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La realtà dei bambini talibé tra tradizione e sfruttamento

Fig 1: Gruppo di bambini talibé nelle strade di Dakar (Fonte: https://www.nigrizia.it/notizia/linferno-dei-talibe)

1. Introduzione


Una delle forme più strazianti di violazione dei diritti umani è lo sfruttamento dei bambini. Camminando per le strade di Dakar e in altre città del Senegal, bastano pochi minuti per vedere con i propri occhi bambini che trascorrono le loro giornate per strada, chiedendo cibo o qualche moneta. Spesso sono bambini che non hanno famiglia o tutori e che al termine della loro giornata di accattonaggio, tornano dalle stesse persone da cui vorrebbero fuggire.


I bambini che chiedono l’elemosina in strada sono chiamati talibé. Si tratta di studenti (prevalentemente ragazzi tra i 5 e i 15 anni) che studiano il Corano sotto la guida di un insegnante-guida, il cosiddetto marabout. I talibé sono bambini affidati dai loro parenti alle scuole coraniche (daara) per la loro educazione religiosa. Purtroppo, mentre la maggior parte dei marabutti fornisce un ambiente costruttivo e accogliente per lo studio dell'Islam, altri sottopongono i giovani studenti a condizioni di vita e trattamenti orribili, costringendoli il più delle volte a scendere in strada a chiedere l'elemosina durante il giorno.


In Senegal, pochissime persone contestano questa pratica di sfruttamento e, a livello internazionale, ancora pochi sanno di cosa si tratta. Sebbene alcuni vogliano liquidare questo fenomeno come una manifestazione di povertà o di usanza religiosa, in realtà si tratta di una grave violazione dei diritti umani, frutto dell'inazione del governo, di tradizioni distorte e di famiglie talvolta disperate.


2. Basi storico-religiose


Il fenomeno dei talibé è una tradizione che si fonda su principi originariamente radicati nell'umiltà e nella costruzione della comunità. Per secoli, il Senegal ha dato valore ai precetti islamici, una componente importante dei quali è lo studio del Corano con la guida e il tutoraggio dei marabutti. Durante la loro formazione religiosa, i talibé erano soliti studiare il Corano e lavorare allo stesso tempo per contribuire al funzionamento delle scuole. Spesso lo facevano raccogliendo donazioni di cibo dagli abitanti dei villaggi locali, che venivano incoraggiati a donare perché la carità è un pilastro dell'Islam e il sostegno ai bisognosi crea legami comunitari. L’idea alla base di questo sistema educativo era di aiutare i ragazzi musulmani a sviluppare la propria fede e costruire una comunità attraverso la carità.


Tuttavia, con il fenomeno dell’urbanizzazione, questo sistema educativo ha perso il sostegno che un tempo fornivano i villaggi familiari e le comunità locali. I talibé si sono dunque ritrovati poco a poco a dover chiedere aiuto agli estranei per sopravvivere e fornire sostentamento alla loro comunità creata intorno alla daara. Alcuni marabutti, avendo compreso che l'accattonaggio infantile poteva essere una fonte di profitto per loro stessi, hanno iniziato a sfruttare questi bambini, soprattutto nelle aree urbane, obbligandoli a chiedere l'elemosina.


La pratica ha assunto sempre più rilevanza nel tempo fino a diventare normale e silenziosamente accettata da buona parte della società senegalese. Questo perché, sebbene non esista un curriculum islamico formale, poiché il Senegal è un Paese a tutti gli effetti laico, i marabutti continuano a detenere un potere significativo nella società e nessuna autorità dello stato senegalese né tanto meno delle diverse Confraternite presenti nel Paese hanno un potere d’azione su tale problema. Pertanto, resta oggi difficile esporsi pubblicamente contro i marabutti.


