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All’origine dei trend migratori afghani: dominare o arginare l’incertezza?

Aggiornamento: 18 nov 2021

1. Introduzione


L’Afghanistan, vantando un’ottima posizione strategica, è stato oggetto di forte interesse sin dai tempi antichi da parte delle principali potenze occidentali e non solo. Crocevia di scambi commerciali, il Paese è stato una posta in gioco appetibile per interessi strategici prima inglesi, poi sovietici, poi talebani, seguiti dagli americani e di nuovo, oggi, dai talebani. Una frammentazione etnica e una storia complessa che fotografano una delle crisi umanitarie più forti al mondo, quella di un Paese vittima di violenze e di invasioni continue. Come risposta, tra le terribili conseguenze a livello politico-economico, sono milioni gli afghani che nel corso di questi anni hanno lasciato il proprio Paese.


Ondate migratorie, flussi di rifugiati, rimpatri e instabilità sono parole all’ordine del giorno per l’Afghanistan che oggi, con il ritorno dei talebani al potere, fa di nuovo parlare di sé. Si accendono i riflettori su un Paese la cui drammatica situazione mal si conosce ma che, allo stesso modo, fa scaldare gli animi (per approfondire rimandiamo a un compendio di dieci punti curato dai nostri colleghi).


C’è chi si preoccupa della stabilità del Paese, chi delle conseguenze per le donne e per i soggetti più vulnerabili, chi invece pensa alla situazione economica e chi alza le mani di fronte a possibili nuove ondate di rifugiati. Con i Paesi limitrofi e un’Europa oggi tanto combattuti e con il ritorno dei talebani a Kabul, quali i possibili scenari per le migrazioni? Quali le “soluzioni”?


2. Afghanistan: quel Grande gioco tra un mosaico di popoli e decenni di storia


Parlare oggi responsabilmente di Afghanistan vuol dire anche imbattersi con curiosità in una storia ricca e complessa di un Paese che ha rappresentato il connubio perfetto fra interessi e giochi di potere tanto in Oriente quanto in Occidente ormai da vecchia data. Basti pensare ai ricchi scambi commerciali tra le due sponde che hanno reso l’Afghanistan il crocevia di continui movimenti eil terreno di transito per diverse truppe nel corso degli anni. Non è possibile comprendere le dinamiche del Paese senza un rimando al Grande Gioco ottocentesco che ha visto opporsi impero russo e impero britannico in una partita con il controllo dell’Asia come posta in gioco o, ancora, non tenendo conto di tutte le dinamiche geopolitiche e strategiche tra le due super potenze negli anni della Guerra Fredda.


Tra scontri e strategie nazionali messi in campo, la forte frammentazione etnica e tribale afghana, spesso causa di interessi di diverse parti nello scenario internazionale, ha ulteriormente ostacolato la situazione socio-economica del Paese con diversi gruppi etnici che nel corso degli anni si sono qui stanziati o da qui si sono mossi.[1]


I principali gruppi in termini numerici sono i pashtun, seguiti dai tagiki. Il primo gruppo è a sua volta suddiviso in ulteriori sottogruppi (durrani, ghilzai e altri gruppi tribali dell’Est) tra i quali i Kuchi, persone dedite alla pastorizia che stagionalmente si spostavano liberamente tra Afghanistan, Pakistan e Iran.[2]Il secondo gruppo raccoglie invece sedentari dediti ad attività legate al settore primario, con particolare attenzione all’area commerciale e al mondo agricolo. Seguono gli hazara, altro gruppo etnico fortemente presente nel Paese e segnato da forti scontri interni a causa delle tensioni tra i sottogruppi etnici di stampo islamista filo-khomienista e quelli più nazionalisti, che sono oggi ricordati per le discriminazioni subite nel corso di viaggi migratori finalizzati alla ricerca di occupazione nel settore della manodopera.[3]

Tra gli altri gruppi etnici figurano gli Uzbek (9%), gli Aimak (4%), i Turkmen (3%), i Baloch (2%) e altri gruppi minoritari (4%).[4]


3. Una overview storica sui trend delle migrazioni afghane


Il tema della migrazione in Afghanistan è quindi tutt’altro che attuale, riconoscendosi in forti radici storiche e intrecciandosi fra ricca frammentazione etnica e posizione geografica strategica.


