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Le NemeXi: tutti i nemici di Xi Jinping

Aggiornamento: 26 mar 2023

Figura 1: Xi Jinping (STR / AFP via The New Daily)

1. Introduzione


La politica è un tipo di arte che, tra tutte le discipline, permette di creare delle figure amiche, ma anche al contempo nemiche, le quali, lungo il corso della storia, si influenzano e interagiscono tra loro, continuando a tessere le fila delle relazioni internazionali. Questi ultimi diventano ancora più nemici se il destino ti porta a essere Xi Jinping, un uomo la cui biografia è ormai intrisa di narrativa mitologica cinese e che non si presenta più come il “principe rosso” eletto dal mandato celeste, ma ormai sempre di più come “l’imperatore rosso”.


Già nella sua adolescenza, durante la Rivoluzione Culturale, gli studenti presero di mira la sua famiglia, poiché considerata “contro-rivoluzionaria”. A causa di questa forte pressione, sua sorella Xi Heping si suicidò, stravolgendo la vita di Xi Jinping e obbligandolo a lasciare gli studi per avvicinarsi alla vita politica in maniera più assertiva.


Le diverse cariche nella provincia più povera Hebei (1982–1985), in quella più corrotta Fujian (1985-2002) e nella provincia più ricca Zhejiang (2002–2007) hanno temprato la sua carriera professionale, avvicinandolo sempre di più alle posizioni apicali. L’occasione d’oro per il balzo di carriera si presentò durante lo scandalo delle pensioni di Shanghai, dove Chen Liangyu, prima figura del PCC a Shanghai, si dimise, lasciando sempre più spazio a Xi e dandogli la possibilità di diventare segretario del partito a Shanghai.


Far parte del Comitato Permanente del Politburo, diventare il Segretario della Segreteria nazionale ed essere eletto Vice-presidente del Partito Comunista Cinese, erano chiari segnali della volontà dirigenziale di Pechino di fare diventare Xi Jinping il prossimo leader della Cina.


L’incoronamento di questo percorso avverrà solo il 14 marzo 2013 quando, durante il dodicesimo Congresso Nazionale, Xi Jinping verrà eletto Presidente del PCC. Diventando la punta di diamante della leadership cinese, Xi si affaccerà in un mondo non solo colmo di sfide e incertezze, ma anche governato da figure notoriamente schierate contro la Cina e la sua imprevedibile ascesa.


2. A livello internazionale: USA, Paesi europei, Paesi del Commonwealth


Presente in ogni volume di relazioni internazionali, una delle leggi cardine che regola il rapporto tra Stati è la trappola di Tucidide: ossia, la crescita di uno Stato, sia in termini economici che militari, andrà sempre a scontrarsi con lo Stato egemone in declino. Nonostante la Cina abbia sempre indicato il suo sviluppo come una “crescita pacifica”[1], gli Stati Uniti d’America hanno mantenuto costantemente un approccio difensivo, e a tratti offensivo, nei confronti di Pechino.


Gli Stati Uniti e la Cina sono nemici a causa di una profonda rivalità politica, economica e ideologica, che da anni è andata a inasprirsi maggiormente. La lotta per le risorse, la disputa per l'influenza globale e la rivalità commerciale sono solo alcuni elementi che alimentano questa rivalità tra i due Paesi. Inoltre, da tempo, gli USA hanno spostato il focus e iniziato a usare una mentalità da “guerra fredda” in grande parte rivolta alla Cina, la quale ha contrastato gli interessi degli Stati Uniti, creando un alternativo ordine globale che ha attratto molte realtà asiatiche.


