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“Le polpette della discordia: la questione israelo-palestinese a tavola”

Aggiornamento: 4 set 2021

Ingredienti per l’identità israeliana

Da seimila anni, il popolo d’Israele vive le proprie tradizioni religiose, culturali e culinarie senza rinunciare all’identità ebraica nel significato più profondo della sua essenza. In particolare, da quando il legame tra popolo ebraico e Terra Promessa si è consolidato, il governo israeliano è stato chiamato a coniugare il concetto identitario di ebraismo con quello politico di Stato. La storia dell’origine del falafel è antica almeno quanto la questione israelo-palestinese. L’identità di un popolo passa anche dal cibo.

Figure 1. Il lungomare di Tel Aviv. Foto di Ornella Ordituro.

1. Introduzione


I ceci lasciati a bagno durante la notte, l’aglio, l’olio d’oliva e il sale mescolati e fritti nel modo giusto danno vita a un piatto delizioso conosciuto in tutto il mondo come i falafel. La polpetta fritta di ceci marinati può includere altre spezie e sapori quali cipolla, prezzemolo, coriandolo, limone e melenzane. Si tratta di un piatto kosher di antiche origini, almeno quanto la questione israelo-palestinese.


Il popolo israeliano, nelle cui cucine si è evoluta la tradizione ebraica culinaria (anche non kosher) è, come noto, più vasto rispetto al numero di coloro che praticano l’ebraismo come religione. Sebbene siano una minoranza, circa il 20% della popolazione israeliana è costituito da cittadini arabi in prevalenza di religione musulmana, cristiana o drusi[1]. Le ricette tradizionali israeliane sono, allora, tante quanti i paesi che gli ebrei hanno abitato e le etnie che nel tempo sono diventate di cittadinanza israeliana.


2. La cucina ebraica


Kosher non è, pertanto, la cucina tradizionale israeliana ma è quella cucina che rispetta i dettami della religione ebraica sull'alimentazione. Kosher, infatti, significa “adeguato” o “adatto”, ciò che è kosher deve rispettare le regole alimentari stabilite dalla Torah, interpretate dall'esegesi nel Talmud. La ragione principale per rispettare i dettami kosher non è la cittadinanza israeliana ma l’appartenenza alla fede e all'obbedienza delle regole religiose dell’ebraismo.


3. L’identità ebraica


I falafel sono il simbolo di appartenenza a una Terra e a una religione ma è anche vero che è considerato uno dei piatti preferiti degli israeliani anche di etnia palestinese, di religione cristiana e musulmana, dai drusi e dagli africani. Se sia nata prima la polpetta o lo Stato d’Israele può risultare una questione di “preferenze” ma in verità la tradizione culinaria di un paese è un forte elemento di identità. Quando due popoli si contendono uno stesso territorio ma le relazioni di potere fra di loro sono conflittuali, allora si può parlare anche di guerra culturale. E il cibo, in quanto aspetto della cultura, è coinvolto in pieno. La storia della cucina di un popolo è la storia del popolo stesso.


I falafel sono molto diffusi in tutto il Medio Oriente. Già i primi immigrati ebrei li consumavano, e, se negli anni Venti del Novecento piaceva tanto ai più giovani, negli anni Cinquanta era già percepito e rappresentato come cibo israeliano a tutti gli effetti.


Sebbene esistano delle minoranze, la particolarità del caso d’Israele consiste nel fatto che quest’ultimo è l’unico Paese al mondo in cui l’identità nazionale coincide con quella religiosa: non esiste un’altra nazione, oltre Israele, che sia religiosamente ebraica, così come non esiste un’altra religione, oltre l’ebraismo, che si riferisca ad un’unica nazione. Gli ebrei di tutto il mondo tendono ad enfatizzare la propria unità, riconoscendosi come un popolo solidale che possiede un’identità collettiva, nonostante le disparità culturali dovute sia alle diverse comunità che vivono in diaspora, sia a quelle immigrate in Israele o divenute a cittadinanza israeliana nel corso degli anni.


