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Schiave di un dio: la Trokosi in Ghana

Aggiornamento: 9 set 2021

Julie stava pagando per un furto commesso dal suo bisnonno. Lei è la quarta figlia vergine consecutiva inviata dalla sua famiglia per espiare quel crimine. "Da quando ho compiuto sette anni, il prete ha cercato di avere rapporti sessuali con me, ma sono riuscita a farlo desistere fino ai miei dodici anni. Allora ho ceduto perché se non lo avessi assecondato avrebbe continuato a picchiarmi”. Ora Julie ha 23 anni, è scappata di recente. . . ma la cicatrice di due pollici sulla sua guancia la contraddistingue ancora come una Trokosi. "Le persone lo notano e, sanno cosa significa. Posso dire con certezza che mi guardano spaventati o inorriditi." [1]

Testimonianza di un ex-Trokosi


1. Quel Ghana all’avanguardia…ancora culla di tradizioni ancestrali

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Il Ghana è oggi ampiamente visto come un modello di riforma politica ed economica in Africa e lodato per il suo rapido sviluppo.


Ma lontano dalla vivace Accra, la capitale, avvicinandosi ai remoti villaggi di campagna, prevalgono alcune tradizioni ancora radicate nel tessuto ghanese. La pratica Trokosi (in dialetto Ewe "sposa/schiava", Kosi, del "dio”, Tro,) prevede che le ragazze vergini vengano inviate ai santuari degli dei per pagare i crimini commessi da uno dei loro parenti maschi. Le prescelte diventano sacrifici viventi, proteggendo le loro famiglie dall'ira delle divinità. Alcune rimangono nei santuari per anni (e quando ne escono subiranno lo stigma della Trokosi); altre per la vita.


Tale fenomeno è una pratica religiosa e culturale concentrata principalmente nella Regione Volta del Ghana, nelle zone più rurali e meno accessibili, tra i gruppi etnici Ewe e Ada. I sacerdoti rimangono tra le figure più venerate, temute e potenti in molte comunità rurali. Infatti, la Trokosi è la convinzione che tutto accade per una causa, e solo la religione ed i suoi ministri possano offrire la salvezza.


La pratica della Trokosi inizialmente è nata come un sistema per cercare la verità e la conoscenza, ma oggi serve principalmente come dispositivo per punire i trasgressori. I ghanesi credono che la pratica derivi da una filosofia che vede la giustizia e la punizione come collettiva; per questo l’idea che un individuo, senza alcun legame con un crimine commesso, decida di sacrificare sé stesso per risparmiare gli altri, non risulta strana. Allo stesso modo, quando l'offesa di una persona rimane impunita, la vendetta può essere inflitta all'intera comunità. Giovani ragazze vengono offerte in un santuario dopo un periodo di sfortuna, una malattia grave, una serie di morti in un clan e per prevenire eventi simili in futuro. Il ghanese vede la responsabilità ed i diritti come aspetti che devono essere condivisi collettivamente. [3]


2. Come tutto ebbe inizio

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Nonostante le prime Trokosi siano state trovate dalle organizzazioni internazionali all’inizio degli anni '90, i locali hanno sostenuto che questa tradizione esisteva nelle zone fluviali e costiere del Ghana già dal diciassettesimo secolo, quando si pensa che i popoli di lingua Ewe siano migrati per la prima volta nella Regione del Volta. Inizialmente le offerte date ai sacerdoti assumevano la forma di bestiame, denaro o liquori. In seguito, la pratica è cambiata dall'offerta di animali a quella di ragazze, si è diffusa infatti la convinzione che solo delle vergini potessero placare l’ira degli dei. La reale motivazione alla base della scelta era però di tipo economico: le famiglie si resero conto che le figlie erano più profittevoli di una mucca, per esempio, e i preti erano più compiaciuti nel ricevere delle ragazze rispetto al bestiame. Inizialmente le bambine venivano addirittura uccise come sacrificio per placare gli dei, ma col tempo divennero sempre più frequenti le testimonianze di ragazze usate come schiave principalmente per lavorare al santuario.