Questa rivalità si manifesta in diversi settori. Per esempio, quello commerciale con la guerra dei dazi inaugurata da Trump e che ha visto colpire anche l’Unione Europea in maniera indiretta; oppure, quella tecnologica, dove vi è particolare attenzione dopo la pubblicazione del piano strategico nazionale “Made in China 2025”, in cui viene promossa una maggiore produzione di prodotti e servizi ad alta tecnologia, con la sua industria di semiconduttori al centro del piano in contrapposizione a quella americana. Inoltre, come successe tra gli Usa e l’URSS negli anni ’60, vi è presente anche una corsa verso lo spazio. Dopo l’allontanamento della Cina dalla Stazione Spaziale Internazionale nel 2011, Pechino ha lavorato in maniera autonoma per raggiungere e superare il livello tecnologico statunitense. Xi Jinping può vantare il lancio e il successo di due missioni molto particolari (una sulla Luna e l’altra su Marte), dimostrando alla comunità internazionale l’efficienza e l’avanguardia tecnologica cinese, pari a quella americana. Tuttavia, è da notare come recentemente, Xi abbia aperto alla cooperazione in questo settore congratulandosi con le Nazioni Unite per i loro successi raggiunti e sostenendo un’ulteriore e più profonda partnership riguardante l’esplorazione dello spazio.


Queste tipo di rivalità, oltre che riscontrarsi su diversi piani interstatali, si manifestano anche nella popolazione. Secondo un sondaggio condotto dall'Università di Pew Research Center e pubblicato nel 2022, circa 82% degli adulti americani non ha un'opinione favorevole della Cina e i dati mostrano anche che le opinioni negative si sono intensificate maggiormente, anno dopo anno, tra coloro che detengono posizioni politiche più conservatrici. Ciò è dovuto anche all’ossessione diplomatica di Donald Trump, il quale ha inseguito e fronteggiato in maniera sistematica Xi e il suo Paese in ascesa nella scorsa legislatura americana.


Cosa che hanno fatto in maniera meno significativa i principali Stati europei e filoatlantisti. L’atteggiamento prepotente e antidiplomatico di Trump, il quale aveva persino affermato che “l’UE era il più grande nemico degli Stati Uniti d’America”, allontanarono non solo i Paesi indecisi su quale egemone affidarsi, ma anche gli alleati storici come l’Italia.


Basti pensare che nel marzo 2019, l’Italia firmò un memorandum con la Cina, un’occasione così unica che lo stesso Xi Jinping in persona volò prima in Sicilia e poi a Roma. Stesso processo fu intrapreso anche da altri Paesi come il Portogallo, Lussemburgo, Grecia e Repubblica Ceca: tale azione magari non rappresentava un grande obiettivo dal punto di vista operativo, ma aveva un enorme valore simbolico.


Tuttavia, la presidenza Biden e il COVID19 hanno in gran parte ribaltato questo trend, creando avversità e diffidenza non solo da parte dei capi di Stato, ma anche nella popolazione. Per esempio, il caso diplomatico tra Cina e Lituania è uno dei molti esempi di come alcuni Paesi europei si sono inimicati la Cina per aver assunto posizioni troppo scomode, come, nel caso della Lituania, l’inaugurazione della prima ambasciata taiwanese in Europa. Oppure, più recentemente, lo studio spagnolo condotto da Safeguard Defenders ha individuato più di 30 stazioni di polizia cinesi in Europa, le quali, dopo l’episodio del Consolato cinese di Manchester, hanno aumentato la paura e l’inquietudine dei Paesi europei nei confronti delle misure extraterritoriali cinesi.


Infine, Stati più vicini (geograficamente) alla Cina, come Nuova Zelanda e Australia, hanno inizialmente preso le distanze da Pechino durante la pandemia, condannando la sua assertività nel Pacifico, richiedendo all’OMS un’ indagine più accurata sulle origini della pandemia, per poi riavvicinarsi e cercare di “stabilizzare” i rapporti, sebbene la Cina rimproveri, per esempio, a Canberra la volontà mascherata di volerla confinare geograficamente attraverso il QUAD e di riprodurre una NATO asia-pacifica con l’AUKUS.


Entrambi i Paesi sono fortemente legati alla Repubblica Popolare Cinese per volume di commercio e prossimità geografica, pertanto, nonostante esista una continua diffidenza politica nei suoi confronti, si vedrà nei prossimi mesi se Chris Hipkins, successore della prima ministra neozelandese Ardern, si posizionerà nella lista degli amici o dei nemici di Xi Jinping.

