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Libano: affresco di un Paese immobile in una crisi profonda


1. Medio Oriente in miniatura


Il Libano può essere definito come un concentrato di Medio Oriente. Infatti, nel piccolo Paese affacciato sulla sponda est del Mediterraneo si possono trovare assieme quasi tutti i problemi che affliggono quella strategica regione del mondo (religiosi, etnici, sociali, gestione del potere, ingerenze estere e, ultimamente, anche legati alle risorse energetiche). Un vero e proprio Medio Oriente in scala, dalla cui osservazione spesso si possono leggere le dinamiche regionali e, per converso, dove queste ultime provocano contraccolpi sul Paese dei cedri. Adattando l’enunciato del famoso “effetto farfalla” si potrebbe quasi dire che: un battito d’ali di farfalla in Medio Oriente provochi almeno un attentato in Libano.

Libano, Mappa
Fig.1: Governatorati libanesi (Credit Wikipedia)

Il Libano, però, di problemi è bravo anche a costruirsene di suoi specifici. Infatti, la profonda crisi economica e, quindi, sociale che sta attraversando, pur immersa nel brodo di coltura descritto, è segnata dai profondi problemi interni della società libanese, alcuni di essi congelati per decenni e mai risolti.


2. Sistema politico, società ed economia


Il Libano, per posizione geografica, orografia e vicende storiche ha nel tempo visto insediarsi sul suo attuale territorio una varietà di comunità molto variegate dal punto di vista religioso, con quasi tutte le declinazioni possibili di cristianesimo e islam. Quando i francesi ebbero il protettorato sulla regione siriana ottomana, di cui il Libano faceva parte, ne ricavarono l’odierno Stato e basarono su quelle peculiarità confessionali il sistema politico del neonato Stato libanese.

Palazzo, Governo, Beirut
Fig.2: Gran Serraglio, palazzo del Governo (Credit blog Baladi.)

Il sistema venne costruito per spartire tra le comunità religiose non solo le varie cariche istituzionali, ma anche le posizioni nelle diverse amministrazioni dello Stato, una sorta di “manuale Cencelli” approvato dalla Costituzione. Il sistema divideva potere e cariche a seconda della numerosità delle varie appartenenze religiose, tra cristiani e musulmani e, all’interno di queste, a seconda delle varie confessioni che facevano capo all’una e all’atra religione. A venirne leggermente avvantaggiata era la comunità cristiana in generale, e quella maronita in particolare, che costituiva la maggioranza relativa della popolazione, seguita dalla mussulmana sunnita e poi dalla mussulmana sciita. Questo impianto di divisione del potere è stato confermato, nel 1989, dagli accordi di Ta’if, i patti che portarono il Libano fuori da quindici anni di guerra civile. Nella città saudita furono solo apportate delle modifiche alla costituzione precedente, una rimodulazione che vide dividere alla pari tra cristiani e musulmani i parlamentari dell’Assemblea Nazionale, l’organo monocamerale del Parlamento libanese, e ribilanciare i poteri tra Primo Ministro e Presidente della Repubblica.


Questo impianto istituzionale prevede che il Presidente sia assegnato ai cristiani, il Primo Ministro ai sunniti e il Presidente del Parlamento agli sciiti. I 128 membri del Parlamento sono divisi equamente tra cristiani e mussulmani, 64 ciascuno. I seggi Cristiani sono ripartiti in questo modo: 34 ai maroniti, 14 ai greco-ortodossi, 8 ai greco-cattolici, 5 agli armeni-ortodossi, 1 ai protestanti, 1 ai cattolici di rito latino e 1 agli armeno-cattolici. I seggi mussulmani, invece, sono divisi così: ai sunniti 27 seggi, 27 agli sciiti, 8 ai drusi e 2 agli alawiti. La popolazione libanese è quindi fondamentale per la ripartizione delle cariche e, su questo punto, troviamo uno degli inghippi storici del Libano. L’ultimo censimento è stato fatto nel 1932, quindi, la spartizione del potere si fa in base a una fotografia scattata un secolo fa. Dire, oggi, che quella foto, ormai, è in bianco e nero e sbiadita è perlomeno riduttivo.

