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Cos’è l’RCEP, il nuovo centro gravitazionale del commercio in Asia

Aggiornamento: 9 mar 2022

di Francesco Di Paola

Fonte: Nikkei Asia Review

È ufficiale. Se qualcuno là fuori nutriva ancora qualche dubbio con lo scoccare della mezzanotte e l’inizio dell’anno nuovo l’Asia è ufficialmente diventata il nuovo centro gravitazionale del commercio mondiale. A dirlo non è il sottoscritto, ma un report pubblicato a metà dicembre dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (United Nations Conference on Trade and Development, UNCTAD).


Ma andiamo con ordine: il protagonista di questa storia è il Partenariato Economico Globale Regionale, meglio noto con il suo nome in inglese Regional Comprehensive Economic Partnership (o RCEP), un trattato di libero scambio (Free Trade Agreement o FTA) che comprende quindici delle maggiori economie dell’Indo-Pacifico. Membri dell’RCEP sono infatti Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda e le dieci nazioni che compongono l’Associazione delle Nazioni del Sud East Asiatico (ASEAN), ovvero Indonesia, Singapore, Brunei, Malesia, Filippine, Thailandia, Vietnam, Cambogia, Laos e Myanmar. Grande assente è l’India che inizialmente era stata coinvolta nei lavori, durati ben dieci anni, salvo poi ritirarsi all’ultimo momento nel 2019.


1. Show me the fuck**ng data baby


Guardando ai dati si può comprendere meglio la portata di questo accordo: il RCEP è stato firmato dai quindici membri il 15 novembre 2020 ed è ufficialmente entrato in vigore allo scoccare della mezzanotte del 1° gennaio 2022 con la ratifica di dieci dei suoi membri (Cina, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Thailandia, Cambogia, Singapore, Laos, Brunei, e Vietnam). L’ultimo Paese che ha ratificato l’accordo è stata la Corea del Sud, lo scorso 1° febbraio. Comprendendo al suo interno circa il 30% della popolazione nonché del Pil globale, è di fatto l’area di libero scambio più grande al mondo. Per dare un’idea più chiara basta confrontarla con altre aree di libero scambio quali il Mercosur (2,4%), l’area di libero scambio dell’Africa continentale (2,9%), l’Unione Europea (17,9%) e l’accordo di libero scambio fra Stati Uniti, Messico e Canada (28%).


L’RCEP inoltre prevede un abbattimento delle tariffe per oltre il 90% su una vastissima gamma di prodotti. Tra queste, alcune sono entrate automaticamente in vigore allo scoccare della mezzanotte del nuovo anno ma molte altre si prevede saranno implementate gradualmente nei prossimi vent’anni. In generale questo dato non deve sorprendere più di tanto; sebbene infatti molte tariffe verranno gradualmente portate allo zero, molti dei suoi membri potevano già usufruire di condizioni vantaggiose prima della firma del trattato. È il caso per esempio di Australia, Nuova Zelanda e dei dieci membri dell’ASEAN che fra di loro possono già vantare tariffe inferiori al 90%.

Il Primo Ministro vietnamita Nguyen Xuan Phuc (sinistra) e il Ministro dell'Industria e del Commercio Tran Tuan Anh (destra) alla firma del trattato ad Hanoi il 15 Novembre 2020

C’è inoltre un’ulteriore differenziazione in base ai vari settori. In generale è possibile notare maggiore protezione nel settore agroalimentare e automobilistico (quest’ultima fortemente voluta dal Giappone) mentre vi è una maggiore liberalizzazione per quanto riguarda le materie prime e la manifattura. Le stime dell’UNCTAD inoltre prevedono che nei prossimi anni il commercio intra-area aumenterà di circa $42 miliardi e, in particolar modo, spostando $25 miliardi da Paesi non-RCEP a Paesi membri dell’area di libero scambio.


2. Giappone, Cina e Corea del Sud: i veri vincitori del RCEP


Va però precisato che l’RCEP non impatterà tutti i suoi membri allo stesso modo, avendo l’accordo effetti abbastanza eterogenei. In generale però, appare abbastanza chiaro che il grande vincitore di questo accordo sia il Giappone, seguito a sua volta dalla Cina e dalla Corea del Sud. Secondo le stime, infatti, Tokyo vedrà un effetto positivo sul suo export del valore di circa $20,2 miliardi con un aumento dell’export complessivo di circa il 5,5 nei confronti degli altri 14 membri, seguito da Pechino con $11,2 miliardi e da Seul con $6,7 miliardi. In particolar modo il Giappone risulta essere ben posizionato per trarre vantaggio anche a discapito di altri membri dell’RCEP, come nel caso del Vietnam che vedrà una riduzione parziale del proprio export verso la Cina a beneficio del Giappone. Tokyo e Pechino, infatti, beneficeranno di una maggiore liberalizzazione. Nondimeno, Tokyo è riuscita anche a proteggere dalle liberalizzazioni molti dei suoi prodotti agroalimentari quali il riso, la cane suina e bovina e i prodotti caseari.

