazionali come la STM (Savunma Teknolojileri Mühendislik ve Ticaret) hanno iniziato nel 2017 una produzione di massa dei primi sistemi di loitering munitions (droni kamikaze) con capacità di navigazione, sorveglianza e riconoscimento autonomo - quali KARGU Autonomous Tactical Multi-Rotor UAV, ALPAGU Autonomus Tactical Fixed-Wing UAV e TOGAN Autonomous Multirotor UAV[22]. In termini di autonomia nelle capacità di robotic warfare future questi droni costituiscono un importante sviluppo.




Immagini 4-5-6[23]

L’utilizzo operativo dei sistemi armati a pilotaggio autonomo o remoto è divenuto crescentemente il mezzo privilegiato da parte della TAF: il loro impiego comporta un minor rischio di escalation e, dall’altra parte, riduce considerevolmente quello di perdite di vite umane e costosi mezzi rispetto all’impiego dei convenzionali cacciabombardieri o elicotteri d’attacco. Specialmente in seguito al proliferare nella regione, da parte delle forze armate ma anche di attori non statali, di sistemi di difesa antiaerea portatili come i MANPADS o l’artiglieria antiaerea mobile[24]. Negli ultimi anni tale utilizzo estensivo ha contribuito da una parte all’efficacia delle operazioni cross-borders (Siria e Iraq) e all’ampliamento della zona di influenza (Libia e Nagorno-Karabakh) dettate dalla politica assertiva della Presidenza Erdoğan; dall’altra, proprio tale efficacia, ha elevato l’immagine e lo status della Turchia a potenza regionale e avanguardia nello sviluppo di tali sistemi d’arma. L’impiego estensivo e l’impatto che questi hanno avuto laddove utilizzati ha fatto sì che non solo ad oggi la Turchia non sia più (completamente) dipendente dai mercati esteri per l’approvvigionamento, ma ne è divenuta Paese esportatore.


4. “Dottrina Erdoğan” e l’apporto dei droni sul piano tattico


Gli sconvolgimenti del contesto esterno e interno al Paese accorsi tra il 2002 e il 2015 hanno determinato l’emergere di quella che è stata definita “Dottrina Erdoğan”[25]: una politica estera assertiva in cui l’elemento di hard-power è tornato preponderante sugli strumenti di soft-power, dominata da una dottrina che prevede l’utilizzo di azioni militari preventive e unilaterali nel far fronte a potenziali minacce alla stabilità e sicurezza del Paese, ma anche per avanzare gli interessi nazionali e la proiezione di potenza turca. I sistemi a pilotaggio remoto, e più in generale la rivoluzione portata dalla robotic warfare, costituiscono uno degli asset attraverso cui la “Nuova Turchia” aspira a raggiungere e porsi alla pari con le altre grandi potenze. Mentre infatti Ankara non è mai stata, e non è, in alcun modo capofila nella produzione domestica di aerei da combattimento o mezzi pesanti di terra (il suo primo carrarmato, l‘Altay, è entrato in produzione solo il decennio scorso), ad oggi è, come visto, tra i maggiori produttori e utilizzatori di droni da combattimento tattici (e non) e delle munizioni dotate di intelligenza artificiale a essi collegati[26].