Figura 2: Piramide rovesciata raffigurante i principali nemici di Xi Jinping Edit: produzione dell’autore

3. A livello regionale: Paesi dell'ASEAN, Taiwan, Giappone e India


Se Xi Jinping è malvisto a livello internazionale, non si può escludere che abbia inimicizie anche a livello regionale. Le relazioni tra la Cina e i Paesi del Sudest asiatico sono state spesso contrassegnate da competizione e rivalità. Pechino ha svolto un ruolo di leadership nella regione, sia in termini di economia che di diplomazia, soprattutto durante la crisi finanziaria asiatica del 1998. Tuttavia, alcuni Stati del Sudest asiatico hanno espresso preoccupazione per la crescente influenza della Cina, specialmente quando si tratta di temi come la sovranità marittima e assertività nella regione.


Xi Jinping ha sempre ribadito la sovranità (quasi totale) delle numerose isole presenti nel Mar Cinese Meridionale, scontrandosi politicamente e, a volte, anche militarmente, con alcuni Paesi dell’ASEAN.


Brunei, Filippine, Indonesia e Vietnam sono alcuni degli Stati che reclamano, come la Cina, la maggior parte delle isole, data anche la loro potenziale importanza strategica e il fatto che questo mare contenga 190 trilioni di metri cubi di gas naturale. Risorse preziosissime per un Paese come la Cina che ne ha fortemente bisogno: difatti, è da anni che Xi Jinping fa costruire delle proprie e vere isole artificiali sugli atolli contesi in modo da poter posizionare la bandiera cinese per primo.


Tuttavia, è da sottolineare il fatto che questi attriti hanno radici antiche. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Cina ha sostenuto gruppi di resistenza nei Paesi del Sud-Est asiatico come la Birmania, la Thailandia, Malaya, Vietnam, Laos e Indonesia. Pertanto, questo ha portato a ostilità, causando preoccupazione per le politiche cinesi nella regione.


Un altro contendente è sicuramente Taiwan, ma l’isola di Formosa ha ben altri problemi con la Cina. Taiwan e la Cina hanno da sempre avuto un rapporto complicato. Dal 1949, la Cina ha visto Taiwan come parte del suo territorio, e i due Paesi hanno attraversato cicli di tensioni e negoziati.


Negli ultimi anni, essi hanno cercato di risolvere le loro divergenze attraverso il dialogo e l'impegno economico; tuttavia, a partire dal 2021, i rapporti diplomatici tra i due Paesi si sono inaspriti, dovuto anche da episodi che hanno interferito nella relazione tra Pechino e Taipei. Per esempio, nel 2022, Nancy Pelosi, speaker della Camera dei rappresentanti, si è recata a Taiwan per una visita di tre giorni. La visita è stata organizzata per dimostrare il sostegno dell'amministrazione Biden a Taiwan. Durante questo viaggio, tuttavia, Pelosi ha incontrato il presidente della Repubblica di Cina, Tsai Ing-wen, elevandola a interlocutore politico di un Paese sovrano e sottolineando l'importanza che gli Stati Uniti danno a Taiwan.


Xi Jinping, in risposta, ha approvato il lancio delle più grandi manovre militari intorno a Taiwan, entrando nello spazio aereo taiwanese e circondando l’isola con numerose navi e sancendo, di fatto, una nuova crisi nello stretto di Taiwan. Proprio per questa eccessiva confidenza di Xi nel mostrarsi così aggressivo, recentemente, Taiwan ha attivato una “task force di emergenza”, focalizzata unicamente sull’allontanare la Cina continentale da un punto di vista sociale, militare e politico da Taiwan.