Sotto il punto di vista dei gruppi etnici, il caso dei pashtun, presenti tanto in Pakistan quanto in Afghanistan, è ricordato per gli spostamenti oltre il confine imposto dal controllo inglese per i propri interessi commerciali (seconda metà dell’Ottocento), la linea Durand.[5] Sulla stessa scia, il gruppo degli hazara dell'Afghanistan che ha abbracciato una migrazione transfrontaliera con l'Iran per affinità religiose, in particolare negli anni che hanno preceduto l’invasione sovietica del Paese.


Afghanistan, Pakistan e Iran raccontano una evoluzione di flussi migratori già da tempi antichi, che riprendono legami e vincoli tra i gruppi etnici e che ben si sposano con la situazione politico- economica del Paese. Sempre prima dell’invasione dell’Urss (1979), l’Afghanistan non vantava infatti grosse opportunità lavorative né buone possibilità di formazione e istruzione. A queste problematiche fecero seguito una forte siccità nel corso degli anni Settanta e la crisi petrolifera del 1973. Le destinazioni principali per fuggire da questa realtà restarono allora l’Iran, il Pakistan e altri Paesi limitrofi che ben accolsero gli afghani fino a circa il 1989.[6]


A seguire, precisamente nella primavera del 1992, i gruppi che si opposero ai sovietici nel corso della guerra afghana (i Mujahideen) raggiunsero Kabul e deposero il governo, innescando una serie di ostilità di fronte a un nuovo governo da creare[7] e giungendo così a una guerra civile (1992-96). Riconoscendo alcuni limiti nei dati consultabili, solo negli anni della presenza sovietica in Afghanistan si registrano circa due milioni di sfollati interni e, con il finire della guerra civile poi e i talebani che catturano Kabul e altre grandi città, la paura del totalitarismo di questi ultimi lascia quindi queste aree del Paese in forte allarme, con molte migrazioni interne e, nei limiti delle loro possibilità, verso la parte settentrionale del Paese.[8]


4. Dal 2001 a oggi: la migrazione afghana nei vent’anni sotto le strisce rosse e blu


Sono passati vent’anni da quell’undici settembre 2001, quando il mondo sembra essersi fermato. Le Torri Gemelle crollavano e solo il mese successivo, vantando il supporto della comunità internazionale, gli Stati Uniti invadevano l’Afghanistan per rovesciare il regime dei talebani. Iniziava la War on terror e le dinamiche migratorie per gli afghani si intensificavano. Nonostante questa fase storica ricordi Kabul per un numero abbastanza rilevante di rimpatri volontari (e forzati), in particolare molti provenienti dal Pakistan, il riscontro dato dal Solutions Strategy for Afghan Refugees (2012) ci dice anche altro. Si tratta di un accordo tra Afghanistan, Pakistan e Iran con il sostegno dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) che nacque con l’obiettivo di identificare e attuare soluzioni globali di fronte alla presenza massiccia dei rifugiati afghani per favorirne il rimpatrio in gran numero. In realtà a questo obiettivo non si registrò l’atteso riscontro e molti afghani continuarono a rispondere alle loro necessità con un occhio sui Paesi esteri e su quelli confinanti. A tal proposito, una ricerca commissionata dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNCHR) a Kabul[9] ha evidenziato il ruolo fondamentale della migrazione circolare tra Pakistan e Afghanistan. Altro aspetto, che per ragioni di spazio non approfondiamo in questa sede ma che interessa questi anni, è il ruolo giocato dalla migrazione interna legata a processi di urbanizzazione del Paese.[10]


Qui brevemente, per comprendere le statistiche sul tema dell’immigrazione in Afghanistan[11] nel corso di questi anni, tenendo conto dei dati forniti da World Bank, risulta che “per il 2005 queste sono state 87.300, con un aumento del 14,99% rispetto al 2000; per il 2010 sono state 102.246, con un aumento del 17,12% rispetto al 2005 e per il 2015 sono state 382.365, con un aumento del 273,97% rispetto al 2010[12]. Se vogliamo invece leggere dei dati sui rifugiati afghani, sempre World Bank fotografa la seguente situazione: “le statistiche sui rifugiati afgani per il 2017 sono state 75.927, con un aumento del 27,03% rispetto al 2016, per il 2018 sono state 72.228, un calo del 4,87% rispetto al 2017, per il 2019 sono state 72.227, con un aumento dello 0% rispetto al 2018 e per il 2020 sono state 72.278, con un aumento dello 0,07% rispetto al 2019[13]”.


