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Processo al “Mostro”: analisi sull’influenza dei bias cognitivi nella cronaca nera e nelle indagini

Aggiornamento: 16 apr 2022

IL PRELUDIO

di Raffaele Lorenzetto, Alessio Briguglio e Davide Lauretta

1. Introduzione


Dietro ogni decisione umana risiedono emozioni, pareri e preconcetti che originano da fattori psicologici, in parte innati, in parte risultati di processi sociali. In letteratura, esiste un termine scientifico capace di riassumerli tutti: quello di “bias cognitivi”. In una loro analisi sulla valutazione dei casi criminali per il Journal of Police and Criminal Psychology, Vanessa Meterko e Glinda Kooper hanno definito il bias cognitivo come “[…] an umbrella term that refers to a variety of inadvertent but predictable mental tendencies which can impact perception, memory, reasoning, and behavior ”. O, ancora, sta ad indicare un tratto umano nato dal bisogno di classificare, mettere in ordine ed elaborare le informazioni per dare un senso al mondo. Questa creazione di schemi e “mappe mentali” avviene sotto il livello della coscienza. Al fine di attribuire una maggiore specificità a tale concetto, esso può essere inteso come una distorsione cognitiva o un pregiudizio. [1]


Non a caso, il termine “bias” sembra derivare dal francese, o meglio dal provenzale, “biais” (XVI sec.), verosimilmente a sua volta derivato dal greco “epikarsios”, che significa “obliquo”. [2] Tale vocabolo indica infatti una devianza, distorsione appunto, dalla razionalità dei processi mentali di giudizio. Tuttavia, è opportuno evidenziare come la valenza semantica di tale termine sia molto più complessa e sfaccettata di quanto sinora affermato. Quali siano gli effetti dei bias cognitivi in ambito giudiziario sarà oggetto di analisi più avanti. Ciò che al momento risulta necessario evidenziare è l’impatto che questi hanno altresì sulla più ampia popolazione umana. L’analisi in questione ha lo scopo di evidenziare come i bias cognitivi influenzino da sempre gli individui, accompagnando il lettore in alcuni casi di cronaca (anche giudiziaria) particolarmente significativi in tal senso, distanti tra loro nel tempo. Dalle strade alle aule di giustizia per poi ritornare alle piazze, anche nella loro dimensione virtuale, i bias cognitivi continuano a dominare i sentimenti e i ragionamenti della massa, anche quando la realtà dei fatti e le dimostrazioni probatorie smentiscono categoricamente le convinzioni di quest’ultima.


La giustizia popolare è emotiva, spesso persino isterica


Accanto ai legittimi e riconosciuti procedimenti giudiziari, è da sempre esistita una “giustizia popolare” e di massa, avente la forza dirompente non solo di esistere prima, durante e dopo l’apertura di un processo, ma anche di ignorare il suo verdetto o, peggio ancora, di influenzarlo. Nel caso del giudizio popolare, i bias cognitivi svolgono il pericoloso ruolo di produrre un effetto moltiplicatore: il responso finale non è altro che il frutto di una non quantificabile intersezione di pregiudizi, emozioni e antiche credenze, dove viene meno, o addirittura non esiste, alcun elemento di scientificità o di presunta certezza probatoria. Al contrario, la portata poco ordinaria di certi eventi ha da sempre scatenato una incontrollata isteria collettiva, a sua volta foriera di teorie cospirative e tesi ai limiti del racconto mitico.


2. Lo psicologo ingenuo


Rifacendosi alla dottrina aristotelica, il ragionamento che porta allo svilupparsi della decisione in sede giudiziale si regge sui principi del sillogismo giuridico. [3] Si tratta però di un meccanismo frutto di una visione idilliaca del processo, che non tiene conto dell’influenza operata dalle emozioni, dagli affetti, dalle esperienze vissute dai singoli soggetti decisori, nonché dalle loro euristiche.


I giudici, in quanto umani, agiscono come “psicologi ingenui”, tendendo a interpretare lo stato d’animo umano e i tratti psicologici delle persone, condizionati dagli schemi del razionalismo emotivo [4]; le neuroscienze dimostrano infatti come le emozioni giochino un ruolo fondamentale nelle decisioni, ponendo il sistema limbico al centro di questo tipo di processo. [5] Le scelte possono essere generate in seguito una serie di emozioni anticipatorie [6] che si manifestano sotto forma di reazioni viscerali in relazione alla percezione del rischio o dell’incertezza. La psicologia ingenua, dunque, si concretizza in uno schema, difficile da abbandonare, costruito sulle suggestioni e sulle convinzioni implicite ed esplicite di un individuo, quali le massime di esperienza.


