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Middle East Strategic Alliance: molto rumore per nulla?

Aggiornamento: 14 dic 2020

La Middle East Strategic Alliance (MESA), promossa dagli Stati Uniti nel maggio 2017, dovrebbe configurarsi come un passo in avanti verso una maggiore cooperazione in ambito di sicurezza militare, ma anche economico-politica tra gli Stati Uniti e i paesi mediorientali. Lo scorso 13 febbraio nell’incontro tenutosi a Varsavia, i leader dei paesi mediorientali sembrano però aver posto un freno alla concretizzazione di quella che alcuni esperti definiscono come la nuova “NATO araba”. Cerchiamo di capire in cosa consiste questa alleanza e le motivazioni che ne ritardano la nascita.


1. Che cos’è e quali obiettivi si prefigge

Nel summit di Riyadh del maggio 2017, il presidente Donald J. Trump e i leader di 55 paesi arabi si sono impegnati verso una maggiore cooperazione in ambiti di interesse comune, primo fra tutti la lotta al terrorismo e l’impegno verso una rinnovata stabilità e pace nel contesto mediorientale.

In modo particolare, nella dichiarazione di Riyadh viene annunciata l’intenzione di formare un’alleanza strategica per il Medioriente che coinvolgerà gli Stati Uniti e i paesi arabi che vorranno farne parte. Tra questi, quelli che hanno dichiarato l’intenzione di entrare a farne parte sono gli stati membri del Gulf Cooperation Council (GCC), quali il Bahrain, il Kuwait, l’Oman, il Qatar, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, così come l’Egitto e la Giordania. L’idea di una maggiore cooperazione tra gli Stati Uniti e i paesi mediorientali non è una novità del summit di Riyadh, quanto piuttosto un primo passo verso la realizzazione di quanto affermato dal governo statunitense nella National Defense Strategy del 2018 e nella National Security Strategy del dicembre 2017. In entrambe le strategie, la volontà degli Stati Uniti è chiara: si ambisce alla nascita di nuovi meccanismi di consultazione regionale in Medioriente e al rafforzamento dei già esistenti moduli di interoperabilità militare e strategica, affinché il compito di difesa degli interessi statunitensi e della regione mediorientale sia condiviso da tutti i membri dell’alleanza in modo eguale. Questa strategia, che punta dunque a rendere i paesi arabi sempre più autonomi in termini di sicurezza e difesa rispetto all’alleato statunitense, è compatibile con la determinazione del presidente Trump di ridurre il contributo degli Stati Uniti nella stabilizzazione della sicurezza nella regione mediorientale, fino a renderlo equivalente a quello fornito dai paesi del Golfo stessi.


2. I tre pilastri MESA

Per comprendere meglio la struttura e l’idea di operabilità che la Middle East Security Alliance dovrebbe avere, la si può suddividere in tre grandi pilastri: securitario, politico ed economico-energetico. Li esamineremo uno alla volta per avere un quadro d’insieme della sua funzionalità. Il pilastro securitario, la base dunque della strategia, si configura con una forte propensione verso l’interoperabilità, quindi una condivisione, dei sistemi di sicurezza e difesa dei paesi aderenti. Questo verrebbe realizzato attraverso dei “centri di capacità regionali” che dovrebbero occuparsi della gestione dei domini di difesa marittimi, aerei, cyber e missilistici, così come della gestione della sicurezza dei confini, dei modelli di guerre asimmetriche, del comando e del controllo. Come scritto anche nella già citata National Defense Strategy degli Stati Uniti, l’amministrazione Trump auspica una comunicazione tra i paesi aderenti alla strategia, che arrivi ad un pieno sviluppo della condivisione di informazioni militari, di modernizzazione degli equipaggiamenti militari per arrivare al pari con quelli statunitensi. MESA dovrebbe quindi servire anche a colmare le differenze militari operative tra i paesi mediorientali e gli Stati Uniti, al fine di avere un unico livello operativo coordinato.

Il pilastro politico sembra essere quello di più difficile attuazione, date le sue alte ambizioni in un contesto regionale quale quello mediorientale, caratterizzato da profonde differenze e divisioni in materia di politica estera e di vicinato. Il pilastro politico mirerebbe, infatti, ad una politica estera condivisa e ad una capacità da parte degli stati membri di riuscire a risolvere insieme le crisi regionali che potrebbero verificarsi. Inoltre, gli Stati Uniti vorrebbero coinvolgere i paesi firmatari del MESA nella risoluzione di quello che viene definito l’“Accordo del secolo” da parte dell’amministrazione Trump, cioè una possibile definitiva risoluzione della crisi israelo-palestinese, i cui termini dovrebbero essere resi noti dopo il 9 aprile, giorno delle elezioni politiche in Israele. Per quanto riguarda il ruolo che Israele avrebbe nella Middle East Strategic Alliance, il segretario di Stato Mike Pompeo ipotizza per ora un aiuto esterno da parte israeliana. Israele quindi, non entrerebbe di fatto tra i membri MESA, ma diverrebbe un attore esterno importante nel fornire ai paesi arabi nuove capacità in ambito militare e di C4ISR (comando, controllo, comunicazione, computer e intelligence, sorveglianza e riconoscimento). 