Fonte: Nikkei Asia Review

Inoltre, la stampa nipponica ha più volte sottolineato la rilevanza storica di questo accordo. L’RCEP è infatti la prima framework capace di abbattere barriere tariffarie con al suo interno le tre grandi economie dell’Asia nordorientale. Chi conosce un po' questa parte del mondo sa benissimo che le relazioni fra Tokyo, Seul e Pechino non sono mai state delle più rosee. Sia Corea del Sud che Cina, infatti, sono memori di un passato recente legato all’ultimo conflitto mondiale che ha visto crimini di guerra perpetrati dall’aggressore giapponese. La storia è una ferita ancora aperta in quest’area geografica come dimostrano le manifestazioni e i boicottaggi coreani in merito alla questione delle famigerate comfort woman, donne in maggioranza coreane costrette a offrire il proprio corpo ai soldati dell’imperatore durante gli anni della guerra e per il quale il governo giapponese non si è mai ufficialmente scusato.


Allo stesso tempo, sia Tokyo che Seul condividono preoccupazioni simili circa l’assertività della Cina nelle loro prossimità. Il governo giapponese ha visto aumentare in particolar modo le incursioni della marina cinese nelle acque adiacenti le isole Senkaku, note con il nome di Diaoyu in Cina e rivendicate dal governo di Pechino come proprie.


Se si considerano i precedenti, dunque, appare piuttosto evidente come l’accordo di per sé rappresenti un significativo passo in avanti verso quella che oggi appare una delle aree geopolitiche più tese al mondo. L’accordo inoltre sembra mettere d’accordo tutti. Yu Benlin, a capo della commissione per il commercio internazionale del Ministero dell’Economia cinese, ha sottolineato come l’accordo permetta alla Cina di “ridurre le tariffe in molte aree, tra cui macchinari, informazione elettronica, industria chimica e industria tessile. In particolar modo, il 57% dell’export cinese verso il Giappone arriverà automaticamente a zero tariffe con l’arrivo del nuovo anno.” Yu ha inoltre sottolineato come il nuovo accorgo fornirà una significativa spinta all’aumento degli investimenti cinesi verso altri membri della framework.


Altri Paesi interessati da benefici consistenti sono l’Australia e la Nuova Zelanda. È però importante ricordare che, sebbene non tutti i Paesi traggano gli stessi benefici, questo non significhi che essi siano esigui per i restanti membri.


3. India e Stati Uniti, i grandi esclusi


Si è già ricordato come il grande assente di questo accordo sia l’India. Nuova Delhi, infatti, ha deciso di tirarsi indietro a un anno dalla firma del trattato, preoccupata che l’effetto delle liberalizzazioni avrebbe danneggiato seriamente settori della sua economia. Paesi come il Giappone si sono affrettati a specificare che, qualora sopraggiungessero ripensamenti, le porte dell’RCEP sono sempre aperte per Nuova Delhi che per ora non sembra intenzionata a voler fare marcia indietro. L’India inoltre veniva ritenuta da molti un indispensabile contrappeso al fin troppo palese pericolo di eccessiva influenza cinese. Il rischio, infatti, che la Cina possa nel corso degli anni diventare notevolmente più influente a scapito degli altri membri sono infatti ben noti sin dagli precedenti la firma del trattato.


L’altro grande sconfitto sono gli Stati Uniti. Non tanto perché Washington fosse direttamente coinvolta o meno nelle negoziazioni che hanno portato alla firma del trattato, bensì perché l’RCEP rimane un accordo di libero scambio fra nazioni prevalentemente asiatiche o (considerando Australia e Nuova Zelanda) facenti parte dell’area dell’Indo-Pacifico. Ciò che deve preoccupare enormemente l’establishment americano è che, a distanza di ormai più di quattro anni dallo straccio della Trans Pacific Partnership (TPP) da parte dell’ex presidente Donald Trump, l’America non sia ancora riuscita a trovare una valida alternativa a quello che ancora rimane l’unica grande proposta di Washington per aumentare in maniera significativa la propria presenza economica nella regione.