La conciliazione “perfetta” tra religione e Stato si è cristallizzata non alla nascita dello Stato ma nel momento in cui Israele si è autoproclamato “Stato ebraico” nel 2018. Tuttavia, dall’Indipendenza del Paese ad oggi, la leadership ebraica, sia religiosa sia laica si è trovata a confrontarsi con la domanda:


Chi è ebreo?”

Dal punto di vista religioso ortodosso la risposta potrebbe essere univoca, poiché è “ebreo” chi nasce da madre ebrea o chi fa un processo di conversione. L’attuale dibattito, invece, dimostra una frattura del mondo ebraico, che coinvolge interpretazioni ortodosse, progressiste e laiche.


4. “Israeliano chi?”


Nel 1948 (anno della Dichiarazione d’Indipendenza dello Stato d’Israele), David Ben Gurion, premier e ministro della difesa, dichiarò la necessità di accogliere tutti i popoli del mondo di religione ebraica.


Nel 1958, il governo chiamò cinquanta esponenti del mondo ebraico, “i saggi”, ad esprimersi sulla nozione di ebreo, oggetto di una legislazione dalle forti implicazioni: definire chi avrebbe avuto diritto a beneficiare della Legge del Ritorno e chi del diritto alla cittadinanza israeliana. In una situazione così controversa, consultando le Leggi fondamentali dell’ebraismo, la risposta sarebbe potuta sembrare e sembrerebbe chiara e univoca. Tuttavia, la questione si è riproposta nel 2018, all’indomani della presentazione da parte del governo dell’ex Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, avvenuta nel marzo 2015, di un progetto di Legge che definisce Israele “Lo Stato della Nazione ebraica”.


In verità, la mozione ha obbligato a mettere in gioco concetti molto più ampi, come il problema dei confini non solo geografici ma anche sociali dell’ebraismo. A tal proposito, la politica interna israeliana ha, infatti, negli anni, applicato la religione come unico comune denominatore tra le comunità immigrate dagli altri paesi.


Il popolo ebraico in diaspora era, ed è, essenziale per il progetto sionista e rappresenta la riserva demografica del Paese, la cui esistenza, secondo alcuni studi, non è garantita ed evidente.

Figure 2 Cartolina in vendita in Israele – sul retro, la ricetta del falafel – che ricalca il testo di una t-shirt popolare negli anni ’70. Foto di Nisim Lev.

Oggi come all’epoca, è necessario trovare un comune denominatore tra i popoli in diaspora, quelli immigrati e lo Stato di Israele: se i falafel non sono stati sufficienti, la religione può creare un tale legame ideologico? La caratteristica fondamentale per poter essere cittadino israeliano è quella di appartenere alla religione ebraica per nascita (anche da nonni) o conversione; inoltre, in materia d’immigrazione, la Aliya (il Ritorno alla Terra promessa) è una prerogativa di chi dimostra un’identità ebraica certificata, prevedendo, peraltro, sovvenzioni economiche statali per i nuovi immigrati ebrei.


5. Aspetti politico-sociali


Cionondimeno, la soluzione religiosa come legame ideologico tra il popolo ebraico e lo Stato d’Israele non risulta essere totalmente adatta alle esigenze di tutto il Paese: in primo luogo perché si ripropone la questione identitaria per chi è ebreo ma non praticante; in secondo luogo, perché le minoranze non si sentono sufficientemente tutelate e in terzo luogo perché le leggi statali che riprendono la Halakha (la legge ebraica) coinvolgono anche molti diritti civili[2].


In sostanza, nonostante si tratti di un governo con a capo esponenti del mondo civile e non religioso, si nota che alcune componenti dell’ebraismo non possono cedere il passo, per definizione, alla fondazione di uno Stato democratico secondo una visione moderna, laica ed europea.


