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La politica estera italiana da De Gasperi al secondo Governo Conte, verso un neo-atlantismo 2.0?

Aggiornamento: 10 lug 2020

Introduzione

Una pietra miliare della politica estera italiana è sicuramente rappresentata dal combinato disposto dell’europeismo e dell’atlantismo. Nello specifico, i primi germogli di tale celeberrima politica si rinvengono successivamente al termine del secondo conflitto mondiale, nel discorso di De Gasperi del 10 Agosto del 1946. Nel corso della Conferenza di pace di Parigi, egli riuscì a trasmettere con risoluta benevolenza diplomatica la vera essenza della sua concezione politica: “Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa considerare come imputato e l'essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione. Non corro io il rischio di apparire come uno spirito angusto e perturbatore, che si fa portavoce di egoismi nazionali e di interessi unilaterali?[1]”. In secondo luogo un fattore dirimente per delineare in maniera distinta e marcata una differenza rispetto all’approccio attuato dal fascismo durante il conflitto deve essere individuato in una nota successiva del suo discorso: “Signori, è vero: ho il dovere innanzi alla coscienza del mio Paese e per difendere la vitalità del mio popolo di parlare come italiano; ma sento la responsabilità e il diritto di parlare anche come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universaliste del cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e ricostruttiva che voi cercate e verso quella cooperazione fra i popoli che avete il compito di stabilire[2]. Da tali parole era emerso un profondo conflitto interiore nel dover difendere gli interessi della Nazione per delle scelte compiute dai suoi avversari politici dinanzi ai Ventuno vincitori della Guerra senza che nessuno fosse intenzionato a proferirgli alcuna parola. Fu infatti soltanto James Byrnes della delegazione statunitense a tendergli una mano, asserendo: “Volevo fare coraggio a quest’uomo che aveva sofferto nelle mani di Mussolini ed ora stava soffrendo nelle mani degli Alleati[3].


Sviluppo storico

Questo gesto all’apparenza effimero nella sua semplicità può essere considerato il vero e proprio “turning point” delle relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti: un primo battito vitale di un’alleanza da costruire strada facendo. Successivamente, il 3 Gennaio 1947 il Presidente del consiglio trentino partì dalla capitale italiana verso gli Stati Uniti in quello che verrà poi definito come il “viaggio del pane” non come nemico ma come “quasi alleato”, evidenziando con tale puntuale differenza una fase totalmente nuova ed in divenire dei futuri assetti geopolitici italiani[4], in quanto l’Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale aveva assolutamente bisogno dei fondi per la ricostruzione. Difatti l’invito ad andare negli Stati Uniti non era pervenuto direttamente dal Governo nord-americano, evidenziando in maniera palese una sotterranea quanto ancora presente diffidenza nei confronti degli ex-nemici, ma dal direttore della rivista Time Henry Luce, il quale aveva organizzato un meeting internazionale a Cleveland denominato “Cosa si aspetta il mondo dagli Stati Uniti”. Immediatamente il leader di Pieve Tesino aveva colto l’importanza fondamentale della portata dell’evento ed era riuscito a smuovere una corposa quanto ingente linea di contatti diplomatici per ottenere degli incontri con il Presidente Truman e con il Segretario di Stato James Francis Byrnes, il quale nonostante le dimissioni disposte per dei dissidi con il presidente in merito alla politica nei confronti dell’Unione Sovietica, si espresse in maniera comunque favorevole allo stanziamento dei tanto agognati prestiti economici nei confronti di Roma[5]. La volontà di ottenere una legittimazione sia interna che internazionale era ad ogni modo legata ad una serie di accordi economici di varia natura tra cui prestiti, rimborsi ed invio di navi cariche di carbone e di grano, che avrebbero determinato un rafforzamento della Democrazia Cristiana all’interno dello scacchiere politico italiano. La richiesta iniziale era di 700 milioni ed il risultato tecnico venne indicizzato a 100 milioni dalla Export-Import Bank; Una raffinata operazione di rimodulazione dello story-telling mutò il senso di un parziale insuccesso in una vittoria per essere riusciti ad ottenere dei fondi, anche se non nella quantità preventivata.

Ripercorrendo i punti cardine dell’atlantismo italiano, un episodio assolutamente da ricordare nel corso della storia della Prima repubblica è legato all’affaire Sigonella, in quanto per la prima volta il principio dell’atlantismo, inteso come affiancamento incondizionato agli Stati Uniti, venne messo in discussione. La crisi di Sigonella ebbe inizio il 7 ottobre 1985, con il caso del drammatico abbordaggio della nave Achille Lauro, durante il quale quattro terroristi dell’OLP[6] Fronte per la liberazione della Palestina s’impadronirono della nave da crociera italiana e di 545 passeggeri. Il commando pose fine alla vita di Leon Klinghoffer, un ebreo americano disabile, gettandolo fuori dalla nave. Dopo una lunghissima quanto serrata trattativa, la nave approdò in Egitto, a Port Said, e il governo di Hosni Mubarak aiutò i terroristi, permettendogli di fuggire su un Boeing con a bordo anche Abu Abbas, uno dei leader dell’OLP. Successivamente l’aereo venne intercettato dagli F-24 inviati dal Presidente Ronald Reagan e costretto ad atterrare a Sigonella; la Casa bianca intimò in maniera netta ed assolutamente perentoria a Palazzo Chigi la consegna del commando. Il Presidente del Consiglio Craxi rimase stoicamente irremovibile; poiché i fatti erano avvenuti su una nave italiana, la competenza giurisdizionale non poteva essere concessa agli Stati Uniti. Una parte corposa della letteratura ha intravisto in questa vicenda il canto del cigno della Prima repubblica, in quanto veniva affermata l’indipendenza strutturale dell’Italia da qualsiasi tipo di ingerenza statunitense, ed ancor di più, si ribadiva la sovranità nazionale anche a discapito di un possibile frattura delle relazioni atlantiche.

