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La riforma agricola in Perù, tra proteste e speranze di cambiamento

Aggiornamento: 7 set 2021

Figura 1. Fonte: El País

1. Obiettivo agro-export


Alle 4 di mattina il centro de acopio è pieno di autobus e persone, braccianti agricoli proveniente da tutto il paese e riversati nelle regioni costiere, in fila in attesa di essere chiamati dai servic che contrattano il lavoratore giornaliero: 39 soles (circa 9 euro) per 10 o 11 ore di lavoro durissimo sotto il sole battente del deserto peruviano. Alla paga inadeguata si aggiungono i maltrattamenti subiti nei campi da parte dei caporals e le precarie condizioni abitative negli insediamenti umani, dove l'acqua arriva solo per poche ore e alti sono i rischi di epidemia di dengue[1].


L’esportazione agricola è sempre stata une delle principali fonti di reddito per il Perù. A cavallo tra il XIX e il XX secolo zucchero, cotone e lana rappresentavano circa la metà del valore totale delle esportazioni annuali. Tuttavia, con la fine della Prima guerra mondiale l'importanza delle esportazioni agricole subisce una graduale diminuzione fino alle riforme degli anni Novanta.


Nel quadro di un'economia internazionale dinamica, il governo dittatoriale di Alberto Fujimori opta per la modernizzazione dell'agricoltura, relativamente stagnante dalla riforma agraria del 1969, stimolando la formazione di grandi aziende di esportazione agricola. Dal 1996 una serie di leggi[2] crea un complesso di benefici statali per il settore agro esportatore: accesso alla terra e all'acqua; sussidi (metà imposta sul reddito, ammortamento accelerato dei beni); servizi fitosanitari, grazie al Servicio Nacional de Sanidad Agraria; promozione internazionale dei prodotti agricoli non tradizionali; accordi di libero scambio con dozzine di paesi. Tra i principali stimoli allo sviluppo si identifica il regime lavorativo, che assicura un basso costo del lavoro, una riduzione dei diritti e una grande flessibilità nelle assunzioni[3].


Per lo sviluppo di questo modello basato sulle grandi aziende di agro-export e sulla concentrazione della proprietà fondiaria si rivelata essenziale la promulgazione della legge 27360 del 2000, anche chiamata “legge per la promozione del settore agrario” o “Legge Chlimper” dal nome dell’ex ministro dell’agricoltura del governo Fujimori. José Chlimper, firmatario della legge, ex segretario generale di Fuerza Popular e recentemente eletto membro del consiglio di amministrazione della Central Reserve Bank (BCR) è anche presidente del consiglio di amministrazione dell'agro-esportatore Agrokasa, una delle aziende agro-esportatrici più stabili del paese.


Secondo i dati del Ministerio de Trabajo y Promoción del Empleo, nel 2020 in Perù sarebbero registrate 4.699 aziende dedite all'agroexport, di cui il 28% al nord, il 20% al sud e il 36% a Lima. Solo a Ica si contano 353 aziende di questo tipo, che rappresentano il 7,5% del totale del Paese.


2. Il paro agrario


Complici la pandemia e la crisi politica nazionale, il 30 Novembre 2020 i lavoratori agricoli della regione di Ica danno inizio alla prima fase del paro agrario. La mobilitazione non sembra rappresentare nulla di nuovo, ogni anno e in occasione dei processi elettorali, infatti, i lavoratori agricoli manifestano contro le condizioni lavorative ingiuste. Questa volta, tuttavia, secondo quanto affermato in un’intervista dalla giornalista Rosario Huayanca,il numero dei partecipanti è stato senza precedenti.


La protesta scoppia nel momento in cui le aziende avevano più bisogno di manodopera per la grande vendemmia, ritardare il raccolto avrebbe significato gravi danni economici per le imprese. Viene bloccata l’autostrada Panamericana Sur e l’accesso a diversi quartieri della città.


Dopo qualche giorno, si uniscono alle proteste i lavoratori agricoli del nord nella regione di La Libertad e, in misura minore di Piura, viene bloccata quindi anche la Panamericana Norte.