3. Bias mediatici nel caso di Jack lo squartatore


Londra, 1888


Mary Anne Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddows, Mary Jane Kelly Alex, Murray vengono brutalmente massacrate a Whitechapel, un sobborgo di Londra, tra l’agosto e il novembre del 1888. I corpi vennero trovati mutilati, in alcuni casi sfigurati. Una premessa che non giustificherebbe, di per sé, il dirompente impatto mediatico che il caso ebbe nella cronaca nazionale e internazionale. Crimini come quelli erano piuttosto comuni, soprattutto se le vittime erano prostitute o vagabondi, persone alla base di una spietata catena alimentare. I motivi che resero Jack lo Squartatore il primo serial killer mediaticamente protagonista delle proprie azioni, sono da ricercare in una ricetta oggi tremendamente conosciuta: superficialità di analisi, grande copertura mediatica, ricerca spasmodica e approssimativa di un colpevole, teorie del complotto. Le forze di polizia britanniche [7] vennero travolte dalla propria inefficienza, non riuscendo a identificare un chiaro colpevole per i cinque omicidi consumatisi nelle strade della capitale.


Il precedente storico della corrispondenza mediatica con l’assassino

Illustrazione della rivista Punch raffigurata da John Tenniel del 29 settembre 1888 che mostra il misterioso assassino di Whitechapel

Un caso che sfiorò soltanto le aule di giustizia ma che non per questo nutrì una sterminata folla di “sospettati”, “indiziati” e “colpevoli”. Un atteggiamento colpevole che forniva una copertura mediatica senza precedenti all’opera di un folle. Le lettere di “Jack”, a tal proposito, scritte proprio ai giornali, a Scotland Yard, oltre che a privati cittadini, vennero rese pubbliche, sebbene non ci fossero prove rispetto l’autenticità delle stesse. Questo tipo di corrispondenza, superficialmente confermata o colpevolmente mai verificata, condizionò irreversibilmente la percezione comune del caso e della cronaca nera per i decenni successivi. Questa discutibile azione, clickbait ante litteram, generò un’isterica ricerca del colpevole tra i ceti popolari che non tardarono ad imbracciare, letteralmente, torce e forconi per lanciarsi a caccia del mostro, sfogando una paranoia ancestrale radicata nella città.


Teorie del complotto e casa reale


L’altro effetto, tremendamente attuale, fu lo scarico di responsabilità verso “l’alto” che partorì uno dei più celebri casi di complottismo [8] dell’800. Vennero formulate diverse teorie, dalle più strampalate ad alcune vagamente attendibili, rispetto al coinvolgimento della famiglia reale nei crimini di Jack. Si parlò di un membro della famiglia reale affetto da disturbi psichici ma che, visto il cognome, avrebbe portato all’insabbiamento. Si arrivò anche a teorizzare di omicidi rituali, in cui gli organi asportati venivano impiegati dall’aristocrazia del tempo impegnata nell’occultismo. Le presunte, probabili ma mai riscontrate, frequentazioni del Principe Alberto Vittorio nipote della regina Vittoria, con la prostituzione di strada londinese, rappresenterebbero il fondo di verità alla base della teoria. Circostanza, questa, che secondo le voci di popolo avrebbe causato la sifilide al principe trasformandolo nel rancoroso assassino, forse aiutato dall’anziano medico della regina, Sir William Gull.


4. I bias nella lotta al terrorismo


L’influenza del sentimento pubblico nell’applicazione della legge, oltre che nel suo processo evolutivo, è diventata con il trascorrere del tempo sempre più pregnante e capillare.


Il panorama politico internazionale creatosi in seguito all’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 ha visto l’affiorare di un coacervo di pratiche e approcci rientranti in un concetto allargato di “lotta al terrorismo”: una situazione emergenziale che ha assunto dimensioni globali e ha pervaso molti ambiti, anche della società civile.


La dimensione archetipica della paura è emersa dirompente nella collettività, catalizzata dall’enorme impatto mediatico dato da immagini di attentati di crescente brutalità e frequenza che, percepiti come una minaccia incontrollabile nonché forieri di uno spiccato senso di incertezza e di precarietà, hanno assunto i connotati di una “guerra psicologica”.