Una volta iniziata la loro vita al tempio, il prete è l'unico che può decidere quando le ragazze abbiano espiato il peccato, liberando le loro famiglie. La maggior parte dei sacerdoti tiene le ragazze dagli 8 ai 15 anni, ma talvolta molto di più. Persino la servitù protratta per tutta la vita della ragazza potrebbe non bastare a saldare il debito con gli dei. Inoltre, se la Trokosi dovesse morire prematuramente mentre si trova al santuario, la famiglia deve essere pronta ad offrire subito un’altra figlia vergine, altrimenti si abbatteranno nuovamente le calamità sulla famiglia del trasgressore, rimanendo per intere generazioni. Alcune donne intervistate nei santuari addirittura rappresentano un singolo crimine avvenuto cinque generazioni fa.

La maggior parte delle Trokosi è condannata ad una vita di lavori pesanti: cucinano e puliscono in casa per il sacerdote e lavorano nei campi, sostenendo ritmi e pesi non adatti alla loro costituzione. I preti non hanno invece alcun obbligo o responsabilità verso le bambine: alcuni di loro non forniscono neppure cibo o le cure mediche necessarie.

A differenza delle mogli ghanesi, le Trokosi non godono di alcun diritto né bene, e non possono andarsene quando vogliono, sono infatti considerate un oggetto di proprietà dei sacerdoti, quindi di notte sono schiave del sesso. Molte di loro non giocano, parlano o sorridono e il pensiero del suicidio non è raro. [4]

3. Un futuro difficile


Anche nel caso in cui la Trokosi venga liberata prima di morire nel santuario, il futuro non appare roseo. Lo stigma presente perdurerà: la famiglia di origine tenderà infatti a non voler riaccogliere la figlia, per ragioni economiche o sempre legate alla superstizione di poter far arrabbiare la divinità. Non avendo ricevuto istruzione o qualsiasi tipo di formazione, la Trokosi che vorrà reinserirsi in società non avrà possibilità di farlo.


Ogni Trokosi generalmente darà alla luce due o tre figli dalla relazione con i sacerdoti del santuario, ma non ricevendo alcuna istruzione non sono in grado di mantenere sé stesse o i propri figli quando vengono rilasciate. Quindi, anche se liberate, si ritrovano generalmente in cattive condizioni di salute, senza legami familiari, senza istruzione e senza alcuna speranza di sposarsi. Per questo molte di loro scelgono di rimanere nel santuario in quanto sarebbero tagliate fuori da qualsiasi mezzo di sopravvivenza. In alcuni santuari inoltre rimane l’antica tradizione di marchiare fisicamente le Trokosi, con grande imbarazzo di queste ultime nel caso fossero liberate negli anni. [6]


4. Diritti Violati

Come altrove in Africa, alcune pratiche tradizionali continuano a provocare una considerevole discriminazione contro donne e ragazze. Sebbene la costituzione del Ghana e gli emendamenti del 1998 al codice penale del 1960 vietino la discriminazione e la schiavitù, queste tradizioni dannose continuano in gran parte a causa delle convinzioni comunitarie profondamente radicate che è improbabile che vengano eliminate solo dai divieti legislativi.[7]


La pratica della Trokosi, infatti, costituisce una discriminazione di genere: solo le ragazze vengono inviate ai santuari per riscattare le loro famiglie per atti illeciti da altri membri della famiglia, quasi sempre maschi. Inoltre, la Trokosi viola l'articolo 16 della CEDAW, che dichiara il diritto della donna a scegliere un coniuge prestando la sua volontà al matrimonio, mentre in questo caso le ragazze sono appunto costrette a sposare i preti, oltretutto venendo obbligate a farlo in tenera età.