Infine, per meglio comprendere la situazione attuale e gli attuali tremori per opinioni pubbliche e agende politiche nell’Unione europea, ci vogliamo soffermare sui dati relativi al 2015, anno della più grande crisi migratoria che interessò l’Europa. Facendo fede ai dati forniti dall’UNHCR, nel 2015 sono giunte sulle coste europee 1.015.078 persone e gli afghani hanno rappresentato la seconda nazionalità maggioritaria, solo dopo quella siriana. Oggi sono anche questi dati a far risvegliare alcuni Paesi europei, intimoriti da una nuova possibile “crisi” che, con il ritorno al potere dei talebani, appare sempre più reale.


5. Le ultime settimane tra porte aperte e muri alzati


Con la nuova presa del potere dei talebani lo scorso agosto, un campanello d’allarme suona tanto per i Paesi limitrofi che, come accennato in precedenza, per un’Europa intimorita di rivivere una crisi migratoria come quella del 2015.


Di fronte a questo scenario, tra ultimi voli e richieste di assistenza, tra le paure di donne e di attiviste, di famiglie e bambini, una visione comune che metta d’accordo gli Stati non è così immediata. Ancora una volta si presentono i punti deboli di una Unione europea che non parla con una sola voce, ma che vede bracci di ferro fra i suoi Stati e i suoi principali “alleati”. È il caso della Turchia che si è mossa fin da subito per la costruzione di una barriera lunga quasi 300 km al confine con l’Iran, e che ha spinto la Grecia a rispondere con la costruzione di un altro muro di 40 km al confine, garantendosi un sistema di sorveglianza preciso e puntuale. Anche la Polonia ha alzato un muro al confine con la Bielorussia, accusata di spingere migranti e rifugiati arrivati sul proprio territorio verso la Polonia e la Lituania. Per loro conto, la Germania e altri Stati europei hanno concesso di ospitare rifugiati provenienti dall’Afghanistan; l’Italia, come altri, si è impegnata tramite il mondo del Terzo settore, il Ministero degli Affari esteri, giornalisti e attivisti a supportare le fasce più deboli presenti in Afghanistan.


Mentre gli Stati cercano (forse) una soluzione condivisa sull’accoglienza, ad oggi non si può restare fermi di fronte alle richieste di evacuazione di donne, bambini e dei soggetti più deboli. Quali saranno i prossimi passi? Quali invece le possibili soluzioni?


6. Corridoi umanitari: una soluzione per l’Afghanistan?


Soffermandoci sul caso italiano, in questa sede vogliamo presentare la Lettera aperta delle associazioni aderenti alla rete “In Difesa Di” sulla situazione in Afghanistan.


Firmano AIDOS, ARCI, CISDA, CIPSI, COSPE, Centro Diritti Umani Antonio Papisca (Univ. Padova), Cultura è Libertà, Forum Trentino per la pace e i diritti umani, Giuristi democratici, HRIC, ISCOS, Lega per i Diritti dei Popoli, Osservatorio Solidarietà della Carta di Milano, Terra Nuova, YAKU che scrivono:

Chiediamo che l’Italia e l’Europa si impegnino per una evacuazione immediata senza esclusioni, accogliendo subito tutti coloro che fuggono dal paese, in particolare, le donne nubili o sole con figli, ragazze e bambine, persone LGBTI, le attiviste e gli attivisti per i Diritti Umani, le giornaliste e giornalisti, avvocate e avvocati, insegnanti, studenti, tutti coloro che hanno collaborato in programmi umanitari e di sviluppo con le organizzazioni internazionali e che si erano maggiormente esposti risultando oggi bersagli tanto più facili per la violenza talebana.
L’Europa e l’Italia promuovano dunque in tempi utili allo scopo corridoi umanitari per i rifugiati provenienti dall’Afghanistan, li accolgano con generosità, nel rispetto della legalità e con il sostegno ai paesi di primo ingresso[14]”.