Si è così alimentato un esteso dibattito in merito alla compatibilità con i sistemi democratici occidentali di pratiche, per così dire, ad eruendam veritatem. Il dibattito ha avuto il suo principale impulso negli Stati Uniti [9], anche se possiamo ricordare autori, non solo americani, che già da tempo sostenevano la legittimità dell’uso della tortura “democratica” in situazioni emergenziali. [10]


4.1 Errori cognitivi nell’antiterrorismo


Il terrorismo islamista, a causa di una sua approssimativa e continua commistione con la religione islamica e la comunità musulmana ad opera del mainstream, ha dato molto spesso adito a crimini d’odio [11] oltre che a forme persecutorie e trattamenti deumanizzanti, commessi talvolta dalle forze di polizia e appoggiate dagli organi inquirenti, oltre che dalla politica.


Emblematico è il caso di Fayçal Cheffou, il giovane giornalista freelance belga ma d’origine marocchina, accusato di essere uno dei terroristi degli attentati del 22 marzo 2016 a Bruxelles. Il giornalista fu arrestato subendo, secondo la sua versione dei fatti, quattro giorni di abusi verbali e fisici, giorni durante i quali stampa e TV lo bollarono, oltre ogni ragionevole dubbio, come terrorista. Fayçal Cheffou venne successivamente interpellato per altri casi legati al terrorismo di matrice cosiddetta islamica; in tutti i casi nessun elemento indusse comunque gli inquirenti a procedere nei suoi confronti.


In casi simili a quello di Fayçal agisce la c.d “visione a tunnel”, ossia un insieme di euristiche e inganni cognitivi che non permette di avere una visione aperta sulle informazioni a disposizione, facendo sì che a guidare le azioni siano criteri spesso irrazionali e inconsapevoli [12].


4.2 Teorie del complotto all’ombra del terrorismo


La disinformazione operata e amplificata dai media e da internet conduce sovente ad un’altra trappola psicologica: la credenza alla cospirazione. Essa può rappresentare una consolazione per coloro i quali incontrano difficoltà a vedere positivamente la realtà: ritenere che qualcuno sia responsabile degli eventi negativi è spesso psicologicamente più accettabile rispetto all’idea che la realtà sia talvolta ingiusta e crudele.[13]

Fonte: www.repubblica.it

Tale credenza colpisce la trattazione del fenomeno terroristico attraverso due principali correnti tra loro contrapposte, anche se entrambe sono il prodotto di una errata valutazione delle informazioni. Gli esegeti della prima corrente tendono a creare grottesche spiegazioni della genesi del terrorismo, affermando ad esempio l’esistenza di relazioni tra la violenza jihadista e quella esoterica di origine satanista, sostenendo che gli studi di quest’ultima dovrebbero essere presi in considerazione per spiegare l’altrettanto inquietante, spaventoso e sfuggente concetto di terrorismo.


La seconda principale corrente fa parte invece di un fenomeno ben più ampio - riconducibile al “9/11 Truth Movement” - ed è rappresentata da veri e propri “investigatori da salotto" che discutono all’interno di forum e si scambiano link di Youtube al fine di portare alla luce le oscure trame che si celano dietro ad attentati quali gli attacchi alle Torri Gemelle del 2001 (orchestrati, secondo tali teorie, dagli Stati Uniti) e alla metropolitana di Londra del 2005 (che secondo i medesimi fu in realtà interessata da un sovraccarico accidentale di energia elettrica, insabbiato dal Governo britannico che ne diede colpa agli attentatori suicidi jihadisti). A quest’ultimo movimento prese parte anche David Shayler, una nota e controversa ex spia dell’MI5. [14]


5. Quando la massa prova a “dettare la legge”. L’influenza delle teorie complottiste nel caso giudiziario di Marco Dimitri e “I bambini di Satana”.

“La colpa di tutta questa storia è dei cittadini [NdA che hanno bisogno del mostro]. [...] Il mostro fa sempre comodo e in quel caso il mostro ero io” - Marco Dimitri

L’avvento del noto e attuale movimento QAnon, a dispetto di quanto si possa pensare, non è un fenomeno del tutto nuovo, ma rappresenta piuttosto l’evoluzione globale e anti-sistemica di una narrativa che esiste già da tempo.