Dal punto di vista politico-giuridico, Israele, infatti, è una democrazia con una forma di governo parlamentare, in cui il presidente ed il primo ministro non coincidono in alcun modo con esponenti del mondo religioso. Quello che si è sviluppato in Israele è un power-sharing: una condivisione del potere tra dimensione civile e religiosa. In realtà, si tratta di un modello nato prima dell’indipendenza dell’insediamento sionista in quella che era la Palestina. Quando si formavano i governi c’era sempre al loro interno un partito religioso: non si trattava di una richiesta costituzionale ma neanche di una coincidenza.


I cittadini arabi partecipano agli affari politici e amministrativi delle proprie municipalità e curano gli interessi arabi tramite i rappresentanti da loro eletti alla Knesset (il Parlamento d'Israele), i quali possono agire in politica per promuovere la condizione dei gruppi minoritari e perché questi ricevano la loro parte di benefici nazionali.


6. Lo stato dell’arte


Nell'ambito della presente analisi, stando a quanto appena descritto, i modelli politici occidentali conosciuti risultano difficilmente applicabili ad una situazione unica al mondo; né, tantomeno, possono essere utilizzati quei modelli mediorientali islamici, ad esempio il caso dell’Iran, ove si è più vicini alla teocrazia che a una democrazia.


La vita quotidiana è così impregnata di olio fritto dei falafel e di regole religiose che ad un occhio esterno risulta difficile distinguere e comprendere certe dinamiche. D’altro canto, chi ha provato ad avvicinarsi alla questione israeliana è stato abbagliato dalla complicatissima guerra che coinvolge la Palestina, senza avere l’occasione di toccare con mano la profonda situazione di emergenza identitaria che Israele vive al proprio interno. Fino a che non si delinea anche uno Stato dei palestinesi, Israele non avrà frontiere orientali certe. Ma in una prospettiva più complessa, il sentimento di continua minaccia che vivono gli israeliani non deriva unicamente dalla questione aperta con la Palestina o con i paesi arabo-islamici limitrofi e non (ad esempio, il Libano, la Siria o l’Egitto), bensì sussistono motivazioni interne così intricate da mettere in dubbio l’identità ebraica nel suo significato originale. Inoltre, risulta difficile conoscere taluni sviluppi interni, dal momento che, in un’ottica goy – non ebreo – gli ebrei sono accomunati dalle stesse caratteristiche, secondo un punto di vista che trascura l’enorme differenza culturale che corre tra gli ebrei europei (aschkenaziti), gli ebrei spagnoli e mediterranei (sefarditi), quelli mediorientali (misrahi) ed etiopi (falasha)[3].


L’annosa domanda Chi è ebreo? che invece risulta essere la chiave di volta della conoscenza dello status quo d’Israele, è sempre più spesso trascurata nelle analisi politiche occidentali su Africa e Medio Oriente.

Da quanto osservato, la relazione tra religione e identità collettiva è il principale fattore della scena pubblica israeliana. Inoltre, non si dimentichi che, in tal senso, Israele rientra nello stesso contesto mediorientale dei Paesi arabi di matrice islamica, non solo per ragioni geografiche e politiche ma proprio per le azioni che il Paese adotta a favore della religione.


Interessante, ancora, è ciò che il demografo italo-israeliano Sergio Della Pergola indica come punto fermo nella complessa guerra tra Israele e Palestina, ossia la crescita demografica della popolazione ebraica ortodossa in Israele che nel 2050 sarà superiore a quella della popolazione laica israeliana[4]. Questo dato non può essere sottovalutato, poiché un incremento della popolazione ortodossa in Israele porterà ad un ribaltamento della situazione politica, economica, sociale e culturale del Paese. A tal proposito, sarà in futuro interessante studiare quali saranno le possibilità della “resistenza” d’Israele come Stato ebraico ma democratico e quali le relazioni con la Palestina. I falafel saranno ancora un argomento di dibattito? O la questione si sarà conclusa tutta a favore degli haredim (ebrei ortodossi)?