Per questioni di chiarezza, riprendiamo qui la seguente definizione di corridoi umanitari reperibile sul sito del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale:

Nati dalla collaborazione tra istituzioni - Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e Ministero dell’Interno - e società civile – Caritas Italiana, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese - i corridoi umanitari sono un programma di trasferimento e integrazione in Italia rivolto a migranti in condizione di particolare vulnerabilità: donne sole con bambini, vittime del traffico di essere umani, anziani, persone con disabilità o con patologie[15]”.

Questa opzione è stata parecchio discussa nelle ultime settimane di fronte alle immagini e alle notizie che arrivano da Kabul e per questo crediamo sia il caso di approfondire il loro funzionamento.


Il progetto “Apertura di corridoi umanitari” nasce in Italia il 15 dicembre 2015 con un Protocollo d’intesa tra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e il Governo italiano, ed è stato rinnovato il 7 novembre 2017. I primi passi di fronte alla possibilità di “aprire” un corridoio umanitario sono mossi inizialmente dalle associazioni e dalle organizzazioni che desiderano beneficiare di questo “strumento” e stilano così delle liste dei soggetti che ritengono doveroso dover supportare (questo con l’assistenza di ONG, organizzazioni internazionali ed enti terzi presenti o partner del Paese di riferimento).A questa prima fase seguono prima delle verifiche a cura sia dei responsabili delle associazioni che del Ministero dell’Interno e solo dopo, le liste aggiornate e corrette sono inviate alle autorità consolari italiane dei Paesi target le quali rilasciano, se opportuno, dei “visti umanitari con validità territoriale limitata” (solo per l’Italia) ai sensi dell’art. 25 del Regolamento (CE) n. 810/2009 del 13 luglio 2009. Giunti in Italia, i beneficiari sono poi accolti dai promotori del progetto che si occupano dell’accoglienza, dell’integrazione e della formazione.


Una iniziativa di tale portata si propone oggi come possibile soluzione anche negli altri Stati facenti parte dell’area Schengen. Tuttavia, siamo consapevoli che i corridoi umanitari costituiscono certamente un buon esempio di accoglienza, ma non potrebbero mai presentarsi come la sola risposta di fronte al complesso tema della migrazione.


Tutti i leader europei devono imparare insieme le lezioni dell’attuale tragedia in Afghanistan. Non è solo un fallimento americano. Sicurezza, terrorismo, islamismo, migrazione, stabilità regionale: queste sono anche le nostre sfide” dichiara il politico francese ed ex commissario europeo Michel Barnier. Che ci piaccia o no dovremmo prima di tutto raggiungere una maggiore consapevolezza e, seppur riconosciamo l’ideale delle nostre parole, dovremmo soprattutto assumerci le nostre responsabilità come singoli cittadini, come Stati, come comunità internazionale o, ancora più semplicemente, come esseri umani.


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All’origine dei trend migratori afghani dominare o arginare l’incertezza - Roberta Carbone
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Note