4.1 L’impiego in contesti di guerra


Se la Turchia e la sua capacità produttiva dei droni hanno suscitato le attenzioni e l’interesse di un numero crescente di Paesi, consentendo ad Ankara di affermarsi anche come paese esportatore di tali sistemi, è anche e soprattutto per l’efficiente uso che questi hanno avuto laddove impiegati. L’apporto degli UAVs di fabbricazione turca durante le operazioni condotte in Siria e Iraq, chiari esempi di operazioni volute e condotte nel solco della menzionata dottrina Erdoğan, ha acceso i riflettori sull’avanzamento dell’industria turca e delle capacità delle sue forze armate e di intelligence di effettuarne un impiego operativo efficace. A partire dalla loro entrata operativa nelle forze armate nel 2015, i droni Bayraktar TB2 sono stati impiegati nelle sempre più frequenti operazioni cross-borders volute dal leader turco: già durante l’Operazione Scudo d’Eufrate (2016) sono stati usati per rilevare la posizione di 5 target di DAESH nel Nord della Siria. Durante quel periodo, proprio l’insufficiente supporto della coalizione globale anti-ISIS aumentò l’importanza degli UCAVs e di un’integrazione delle operazioni di aria e di terra[27]. Con le successive operazioni sempre sul confine turco-siriano Ankara ha avuto modo di migliorare le proprie capacità operative in tal senso: un più massiccio impiego nell’utilizzo dei droni si è verificato invece durante l’Operazione Ramoscello d’Ulivo (2018) in cui, secondo quanto riportato dall’Agenzia Anadolu, hanno eliminato 1129 “terroristi”, di cui 449 direttamente e 680 tramite il riconoscimento dei bersagli, con un totale di 382 sortite e 4916 ore di volo. Il pesante uso del kinetic air power nelle prime 72 ore dell’operazione ha potuto proteggere l’avanzata delle unità di terra e migliorare il rilevamento dei bersagli[28]. Fu tuttavia agli inizi del 2020 che lo sviluppo tecnologico bellico turco attirò le attenzioni del mondo: con l’Operazione Scudo di Primavera (2020), lanciata in seguito a un attacco aereo da parte del regime siriano a un convoglio turco nella regione di Idlib in cui rimasero uccisi 33 militari, la Turchia dimostrò ulteriormente l’efficacia e la potenza tattico-operativa dei propri droni Bayraktar TB2 e ANKA-S insieme a un ampio spettro di sistemi e piattaforme di electronic warfare, mettendo in risalto le capacità acquisite nella conduzione di una impressionante operazione congiunta terra-aria[29]. Proprio con tale massiccio impiego dei droni ha portato a una trasformazione delle norme e delle pratiche militari convenzionali, permettendo alla TAF di sviluppare le capacità necessarie in vista del probabile futuro ambiente di warfare regionale[30].


4.2 Esportazioni come mezzo di proiezione di potenza


Ben presto il governo turco ha compreso di poter sfruttare le proprie capacità industriali nel settore dei droni come ulteriore mezzo di proiezione di potenza all’estero: tramite l’utilizzo di tali sistemi in contesti ulteriori a quelli transfrontalieri, come in Libia e Nagorno-Karabakh, da una parte, e facendo dell’export di questi il volano economico per il rafforzamento dell’industria della difesa dall’altra. Entrambe le mosse hanno avuto e hanno come obiettivo l’espansione della propria area di influenza e il raggiungimento di uno status di first-tier power nella regione. I due aspetti sono ulteriormente collegati in quanto l’impiego efficace di tali sistemi in reali contesti di guerra ha aumentato la visibilità e l’affidabilità percepita dall’esterno verso questi, generando ulteriore interesse e garantendo lucrativi accordi di vendita (foto 7).

Immagine 7[31]

Dal 2015 si è registrato un crescendo di vendite con un sempre più ampio numero di Paesi: oltre al collaudato asse strategico con il Qatar, che ha acquistato i droni Bayraktar TB2 e sembra voler investire ulteriormente nel nuovo drone Akinci, la Turchia in pochi anni ha ampliato il proprio portfolio di acquisitori andando a fornire Arabia Saudita, Libia, Azerbaijan e Tunisia; ma anche paesi del continente europeo come l’Ucraina[32] e - primo paese NATO ad acquistare tali sistemi dalla Turchia - la Polonia.[33]


La produzione dei sistemi UAVs contribuisce quindi al più ampio e ambizioso obiettivo di Ankara di rendersi completamente autonoma nel settore industriale della difesa entro il 2023 (centenario della Repubblica), così come la loro vendita all’estero si inserisce nel crescente trend di esportazioni di armi: secondo il SIPRI[34] tra il 2009-2013 e il 2013-2018 le esportazioni turche di materiale bellico sono aumentate del 170%.


4.3 Il rafforzamento della propria immagine nella dimensione interna


Sul piano domestico, invece, per una popolazione ampiamente abituata alle grandi operazioni cross-borders o interne contro i militanti del PKK, l’utilizzo attuale dei droni aerei piuttosto che dei tradizionali mezzi non genera particolare preoccupazione e attenzione; contribuendo piuttosto ad accendere ulteriormente l’orgoglio nazionale nel riconoscere lo status di leader della propria industria nazionale nel settore[35]. Come sottolineato da Donelli, sembra che il governo stia operando con il fine di suscitare e generare supporto elettorale da parte dell’opinione pubblica attraverso una retorica che promuove la dottrina preventiva e le operazioni oltre confine come il solo metodo di far fronte alle supposte minacce[36]. I media turchi non perdono occasione di esaltare le capacità combattive sviluppate negli ultimi anni ed esaltare la centralità turca nel settore, rafforzando così la percezione di una Turchia sempre più autonoma e potenzialmente in grado di perseguire i propri interessi senza dover sottostare alle condizioni e i vincoli dettati dai tradizionali partner alleati. Questa è una delle caratteristiche centrali - a detta Grauvogel e Von Soest –della strategia di legittimazione dei regimi autoritari competitivi, i quali costruiscono e perpetrano la propria legittimazione su “ideologia, miti fondativi, personalizzazione, imprese/coinvolgimento all’estero e performance”[37]. Difatti, l’autoritarismo competitivo turco è stato costruito sul culto del leader, un profondo discorso etno-religioso, e una vittimizzazione e connessa promessa di revanscismo a livello nazionale e internazionale[38]. Come detto e visto precedentemente, la produzione utilizzo e vendita dei sistemi UAVs è divenuta parte integrante di questa strategia.


