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La protezione delle rotte cinesi nell’Oceano Indiano

Aggiornamento: 22 mag 2022

Fig.1: Adobe Image Stock

1. Introduzione


Con lo sviluppo della propria economia, la Cina ha mostrato un crescente interesse per il mare sia per ragioni politiche che economiche. In questo contesto, la marina militare cinese (People Liberation Army Navy - PLAN) è chiamata a svolgere un ruolo chiave.


Questa necessità si è manifestata attraverso sforzi del governo cinese volti alla trasformazione della flotta tradizionalmente legata a operazioni costiere in una marina orientata alle blue waters con ambizioni globali. Tra i nuovi obiettivi della PLAN spicca la tutela degli interessi economici cinesi nel mondo, e in particolare la protezione delle linee di comunicazione marittime (Sea Lines Of Communications - SLOC) vitali per il mercato delle esportazioni e per l'approvvigionamento energetico.


Il commercio marittimo, che rappresenta il 90% delle sue importazioni ed esportazioni e garantisce lo sviluppo economico, è diventato dunque una priorità. Inoltre, la crescita economica cinese dipende fortemente dalle risorse naturali importate, in particolare dal petrolio: “La Cina fa affidamento sulle importazioni di petrolio via mare per oltre il 40% del suo consumo di petrolio”, ed è probabile che questa dipendenza continui a crescere [1].


La sicurezza delle SLOC, che forniscono l'accesso all'Europa e al Medio Oriente (ME), è quindi diventata fondamentale per garantire lo sviluppo della Cina [2]; tuttavia il numero di choke points lungo le rotte commerciali ha reso Pechino molto preoccupata per la sicurezza del suo "flusso ininterrotto di energia, minerali e cibo" [3].


Inoltre, il numero crescente di investimenti cinesi e la relativa popolazione di "cinesi d'oltremare" ha incrementato la vulnerabilità della Cina [4] aumentando a sua volta la necessità di proteggere i propri interessi e i propri cittadini [5].


Numerosi analisti si sono concentrati sull’approccio della marina militare cinese al tema della sicurezza marittima, comprendendo le operazioni di contrasto alla pirateria, l’assistenza umanitaria, le operazioni di soccorso in caso di calamità e le operazioni di evacuazione del personale civile. Il quadro che emerge evidenzia che, mentre la capacità operativa nell'Oceano Indiano è migliorata nel corso degli anni, la capacità di proiezione nella regione e di reale difesa delle rotte commerciali in caso di crisi rimane limitata.


La presenza ancora modesta, le ridotte capacità di difesa antiaerea e antisottomarino (ASW) e le difficoltà di ordine logistico rappresentano in questo contesto le principali criticità che appaiono ancora più evidenti se confrontate con quelle dei due principali attori dell’area dell’oceano Indiano: Stati Uniti e India.

Fig.2: Le principali rotte commerciali, SLOC, di interesse cinese (foto Office of Naval Intelligence)

2. SLOC e choke points nell’Oceano Indiano


Le rotte principali che collegano la Cina con il Medio Oriente e l’Europa sono vulnerabili alla chiusura di particolari choke points: lo Stretto della Malacca a est e lo Stretto di Hormuz, Bab el Mandeb e il Canale di Suez a ovest.


Attraverso lo Stretto della Malacca, considerato a rischio moderato, hanno transitato nel 2016 16 milioni di barili di petrolio al giorno e oltre 50 milioni di tonnellate di cibo (dati del 2015).


Per quanto riguarda gli stretti di Hormuz e Bab el Mandeb, considerati a rischio da moderato ad alto, rappresentano, insieme al Canale di Suez, i tre snodi di maggior peso per quanto riguarda il traffico petrolifero (in particolare lo Stretto di Hormuz risulta quello più importante a livello mondiale, e caratterizzato dal rischio più elevato) [6].


La dipendenza della Cina dalle importazioni di energia provenienti dal Medio Oriente e che attraversano lo Stretto di Hormuz continua a crescere: nel 2018 la Cina ha importato circa 9,3 milioni di barili di greggio al giorno, circa il 10% in più rispetto al 2017, rendendo la Cina il più grande importatore mondiale di greggio per il secondo anno consecutivo. Quasi la metà delle importazioni cinesi di greggio nel 2018 (circa il 44%) proveniva dal Medio Oriente [7].