A guidare l’organizzazione sono i giovani che, come a Lima, con nuove forme di coordinamento e l’utilizzo dei cellulari riescono a mobilitare migliaia di persone. Si reclama un aumento salariale (dall'attuale S / 39.19 a S / 70 al giorno), migliori condizioni lavorative e l'abrogazione del decreto d'urgenza n. 043-2019, che nel 2019 ha prorogato di dieci anni la Legge Chlimper. Una legge che, secondo i manifestanti, manteneva bassi i salari e li costringeva ad accettare contratti di lavoro temporanei o addirittura giornalieri e che come unici beneficiari designava le aziende, mentre loro continuavano a vivere tra abusi e instabilità.


Il 4 dicembre, dopo cinque giorni di proteste e la morte di un manifestante (Jorge Muñoz, di 19 anni), il Congresso peruviano abroga la Legge Chlimper. I manifestanti cessano temporaneamente le proteste, che verranno riprese il 21 dicembre a causa del ritardo dei parlamentari nel concordare una nuova legge.


Inizio così la seconda fase del paro agrario. La repressione da parte della polizia è sempre più violenta. Il 29 dicembre il Congresso approva la nuova legge di promozione agraria con condizioni, secondo i braccianti non adeguate. Il 30 dicembre le strade si riempiono nuovamente e il pomeriggio dello stesso giorno durante nuove mobilitazioni, Reynaldo Reyes (27 annie) e Kauner Rodríguez (16 anni) vengono uccisi dalla polizia.


Le proteste continuano fino a che il ministro del lavoro, Javier Palacios, dichiara di considera l'approvazione della legge agraria solo come un punto di partenza ad una riforma più ampia e promette di lavorare insieme ai manifestanti alla stesura della regolamentazione della legge. Ad oggi, nessun tavolo di dialogo è stato ancora predisposto.


3. La nuova legge sul lavoro agricolo


Per vent’anni, la Legge 27360 del 2000 ha permesso al settore agricolo di pagare il 15% delle imposte sul reddito, a fronte del 30% previsto dal regime generale per un totale di 2.901.139.000 soles esentati. Oltre a questo beneficio, il regolamento autorizzava contributi alla sicurezza sociale del 4%, invece del 9% corrispondente al resto delle aziende.


Si può facilmente constatare che in questi anni la legge ha raggiunto il suo obiettivo di promuovere le esportazioni agricole, che sono effettivamente cresciute del 800%. Una crescita esponenziale del settore che, tuttavia, non si è riflessa in un sostanziale miglioramento dei salari e delle condizioni di lavoro dei lavoratori agricoli. In un intervista l'ex ministro del Lavoro, Cristhian Sánchez, ha affermato che non è più necessario mantenere i benefici fiscali per questo settore.


Inoltre, a differenza di altri settori come il commercio, l'estrazione mineraria e gli idrocarburi, la produzione agricola non ha registrato cali così bruschi degli introiti durante la pandemia. Secondo il Rapporto Tecnico di Produzione Mensile dell'Istituto Nazionale di Statistica e Informatica (INEI), ad esempio, nell'aprile 2020, quando il Paese si trovava a dover affrontare un rigoroso isolamento e la produzione nazionale registrava un calo del 40%, la produzione agricola registrava un aumento dello 0,57% rispetto ad aprile 2019.


La nuova legge pubblicata il 31 dicembre 2020 sembra andare ad incidere notevolmente sui privilegi delle imprese agricole che gradualmente tra il 2021 e il 2031 arriveranno a pagare la stessa tassa prevista per il regime generale (30% di imposte sul reddito). Tra i punti principali viene stabilito che lo stipendio base per i lavoratori agricoli non potrà essere inferiore alla retribuzione vitale minima, stabilita attualmente in 930 soles (211 euro) e che i lavoratori riceveranno un bonus speciale sul loro stipendio pari al 30% di un salario minimo. Tuttavia, questo bonus non sarà remunerativo ma, come indicato, sarà erogato per promuovere e rafforzare lo sviluppo dell’attività e garantire i diritti dei lavoratori.


È stato inoltre stabilito che la giornata lavorativa ordinaria non deve superare le otto ore giornaliere o le 48 ore settimanali, dopodiché devono essere pagategli straordinari, le ferie devono essere determinate in base alla tipologia di contratto e, in caso di licenziamento arbitrario, l'indennità prevista è di 45 stipendi giornalieri per ogni anno intero di servizio, fino ad un massimo di 360 stipendi.