5. Conclusioni


La politica estera, di difesa e sicurezza turca ha subito, in più fasi e a velocità differenti, progressivi mutamenti nel corso del XXI secolo. Per comprendere le cause di tali cambiamenti è indispensabile elaborare una multilevel-analysische prenda in considerazione le dinamiche evolutive avvenute nel corso degli ultimi decenni tanto sul piano regionale e internazionale, quanto su quello interno al Paese. Come cercato di illustrare, l’affermazione della Turchia come first-ranking drone-power è avvenuta attraverso un mix di scelte adottate in risposta a stimoli esogeni, endogeni al Paese e di visioni strategiche proprie della leadership. Il caso dello sviluppo dell’industria dei droni turca è emblematico del costante flusso di azione e reazione che interseca i vari piani di uno Stato – internazionale, domestico e di leadership - tipico del decision/policy-making. Acquisiti i primi droni a fine anni Ottanta dall’estero per necessità di sicurezza contingenti (operazioni di intelligence e sorveglianza nei confronti del gruppo PKK), sono arrivati con il tempo a rappresentare, su forte spinta del partito AKP e dello stesso Erdoğan, il nuovo protagonismo della Turchia nel panorama internazionale. Due sono stati i principali fattori propulsivi verso la decisa svolta per un’industria domestica: le lessons-learned del passato, specialmente in termini di dipendenza in tale settore da attori esterni, e la convinzione della sua leadership che quella della robotic warfare e dei sistemi autonomi sia una vera e proprio rivoluzione che porterà a un cambiamento di paradigma tale da mutare i parametri determinanti lo scontro di potenza a livello globale. Questi due elementi, alla luce degli sconvolgimenti nel panorama regionale (post- “primavere arabe”) e interno (post-fallito golpe), sono confluiti e materializzati in una dottrina strategica la cui implementazione ha permesso di mostrare agli altri Paesi i progressi compiuti, suscitare in loro un forte interesse, ed elevare così lo status (percepito e reale) di potenza della Turchia, rendendola al contempo 14° Paese esportatore di armi a livello globale[39].


A fronte degli effettivi e indiscutibili successi e progressi compiuti da Ankara, è opportuno tuttavia sottolineare la necessità di scindere la retorica e gli oltremodo ambiziosi obiettivi posti dalla leadership turca, il tutto rilanciato e enfatizzato attentamente sottoforma di propaganda dai media turchi (con uno sguardo alle constituencies interne, come detto in precedenza), dalla reale autonomia nelle capacità produttive, sia in termini di supply-chain e know how raggiunto, sia a livello di solidità economico-finanziaria del Paese. Come afferma Bedil[40] “A cash-strapped economy and potential technological glitches may block the further progress of Turkey’s remarkable drone industry”.


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Alberto Mariotti (MENA)_Lo sviluppo dell’industria militare turca e la dottrina Erdogan il
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Note

