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La fascinazione per le armi da fuoco nel terrorismo interno ed estero: l’AK 47 e la Walther P38.

Aggiornamento: 9 set 2021

Credits: Anton Gorbunov

Introduzione: il mestiere delle armi


Dall’invenzione della prima lancia, tanto le truppe regolari quanto gli eserciti irregolari hanno scelto e impiegato le armi oltre che per il valore offensivo anche per quello simbolico. Questa tendenza ha accompagnato il genere umano lungo tutta la sua esperienza storiografica.

Epaminonda, generale di Tebe, rispose “abbiamo sempre vinto senza” allo scriba egizio che lo provocava, chiedendo perché i greci non avessero mai sviluppato corpi di arcieri, simbolo dei grandi poteri teocratici del tempo, quali Egitto e Persia.


Un elmo greco, l’armatura di un cavaliere o la katana di un samurai, la baionetta dell’esercito di napoleone, i panzer tedeschi e la bomba atomica hanno disegnato epoche e nazioni.

Ben lungi da volere giustificare, legittimare o favorire il fascino perverso che ha condotto a casi scellerati di violenza mediante l’impiego di armi da fuoco, il tentativo che andrebbe compiuto è quello di comprendere da cosa effettivamente nasca tale fascino.

Nel panorama moderno nessuna arma ha saputo rappresentare un’epoca e chi la imbracciava come l’AK-47 e, sul nostro territorio nazionale e nella nostra cultura popolare, come la Walther P38.


1. L’AK-47

Allo stesso modo in cui Woodstock ha rivoluzionato l’idea che il mondo aveva della musica, così l’AK-47 ha definito l’idea d’insurrezione armata. Se l’AK-47 non può essere considerata un’arma che ha influenzato il corso della storia, è certamente quella che “è stata più a lungo impiegata, con oltre 80 milioni di esemplari prodotti tra il modello originario del 1947 e i suoi numerosi derivati, alcuni dei quali ancora oggi in servizio”[1].

Procedendo con ordine, soprattutto nel periodo del bipolarismo e della Guerra fredda, accanto ai conflitti balzati agli onori delle cronache, va ricordata una sterminata quantità di conflitti e di combattenti non regolati, che videro impegnate forze non regolari. A imbracciare le armi furono movimenti di liberazione nazionale, che portarono all’indipendenza i territori già possedimenti coloniali europei, movimenti che non arrivarono mai a compiere i propri disegni come l’IRA e alla PIRA davanti agli inglesi in Ulster e i movimenti radicalizzati del Vicino Oriente. Per i militanti dell’Hezbollah, l’AK-47 divenne oggetto addirittura di barzellette e storie umoristiche, nonostante il potenziale letale[2].


Tutti questi conflitti videro movimenti di liberazione nazionale e gruppi terroristici[3]. ricorrere alla panoplia delle cosiddette small arms[4] o armi leggere[5]: pistole, bombe, mine, lanciagranate e fucili a ripetizione semplici e solidi. Su tutti, proprio, i kalashnikov modello 1947, in sigla AK-47[6]. La guerriglia come le ultime generazioni la immaginano nasce qui.


1.2 Ovunque


La diffusione globale dell’AK-47 è dovuta, in larga parte, alla sua storia. Si narra che Mikhail Kalashnikov, Comandante carrista dell’Armata Rossa, concepì l’arma durante la convalescenza seguita al suo ferimento avvenuto nella battaglia di Brjansk dell’ottobre 1941. Immaginava un fucile con un sistema di munizionamento simile a quello impiegato nelle armi della fanteria tedesca, già veri e propri fucili automatici.

Così, sconfitti i nazisti, nel gennaio del 1948 la nuova arma venne scelta per riequipaggiare interamente l’esercito sovietico e Kalashnikov nominato Capo progettista delle armi leggere. Recenti studi, è opportuno farne cenno, condotti da ricercatori storici quali Cristopher J. Chivers[7], hanno rivelato che l’AK-47 fu più il frutto del lavoro di un’intera azienda di Stato piuttosto che quello di un solo uomo.


Qualunque sia la verità, non ci sono dubbi rispetto il cambiamento che la scelta portò in ambito militare. L’arma comparve praticamente in ogni teatro di guerra, in ogni conflitto, dal Sahel al Vietnam, dal Nicaragua ai Balcani. Imbracciare un fucile non era mai stato così semplice e, di conseguenza, iniziò a rappresentare la possibilità di liberazione per popoli sottomessi e schiacciati. L’AK-47 divenne, così, un vero e proprio simbolo di speranza e libertà, entrando nel’immaginario collettivo con una forza dirompente. Che si facesse parte di una minoranza filo sovietica, di un gruppo armato secessionista o di un popolo invaso ed oppresso, l’attrazione per l’AK-47 divenne irresistibile.