L' approvazione della legge ha accesso nuove polemiche sia da parte degli agricoltori che degli imprenditori. L' Associazione delle corporazioni dei produttori agricoli del Perù (AGAP) afferma che la legge spingerà alla bancarotta più di 2.000 piccole aziende agro-esportatrici che non saranno in grado di pagare il bonus del 30% ai propri lavoratori. Inoltre le principali associazioni imprenditoriali del Paese[4] hanno rilasciato una dichiarazione indirizzata al Congresso in cui sottolineano l'incostituzionalità dell'imposizione della retribuzione da parte del governo: "Lungi dal risolvere il problema specifico, oggi vogliono imporre la retribuzione attraverso una legge, un fatto che è anti-tecnico e incostituzionale, significa regolamentazione dei prezzi e viola il diritto alla libera assunzione e alla negoziazione diretta tra lavoratori e datori di lavoro". Dall'altra parte, la Federazione Nazionale Lavoratori Agroindustriali (Fentagro) punta il dito contro la natura non remunerativa del bonus e il vuoto lasciato nella nuova legge per quello che riguarda il diritto preferenziale all'assunzione, il diritto alla contrattazione collettiva e la piena garanzia del diritto alla libera sindacalizzazione.


4. Una legge per tutti?


Anche se la nuova Legge 31110 migliora le condizioni di lavoro dei lavoratori e riduce i sussidi alle imprese, viene mantenuto intatto il modello indotto negli anni Novanta di modernizzazione dell'agricoltura basato sulla grande azienda di agro-export e sulla concentrazione della proprietà fondiaria[5].


Nel 2017, la popolazione economicamente attiva impiegata in agricoltura in tutto il paese era di 4 milioni di persone; di queste la maggior parte erano lavoratori autonomi e solo 900mila guadagnavano uno stipendio perché lavoravano per un datore di lavoro. Tra questi 900mila, solo 270mila erano inclusi nel regime di lavoro agricolo.


Difronte a questi numeri, risulta chiaro che, in Perù una legge di sviluppo agricolo non potrà mai essere completa se non terrà conto dei lavoratori agricoli che producono in regime di agricoltura familiare. Tuttavia, sembra che in Perù abbia preso piede nell'immaginario sociale l'idea che ci siano due tipi di agricoltura non correlate tra loro: l'agroalimentare da esportazione e l'agricoltura familiare. Questa percezione è condivisa anche dai sindacati contadini e dalle famiglie contadine, che non riescono a far convivere nelle loro rivendicazioni e piattaforme l'opposizione alla concentrazione della proprietà fondiaria con la difesa dei diritti dei salariati nell'agroindustria.


Tale percezione è tuttavia errata e i due modelli spesso si compenetrano. Da un lato, vi sono agricoltori familiari che in determinati periodi dell'anno lasciano i loro appezzamenti per entrare a far parte, come stagionali, nell'agrobusiness, integrando così il proprio reddito. D'altra parte, ci sono agricoltori familiari medi e piccoli che forniscono all'agroindustria alcuni prodotti attraverso quella che viene chiamata agricoltura a contratto.


Non ci resta che aspettare ed augurarci che i prossimi passi promessi dal ministro del Lavoro Javier Palacios siano in direzione della compenetrazione di questi due aspetti dell’agricoltura con l’obiettivo di sviluppare un sistema agricolo sostenibile, inclusivo ed egualitario.


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Articolo Caterina Rondoni ultima version
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Note

[1] La revista AGRARIA, CEPES, Lima, enereo 2021, Ano 21 n. 192, p. 7 [2] Nello specifico: Decreto Legislativo n. 885 del 1996; Legge 27360 del 2000 o Legge Chlimper e Decreto de Urgencia N° 043-2019 [3] La revista AGRARIA, op. cit., p. 5 [4] Il documento è stato firmato, tra gli altri, dalla National Society of Industries (SNI), dalla National Confederation of Private Business Institutions (Confiep) e dall'Associazione degli esportatori (ADEX) [5] La revista AGRARIA, op. cit., p. 8


Bibliografia/Sitografia


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