Qualche settimana fa, l’ex diplomatico singaporiano Kishore Mahbubani faceva notare in un articolo su Foreign Policy come, sebbene la presenza militare statunitense sia assai evidente nella regione, questa fatichi ancora a rappresentare una reale presenza in ambiti economico, lasciando enormi margini di manovra al rivale cinese. La Cina ha infatti avuto gioco facile nello sfruttare l’assenza americana e l’RCEP è solo un tassello di quella che è la strategia di Pechino nella regione. Quando il TPP è naufragato per volere dell’amministrazione Trump è stato il Giappone a tenere vivo il progetto, ribattezzandolo per l’occasione Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (o CPTPP), un accordo commerciale che, oltre a molte delle economie asiatiche che compongono il RCEP, vede anche la presenza del Canada e varie nazioni dell’America Latina rappresentando circa l’11% del Pil mondiale. L’anno scorso la Cina ha manifestato per la prima volta l’interesse a unirsi a questo gruppo subito dopo l’annuncio del celeberrimo AUKUS.


Il contrasto in questo frangente appare ancor più forte. Da un lato si ha una Cina che mira ad aumentare la sua influenza economica tramite strumenti quali il commercio e gli investimenti, dall’altra un’America che si ostina a rispondere con manifestazioni di forza militare e che preferisce subappaltare l’utilizzo di altri mezzi ad alleati regionali, su tutti Giappone e Australia. Lo scorso novembre durante il suo tour asiatico il Segretario per il Commercio Gina Raimondo ha annunciato un nuovo progetto di cooperazione economica per la regione che dovrebbe riguardare aree come la green economy e la digitalizzazione. I dettagli di questa nuova iniziativa sono ad oggi molto pochi, ma è lecito pensare che l’iniziativa sarà aperta a molti membri dell’RCEP (Cina esclusa).


4. Conclusioni


Si sa, nuovo anno nuovo inizio. E per le undici economie che hanno ratificato l’RCEP è decisamente un nuovo inizio. Le stime dell’UNCTAD sono positive, anche se sottolineano come nonostante tutto l’Indo-Pacifico fosse già un’area particolarmente fiorente e in crescita con o senza l’RCEP. Il suo impatto sarà sicuramente positivo fra le economie degli Stati membri che potranno beneficiare di diversificazione e di basse tariffe. Anche per quei Paesi che invece sono stati esclusi dall’accordo il danno tutto sommato dovrebbe essere contenuto.


Per il futuro si parla già di potenziali nuovi membri pronti a unirsi ai quindici originari. Tra gli interessati è già spuntata la candidatura di Hong Kong. Lo scorso settembre, infatti, in occasione del Belt and Road Summit, Carrie Lam ha espresso il suo vivo interesse a prender parte all’iniziativa non appena questa sarà aperta a nuovi membri. Lo stesso mese, in occasione dell’ASEAN-Hong Kong meeting, l’Associazione delle Nazioni del Sud East Asiatico si dichiarata favorevole all’interesse espresso dalla leader del Porto Profumato e che i dieci dell’ASEAN sono pronti ad accoglierla. Hong Kong può già vantare importanti FTA con l’ASEAN, l’Australia, la Nuova Zelanda e ovviamente la Cina, non ne ha ancora firmato alcuno né con il Giappone né con la Corea del Sud. Qualora diventasse un membro dell’RCEP potrebbe finalmente beneficiare di basse tariffe e nuovi investimenti anche da questi due Paesi.


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Bibliografia/Sitografia

  • United Nations Conference on Trade and Development, A New Centre of Gravity: The Regional Comprehensive Economic Partnership and its trade effects, 15 December, 2021

  • Kentaro Iwamoto, RCEP kicks in as China seeks to lead regional economic integration, Nikkei Asia Review, 1 January, 2022

  • RCEP Juukakoku de Hakkou, Kyodai Keizaiken he Sekai GDP no yaku san wari, Nihon Keizai Shinbun, 1 January, 2022

  • Nihon Keizaiken, Nihon no Yushutsu 5% zou he RCEP Ichinichi Hakkou, Nihon Keizai Shinbun, 29 December 2021

  • RCEP Juukakokude asuhakkou boueki kakudaide Keizai moushiage kouka kitai, NHK, 31 December 2021

  • RCEP ga Hakkou GDPde Sekai no san wari Kyodai keizaiken Shidou, The Sankei News, 1 January 2022

  • Kishore Mahbubani, In Asia, China’s Long Game Beats America’s Short Game, Foreign Policy, 12 December 2021

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