Le SLOC che attraversano l'Oceano Indiano costituiscono le principali rotte est-ovest lungo le quali le viaggiano le merci cinesi in direzione dell’Africa e dell'Europa; rappresentano inoltre le rotte più veloci tramite cui le navi della PLAN possono raggiungere i ‘territori cinesi d’oltremare’ [8].

Fig.3: Importazioni di petrolio da parte della Cina relativi al 2018 - (dati: spglobal.com)

Fig.4- Destinazione degli investimenti cinesi nella regione dell’Oceano Indiano - (dati: American Enterprise Institute)

Le responsabilità della marina cinese per la protezione degli interessi cinesi d'oltremare è ben evidenziata nel Libro bianco sulla difesa nazionale del 2015, in cui si affermava che: “con il crescita degli interessi nazionali della Cina, la sua sicurezza nazionale è più vulnerabile alle turbolenze internazionali e regionali... e la sicurezza degli interessi esteri riguardanti l'energia e le risorse, le linee marittime strategiche di comunicazione (SLOC), così come le istituzioni, il personale e le risorse all'estero, diventerà un problema concreto” [9].


Secondo il capitano Liang Fang della Chinese National Defense University il successo della US Navy (USN) si è basato sulla creazione di strutture militari in tutto il mondo, definite ‘isole strategiche’ , che hanno consentito alla marina americana il controllo delle rotte e dei passaggi strategici mondiali: si tratta in particolare delle basi USN a Diego Garcia e nel Bahrain, e basandosi su questa visione sostiene l’impiego delle future portaerei cinesi come strumento di proiezione e protezione sia delle SLOC che dei choke points [10].


Gao Wensheng della Tianjin Normal University sostiene invece che gli Stati Uniti hanno ‘raggiunto un’egemonia marittima senza precedenti’ attraverso il controllo di SLOC strategici, e suggerisce pertanto che la Cina stabilisca i propri ‘porti fulcro strategici’ per evitare eventuali interruzioni dei traffici commerciali [11].


3. I tre punti critici: presenza, difesa e logistica


Se la protezione delle rotte commerciali è un obiettivo primario per la Cina, la sua marina dovrà superare almeno tre criticità: la attualmente limitata presenza nell’Oceano Indiano, le vulnerabilità in fatto di guerra aerea e antisottomarino (ASW), le sfide logistiche durante una crisi.


Affinché gli assetti navali cinesi siano in grado di difendere efficacemente l'accesso alle SLOC ed ai choke points nel corso di un eventuale conflitto, è necessario aumentare in maniera significativa l’attuale modesta presenza nella regione.


Oggi sono disponibili solo poche navi e sottomarini nell'Oceano Indiano, la maggior parte delle quali vi si trova come parte di operazioni di contrasto alla pirateria del Golfo di Aden. Dal 2008, la Cina ha infatti mantenuto una task force di tre navi abitualmente composta da un cacciatorpediniere e una fregata oppure due fregate e una nave ausiliaria. Più recentemente, la presenza della PLAN nell'Oceano Indiano, in particolare all'estremità orientale, è aumentata in conseguenza di varie esercitazioni a ovest dello Stretto di Malacca con il duplice scopo di garantire opportunità di addestramento e di normalizzare la presenza cinese nella regione.


Ciononostante, il numero di navi militari cinesi nell'Oceano Indiano è ben al di sotto delle altre flotte presenti, come quelle dell'India o degli Stati Uniti.


L’espansione della PLAN nell'Oceano Indiano non è tuttavia impossibile: con oltre 300 navi, tra cui oltre 100 navi da guerra e sottomarini, che potrebbero diventare 400 navi e 100 sottomarini nel 2030, sono in molti a ritenere che la marina cinese avrà in futuro capacità adeguate a operare a tutela dei suoi interessi anche nell’Oceano Indiano.