L’idea che gruppi (pedo-)satanisti protetti dai vertici istituzionali, in quanto molti uomini di potere ne sarebbero membri, operino nelle tenebre dedicandosi a stupri rituali e sacrifici umani, ha avuto un grandissimo seguito anche in Italia, un Paese che è stato tra i più interessati da vicende giudiziarie aventi ad oggetto il cosiddetto “omicidio rituale”.


Il caso più celebre, dal quale furono riportati in auge tanti altri casi e che è stato spesso fatto riemergere per quelli successivi, è sicuramente la vicenda giudiziaria dei cosiddetti “Bambini di Satana”, avviata nel 1995 in quel di Bologna.


Il contesto


Tutto ebbe inizio quando una ragazza, allora sedicenne, denunciò di aver subito un abuso sessuale all’interno di un rito satanico, dopo aver bevuto inconsapevolmente un caffè narcotizzato. Sul banco degli imputati vi furono alcuni membri dell’organizzazione “Bambini di Satana”, in tutto sei persone, in primis il loro presidente Marco Dimitri. Stando ai capi di accusa, oltre al presunto stupro, questi avrebbero altresì commesso altri abusi sessuali, di cui uno anche su un bambino, nonché svariate profanazioni di tombe.

La vicenda giudiziaria terminò con l’assoluzione degli imputati e con un cospicuo risarcimento per Marco Dimitri e un altro membro dell’organizzazione, dato il lungo e ingiustificato periodo di detenzione, per il primo durato circa 400 giorni. [15] Tuttavia, la macchina del fango ha continuato a sostenere la mai dimostrata colpevolezza degli imputati, tanto che alla morte dello stesso Marco Dimitri, molti giornali hanno continuato a riferirsi a quest’ultimo come il “Charles Manson italiano”.


Il caso in questione permette di evidenziare attentamente l’impatto che diversi bias cognitivi hanno avuto sulle persone, ma anche su alcuni pubblici ministeri.


Fascinazione per il macabro e “verità” di massa

Fonte: www.cantierebologna.com

In primis, il pregiudizio nei confronti degli adepti di un’organizzazione chiamata “Bambini di Satana”, la cui esistenza è stata confermata dagli imputati e mai smentita. La massa tende a provare una perversa fascinazione per il macabro: pur provandone orrore, tende a ritenere plausibile la sua attuazione, il suo compimento. Essendo per l’appunto un sentimento comune, più si diffonde più ottiene consenso, in quanto insiste l’idea che se in molti vi credono, allora si tratta di qualcosa di vero e reale. Interviene in tal caso quello che viene definito argomentum ad populum, secondo il cosiddetto “approccio del carrozzone” [16], determinando pertanto un rafforzamento dei bias attivi in una determinata situazione. I “Bambini di Satana” era infatti un’associazione culturale regolarmente registrata. A distanza di anni dalla sua assoluzione, Dimitri ribadì nuovamente il significato di Satanismo secondo il punto di vista puramente culturale, affermando come tale corrente ponga l’uomo al centro dell’universo e lo eriga a divinità riconoscendogli pienamente la capacità di libero arbitrio e di decidere delle proprie azioni e sorte. [17] Condivisibile o meno il pensiero dei suoi adepti, l’associazione non è nata per commettere omicidi rituali, tantomeno verso minori. Gli imputati, difatti, furono assolti da tutti i capi di accusa mossi in quell’occasione.


I bias di conferma come interruttori di fake news


In terzo luogo, la produzione di una gigantesca campagna mediatica e la diffusione di fake news. Si tratta di un elemento importante: laddove l’inchiesta giudiziaria stava faticando a trovare prove valide per il processo, la macchina del fango alimentava l’orrore presumibilmente causato dai membri dell’organizzazione di Marco Dimitri, anche attraverso testimonianze create ad-hoc per fini puramente speculativi. Particolare fu il caso del giornalista Andrea G. Pinketts, secondo la cronaca un eroico “infiltrato” all’interno dell’organizzazione per smascherare gli orrori compiuti dagli altri membri. In realtà, tutti i racconti di Pinketts non trovarono riscontro dalle verifiche in sede giudiziaria. In più, lo stesso giornalista ammise in un’occasione di essersi iscritto ai “Bambini di Satana” per provocazione e burla.[18] Una volta, però, che una certa credenza o narrativa diventa diffusa tra il pubblico più ampio, diminuisce il pensiero critico e aumenta il bias (pregiudizio) di conferma, ossia la tendenza a ricercare solo quelle notizie che si rivelano utili a sostenere la specifica tesi che si intende (tautologicamente) dimostrare. A questo punto, si innesca nella mente degli individui una certa tendenza a vedere connessioni in realtà prive di logica (apofenia) nonché immagini e simboli nascosti che possano dimostrare una certa spiegazione degli eventi (pareidolia). [19]