Un attore sempre ostile alla Cina e che monitora in prima persona la situazione taiwanese è il Giappone. La rivalità tra Giappone e Cina è una storia antica e complessa tra due grandi potenze regionali che da decenni hanno abbracciato una filosofia e un’ideologia diametralmente opposta. Sebbene abbiano profondi legami culturali, allo stesso tempo si contendono vantaggi sotto vari aspetti da molto tempo. Il conflitto tra i due Paesi più grandi dell’Asia orientale ha avuto un forte impatto sulle relazioni politiche, economiche, militari e diplomatiche nella regione, come per esempio, per la disputa sulle isole Senkaku/Diaoyu.


Un altro esempio di ostilità tra le due popolazioni è stato registrato anche in occasione della morte di Shinzo Abe, ex primo ministro giapponese. Mentre il mondo piangeva la sua morte, molti netizens cinesi “festeggiavano” il suo assassinio, ricordando come questo avveniva esattamente un giorno dopo all’85º anniversario dell'invasione del Giappone in Cina, precisamente dall'incidente del ponte Marco Polo del 1937.


Sebbene esista ancora una forte inimicizia tra Giappone e Cina, i due Paesi hanno lavorato insieme per rispondere a eventi e sfide globali improvvisi, come la pandemia di COVID19. Questa cooperazione ha raggiunto il suo apice durante l’incontro tra Xi Jinping e Fumio Kishida, nuovo primo ministro giapponese, a Bangkok, dove sono stati siglati i cinque punti comuni per stabilizzare e sviluppare le relazioni bilaterali, dando nuova ninfa vitale al loro dialogo. Tuttavia, Xi Jinping non dimentica che anche il Giappone stesso, come l’Australia e l’India, fa parte del QUAD, progetto che mira a bloccare e limitare la sfera d’influenza cinese nella regione e nel mondo.


Per quanto riguarda l’India, invece, la situazione è diversa. Quest’ultima è diventata più assertiva negli ultimi anni, espandendo la sua presenza militare nell’Asia meridionale, sviluppando legami più stretti con Paesi chiave, come l’Indonesia e il Myanmar e creando non poche preoccupazioni a Xi. In maniera quasi analogo alla Cina, nei secoli, l’India ha attuato un processo di “indianizzazione” in tutto il Sudest asiatico, contrastandosi in maniera sistematica con le politiche di sinizzazione di Pechino. Infine, la più grande sfida tra Modi, primo ministro indiano, e Xi riguarda le proprietà di alcuni territori come la regione dell’Aksai Chin che la Cina attualmente amministra come parte della sua provincia tibetana, e, soprattutto, la regione del Kashmir, contesa anche con il Pakistan.


4. Il Partito di Xi: Bo Xilai, l’ala liberale e i figli di Hu Yaobang e Deng Xiaoping

Negli ultimi 10 anni, il Partito Comunista Cinese è diventato sempre meno cinese e sempre più “Xinese”.


All’interno del suo partito, vi sono numerosi episodi che testimoniano ciò. Si consideri, per esempio, la campagna anticorruzione del 2014-2015, nella quale, l’ex Vice-Presidente della Commissione Militare Centrale Xu Caihou e l’ex generale dell’Esercito Popolare di Liberazione Guo Boxiong vennero accusati di corruzione e svestiti del loro status sociale in pochi mesi; oppure, l’arresto dell’ex capo della sicurezza interna Zhou Yongkang, sempre per corruzione.


Nonostante non avessero mai manifestato palesi critiche a Xi Jinping, tutte queste figure avevano l’unica colpa di essere vicini al più grande contendente per antonomasia di Xi, ossia Bo Xilai. Quest’ultimo, considerato come l’altro “principino” papabile per governare la Cina, è stato epurato e spogliato di tutti i suoi beni durante la prima ondata della campagna anticorruzione di Xi, appena salito al governo. Bo Xilai rappresentava l’altra ala del partito, capitanata da Jiang Zemin, il quale, morto a novembre 2022, rappresenta anch’esso un nemico in meno per Xi. Entrambi si appoggiavano sulla Lega Comunista della Gioventù, della quale il PCC è molto geloso, poiché detiene il doppio dei suoi membri ed è molto influente in Cina ed ora che i suoi principali esponenti sono morti o deposti, Xi Jinping ha un’autostrada di fronte a sé.