Il pilastro economico è quello a cui gli analisti hanno dato meno rilievo, visto il già ampio volume di scambi economico-commerciali esistente tra gli Stati Uniti e i paesi arabi. Attraverso questo pilastro, la strategia avrebbe l’opportunità di pianificare e coordinare lo sviluppo economico e il settore energetico della regione, grazie alla collaborazione di alcune agenzie statunitensi come l’Overseas Private Investment Corporation (OPIC), la U.S. Agency for International Development (USAID) e l’U.S. Trade Representative Office (USTR). Il nuovo obiettivo commerciale che gli Stati Uniti si pongono nella regione attraverso MESA, è quello di fronteggiare la costante crescita degli investimenti cinesi e russi nella regione mediorientale, specialmente quelli nel settore energetico, nucleare, petrolifero e del gas. Infine, il pilastro economico dovrebbe essere il braccio operativo del pilastro della difesa, servendo da collegamento tra lo stanziamento dei fondi statunitensi per il rafforzamento della sicurezza nella regione e il loro effettivo utilizzo da parte dei governi dei paesi arabi aderenti alla strategia.


3. I vantaggi degli Stati Uniti

Uno dei principali vantaggi che gli Stati Uniti trarrebbero dalla realizzazione di questa alleanza strategica, sarebbe, come si è già osservato, una effettiva e costante diminuzione della presenza militare statunitense nella regione. Questo è stato fin dall’inizio uno degli obiettivi della politica estera del presidente Trump, sebbene tra molti pareri contrari anche tra i membri della sua amministrazione, come dimostrano le dimissioni dell’ex segretario alla Difesa Jim Mattis, contrario alla decisione del presidente di ritirare duemila militari dalla Siria e nonostante l’ISIS non possa dirsi definitivamente sconfitto.

Tuttavia, le motivazioni che hanno portato il governo degli Stati Uniti a voler configurare una nuova alleanza con i paesi arabi sono anche e forse soprattutto, di motivo geopolitico. Inizialmente, questa strategia era stata elaborata infatti, per far sì che i paesi mediorientali alleati degli Stati Uniti, riuscissero a contenere l’Iran, definito dagli Stati Uniti come la prima fonte di pericolosa instabilità del Medioriente, senza l’intervento americano e senza un intervento della Russia o della Cina. Solo in un secondo momento gli ufficiali del dipartimento di Stato hanno dato a questa strategia un respiro più ampio, che cerca di racchiudere degli obiettivi strategici maggiori e differenti. Da questo deriverebbe la ripartizione in tre pilastri della strategia. Inoltre, attraverso MESA gli Stati Uniti otterrebbero dai paesi arabi un maggiore investimento e un accresciuto controllo delle loro proprie spese per la difesa e ciò dovrebbe limitare l’influenza degli investimenti russi e cinesi nella regione, soprattutto in chiave del loro supporto all’Iran. L’aspetto del contenimento dell’influenza cinese e russa nella regione mediorientale è diventato preliminare negli ultimi anni per le amministrazioni statunitensi. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, da sempre alleati numero uno degli Stati Uniti, negli ultimi anni hanno collaborato tra loro per cercare di fornire armi agli altri paesi arabi che non fossero di provenienza americana. La Cina ha venduto missili balistici e droni ai paesi del Golfo e ha stabilito la sua prima base operativa militare d’oltremare a Gibuti, vicino alle presenze militari strategiche statunitensi nella regione. La Russia da parte sua, non pone certo meno problemi agli Stati Uniti. La presenza militare e politica della Russia nella regione, accresciuta negli ultimi anni soprattutto riguardo al suo ruolo nella guerra in Siria, comprende ormai una cooperazione con tutti i paesi arabi solitamente alleati degli Stati Uniti. L’Egitto ha sempre acquistato armi dalla Russia, ma di recente anche il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita avrebbero acquistato sistemi di difesa S-400 dalla Russia. Non deve sorprendere dunque, che il Pentagono voglia stringere una nuova e più esclusiva alleanza con i paesi mediorientali: il dominio militare e politico che gli Stati Uniti hanno avuto da sempre nella regione è visibilmente compromesso.