3. Dati sul fenomeno


Il numero di bambini talibés nel Paese è difficile da quantificare, poiché non esiste uno studio nazionale che fornisca un conteggio globale. Tuttavia, uno studio condotto nel 2018 dall'ONG Global Solidarity Initiative stima il loro numero a circa 200.000 nella sola capitale, di cui almeno il 25% praticherebbe l'accattonaggio forzato. Oltre al Senegal, il fenomeno è diffuso in altri Paesi dell’Africa occidentale, tra cui il Gambia e la Guinea-Conakry, e all’interno delle comunità musulmane di Paesi a maggioranza cattolica come la Guinea-Bissau.


Tra le cause che rendono difficoltosa la raccolta dati, si aggiunge infatti anche la tratta nazionale o transnazionale di questi minori, le cui vulnerabilità finiscono spesso per essere sfruttate da reti di trafficanti di esseri umani che li trasportano, allo scopo di costringerli a mendicare nelle strade, da un’area all’altra all’interno del medesimo Paese - solitamente dalle aree rurali a quelle urbane - o da un Paese dell’Africa occidentale all’altro e, talvolta, anche verso il Nord Africa e l’Europa.


Altrettanto complesso è oggi fornire una mappatura delle principali scuole coraniche presenti in Senegal che possa evidenziare quanto il problema è radicato nel Paese e in quali termini. La più recente mappatura ritrovata risale al 2015, la quale si limita a coprire le scuole allora presenti nella capitale senegalese, Dakar, e non offre dunque in alcun modo una panoramica esaustiva. Quello che però appare interessante è la classificazione delle diverse tipologie di scuole coraniche presenti in Senegal e che, nel corso degli anni, sono state classificate da alcuni studiosi come scuole informali, che di fatto vivono in parallelo al sistema scolastico educativo formale del Paese.


4. Le diverse tipologie di daara in Senegal

Corano, Lezione
Fig 2: Lezione di Corano in una daara (Fonte:https://thomaslekfeldt.com/2011/12/03/the-talibe-of-dakar/)

Alcuni studiosi nel mondo accademico differenziano le daara di villaggio, tendenzialmente localizzate in ogni frazione del Senegal spesso a sostituzione di istituti pubblici, dalle cosiddette daara urbane non residenziali, situate invece in prossimità delle moschee del quartiere e rivolte a bambini che frequentano spesso la scuola pubblica, vivono in famiglia e non praticano mai l’accattonaggio.


Problematiche sono le condizioni nelle daara urbane residenziali, ovvero quelle che obbligano i bambini talibés a elemosinare e mendicare numerose ore al giorno, totalmente privi sia di contatti con le proprie famiglie di origine sia di una formazione che una scuola dovrebbe garantire.


Esistono anche le cosiddette daara moderne, una rara eccezione di strutture confortevoli il cui obiettivo principale risulta essere la formazione dei più giovani allo scopo di favorire un loro inserimento nel mondo professionale, e le cosiddette daara stagionali, oggi pressoché inesistenti, riconosciute per il duro lavoro che i bambini talibés devono affrontare nei campi.


Questa classificazione, come accennato in precedenza, rende ancora più complessa una mappatura esaustiva e dettagliata degli spazi in cui i bambini talibé vivono e appare altrettanto difficile mappare le condizioni vissute in una scuola rispetto a un’altra.


5. L’accattonaggio e la vita nelle daara

Fig3: I maltrattamenti nelle daara (Fonte: https://www.lensculture.com/articles/mario-cruz-talibes-modern-day-child-slavery)

La giornata dei talibé inizia solitamente con una sveglia alle cinque del mattino per l'apprendimento del Corano, prima di essere mandati a chiedere l'elemosina per ore, al mattino, al pomeriggio o addirittura alla sera. Dal momento che i talibé passano gran parte della loro giornata a chiedere l'elemosina per strada, essi devono affrontare molti pericoli provenienti dal mondo esterno, soprattutto nelle aree urbane con traffico intenso. Alcuni di loro vengono investiti e rimangono di conseguenza feriti o perdono la vita. Inoltre, molti fra coloro che non riescono a raggiungere la quota monetaria giornaliera da elemosinare imposta dal loro marabutto evitano di tornare alla daara per paura di essere maltrattati o puniti, venendo così esposti ai rischi di trascorrere la notte fuori in strada.