Questo è confermato anche dal terzo capitolo della sua presidenza ad infinitum sancito durante il 20esimo Congresso Nazionale del PCC, il quale, lo incorona per la prima volta nella storia come leader supremo per tre mandati consecutivi. Nonostante questo dominio assoluto nelle sue scelte e nelle sue azioni, esso è in minima parte “scolorito” dall’ala più liberale del partito (sempre fedele a lui), ma che potrebbe rappresentare un problema nel futuro di Xi. Per esempio, i due figli di Hu Yaobang, icona liberale del Partito "sembrano frustrati dalle inclinazioni antiriforma del presidente”. Anche Deng Puffang, figlio dello storico leader Deng Xiaoping, celebre per aver aperto la Cina agli Europei negli anni ’70, afferma che vi sono parti del partito che vorrebbero ritornare all’ancien regime, senza specificare a quale periodo ci si riferisca.


Tuttavia, questo sfogo liberale del PCC è stato represso e letteralmente rimosso nella “performance” visiva attuata durante l’ultimo Congresso, nel quale, l’ex presidente Hu Jintao è stato scortato fuori fisicamente da alcuni uomini, prima della fine della cerimonia. La ragione di tale decisione non è chiara ancora oggi: ufficialmente, è stato dichiarato da Pechino per motivi di salute, anche se tuttavia, la simbologia dietro alla rimozione dell’ultimo caposaldo liberale del Partito è più affascinante e, forse, veritiera. Una volta oscurate tutte le faccettature antagoniste di Xi Jinping, non rimane che lui stesso, Xi.

Figura 4: Congresso Nazionale cinese con in prima fila i principali esponenti politici del Partito (STR / AFP via SCMB)

5. XI


Vi sono innumerevoli nemici che vorrebbero vedere Xi Jinping deposto, sia all’interno che all’esterno delle mura imperiali. Tuttavia, questi, comprendendo come Xi sia unico timoniere della Cina ed essendo testimoni delle sue campagne anticorruzione, le quali non risparmiano nessuno, ma anzi, colpiscono figure di spicco, non osano a mettersi contro al Presidente cinese.


Dunque, non vi sono veri oppositori, ma solo tanti nemici celati; sebbene uno sia, invece, ben palese. Come disse Gao Wenqian, storico cinese noto per essere scrittore dei più grandi leader cinesi, inclusi Mao Zedong e Zhou Enlai, “Xi è il più grande nemico di se stesso”. L’assenza di nemici visibili, la mancanza di figure di cui potersi fidare, e anche con cui confidarsi, totalmente, la necessità di purgare ogni figura contrastante con il suo pensiero è ciò che rende Xi artefice del suo destino, amico e nemico di sé stesso.


Persino Sarah Lande, la coordinatrice del suo viaggio studio in Iowa nel 1985, ammise, quando ritornò nel 2012 in veste di Vice-Presidente, che Xi Jinping era cambiato, e che le persone dicevano che assomigliava più a Mao che a Deng Xiaoping. Alla fine di tutto, la più grande minaccia per la Cina è Xi Jinping stesso: basti vedere la trappola zero-covid che ha portato la Cina a rinchiudersi in se stessa, danneggiando in maniera poderosa la sua economia, come già ampiamente discusso in una mia precedente analisi sul caso del lockdown di Shanghai. Nonostante sia stata criticata da molti, persino da illustri figure cinesi come l’economista Ren Zhiqiang, il quale ha chiamato Xi “clown” per la gestione della pandemia per poi ritrovarsi 6 mesi dopo a dover scontare una pena di 18 anni per corruzione, ancora adesso essa viene considerata da Xi e dal suo “egoxintrismo” una politica vincente, come dimostra la promozione di Li Qiang, ex Segretario del Partito di Shanghai, e noto a tutte per il tipo di lockdown che ha attuato.