La combinazione della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna e la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sottolineano gli "interessi primari del bambino", facendo intendere come, nel caso di sovrapposizione o confronto con i più generici diritti della famiglia, i primi debbano prevalere. Pertanto, se la famiglia mette in pericolo la salute delle bambine, qualsiasi esigenza familiare che abbia portato a tale azione deve essere controbilanciata dai migliori interessi delle figlie, che in questo caso appunto non verrebbero rispettati.


Inoltre, l'integrazione di questi diritti consente una maggiore applicazione di questi ultimi anche tramite la possibilità di denunce e petizioni individuali, che sono state fatte negli ultimi anni da Trokosi ormai cresciute.


5. L’intervento della Commissione Ghanese per i Diritti Umani

La Commissione ghanese per i diritti umani e la giustizia amministrativa (CHRAJ) ha lavorato in modo proattivo per affrontare le pratiche tradizionali dannose contro donne e ragazze, soprattutto con un approccio di advocacy nel lavorare a stretto contatto con le autorità tradizionali che esercitano molto potere in questioni locali e con le ONG per cercare soluzioni.


La pratica di Trokosi ha sempre violato la Costituzione ghanese, ma fino a tempi recenti non esisteva nessuna sanzione penale per questa violazione. Per fare questo, la CHRAJ ha organizzato workshop e seminari per sacerdoti e autorità del villaggio per far capire loro la necessità di abolire questo sistema. I preti vedono la Trokosi come una pratica dagli sviluppi positivi pratici proprio perché previene gli altri dalla commissione di crimini. Temono che l’abolizione porti a distruggere l’ordine della religione. Quei pochi che cercano di proporre l’abolizione della pratica spesso rischiano la vita. Altri metodi educativi hanno incluso degli spettacoli teatrali nelle comunità, dibattiti scolastici e proposte di eventi di letteratura sui diritti umani e sull'abolizione del sistema Trokosi in lingue locali.


Sono state eseguite cerimonie o rituali di liberazione per perfezionare il rilascio delle Trokosi una volta che il prete acconsente a questo passaggio, rilasciando inoltre un certificato di emancipazione. [8]

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6. L’aiuto delle ONG


Nel 1998 International Needs Ghana ha condotto una campagna che ha portato al rilascio di oltre 2.800 donne e ragazze tenute come schiave nei santuari, una pratica nota come Trokosi. Nel 2003 sono state rilasciate oltre 3.500 ragazze e donne.


International Needs sostiene ancora la riabilitazione delle donne liberate da Trokosi e di molte altre giovani donne con corsi di formazione professionale e altro ancora. All'Adidome Vocational Training Center, le ragazze possono seguire corsi di formazione gratuiti per apprendere nuove competenze che le aiutino a guadagnarsi da vivere. Alle ragazze vengono inoltre insegnate questioni relative ai diritti umani, inclusa la violenza contro le donne e la salute riproduttiva. Vengono inoltre impartiti corsi di alfabetizzazione.


Nel 2018 BBC Africa ha collaborato con questa ONG per produrre un breve documentario sulla storia di Brigitte, una ex Trokosi che è stata rilasciata proprio grazie alla loro campagna.[10]


7. Conclusione

Del fenomeno delle Trokosi si parla poco. Le leggi sulla carta la proibiscono, ma sono ancora in molti a scegliere di non denunciare in un silenzio che pesa, ma che è legato a credenze ataviche. Per questo rimane di fondamentale importanza fare pressioni sul governo e sulle popolazioni interessate per far rispettare le leggi che rendono la pratica della Trokosi un crimine. Bisogna sensibilizzare le autorità locali. Alcune ONG come il VIS, presente in Ghana da molti anni, organizzano campagne di sensibilizzazione di diritti delle donne e la formazione di queste ultime per la produzione di prodotti locali, affinché possano avere un futuro lavorativo ed un’indipendenza economica. Se la pressione venisse esercitata con maggior frequenza anche da organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l'Unione Africana, l'ECOWAS, l'Unione Europea, ecc., la pratica dei Trokosi nell'Africa occidentale potrebbe rapidamente vedere la fine.


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Vittoria Trokosi_
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