6. Conclusioni. Un mostro è sempre necessario: cenni alla faziosità in sede probatoria


Quelli qui trattati rappresentano solo gli esempi più fruibili e “POP” nella sterminata schiera di crimini, veri o supposti, divenuti fenomeni mediatici. Orrori graziati dalla damnatio memoriae in virtù dell’insaziabile sete di macabro che, più o meno consapevolmente, ogni spettatore ricerca. Da Bologna a Modena con i “Diavoli della Bassa”, per poi fare un salto indietro alla Sicilia degli anni ‘20 di Aleister Crowley, poi al “Mostro di Firenze”, a quello di Bitonto, all’omicidio Narducci e al caso Emanuela Orlandi fino al delitto di Cogne, al giallo di Perugia relativo all’omicidio di Meredith Kercher e al delitto di Avetrana, ai casi di Melania Rea e Yara Gambirasio, ma anche ad altri svariati eventi di cronaca nera. Tutti viziati dai medesimi bias cognitivi e dalle medesime tecniche di alterazione della realtà in termini di narrazioni mediatiche, tutti viziati dall’idea che vi fosse l’ombra satanista dietro il compimento di quegli atti. Molte di queste vicende furono connesse tra loro in modo artefatto nonostante non avessero nulla in comune e fossero distanti nel tempo. Un esempio su tutti, il poco plausibile legame tra i fatti di Firenze, il caso Narducci e quello Meredith. Riguardo agli ultimi due, l’unico elemento in comune è la città di Perugia; eppure, molti videro nel delitto di Meredith Kercher il ritorno della “Rosa Rossa” già erroneamente (secondo la sentenza giudiziaria) accusata nel caso Narducci, a sua volta legata al “Mostro di Firenze”. [20]


Si finisce spesso con l’estrarre forzatamente significati nascosti da dettagli, da particolari probabilmente irrilevanti, con la speranza, forse, di trovare una spiegazione o una parvenza di fascino all’interno di accadimenti che, per loro natura, rappresentano invece realtà sordide e misere. Più un evento è tragico e complesso, più l’ipotesi del complotto emerge prepotente. Anche in questi giorni, in cui la crisi ucraina si trasforma repentinamente in conflitto a carattere globale, c’è chi prova a intuire le intenzioni di Vladimir Putin in qualsiasi modo, chiedendosi ad esempio se sia un caso che la richiesta di pieni poteri al fine di invadere l’Ucraina – pienamente accolta dalla Duma di Stato e successivamente dall’Assemblea Federale russa - sia avvenuta proprio il 22/02/2022, una data che per certi versi ricorda l’8/08/2008, giorno in cui la Russia lanciò la sua offensiva nella seconda guerra in Ossezia del Sud; se Putin sia quindi un appassionato di numerologia.


Da una superficiale impressione potremmo condannare tali teorie, molto spesso inconsistenti, come sintomo di irriverenza verso la tragedia umana. Quello che traspare, però, da un’indagine nell’animo più profondo della collettività cospirazionista è un sentimento molto più primitivo, ma al tempo stesso vitale e difficile da reprimere: la paura verso l’ignoto.


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Bibliografia/Sitografia


[1] G. GULOTTA, P. EGNOLETTI, B. NICCOLAI, L. PAGANI, Tendenze generali e personali ai bias cognitivi e la loro ricaduta in campo forense: fondamenti e rimedi, Sistema Penale, 11 giugno 2021.

https://sistemapenale.it/pdf_contenuti/1623396735_gulotta-2021b-bias-cognitivi-campo-forense.pdf.

[2] “Bias”, in Oxford Learner’s Dictionaries, Oxford University Press, https://www.oxfordlearnersdictionaries.com/definition/english/bias_1?q=bias.

[6] Il giudice, ad esempio, in ambito penale deve ricondurre una fattispecie concreta, un fatto delittuoso, all’astrattezza della norma che ne prevede i caratteri generali, per poi decidere tra le varie ipotesi sanzionatorie secondo i dettami della legge e in particolare affidandosi al dispositivo degli artt. 132-133 c.p..