Il rapporto tra potere e religione nel mondo ebraico si propone, allora, due grandi obiettivi generali: da un lato, la conoscenza e l'apertura alla complessa analogia tra potere e religione insita nell’ebraismo e, dall’altro, la possibile definizione dello Stato d’Israele come ebraico ortodosso e le ripercussioni future nel complicato panorama mediorientale.


7. Conclusioni


Da una prima analisi, non risulta facile, in un’ottica laica, come quella europea, comprendere la difficoltà che il popolo d’Israele ha nel separare la religione dalla politica e quali sono le motivazioni ideologiche a monte del concetto di nazionalità israeliana. Tuttavia, si spera nella possibilità di rafforzare il ponte di comunicazione tra il mondo ebraico e quello palestinese o arabo-islamico in generale, soprattutto in un momento storico come quello attuale, in cui il Medio Oriente vive nuovi assetti geopolitici e la comunità internazionale non sembra adeguatamente pronta a rispondere alle necessità contemporanee.


Israele ha delle peculiarità che non sono lontane dalle altre realtà mediorientali ed è pertanto interessante affermare che, a causa delle ragionevoli contraddizioni interne, lo Stato può essere definito democratico ma in una visione moderna, sionista ed ebraica del termine.


In questo contesto, lo spazio per la Palestina resta per Israele “marginale”. Diversamente da quanto annunciato dal governo palestinese, le elezioni palestinesi, attese da 15 anni, non si sono tenute per motivi interni e non per volontà d’Israele. La sospensione della triplice tornata elettorale che, cominciando il 22 maggio e finendo ad agosto 2021, avrebbe dovuto eleggere nell’ordine il Parlamento palestinese, il Presidente dell’Autorità palestinese e il Parlamento dell’Olp è stata annunciata da Fatah, il partito del Presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen).


La motivazione ufficiale addotta da Abu Mazen è stata l’impedimento al voto di Gerusalemme Est per colpa di Israele. Abbas ha ripetutamente ribadito che se non si fosse permesso il voto ai palestinesi di gerosolimitani – politicamente rilevanti dal momento che l’Autorità palestinese rivendica Gerusalemme Est come propria capitale – le elezioni non si sarebbero tenute. Israele, in verità, non ha mai annunciato né smentito che avrebbero permesso, come già successo nel 2006, le elezioni palestinesi anche a Gerusalemme Est; anche se il non agire di Israele, il non rassicurare, il non annunciare in quali uffici postali ci sarebbe stato il voto non ha certamente aiutato il processo elettorale palestinese in un momento in cui la situazione si è notevolmente aggravata anche per l’ingerenza di Hamas nella politica interna palestinese e lo scatenarsi di una nuova violenta guerra che ha distrutto Gaza.


In sostanza, la Palestina resta ancora una volta senza un governo effettivo e indipendente in grado di poter esercitare le sue funzioni su una popolazione che ha diritto all’autodeterminazione ma è distribuita su un territorio non ancora definito. Questa situazione di perenne instabilità non fa altro che minare il consolidarsi di un popolo che non può ancora considerarsi Stato per il diritto internazionale.


Israele ha, invece, un nuovo governo. La fragile coalizione di Naftali Bennett ha ottenuto il voto di fiducia, e ha posto fine a dodici anni di dominio di Benjamin Netanyahu. Una volta di più, anche in quest’ultima delle ricorrenti guerre aperte, non si dovrebbe dimenticare la causa originale: Gerusalemme, sinonimo di lotta d’indipendenza nazionale per entrambe le popolazioni.