Baabda, Palazzo
Fig.3: Baabda sede della Presidenza della Repubblica (Credit presidence.com.lb)

Un censimento fatto oggi farebbe saltare gli equilibri attuali. Per effetto dell’emigrazione, della minor natalità nei ceti più abbienti, il maggior tasso di natalità tra i poveri (dinamiche che in Libano sono spesso legate all’appartenenza confessionale) si determinerebbe uno sconvolgimento degli assetti di potere. Con ogni probabilità, il peso demografico degli sciiti risulterebbe più alto rispetto a quello assegnatogli dal censimento del ’32, mentre quello di maroniti e sunniti diminuirebbe. In pratica l’esatto opposto della ripartizione del potere odierna. Ecco, ad esempio, perché quando si parla di superamento del confessionalismo Hezbollah si mostra favorevole a questa istanza.


Il confessionalismo ha esasperato, qui, alcuni problemi tipici della regione mediorientale: la corruzione, il clientelismo e il nepotismo. Congelando, così, le possibilità di dinamiche sociali. Tanto più che le singole confessioni sono rette da poche famiglie, cosa che determina la sovrapposizione del confessionalismo a un potere locale di tipo semifeudale. Le proteste del 2019 avevano tra i vari obiettivi il superamento proprio del confessionalismo per approdare a una forma di democrazia compiuta e non lottizzata per appartenenza religiosa. Cosa auspicabile in generale, ma di cui vanno anche intese le possibili conseguenze pericolose. Infatti, si potrebbe verificare una specie di effetto Iraq, dove il sistema democratico ha portato al predominio di una confessione sulle altre.


Un’ultima variante di tipo demografica pesa sul Paese dei cedri: la presenza dei profughi. Si parte da quelli palestinesi, ormai storici (alcuni presenti sin dal 1948), siamo nell’ordine delle diverse centinaia migliaia, numero che da solo altera gli equilibri demografici. Si arriva, alla fine, ai profughi siriani, un fiume di persone che si è riversato oltreconfine dalla Siria, al di sopra del milione. I numeri, sia per i primi che per i secondi si basano su stime, ma viste le dimensione del Libano si pensa che possano arrivare a numeri pari alla metà della popolazione libanese che si aggira intorno ai quattro milioni di abitanti. Una situazione difficilmente gestibile e sostenibile per Beirut.


Dal punto di vista economico il Libano negli anni ’50 e ‘60 del XX secolo si andò configurando come centro finanziario del levante, tanto da meritarsi il soprannome di “Svizzera del Medio Oriente”. La guerra civile fece tramontare quel ruolo, ma quel soprannome rimase e persiste ancora, ormai, più come condanna che come realtà. Infatti, dopo la guerra, sì cercò di ridare a Beirut la funzione di centro economico regionale. Motivo per cui si scelse di agganciare la lira libanese al dollaro americano. Ma i tempi erano cambiati e quel ruolo era stato assunto da altri luoghi, tipo Dubai, che offrivano, tra le altre cose, maggiore stabilità [1].

3. Gli ultimi anni: crisi generale


A partire dal 2008 i marosi della crisi finanziaria mondiale hanno iniziato a battere sempre più forte sulla costa di Beirut. Mantenere la parità fittizia Lira/Dollaro e una crescita drogata dal debito pubblico hanno reso quest’ultimo insostenibile (170% del PIL). Il sistema è saltato e la crisi è traboccata nella vita reale. Un’impennata dell’inflazione ha portato a un impoverimento generalizzato. Il tutto è stato amplificato dal Covid e dall’immobilismo della classe dirigente, incapace di prendere decisioni e che, anzi, ha continuato a curare i propri affari. Così, nel 2020, la crisi si è trasformata in bancarotta, dichiarata a seguito del mancato pagamento di una tranche del debito pubblico.


Il malcontento, ovviamente, ha portato, a più riprese, la gente nelle piazze. Per le strade le scene erano quelle di uno Stato fallito (file ai negozi e alle banche). I manifestanti hanno individuato i responsabili in tutti gli attori dell’agone politico. Si chiedeva la sostituzione della totalità della classe politica con lo slogan: “Tutti vuol dire tutti”. Evidentemente lo slogan si riferiva anche a quelli di cui non si poteva fare il nome. Con un po’ di cinismo, si potrebbe dire che, forse, dietro quel “tutti” oltre all’insoddisfazione per l’intera classe si nascondesse anche una certa “paura” di fare dei nomi, perché tutti bene o male sono legati ad una clientela.