[3] J. LEHRER, S. BOURLOT, Come decidiamo, Torino, 2009: il sistema limbico è costituito da varie strutture cerebrali primordiali come l’amigdala, il talamo e l’ipotalamo e alcune di recente scoperta, come la corteccia cingolata e la corteccia orbito-frontale, le quali si attivano in presenza di istinti ed emozioni; la corteccia inoltre produce dopamina, un neurotrasmettitore fondamentale nella scelta delle alternative.

[4] G. LOEWENSTEIN, E.U. WEBER, C.K. HSEE, N. WELCH, “Risk as Feelings”, in Psychological Bulletin, 127, 2001, pp. 267-286.

[5] J.M. HOUSTON, C.L. JOINER, F. UDDO, C. HARPER, A. STROLL, “Computer animation in mock juries’ decision making”, in Psychological reports, 76, 1995, pp. 987-993.

[6] A. L. MORRISON, Gioco misterioso: opinioni della polizia su Jack lo Squartatore, Casebook. http://www.casebook.org/dissertations/dst-mysteryplay.html

[7-8] P. SUGDEN, La storia completa di Jack lo Squartatore, Carroll e Graf Publishers. 2002.

[9] Sono senz’altro da annoverare: M. WALZER, “Political Action: the Problem of Dirty Hands”, in Philosophy and Public affairs, II, 1973, pp. 160 ss.; M. WALZER, La libertà e i suoi nemici, a cura di M. MOLINARI, ed. Laterza, Bari, 2003, pp. 3 ss.; A. DERSHOWITZ, Terrorismo, trad. di C. Corradi (titolo originale: Whyterrorism works. Understanding the threat, responding to the challenge), Roma, 2003, pp. 125 ss.; J. CHOON YOO, The Powers of War and Peace, Chicago, 2005: ID.,War by Other Means, ed. Atlantic, New York, 2006;

[10] M. DANNER (a cura di), Torture and Truth. America, Abu Ghraib, and the War on Terror, New York, 2004; K. J. GREENBERG (a cura di), The Torture Debate in America, Cambridge, 2005.

[11] Per un approfondimento sul tema si veda: Comprendere i crimini d’odio contro i musulmani. Rispondere alle esigenze di sicurezza delle comunità musulmane - Guida pratica, pubblicata dall’OSCE - Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR), 2020.

[12] G. GULLOTTA, Innocenza e colpevolezza sul banco degli imputati. Commento alle Linee guida per un processo sempre più giusto, Milano, Giuffrè, 2018, p. 37.

[13] G. GULLOTTA, P. EGNOLETTI, B. NICCOLAI, L. PAGANI, “Tendenze generali e personali ai BIAS cognitivi e la loro ricaduta in campo forense: fondamenti e rimedi”, in Sistema Penale, 2021, p. 24.

[14] J. RONSON, Psicopatici al potere. Viaggio nel cuore oscuro dell’ambizione, Codice Edizioni, Torino, 2014, pp. 180-184.

[15] Si veda, a tal proposito, il Rapporto sulle sette del Dipartimento di Pubblica Sicurezza che il Ministero degli Interni inviò alla Commissione per gli Affari Costituzionali della Camera dei Deputati del Parlamento Italiano nel 1998. Fonte: Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia, Febbraio 1998. http://www.believeandpreach.com/wp-content/uploads/2017/01/Rapporto_sulle_Sette_del_Dipartimento_di_Pubblica_Sicurezza.pdf.

[16] K Wheeler, Logical fallacies handlist: Arguments to Avoid when Writing, p. 1, http://web.cn.edu/kwheeler/documents/Logic_Fallacies_List.pdf (consultato l’ultima volta il 6 febbraio 2022).

[17] Bo Noir, I bambini di Satana. Il caso di Marco Dimitri, videointervista, https://www.youtube.com/watch?v=wM8VHmaxP74&t=4s (consultato l’ultima volta il 6 febbraio 2022).

[18] S. PASCARELLA, “I Satanisti ammazzano al sabato”, in Wu Ming Foundation, puntate 1, 2 e 3, 2019.

[19] Per saperne di più: Wu Ming 1, “Il mondo di QAnon: come entrarci, perché uscirne. Seconda parte”, in Internazionale, 18 settembre 2020. https://www.internazionale.it/opinione/wu-ming-1/2020/09/18/mondo-qanon-seconda-parte.

[20] S. PASCARELLA, “I Satanisti ammazzano I Satanisti ammazzano al sabato”, in Wu Ming Foundation, puntate 1, 2 e 3, 2019.

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