In realtà, in un momento successivo, dalla documentazione è emersa la consapevolezza di Roma dell’allora debolezza della leadership egiziana, ed il timore che questa non avesse il completo controllo delle operazioni. Il Presidente del consiglio Craxi era inoltre convinto che in quella crisi l’Italia, alla ricerca di complessi equilibri in Medioriente, dovesse trovare le linee-guida nel rispetto puntuale della legge senza palesarsi sottomessa o subordinata all’alleato statunitense. Di conseguenza i terroristi non furono consegnati[7], né tantomeno Abu Abbas, il quale riuscirà a fuggire e sarà poi condannato come mandante della strage. Una decisione presa da Craxi in maniera fortemente consapevole del rischio di una crisi di governo, che puntualmente arrivò il 17 ottobre del 1985.

Questi avvenimenti, tuttavia, non determinarono un inasprimento duraturo delle relazioni diplomatiche; difatti il 19 ottobre Washington segnalò all’ambasciatore a Roma, Maxwell Rabb, come l’incidente fosse chiuso: «Date le circostanze» scrisse il segretario di Stato, George Shultz «un nuovo governo guidato da Craxi è probabile. E non contrasta con gli interessi degli Stati Uniti»[8].

Recentemente, durante la crisi di Governo dello scorso agosto ed il mutamento della maggioranza di governo, sembra che sia in atto una decisa “rivoluzione copernicana” della politica estera italiana. Questa segue una fase di imprevedibilità strategica della nostra collocazione internazionale, caratterizzata dalla durezza dei rapporti con l’Unione Europea, dalle relazioni non sempre cristalline con la federazione Russa, dall’incauta quanto forzosa euforia per il Memorandum d’intesa con la Cina, dalla posizione non univoca rispetto alla questione del Venezuela e dalle vistose quanto marcate aperture di credito nei confronti del blocco di Visegrad. Per quanto il cursus honorum, del nuovo Ministro degli Esteri Luigi Di Maio potrebbe non avere la stoffa necessaria per una funzione talmente delicata, va rilevato che si sono potuti intravedere dei netti cambiamenti nella politica estera del secondo Governo Conte. Ad ogni modo, i due punti fondamentali dell’europeismo e dell’atlantismo non sembrano essere messi nuovamente in discussione ed anche l’intricata questione dei dazi su un numero composito quanto ampio di prodotti agricoli italiani, pare che possa essere risolta dal rafforzamento delle relazioni diplomatiche.


Conclusioni

Un accorato appello di un numero ampio di analisti è stato rivolto affinché ci potesse essere una piena discontinuità rispetto al precedente Governo Conte, caratterizzato da un modus agendi non chiaramente definito e soprattutto ondivago e non chiaro in alcune circostanze particolarmente significative. La risposta del nostro governo alla crisi del Venezuela, ad esempio, non è apparsa all’altezza della sua storia della sua appartenenza da paese fondatore dell’Unione Europea e firmatario del Trattato Atlantico del 1949.



[1] In questo caso risulta particolarmente interessante dal punto di vista dell’analisi retorica questa enfasi sulla “vostra personale cortesia”, una forma sottile di captatio benevolentiae.

[2] In particolare, deve essere ricordato come Alcide de Gasperi venne arrestato nel 1927 e condannato a quattro anni di carcere. Con l’aiuto del Vaticano, e successivamente liberato dopo 18 mesi.

[3] Questo gesto di pia empatia non sarà dimenticato da entrambe le parti.

[4] Pochi giorni prima della partenza lo statista trentino avrebbe confidato ad un giovanissimo Giulio Andreotti: “Solo i santi potranno far andar ben questo viaggio”, a testimonianza della sfibrante incertezza di tale contingenza storica.

[5] Come è stato asserito in precedenza il legame precedentemente creato risultò decisivo per i futuri esiti del viaggio.

[6] Organizzazione per la Liberazione della Palestina

[7] Nel 1986 saranno condannati all’ergastolo in Italia.


Bibliografia:

1) ACQUAVIVA G. e COVATTA L., Decisione e processo politico, la lezione del Governo Craxi (1983-1987), Marsilio Editori, Venezia, 2014.

2)BALLINI P., Dalla costruzione della democrazia alla nostra “patria-Europa”, Rubbettino, Catanzaro, 2017.

3)BALLINI P., Quaderni Degasperiani per la storia dell’Italia contemporanea, Rubbettino, Catanzaro, 2017.

4)MALGERI F., Dal Fascismo alla democrazia, Rubbettino, Catanzaro, 2017.

5) VECCHIO G., “Esule in Patria”: Gli anni del fascismo, Rubbettino, Catanzaro, 2017.


Sitografia:

7)https://www.lantidiplomatico.it/dettnewsiran_libia_venezuela_lezione_atlantista_di_pompeo_a_di_maio/82_30954/

10)https://books.google.it/books?id=6yB0DwAAQBAJ&pg=PT16&lpg=PT16&dq=formiche+atlantismo&source=bl&ots=tyToqls_0L&sig=ACfU3U2york8jF4ivApop5Y1qQjxRMtMGw&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwihrrOF5NjlAhXwN-wKHWMTBho4ChDoATAJegQICRAC

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