4. Il summit di Varsavia e i limiti della realizzazione della strategia

Dal 13 al 14 febbraio si è svolta a Varsavia la Conferenza sulla stabilità e la sicurezza in Medio Oriente, voluta dal presidente Trump e alla quale hanno partecipato oltre 60 paesi. In questo incontro avrebbe dovuto essere presentata ufficialmente la nascita della Middle East Strategic Alliance, ma di fatto ciò non è avvenuto. L’elemento che ha giocato a sfavore della realizzazione effettiva dell’alleanza è, per ora, il differente livello di entusiasmo e di convinzione che i leader dei paesi arabi hanno nei confronti della Middle East Strategic Alliance. La base di ciò è da cercare nel diverso approccio politico e strategico che i paesi arabi hanno nei confronti dell’Iran. A differenza degli Stati Uniti infatti, i paesi arabi non vedono nell’Iran un nemico numero uno e soprattutto l’Egitto, la Giordania e il Qatar sono molto scettici su una strategia di sicurezza mediorientale in chiave anti iraniana. Secondo questi paesi arabi, la nuova strategia sarebbe un mezzo attraverso il quale gli Stati Uniti avrebbero la possibilità di renderli degli strumenti economici, politici e militari più che alleati, in una strategia che ha come unico scopo la destabilizzazione dell’Iran. Inoltre i paesi arabi, soprattutto l’Egitto e la Giordania, sono protagonisti di un rafforzamento delle proprie capacità militari, tattiche e di difesa che è già avvenuto grazie ad una cooperazione proprio con gli Stati Uniti all’interno del Gulf Cooperation Council (GCC). Perché dunque replicare con MESA?

Un ulteriore ostacolo all’effettiva realizzazione della Middle East Strategic Alliance è il ruolo che ricoprirebbe Israele. I paesi arabi infatti, avrebbero molte difficoltà nello giustificare alle proprie opinioni pubbliche una collaborazione così stretta con Israele, soprattutto in materia di sviluppo delle capacità militari e anche di quella che sarebbe una conseguente normalizzazione politica proprio nei confronti del governo Netanyahu che ha posto una forte accelerazione all’abbandono della soluzione dei Due stati (Palestina e Israele) nel conflitto israelo-palestinese. Sebbene nella National Security Strategy il conflitto israelo-palestinese sia descritto come un elemento di destabilizzazione della regione ultimo rispetto al pericolo nucleare iraniano o alla diffusione del jihadismo, per le opinioni pubbliche arabe è ancora molto difficile ritenere Israele un potenziale alleato. Per quanto riguarda la cooperazione in materia di comando e controllo di informazioni relative alla sicurezza, l’Egitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono molto scettici uno nei confronti dell’altro. Anche dal punto di vista economico, la fiducia che alcuni paesi arabi nutrivano nei confronti degli alleati americani, inizia a vacillare. Date le volontà dell’amministrazione Trump di un minore impegno militare nella regione, i leader arabi preferiscono mantenere una porta aperta nei confronti della cooperazione economico-commerciale con la Cina e con la Russia che dovrebbe invece diminuire o, se le migliori speranze americane si concretizzassero, arrestarsi.

La Russia, comprensibilmente viste le aspettative americane nei suoi confronti nella regione mediorientale, ha declinato l’invito alla Conferenza di Varsavia, così come l’Unione Europea che è decisa nel sostenere ancora l’accordo internazionale del 2015 sul programma iraniano di energia nucleare (Joint Comprehensive Plan Of Action) dal quale gli Stati Uniti sono usciti lo scorso maggio.


5. E adesso?

Dopo la Conferenza di Varsavia, l’idea di una “NATO araba” sembra aver battuto un colpo di arresto quasi definitivo. Nonostante il nuovo viaggio di stato in Libano del Segretario di Stato americano Mike Pompeo per coinvolgere il paese nella Middle East Strategic Alliance, previsto nelle prossime settimane, i paesi arabi hanno decisamente altre priorità. La guerra siriana, non ancora giunta al termine, impone strategie che non possono tenere i paesi arabi legati ad un’alleanza come quella configurata dagli Stati Uniti. Un esempio in questo senso è la questione delle decine di migliaia di jihadisti affiliati ad Al Qaeda ancora presenti a Idlib e nel nord siriano. La loro resa o ricollocazione è affidata all’accordo tra Russia, Turchia e Iran che non sono ancora arrivati ad una decisione chiara. La fine della guerra in Siria è fondamentale se si vuole arrivare ad una stabilizzazione del Medio Oriente e ciò non può avvenire data l’evoluzione della guerra e lo stato dei fatti, senza la presenza della Russia e dell’Iran. In una regione così frammentata e destabilizzata dal succedersi di guerre e dal terrorismo, la concretizzazione di una “NATO araba” sembra difficile.


 


Bibliografia

-Yasmine Faouk, “The Middle East Strategic Alliance Has a Long Way To Go”, in Carnegie Endowment for International Peace online article, (8 febbraio 2019). Si veda: https://carnegieendowment.org/2019/02/08/middle-east-strategic-alliance-has-long-way-to-go-pub-78317


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