Essa sta inoltre proseguendo nella costruzione di infrastrutture portuali vicino alla base PLA di Gibuti, che, secondo fonti del South China Morning Post, consentiranno di ‘supportare almeno una flottiglia di quattro navi, inclusa la nave da rifornimento cinese Type 901 di nuova generazione’ [12]. Queste, insieme ad altre considerazioni, suggeriscono che la base di Gibuti potrebbe in futuro ospitare un gruppo da battaglia basato su una portaerei. Un’eventualità di questo tipo, considerata la vicinanza con lo stretto di Bab el Mandeb rappresenterebbe un elemento di grande rilievo per rafforzare il peso cinese nella regione.

Fig.5: La base della People Liberation Army Navy a Gibuti - (foto: Google Earth)

Il secondo aspetto legato alla protezione delle rotte commerciali è rappresentato dalle limitate capacità antiaeree e ASW della PLAN nella regione. In prossimità del territorio nazionale, la marina può operare sotto la copertura sia dei sistemi di difesa aerea terrestri sia dei propri aerei basati sulla terraferma. Le navi sono inoltre protette dagli attacchi dei sottomarini dalla presenza sia dei propri assetti subacquei sia dagli aerei ASW nonché da una serie di sensori localizzati nelle acque vicine.


Questo scenario cambia tuttavia drasticamente quando si opera nell'Oceano Indiano: lontana dalle risorse abituali la marina cinese opererebbe alla portata delle altre potenze regionali esponendosi sia ad attacchi aerei che da parte di sottomarini. L’india in particolare gode di circostanze particolarmente favorevoli determinate dalla propria migliorata capacità di rilevare sottomarini avversari nell’Oceano Indiano. Sul versante settentrionale la marina cinese si scontrerebbe con la crescente presenza militare dell'India nelle isole Andamane e Nicobare.


All'inizio del 2019, la marina indiana ha infatti modernizzato la stazione aerea navale di Shibpur (oggi INS Kohassa) sull'isola delle Andamane settentrionali. Opera, inoltre, da una base aerea a Car Nicobar e da una stazione aerea navale a Campbell Bay. Attualmente, INS Kohassa è attrezzata per ospitare elicotteri e velivoli da pattugliamento marittimo, migliorando la capacità dell'India di rilevare sottomarini e altre risorse mentre transitano nello stretto della Malacca. Una parziale soluzione al problema potrebbe essere rappresentata dallo schieramento di cacciatorpediniere di tipo 052D che sono in grado di ingaggiare più bersagli aerei contemporaneamente. L’armamento è infatti costituito, oltre che da sistemi per l’ingaggio di bersagli di superficie, anche da un sistema di lancio verticale a 64 celle (GJB 5860 2006 standard), da un sistema antiaereo a lungo raggio HHQ-9B SAM, da sistemi missilistici con capacità ASW (CY-5 e YU-8). Attualmente la PLAN possiede 25 unità di questo tipo (8 appartenenti al primo lotto, 5 al secondo e 12 al terzo delle quali 2 ancora in costruzione) che tra il 2014, anno in cui sono entrati in servizio, e maggio 2019 non avevano ancora partecipato ad alcuna task force antipirateria del Golfo di Aden.


Solo nell'estate del 2019, il cacciatorpediniere di tipo 052D Xining ha preso parte per la prima volta a un'operazione di scorta nel Golfo di Aden, accompagnando una fregata di tipo 054A e una nave di rifornimento di tipo 903A. Un numero maggiore e un maggiore dispiegamento routinario di assetti di questo tipo consentirebbe agli equipaggi l’acquisizione della necessaria esperienza operativa nella regione e potrebbe rappresentare il primo passo verso una soluzione delle carenze evidenziate.

Fig.6 - Il cacciatorpediniere classe Luyang III 052D è costruito dai cantieri Jiangnan e Dalian; ha una lunghezza di 157 metri, può raggiungere una velocità di 30 nodi ed ha un’autonomia di 4500 miglia (a 15 nodi). (foto: Wikipedia)

Anche lo sviluppo di strutture in prossimità degli approcci orientali all'Oceano Indiano può aiutare ad affrontare le sue carenze nella difesa antiaerea ed ASW, consentendo lo schieramento più rapido di navi e aerei verso i choke points. Nel 2015 è stato riferito che la Cina aveva completato la sua seconda base a Yulin, sull'isola di Hainan. Yulin, già base per diverse classi di sottomarini, può rappresentare una base ideale per una portaerei a supporto delle missioni di protezione delle SLOC.