Per quanto riguarda le condizioni di vita nelle scuole coraniche, negli ultimi anni diverse organizzazioni per la tutela dei diritti umani, tra Human Rights Watch e Amnesty International, hanno pubblicato una serie di rapporti che documentano cosa spesso accade all’interno di queste strutture. Oltre all'accattonaggio forzato, i talibé sono sottoposti ad abusi fisici nelle daara. Ad esempio, molti talibé hanno riferito di essere stati picchiati dai loro marabutti se non riportavano una certa somma di denaro dell'accattonaggio. Altri hanno testimoniato di essere stati imprigionati e incatenati per evitare che fuggissero oppure di aver subito abusi sessuali reali o tentati.


Inoltre, i talibé soffrono anche di varie forme di abbandono. Alcuni di loro muoiono di malattie, tra cui la malaria, per non aver ricevuto le cure in tempo o perché il loro marabutto non li ha condotti in ospedale. Diverse testimonianze mostrano poi le condizioni inumane in cui i bambini spesso vivono, con edifici aventi muri fatiscenti, macerie a terra e talvolta facilmente esposti alle zanzare e alle malattie. Molte scuole coraniche non dispongono di acqua corrente o servizi igienici funzionanti.


6. Conclusioni


Di fronte all'entità del fenomeno e alle carenze legali è doveroso menzionare le iniziative e i progetti nati per contrastare la crescita, la diffusione e la presenza di questo problema tanto in Senegal quanto in altri Paesi africani.


Sono infatti numerose le organizzazioni internazionali che si impegnano nella progettazione a difesa e a tutela dei bambini talibé. Focsiv, Mani Tese, SOS Villaggio dei bambini, Janghi onlus e tante altre organizzazioni no profit si impegnano da anni sul campo. Allarmi e condanne provengono anche da Amnesty International, Human Rights Watch e da diversi istituti sul territorio nazionale, europeo e internazionale.


È il Senegal stesso a investire in progetti ex novo, o in partenariato con organizzazioni europee - tutti uniti dallo stesso obiettivo di collaborare per migliorare le condizioni di vita e incrementare l’accesso alle cure igienico-sanitarie di questi minori. Ci sono ad esempio alcune daara che organizzano campagne a favore dei talibés attraverso iniziative di raccolta cibo e indumenti, ma ci sono anche giovani o progetti individuali, mossi dalle stesse intenzioni. Nomi che non pretendono di essere esaustivi sono quelli di Djibril Bokuum, che ha fondato Aidonslestalibés e Sophie Gueye con Racine de l’espoir. Il primo è un imprenditore senegalese che ha fondato Aidonslestalibés per offrire cibo, indumenti, occasioni di alfabetizzazione, corsi di francese attraverso attività ludico-ricreative e momenti di sensibilizzazione nelle scuole coraniche. Sophie è la fondatrice di una realtà che si impegna ogni giorno a sradicare l’accattonaggio suscitando l’interesse della comunità internazionale, intervenendo oggi in Senegal, Costa d’Avorio e Burkina Faso e trovando suoi rappresentanti in Marocco, Etiopia, Stati Uniti, Canada, Francia e Italia.


Ma di fronte a un Paese che si riconosce per un quadro legislativo a tutela dei minori non concretamente applicato e rispetto alla scelta di considerare norme che regolino le daara come un attacco anti-islamico, quanto la progettazione può fare la differenza? Quale la capacità di diffusione per l’impatto delle lodevoli iniziative singolari? Fino a quando i governi dei Paesi interessati non investiranno in attività di coordinamento tra le diverse aree, dedicando finanziamenti ad hoc e assistenza ai servizi pubblici e privati messi in piedi, a nostro dire i passi in avanti saranno veramente pochi.


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Bibliografia e sitografia





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