Beirut, Proteste
Fig.4: Proteste a Beirut (Creidit Wikimedia Commons)

In questo contesto interviene, nell’agosto 2020, l’esplosione al porto di Beirut. Nell’incidente esplosero 2750 tonnellate di nitrato di ammonio, conservate in modo incoscientemente approssimativo in un capannone del porto. Una delle esplosioni convenzionali più forti della storia che provocò più di 220 morti e 7000 feriti. Per molti osservatori quell’evento è stato la rappresentazione plastica della situazione del Paese, l’evento clou di una concatenazione di cause negative (crisi politica, crisi economica e covid). Ma, a qualche anno di distanza, se ne può fare anche una lettura opposta. Cioè, il Libano è riuscito ad assorbire persino questo colpo, ma non per una sua forza o resilienza, ma perché il muro di gomma della dirigenza libanese, le lungaggini burocratiche e le infinite inchieste hanno ammortizzato anche una concatenazione di eventi negativi straordinari.


L’unico effetto che ne venne fu il cambio del Primo Ministro, Najib Mikati fu incaricato, nel settembre 2020, di formare il nuovo Governo in sostituzione del dimissionario Hassan Diab. Occorrerà un anno a Mikati per varare il nuovo esecutivo, in perfetto stile libanese. Negli ultimi decenni, in Libano, il varo di un nuovo governo, la nomina del Presidente della Repubblica o qualsiasi altro evento istituzionale, ha sempre richiesto tempi biblici, parliamo realmente di anni di ritardo sui tempi previsti. Così tutta l’attesa per questa pressione che montava si è trasferita sull’attesa delle elezioni parlamentari (maggio 2022) che avrebbero fatto da apripista per la nomina del nuovo Presidente della Repubblica (Ottobre 2022).


4. Le elezioni parlamentari


Le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale si sono svolte il 15 maggio. C’è stato, però, un colpo di scena nel gennaio precedete, quando Sa’d Hariri ha deciso di non ricandidarsi, né lui né il suo partito, il Movimento del Futuro. Alcuni membri del suo partito si sono presentati come indipendenti, e sette di loro sono entrati in parlamento (fig.5). Hariri aveva perso l’appoggio saudita, sponsor tradizionale della sua famiglia. La rottura era avvenuta già nel 2015, quando era Primo Ministro, si ebbe un vero e proprio caso, col Premier libanese che scomparve per qualche giorno quando era in visita a Riyad. In quell’occasione si parlò di sequestro di Hariri da parte delle autorità saudite. La questione si risolse con l’intervento del Presidente francese Macron che invitò ufficialmente a Parigi Hariri e la sua famiglia. Una situazione assurda e contornata ancora dal mistero, sempre in perfetto stile libanese.

Elezioni, Libano
Fig.5: Elezioni in Libano ” (Creidit: Ansa.it)

Il risultato elettorale del 15 maggio è stato sicuramente degno di nota, soprattutto per gli standard di mobilità del voto libanese (fig.5). La coalizione guidata da Hezbollah è uscita indebolita dalla tornata elettorale. In realtà, le gambe sciite della coalizione, Hezbollah ed Amal, hanno sostanzialmente tenuto, il crollo è stato riportato dal Movimento Patriottico Libero (MPL), partito del Presidente della Repubblica Michel Aoun e gamba cristiana della coalizione. I suoi seggi sono passati da 29 a 18. In questo modo la coalizione ha perso la maggioranza in parlamento [2].

Il partito uscito maggiormente rafforzato dalle elezioni è quello delle Forze Libanesi (FL) di Samir Geagea con 21 seggi, 6 in più rispetto alle passate elezioni. La formazione a prevalenza maronita ha soppiantato il MPL di Aoun come prima formazione cristiana. Le FL, che si oppongono strenuamente a Hezbollah e agli attori esterni che l’appoggiano (Iran e Siria) hanno raggiunto questo risultato anche grazie al sostegno dei sauditi, orfani della formazione di Hariri. Quindi nella lotta tra le potenze esterne che influenzano il Libano l’Arabia Saudita ha segnato un punto contro L’Iran.

Partiti politici, Libano
Fig.6: Fonte Ministero degli Interni Libanese riportato da “the National”

L’altra cosa che destava aspettative era l’impatto che avrebbero avuto le proteste del 2019 sul voto. In effetti un esito c’è stato; i 12 indipendenti della società civile. Un risultato assolutamente rimarchevole che però, nella realtà della vita politica, potrà significare poco anche per il fatto che gli indipendenti non andranno a creare una formazione organizzata.