[1] Come sostiene convincentemente M. Mufti, nella storia del Paese si sono costantemente ‘scontrate’ due visioni: una, quella aderente al paradigma repubblicano-kemalista, ufficializzata nella stessa costituzione ed egemone per gran parte del secolo scorso; l’altra, quella rifacentesi al paradigma imperiale, che in più occasioni ha provato a riemergere e riaffermarsi (con Demirel e Özal, e più di recente con Erdoğan). M. Mufti (2009), Daring and Caution in Turkish Strategic Culture, Palgrave Macmillan, London, 2009. [2] Senza contare il massiccio afflusso di centinaia di migliaia di rifugiati curdo-iracheni, ma non solo, che iniziarono a cercare riparo in Turchia. La risposta turca a questi forti flussi migratori non aiutò l’immagine del Paese nei confronti degli alleati europei. [3] Il 30 luglio 1992 il Chief of Staff Dogan Güres presentò al Consiglio di Sicurezza Nazionale turco la prima grande riformulazione, dopo 20 anni, in quello che la stampa chiamò ‘Turkish National Security Policy Document’ (Türk Milli Güvenlik Siyaset Belgesi), un documento che definiva le priorità strategiche del Paese. Questo delineava un importante spostamento di enfasi dalle minacce provenienti da Russia e Grecia a quelle emanate da Siria, Iraq e Iran; particolarmente nella loro forma di supporto al radicalismo islamico e al separatismo curdo. M. Mufti (2009), op.cit. p. 88 [4] E. Kogan (2005), “Cooperation in the Israeli-Turkish Defence Industry”, Conflict Studies Research Centre, p. 3-4 [5] Le pressioni sulla Siria determinarono effettivamente un’inversione per il regime di Damasco, che smise di appoggiare i separatisti curdi e ospitare il loro leader Öcalan. Öcalan verrà arrestato all’aeroporto di Fiumicino ed estradato in Turchia due anni dopo. [6] M. Yeşi̇ltaş (2020), “Deciphering Turkey’s Assertive Military and Defense Strategy: Objectives, Pillars, and Implications”, Insight Turkey, Vol. 22, n°3, p. 100 [7] https://www.macrotrends.net/countries/TUR/turkey/military-spending-defense-budget [8] K. Helm, “Turkey and Her Defense Problems”, International Affairs, Vol. 30, No. 4, October, 1954, p. 437. Tra il 1950 e il 1991 gli aiuti militari statunitensi alla Turchia ammontarono a 9.4 miliardi di dollari, di cui 6.1 in sovvenzioni and $3.3 su base agevolata. A. Güney (2005), “An Anatomy of the Transformation of the US-Turkish Alliance: From “Cold- War” to “War on Iraq”, Turkish Studies, Vol. 6, No. 3, p. 357 [9]M. Oğuz (2009),“Turkey’s Defense Policy Making Process and its Effects on Weapons Procurement”, Ms’ Thesis submitted to the graduate school of social sciences of Middle East Technical University, p.53 [10] A. L. Karaosmanoğlu; M. Ki̇baroğlu (2003), “Defense Reform in Turkey”, op. cit., p. 158 Nel 1987 erano già 50 le imprese private che avevano annunciato di entrare nel settore della difesa. Ö. Karasapan (1987) “Turkey’s Armament Industries”, Middle East Report, n° 114, p. 28. [11]Il primo target drone system a entrare in servizio nella TAF (1989) fu il Meggitt BTT-3 Banshee prodotto dalla britannica Target Technology Ldt. Nel 1994 furono operati alcuni voli con i Canadair CL-89 surveillance drone systems, donato dalla Germania, che tuttavia venne rimosso dall’inventario in seguito a difficoltà logistiche e diversi incidenti. Fu solo l‘anno successivo, con l‘acquisto degli Gnatt 750 and I Gnat UAVs costruiti dalla General Atomics che tali sistemi entrarono in servizio dell’Esercito e operarono missioni di supporto e di sorveglianza tattica fino al 2005; S. Düz (2020), “The Ascension of Turkey as a Drone Power: History, Strategy, and Geopolitical Implications,” SETA Analysis, No. 65 (July 2020) [12] M. Oğuz (2009), “Turkey’s Defense Policy Making Process...”, op. cit., p. 56 [13] A. Mevlutoğlu (2021), ”An assessment of the Turkish Defence Industry”, Osservatorio Turchia, CeSPI, Brief n. 27/Febbraio 2021. [14] Nel luglio 2018, contestualmente al referendum costituzionale che ha dato il via libera alla trasformazione da Repubblica parlamentare a Presidenziale, l’SSM è stato riformato e affiliato alla Presidenza della Repubblica con il nome di Presidency of Defence Industries (SSB). [15] Un’ampia infrastruttura industriale iniziò a emergere con progetti quali il primo UAV UAV-X1 (1990), il primo the target aircrafts Turna-Keklik (1995), entrambi prodotti