[1] I. Cosoleto, Le minoranze in Afghanistan tra Costituzione formale e materiale, 2008. [2] Per approfondire suggeriamo la lettura di L. Jazayery, The migration–development nexus: Afghanistan case study in International Migration 40.5, 2002, pp. 231-240. [3] L. La Bella, Dinamiche etniche, tribali e politiche in Afghanistan, Osservatorio di Politica internazionale n°6, 2010. Il pdf è consultabile al seguente link: https://www.parlamento.it/documenti/repository/affariinternazionali/osservatorio/approfondimenti/Approfondimento_6_CESI_Afghanistan.pdf [4] Fonte delle percentuali aggiornate al 2008: http://sid.ethz.ch/debian/cia-world-factbook/factbook-2008/geos/af.html [5] Per approfondire rimandiamo all’analisi di Spreafico G., La linea Durand: origini e sviluppi della disputa territoriale tra Afghanistan e Pakistan per Geopolitica.info, 2020. L’analisi è consultabile online al seguente link: https://www.geopolitica.info/la-linea-durand-origini-e-sviluppi-della-disputa-territoriale-tra-afghanistan-e-pakistan/ [6] A. Monsutti, Afghan Transnational Networks: Looking Beyond Repatriation, Afghanistan Research Evaluation Unit, 2006. Diversamente dall’Iran, il Pakistan non avendo ratificato la Convenzione sui rifugiati del 1951 e il rispettivo Protocollo del 1967, è possibile immaginare una risposta differente rispetto a quella dell’Iran in termini di accoglienza. Tuttavia, fino a 1989, il Pakistan ha seguito l’esempio dell’Iran, firmando anche un accordo con le Nazioni Unite per garantire assistenza e servizi ai rifugiati afgani. La lettura completa del documento è possibile su: https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/6A583751924F6A31492571F400099A52-areu-afg-31aug.pdf [7] Sul fronte politico, un esempio interessante che, come in tal caso, rimanda a nuove ondate migratorie è il colpo di stato che, sul finire degli anni Settanta, è stato promosso dal Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan in contrasto al governo allora in carica e che portò alla nascita del primo regime a stampo marxista nel Paese. A questo seguirono le scelte di tanti intellettuali che non si riconoscevano nel nuovo “ordine” e che si sentivano minacciati di fronte a possibili reclusioni. [8]S. Schmeidl, Sources of Tension in Afghanistan and Pakistan: a regional perspective, CIDOB, Policy Research Project, 2014. https://www.cidob.org/en/publications/publication_series/project_papers/stap_rp/policy_research_papers/sources_of_tension_in_afghanistan_and_pakistan_a_regional_perspective [9] Rimandiamo alla ricerca https://www.unhcr.org/research/evalreports/4fcf23349/unhcrs-voluntary-repatriation-program-evaluation-impact-cash-grant-altai.html) [10] file:///C:/Users/Pc/Downloads/BOUND_FOR_THE_CITY_A_Study_of_Rural_to_Urban_Labou.pdf [11] Riportiamo quanto precisato dal database di raccolta dati per facilitare la comprensione dei numeri: “Lo stock di migranti internazionali è il numero di persone nate in un paese diverso da quello in cui vivono. Comprende anche i rifugiati. I dati utilizzati per stimare lo stock di migranti internazionali in un determinato momento sono ottenuti principalmente dai censimenti della popolazione. Le stime sono ricavate dai dati sulla popolazione-persone di origine straniera che hanno la residenza in un paese ma sono nati in un altro paese. Quando i dati sulla popolazione straniera non sono disponibili, i dati sulla popolazione straniera, cioè le persone che sono cittadini di un paese diverso da quello in cui risiedono, sono utilizzati come stime. Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica nel 1991, le persone che vivevano in uno dei nuovi paesi indipendenti, nate in un altro paese, sono state classificate come migranti internazionali. Le stime del patrimonio migratorio nei nuovi Stati indipendenti a partire dal 1990 si basano sul censimento del 1989 dell'Unione Sovietica. Per i paesi con informazioni sul patrimonio migratorio internazionale per almeno due punti nel tempo, l'interpolazione o l'estrapolazione è stata utilizzata per stimare il patrimonio migratorio internazionale il 1º luglio degli anni di riferimento. Per i paesi con un'unica osservazione, le stime per gli anni di riferimento sono state ricavate utilizzando i tassi di variazione dello stock migrante negli anni precedenti o successivi alla singola osservazione disponibile [12] https://www.macrotrends.net/countries/AFG/afghanistan/immigration-statistics [13] https://www.macrotrends.net/countries/AFG/afghanistan/refugee-statistics [14] https://www.cospe.org/news/65805/lettera-aperta-sulla-situazione-in-afghanistan-al-presidente-del-consiglio-ministri-degli-esteri-e-degli-interni-comitato-diritti-umani-nel-mondo-commissione-e-parlamento-europei-nazioni-unite/ [15] https://www.esteri.it/mae/it/politica_estera/temi_globali/diritti_umani/i-corridoi-umanitari.html


Bibliografia/ Sitografia

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