5. Periodo postelettorale


I mesi immediatamente successivi alle elezioni ci hanno restituito un Paese impantanato nelle solite manovre politiche con estenuanti trattative che porteranno a qualche risultato solo in tempi lunghi. Mikati potrà governare, grazie alla gestione degli affari correnti, con il suo governo della passata legislatura. Il premier si sta misurando con due questioni fondamentali: un accordo con il Fondo Monetario Internazionale per rinegoziare la impossibile restituzione del mostruoso debito pubblico libanese e la soluzione del contenzioso circa il confine marittimo conteso con Israele sul quale insistono dei giacimenti di gas.


La questione delle trattative con l’FMI è in stallo da tempo. Il motivo del contendere è legato alla mancanza di riforme. È facile comprendere, con lo scenario interno che stiamo raffigurando, quanto sia difficile, per usare un eufemismo, addivenire a delle riforme. Inoltre, diversi attori internazionali staranno sicuramente cercando di sfruttare l’occasione per provare a influenzare il possibile assetto futuro del Paese, provocando, così, una serie azioni e reazioni sotto il livello superficiale della mediazione politica. Invece, circa la questione dei giacimenti di gas lungo il confine marittimo conteso con Israele è arrivata un’inattesa quanto provvidenziale soluzione, un accordo è stato raggiunto tra le parti proprio in questi giorni (ottobre 2022) e, a breve, dovrebbe essere ratificato. Da mediatore hanno fatto gli Stai Uniti, Libano e Israele non hanno mai stipulato una pace dai tempi delle guerre arabo-israeliane. Chissà che quest’accordo non possa avere ricadute positive anche sulla trattativa con l’FMI.

Giacimenti, Gas, Mediterraneo, Libano, Israele
Fig.7: Giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale (Creidt: Intenationale Inditute for Strategic Studies)

Le elezioni hanno, comunque, portato uno smottamento nel panorama politico libanese. il rafforzamento di Geagea, teoricamente, dovrebbe ridurre la possibilità di dialogo tra le parti. La sua radicale posizione anti Hezbollah dovrebbe fare da freno, anche se ci tocca ricordare che il Libano è anche il luogo dove gente come Sa’d Hariri e Walid Jumblatt (leader druso) hanno spesso dialogato e governato con i maggiori indiziati degli omicidi dei loro rispettivi genitori quando erano leader delle loro parti politiche, rispettivamente Siria ed Hezbollah.

Leader, Forze Libanesi, Samir Geagea
Fig.8: Samir Geagea leader delle Forze libanesi (Creidt: Wikimedia.org)

L’altro osservato speciale per la situazione postelettorale era indubbiamente Hezbollah. Il principale partito sciita, come sottolineato, ha sostanzialmente retto grazie alla sua capacità di controllo dell’elettorato di riferimento. Il fatto di essere una sorta di Stato nello Stato, di erogare un suo welfare state efficace e puntuale e di avere un suo “esercito”, forte anche più di quello nazionale, cementa il rapporto tra il Partito di Dio (questo il significato di Hezbollah) e la sua base. Ma proprio questo rapporto stretto amplifica il valore anche del più piccolo scricchiolio nel consenso. Per questo in molti si ponevano la domanda su cosa avrebbe fatto Hezbollah per riaffermare il proprio peso sulla scena politica locale. Tanti hanno immaginato che si sarebbe spinto fino a qualche atto di forza, un atto tipo 2006, la guerra con Israele che diede molto lustro al Partito di Dio per essere riuscito a resistere alle forze armate di Tel Aviv. Stavolta la scelta di Hezbollah è stata diversa. La formazione sciita, a seconda della situazione, ha sempre saputo miscelare con maestria comportamenti istituzionali e azioni di forza.


Sulla questione dei confini marittimi Hezbollah ha spesso alzato la voce, tramite il suo leader Hassan Nasrallah, anche mandando dei droni, prontamente abbattuti da Israele, sul giacimento conteso di Karish, ma poi ha saggiamente optato per un profilo più basso e di tipo istituzionale. Dopo l’intesa, con un virtuosismo retorico, ha dichiarato che sull’accordo aveva giocato un ruolo la forza di Hezbollah. Probabilmente, in questo caso, il Partito di Dio è stato costretto a fare buon viso a cattivo gioco. Un comportamento che ha mostrato il sapersi muovere politico del gruppo di Nasrallah, ma che tradisce, anche, il momento di debolezza, perché l’atto di forza sarebbe stato controproducente.