Ricetta convenzionale per i falafel di ceci:


Ingredienti:


200 gr di ceci

1 cipolla grande a pezzi

2 spicchi d’aglio

50 gr di prezzemolo fresco

1 cucchiaino di coriandolo

1 cucchiaino di cumino

2 cucchiai di farina

2 cucchiai di olio d’oliva

sale, pepe e olio per friggere


Preparazione:


Unire in una padella i ceci cotti*, 2 cucchiai di olio d’oliva, l’aglio, la cipolla, il coriandolo, il cumino, il sale, il pepe e la farina: il risultato, dopo aver schiacciato i ceci e girato per bene, è quello di ottenere una salsa densa. Prendere l’impasto e creare delle polpette della grandezza che si desidera e friggerle in olio di semi. Solitamente i falafel vanno serviti caldi.


*Come fare per cuocere i ceci: Lasciare a mollo per almeno 8h i ceci in una ciotola coperta d’acqua fredda. Trascorso il tempo necessario, mettere i ceci in una pentola colma di acqua e sale, portarli ad ebollizione per 5 minuti, quindi cuocerli a fuoco basso per circa un’ora. Scolarli e lasciarli raffreddare.


Cucina kosher, ecco le 7 regole base dei cibi kasherut:


  1. Gli animali devono avere lo zoccolo fesso ed essere ruminanti. I maiali non rientrano in questo insieme e per questo non sono Kosher.

  2. I pesci devono avere sia le squame sia le pinne. Animali marini come le aragoste, i granchi, le seppie e le anguille non sono kosher.

  3. Gli uccelli rapaci non sono kosher ma i polli, le anatre, le oche e i tacchini sono tutti kosher.

  4. Gli animali devono essere macellati da un rabbino qualificato e il loro sangue deve essere stato drenato. L'etichettatura kosher ufficiale deve essere ben visibile.

  5. La carne e il latte (latticini) non devono essere consumati insieme. Prima di passare da un alimento all'altro dovrebbe trascorrere il tempo sufficiente alla digestione.

  6. In una cucina kosher gli utensili per la carne devono essere separati da quelli che servono per formaggi e latticini.

  7. Le materie prime non devono contenere insetti o bachi - bisogna quindi usare i pesticidi. In Israele, i terreni su cui si coltiva devono rimanere a riposo una volta ogni 7 anni.


Per un approfondimento sulla cucina Kosher


GUSTO KOSHER Podcast Edition: il primo evento live italiano dedicato all’enogastronomia ebraica si presenta in una versione per l’ascolto.

https://podcasts.google.com/feed/aHR0cHM6Ly93d3cuc3ByZWFrZXIuY29tL3Nob3cvNDc5NDcyMi9lcGlzb2Rlcy9mZWVk?sa=X&ved=0CAMQ4aUDahcKEwjwg-WhldnxAhUAAAAAHQAAAAAQAQ&hl=it

1) Episodio 1 | La Melanzana

2) Episodio 2 | Il Carciofo e il Topinambur

3) Episodio 3 | Le Spezie

4) Episodio 4 | I ceci


Per approfondimenti sulla questione dell’hummus tra Israele e Libano


I ceci sono uno degli ingredienti fondamentali sia nella tradizione giudaica sia in uno dei piatti più amati in Israele. I ceci sono anche l’ingrediente fondamentale per l’hummus. La leggendaria “guerra” dell’hummus è, invece, tra Israele e Libano. Nel 2008, il Presidente dell’Associazione Industriali libanesi, Fadi Abboud, accusò Israele di aver guadagnato sulla falsa propaganda dell’hummus come piatto tradizionale della cucina israeliana.