Fig.7 - Una base della People Liberation Army Navy a sud dell’isola di Hainan - (Google Earth)

In questo contesto sono rilevanti anche le strutture militari nel Mar Cinese Meridionale. Dal 2013, la Cina ha infatti creato circa 3.200 acri di nuova terra attraverso attività di costruzione di isole Spratly, in particolare: Fiery Cross Reef, Mischief Reef e Subi Reef. Tutte sono caratterizzate dalla presenza di shelter rinforzati apparentemente in grado di ospitare sistemi missilistici terra-aria (SAM). Fiery Cross, Mischief e Subi Reef sono dotate di hangar in grado di ospitare fino a ventiquattro aerei da combattimento ciascuno, oltre a bombardieri, aerei da trasporto e rifornimento.


Qualora la marina cinese dovesse difendere l’accesso allo stretto della Malacca, le navi e gli aerei PLAN con base nello Spratlys potrebbero rispondere molto più rapidamente delle forze con base sull'isola di Hainan o nella terraferma, e ancora di più se fossero combinate con un gruppo da battaglia guidato da una portaerei di base sull'isola di Hainan.


Infine, la Cina potrebbe anche cercare di stabilire una seconda base d'oltremare, questa volta all'estremità orientale dell'Oceano Indiano, che potrebbe anche aiutarla a difendere l'accesso alla regione. Per molti anni, gli analisti cinesi hanno discusso le possibili posizioni per una base così da poter includere il Myanmar o la Cambogia. La Cina ha da tempo forti legami militari ed economici con il governo cambogiano, e mentre la costituzione della Cambogia proibisce la presenza di basi militari straniere sul suo territorio, le relazioni militari tra i due sono diventate più esclusive negli ultimi anni. Nell'estate del 2019, è stato infatti riferito che la Cina aveva raggiunto un accordo con il governo della Cambogia per consentire al PLAN di utilizzare una base navale cambogiana vicino a Sihanoukville [13]. Sebbene la Cambogia si trovi a circa 650 miglia dall'ingresso orientale dello Stretto di Malacca, a seconda degli assetti disponibili, una presenza in zona potrebbe migliorare il controllo del dominio marittimo da parte delle forze cinesi.


La sfida più impegnativa che la marina deve affrontare per la protezione delle rotte commerciali riguarda tuttavia la logistica.


Nell'ultimo decennio, la PLAN ha dimostrato di essere in grado di supportare piccoli gruppi di navi nell'Oceano Indiano per lunghi periodi di tempo. Tuttavia, sebbene una task force di tre navi sia sufficiente per le esigenze di contrasto alla pirateria in tempo di pace, difendere l'accesso alle SLOC dell'Oceano Indiano in un conflitto richiederebbe una forza molto più ampia e sostenuta di quella attualmente disponibile. Le forze attuali comprendono circa otto navi da rifornimento Tipo 903/A (Fuchi), che sono state ampiamente utilizzate nel Golfo di Aden, e la più recente nave da supporto al combattimento veloce Tipo 901 (Fuyu), progettata per supportare le future operazioni di trasporto.


Una ipotesi a breve termine potrebbe essere rappresentata dall’utilizzo della flotta commerciale cinese che, nel 2017, ha superato i 165 milioni di tonnellate di stazza lorda. A tal fine Pechino ha adottato già da tempo regolamenti che impongono ad alcune navi civili (roll on/off, petroliere e navi portacontainer) la costruzione secondo specifiche militari.