Hassan Nasrallah
Fig.: Hassan Nasrallah (Credit Erfan.ir)

Infatti, va tenuto presente che Hezbollah negli anni scorsi ha chiesto ai propri uomini dell’ala armata di combattere in Siria, cosa che ha portato a patire delle perdite e dei feriti, oltre al dispendio di risorse. Quei morti e quei feriti avevano delle famiglie che, per quanto supportate economicamente, hanno avuto delle sofferenze, ma anche le famiglie di quelli che hanno superato indenni quell’esperienza non hanno, di certo, vissuto bene quel periodo. Insomma, la guerra in Siria ha chiesto sacrifici al gruppo di riferimento di Hezbollah. Poi è arrivata la durissima crisi interna che ha messo sotto stress tutti i libanesi, anche i supporter del partito sciita e le proteste coinvolgevano anche Hezbollah. Per questo la scelta dell’atto di forza sarebbe stata controproducente, e dalle parti di Nasrallah devono averlo avuto ben presente.


6. L’elezione del Presidente della Repubblica


Un altro fondamentale appuntamento istituzionale attende il Libano in questo periodo: l’elezione del Presidente della Repubblica. Il mandato di Michel Aoun scade il 31 ottobre 2022. Anche per conoscere il nuovo Presidente sarà necessario attendere tempi biblici, per eleggere Aoun il Parlamento ci mise due anni. Il primo atto che lascia intendere che l’andazzo sarà questo è avvenuto il 29 settembre, quando il Presidente del Parlamento Nabih Berri ha convocato la prima seduta per l’elezione presidenziale, quella in cui serve la maggioranza qualificata dei due terzi (86 su 128) per l’elezione. Ovviamente c’è stato un nulla di fatto. Berri ha così dichiarato che convocherà una nuova seduta quando i partiti avranno raggiunto un accordo sul nome giusto (dalla seconda seduta basta la maggioranza dei voti, 65 su 128).


La Costituzione libanese prevede che, in caso di vacanza della carica, le prerogative presidenziali siano temporaneamente assunte dal Governo. Così si prospetta un curioso paradosso istituzionale. Tecnicamente, un Premier decaduto per fine della legislatura e in carica solo per gli affari correnti, svolgerà, per chissà quanto tempo ancora, sia le funzioni di Governo che quelle di Capo dello Stato. Certo, Mikati è anche incaricato di formare il nuovo Governo, quando ci riuscirà, ma da un punto di vista strettamente procedurale il paradosso resta, ma nel Paese dei cedri questa non è una novità.

7. Conclusioni


Il Libano, abbiamo visto, sta vivendo la peggiore crisi economica della sua storia e da più parti si è temuto un collasso del Paese anche con lo scivolamento verso una nuova guerra civile. Però, quello che più sorprende, è la resilienza della classe dirigente che è riuscita ad assorbire tutte le sollecitazioni senza opporre nessun reale cambiamento, neanche di facciata. Tutti i temi sono ancora sul tavolo (riforme, nuova classe dirigente, etc.) e sono costantemente procrastinati alle calende greche. La spada di Damocle del collasso è ancora attuale, ma, al momento, Beirut sembra aver superato la parte peggiore della tempesta e che possa ancora navigare allegramente nella solita bonaccia dei suoi bizantinismi politici. Una lettura che lascia poche attenuanti alla classe dirigente.


È possibile, però, un’altra lettura della situazione. Si può ritenere che la meccanica dell’agire politico si possa espletare solo in quel modo, perché la complessità della struttura sociale nel Paese dei Cedri richiede questo mix di infiniti passaggi. Si deve, magari, tener conto che in un contesto così ingarbugliato un’azione che ad altre latitudini è automatica qui possa, invece, far saltare il banco e che il Libano torni nuovamente a catalizzare tutte le conflittualità dell’intero Medio Oriente pagando lo scotto di un nuovo conflitto interno. Una lettura come questa seconda che stiamo facendo, più realistica, induce ad usare i piedi di piombo nelle valutazioni e, forse, si avvicina di più alle spiegazioni che darebbero vari esponenti della dirigenza libanese.


Però, sia nell’uno che nell’altro caso va registrato che l’ingranaggio si sta inceppando irreparabilmente.


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Note


[1] Georges Corm “Il Libano contemporaneo” – Jaca Book, 2006 [2] Nonostante la maggioranza Hezbollah, che guida quella coalizione, ha sempre scelto di andare, dopo lunghissime trattative, a governi di unità nazionale.


Bibliografia/Sitografia

  • Affarinternazionali

  • Asianews

  • Euronews

  • “Il Libano contemporaneo” Geoges Corme – Jaka Book, 2006

  • Il Manifesto

  • Insideover

  • Ispi

  • Limes

  • Lospiegone

  • Vativannews

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