  • https://www.jpost.com/middle-east/lebanese-to-israel-hands-off-our-hummus

  • https://www.bbc.com/travel/article/20171211-who-invented-hummus

  • Beyond Hummus and Falafel Social and Political Aspects of Palestinian Food in Israel, Liora Gvion (Autrice), David Wesley ed Elana Wesley (Traduttori)

  • Hummus the Movie, un documentario di Oren Rosenfeld, Rebecca Shore e Baruch Goldberg

  • https://www.youtube.com/watch?v=eKjDBcUopFE

  • Carlo Benedetti, Falafel e conflitto

  • https://www.lavoroculturale.org/cibo-identita-israele-palestina/carlo-benedetti/2020/


Riferimenti sul tema generale


Sergio Della Pergola, Israele e Palestina: la forza dei numeri. Il conflitto mediorientale fra demografia e politica, Il Mulino, 2007

Nello Del Gatto, Voto non garantito a Gerusalemme. La Palestina rinvia ancora una volta le elezioni attese da 15 anni, Affari Internazionali.

https://www.affarinternazionali.it/2021/05/palestina-rinvio-elezioni/


Ugo Tramballi, Israele Stato-Nazione degli ebrei», ecco perché la legge fa discutere, Il sole 24 ore

https://www.ilsole24ore.com/art/israele-stato-nazione-ebrei-ecco-perche-legge-fa-discutere-AErKACPF?refresh_ce=1


«I razzi, le bombe; i morti israeliani fuori e quelli palestinesi dentro la gabbia di Gaza; il mondo con le reazioni dei paesi musulmani che d’improvviso riscoprono la causa palestinese, il visibile fastidio di Joe Biden e i silenzi europei; l’uso politico dei partiti italiani che al Portico d’Ottavia hanno banalizzato una tragedia fino a trasformarla in comizio per le imminenti elezioni al Comune di Roma».


Ugo Tramballi, Se ti dimentico, Gerusalemme…, Il sole 24 ore

https://ugotramballi.blog.ilsole24ore.com/2021/05/15/ti-dimentico-gerusalemme/


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Note

[1] https://embassies.gov.il/rome/AboutIsrael/People/Pages/SOCIETY-%20Mi nority%20 Communities.aspx [2] L’istituzione del matrimonio, ad esempio, è una materia di esclusiva competenza delle autorità religiose rabbiniche. Il quadro normativo prevede esclusivamente il matrimonio di rito ebraico ortodosso e nel sottolineare come la religione sia il carattere fondamentale di questo Stato non può non notarsi come l’istituto della famiglia diventi, in tal senso, un tema estremamente delicato. In tale contesto, pertanto, l’eventuale processo di divorzio è piuttosto complicato, in quanto, deve essere gestito dai tribunali rabbinici ed è molto spesso sfavorevole alle donne che, di fatto, subiscono pesanti discriminazioni. Il divorzio è visto come una concessione data dall’uomo alla donna, che rischia dunque di rimanere legata e dipendente dalla concessione stessa. [3] Nonostante la difficoltà di accertare il legame delle tribù africane con la religione ebraica, molti testi religiosi, interpretazioni rabbiniche e storie mitologiche confermano la presenza di ebrei in Africa subsahariana e giustificano il loro ritorno in Israele. La più grande è senza dubbio quella dei Falasha (“esiliati” in aramaico). Gli ebrei etiopi si collocano principalmente nelle regioni nord-orientali dell’Etiopia, al nord del lago Tana, mentre alcuni gruppi si sono spinti nello scorso secolo più a est, nelle zone del Tigré. Appartenenti al gruppo Beta Israel, traggono le loro origini da tre storie antichissime. È ben difficile distinguere il nucleo di verità storico-biblica dalle sovrapposizioni di natura leggendaria. La storia della regina di Saba è quella più celebre. La sua versione ebraica è anche contenuta nel Kebra Nagast (il più importante libro religioso etiope). Per approfondimenti: https://ilcaffegeopolitico.net/48512/il-patto-di-alleanza-tra-comu nita-africane-di-ebrei-e-israele. [4] Israele e Palestina tra demografia e politica https://www.affarinternazionali.it/segnalazioni/israele-e-palestina-tra-demografia-e-politica

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