localmente, e i UAV Technology and Product Development Projects Pelikan-Baykuş (2003) e the Digital Visualization Project Martı (2004).; S. Düz (2020), “The Ascension of Turkey as a Drone Power...”, op.cit., p.11 [16] prototipi/configurazioni sviluppati con il tempo sono l‘ANKA A/B e l‘ANKA-S, entrambi in dotazione alla Gendarmerie e alla TAF; mentre l’ANKA-I è utilizzato dalla National Intelligence Organization https://www.dailysabah.com/business/defense/turkish-military-receives-new-anka-s-uav-configuration A seguito del completamento con successo dei test, nel 2018 la TAI cha consegnato due ANKA-S all’aeronautica turca (TURAF); mentre l’anno successivo tre furono assegnati al Turkish Naval Force Command. Ulteriori tre ANKA-S sono stati consegnati nel 2019 alla polizia turca (Gendarmerie General Command) andandosi ad aggiungere ai due sistemi Block B e Block A in servizio dal 2017. [17] https://www.ssb.gov.tr/urunkatalog/en/6/ p. 145 [18] A. Bassiri Tabrizi; J. Bronk (2018), ”Armed Drones in the Middle East Proliferation and Norms in the Region”, RUSI- Occasional Paper, December 2019, p. 32 [19] B. Bedil (2021), ”The Rise and Rise of Turkish Drone Technology”, BESA Center Perspective, n°1, vol. 992, April 2021, p. 1 [20] ttps://www.ssb.gov.tr/urunkatalog/en/6/ pp. 146-7 [21] C. Kasapoğlu; B. Kırdemir (2018), ”The Rising Drone Power: Turkey On The Eve Of Its Military Breakthrough”, EDAM, June 2018 [22] S. Düz (2020), “The Ascension of Turkey as a Drone Power...”, op.cit., p.16 [23] https://www.ssb.gov.tr/urunkatalog/en/6/ pp. 143; 151; 153 [24] A. Bassiri Tabrizi; J. Bronk (2018), ”Armed Drones in the Middle East: Proliferation and Norms in the Region”, RUSI Occasional Paper, December 2018, p.37 [25] Metin Gurcan, “Turkey's new 'Erdogan Doctrine'”, Al Monitor, November 4, 2016. URL: https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2016/11/turkey-wants-use-its-hard-power-solve-regional-problems.html A.A. (2020), “The Erdogan Doctrine: Turkey’s regional strategy”, Al Jazeera Centre for Studies, Policy Briefs, October 13 2020, URL: https://studies.aljazeera.net/en/policy-briefs/erdogan-doctrine-turkey%E2%80%99s-regional-strategy [26] C. Kasapoğlu, B. Kırdemir (2018), “The Rising Drone Power: Turkey ...”, op.cit., p.18 [27] M. Yeşi̇ltaş (2020), ”Deciphering Turkey’s Assertive...”, op. cit., 102 [28] M. Yeşi̇ltaş (2020), ”Deciphering Turkey’s Assertive...”, op. Cit., p.103 [29] ”In brief, it can be said that armed UAVs served as artillery forward observers, forward air controllers, and fighter aircraft”; S. Düz (2020), “The Ascension of Turkey as a Drone Power...”, op. cit, p.22 [30] Ivi, p. 20 [31] https://www.sipri.org/databases/armstransfers [32] Le forze armate ucraine hanno impiegato questo ottobre, per la prima volta, i droni di fabbricazione turca nella regione del Donbass. Ancora una volta il loro impiego ne ha messo in risalto l’efficacia; ma con ciò sono arrivate anche le “ire” di Mosca, che non ha esitato a incolpare Ankara di destabilizzare la regione con la vendita di tali droni al governo ucraino. [33] A questi, ancora più di recente, sembrano essersi aggiunti Etiopia e Marocco. Ma anche il governo britannico sembra aver mostrato interesse a riguardo [34] Pieter D. Wezeman et al., “Trends in International Arms Transfers, 2018”, in SIPRI Fact Sheets, March 2019, https://www. sipri.org/node/4766. [35] A. Bassiri Tabrizi; J. Bronk (2018), ”Armed Drones in the Middle East...”, op.cit., p.37 [36] F. Donelli (2020), “Explaining the Role of Intervening Variables...”, op.cit., p. 245 [37] J.Grauvogel; C. Von Soest (2014), “Claims to legitimacy count: Why sanctions fail to instigate democratisation in authoritarian regimes”, European Journal of Political Research, Vol. 53, n. 2, p. 638. [38] C. Günay (2016) “Foreign Policy as a Source of Legitimation for "Competitive Authoritarian Regimes: The Case of Turkey's AKP”, Georgetown Journal of International Affairs, Vol. 17, No. 2, p. 43 [39] Turkey’s share of arms imports from 2015 to 2019 decreased by 48 percent compared to the preceding five-year period. [40] B. Bedil (2021), ”The Rise and Rise of Turkish Drone Technology”, op. cit., p. 4


Bibliografia/Sitografia

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Sitografia

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