Il pericolo nelle sue azioni non è solo non avere una critica interna che consigli a Xi cosa fare o non fare di giusto, ma soprattutto il fatto che non esista alcun tipo di critica, neanche quando, oggettivamente, le politiche intraprese sono errate e deleterie. E difatti, le conseguenze reali di iniziative che non sono vincenti si vedono, come un tasso di crescita molto basso o la prima decrescita della popolazione in 60 anni.


Il nemico numero uno di Xi Jinping è lui stesso e la sua coscienza, la quale, nonostante la casa inizi a prendere fuoco e le persone dentro di essa si spaventino, urlino e muoiano, continua a guardare fuori dalla finestra e dire che è una bella giornata.

Figura 5: Da solo, Xi Jinping contempla il pavimento in uno dei suoi palazzi governativi (STR / AFP via 2018 Getty Images)

6. Conclusione


Il cerchio dei nemici di Xi Jinping diventa sempre più stretto, non dando possibilità a nessun contendente di essere un plausibile e temibile avversario per Xi. La sua longevità senza un’apparente fine lo rende ancora più inamovibile dal suo trono. Questo è anche dato dal fatto che egli voglia “riunire” Taiwan alla Cina continentale, seguendo una specifica timeline temporale. Il terzo mandato è già stato sancito e il futuro non esclude, per ora, la sua continuità con un inedito quarto mandato, raggiungendo Putin per numero di anni in carica.


Sono molte le sfide che si presentano a Xi, le quali, possono essere ugualmente considerate nemiche alla sua persona. La guerra, il COVID19, le proteste e le crisi globali sono sicuramente in cima alla lista delle sue preoccupazioni, alcune delle quali sono state risolte, mentre altre sono state solamente posticipate o si è deciso di non prendere una decisione netta, come nel caso della guerra tra Russia e Ucraina. Le proteste e la pandemia con la sua misura “Zero Covid Policy” sono strettamente legate: dopo quasi 3 anni di duro lockdown e severe regole legate al controllo del virus, gli scorsi mesi molte persone sono scese in strada a protestate in diverse città cinesi. Il crescere del malcontento sociale e la possibilità di dare forza alle parti nemiche latenti presenti nel partito hanno spinto Xi Jinping a rimuovere ogni tipo di regola o barriera architettonica in ogni città cinese, mettendo la parola fine alla zero covid policy.


Infine, il cambiamento del Partito e, in particolare, del Politbuto prima e dopo il 20esimo Congresso è stato notevole, eliminando (politicamente) le figure considerate come “non leali” a Xi e inserendo altri tre politici fidati, come Li Qiang, Zhao Leji e Wang Huning al centro del potere di fianco a Xi.


Ogni azione intrapresa negli ultimi anni dal Presidente cinese ha seguito un suo preciso disegno di “xinizzazione” dell’intero sistema politico di Pechino, così da poter rendere il Partito, e quindi, la Cina, sempre più a immagine e somiglianza di Xi Jinping, non creando alcuno spazio vitale per alcuna forma di inimicizia.

(scarica l'analisi)

Le NemeXi_ tutti i nemici di Xi Jinping_Simone Crotti
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Note

[1] Termine coniato da Zheng Bijian, consigliere politico di Hu Jintao, predecessore di Xi Jinping.


Bibliografia


  • Aust, Stefan, Adrian Geiges, and Daniel Steuer. Xi Jinping: The Most Powerful Man in the World. English edition. Cambridge, UK ; Hoboken, NJ: Polity, 2022.

  • Batabyal, Amitrajeet A. ‘The Party and the People: Chinese Politics in the 21st Century’. Regional Science Policy & Practice 14, no. 1 (February 2022): 205–7.

  • Jeffrey Bader, “How Xi Jinping Sees the World…and Why”, Sia Working Group paper 2, Brookings, February 2016 ,disponibile su https://www.brookings.edu/wp-content/uploads/2016/07/xi_jinping_worldview_bader.pdf

  • Shambaugh, David L., Michael B. Yahuda, and David L. Shambaugh, eds. International Relations of Asia. Second edition. Asia in World Politics. Lanham: Rowman & Littlefield, 2014.





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