Nel settembre 2016 la Repubblica Popolare Cinese ha inoltre promulgato una legge sui trasporti di difesa nazionale che agevola il processo di requisizione dei mezzi di trasporto civili durante un conflitto. Nello specifico, l'articolo 38 afferma che le imprese e le agenzie cinesi "forniranno supporto marittimo, aereo, veicoli e personale per azioni militari nella protezione degli interessi d'oltremare della Cina, salvataggio internazionale e scorte marittime" [14]. Un'ulteriore sfida logistica è rappresentata dall'incapacità della PLAN di posizionare anticipatamente nell'Oceano Indiano i materiali che sarebbero necessari nell’eventualità di un conflitto. A parte la sua base a Gibuti, il PLAN non sembra, al momento, avere accordi con nessun altro Paese della regione che gli consentirebbero di predisporre attrezzature militari specializzate o tecnici necessari all'uso di tali attrezzature, anche negli impianti portuali di proprietà o gestito da società statali cinesi. I governi dei Paesi i cui porti dovessero servire le navi cinesi durante un conflitto, o che consentissero di preposizionare equipaggiamento militare sul loro territorio, potrebbero essere trascinati nel conflitto stesso come cobelligeranti. Gli analisti cinesi sono ben consapevoli di queste limitazioni e della necessità di stabilire strutture aggiuntive su cui fare affidamento per il supporto alle operazioni in caso di conflitto.


4. Conclusioni


Appare dunque chiaro che lo sviluppo dell’economia cinese dipende considerevolmente dalla sicurezza delle rotte commerciali che si snodano, tuttavia, in aree attualmente presidiate da importanti potenze regionali e internazionali e che, in caso di crisi, potrebbero risultare difficilmente difendibili.


Nel medio termine è lecito attendere significative evoluzioni in questo senso: a partire dallo sviluppo tecnologico, necessario ad attenuare però solo alcune delle criticità emerse in queste pagine, a quello infrastrutturale che consentirà alla marina cinese di superare la sua vocazione tradizionalmente costiera ed entrare a pieno titolo nel novero delle blue water navies.


Bibliografia/Sitografia

  1. A. S. Erickson and A. M. Strange, “China’s Blue Soft Power: Antipiracy, Engagement, and Image Enhancement”, op. cit., p. 74.

  2. S. Kamerling and F.-P. van der Putten, “An Overseas Naval Presence Without Overseas Bases: China’s Counter-Piracy Operation in the Gulf of Aden,” Journal of Current Chinese Affairs 40, No. 4, February 6, 2012, accessed on April 03, 2022, http://journals.sub.uni-hamburg.de, p. 121.

  3. M. Vego, “China’s Naval Challenge,” U.S. Naval Institute Proceedings 137, No. 4, April 2011, p. 39.

  4. A. S. Erickson and A. M. Strange, Six Years at Sea and Counting: Gulf of Aden Anti-Piracy and China’s Maritime Commons Presence, Washington D.C., The Jamestown Foundation, 2015, p. 18.

  5. L. Jakobson and R. Medcalf, The Perception Gap: Reading China’s Maritime Strategic Objectives in Indo-Pacific Asia, Sydney, Lowy Institute, 2015, www.lowyinstitute.org, p. 18.

  6. Fanelli, Cristiano, Paolo A. Gemelli, Massimiliano N. Lacerra, Salvatore Pittorru, and Luna Vulpetti. 2021. “L’interdizione dello stretto di Hormuz: la strategia asimmetrica iraniana.” L’orizzonte degli eventi, October 2021.

  7. [Customs Statistical Data Online Inquiry Database], http://43.248.49.97/; “China Ends 2018 with 10% Crude Import Growth” S&P Global Platts, January 14, 2019,.

  8. American Enterprise Institute, Chinese Global Investment Tracker, https://www.aei.org/china-global-investment- tracker/?ncid=txtlnkusaolp00000618. Percentages reflect percentages of PRC FDI per country in the Indian Ocean Region

  9. China’s 2015 defense white paper, Information Office of the State Council of the People’s Republic of China, “China's Military Strategy,” Xinhua, May 26, 2015.

  10. Liang Fang, “The Theory and Practice of U.S. Control of MaritimeStrategic Access and Its Implications”, Journal of Ocean University of China, no. 5 (2019), pp. 39–46.

  11. Gao Wenshen,“The Value of the South Pacific Strategic Energy Channel, the Risks it Faces, and China’s Countermeasures” World Regional Studies, no. 6 (2017), section 4.1.

  12. Minnie Chan, “China Plans to Build Djibouti Facility to Allow Naval Flotilla to Dock at First Overseas Base,” South China Morning Post, September 27, 2017,.

  13. Jeremey Paige, Gordon Lubold and Rob Taylor, “Deal for Naval Outpost in Cambodia Furthers China’s Quest for Military Network”, Wall Street Journal, July 22, 2019,.

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