L’AK-47 è rappresentato nella bandiera ufficiale del Mozambico, posto sulle uniformi e negli stemmi di Stati come Timor Est e di organizzazioni politiche armate come la libanese Hezbollah e la colombiana FARC. L’importanza che tale arma ricopre in tali contesti appare, ormai, di rango istituzionale.


Ciò nonostante, nessuno dei parametri di questo fucile potrebbe essere considerato eccellente se non uno: l’affidabilità[8]. Alan James, un giovane ufficiale in servizio presso i fucilieri rhodesiani tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni 80, racconta un episodio che ne è perfetta dimostrazione: “i guerriglieri intendevano entrare nello Zambia superando il fiume Zambesi. Stavano usando alcuni gommoni quando li avvistammo nel momento in cui si avvicinarono all’argine. Molti si gettarono in acqua carichi di materiale e alcuni uomini non riuscirono a stare a galla… ma al momento di concludere l’azione ciò che era caduto nel fiume non era ovviamente né visibile né tanto meno recuperabile. Sei mesi dopo ci trovammo nella stessa zona; mi ricordo che eravamo nella stagione secca e ci accorgemmo che dal fango spuntava il calcio di un AK-47… lo tirammo fuori e il caricatore era ancora al suo posto. La sicura era disinserita e la leva era posta sul fuoco automatico. Estraemmo il caricatore, ma non riuscimmo a controllare la culatta [tirando indietro la leva di armamento per vuotare la camera di scoppio]. Tentammo di aprirla dando forti scossoni più e più volte, ma il meccanismo non si sbloccava. Allora reinserimmo il caricatore, prememmo il grilletto e sparammo tutti e 30 i colpi”.


Un fucile tanto longevo che le forze sovietiche lo sostituiranno solo negli anni ’70 e solo con l’ AK-74[9] una variazione sul genere. Con il crollo del muro, il fucile progettato da Mikhail Kalashnikov diventò tanto comune da poter essere acquistato nei circuiti sommersi per poche decine di dollari.


Dietro ogni scelta simbolica e d'immagine, si celano l’affidabilità e semplicità totale insieme alla facilità con cui poteva essere reperito. Combinazione peculiare che ha in comune nell’immaginario, soprattutto dei nostri anni di piombo, con la Walther P38.


2. La Walther P38


Come per l’AK-47 la storia della distribuzione della Walther P38 rappresenta la prima chiave per decifrarne fascino.

Come intuibile dal nome la Walther P38 venne ideata, negli anni ’30 del secolo scorso, presso gli stabilimenti dell’industria Walther, fondata nel 1886 in Turingia, da Carl Wilhelm Freund Walther. In quel periodo, la Walther era alla ricerca di un prodotto che le permettesse di ampliare il proprio settore produttivo con un’arma innovativa che fosse in grado di inserirsi all’interno del panorama industriale tedesco, anche nel mercato civile. In effetti, questa pistola rappresentò qualcosa d’eccezionale. La Walther diede i natali al primo modello di pistola costruito ad azione doppia. Con cartuccia in canna e cane abbassato, si poteva sparare premendo semplicemente il grilletto, poiché appunto questa pressione provocava l’armamento del cane e successivamente lo liberava, mentre nelle precedenti pistole l’armamento del cane andava fatto manualmente e il grilletto serviva solo a liberarlo.

L’arma viene subito adottata dall'esercito tedesco col nome di P38[10]. Sul mercato civile, arriverà come modello "P.38", con il "punto" tra lettera e numero per aggirare il divieto del tempo di vendita di armi con denominazione militare.


Nell'immediato dopoguerra alla Walther erano praticamente rimasti solo i brevetti vedendo la propria industria strettamente produttiva devastata dagli strascichi del conflitto. Venne, così, prodotta anche per la gendarmeria francese dalla Manurhin. Dal 1957 con l'entrata della Repubblica Federale Tedesca nella NATO, venne riproposta sul mercato civile ancora come P.38 con fusto in acciaio, brunite e meglio rifinita dei modelli militari.

In questo modello, la fruibilità dell’arma era dovuta anche al meccanismo della sicura, vista la natura a doppia azione della P38. Il sistema di sicura era costruito in modo che portando in basso la barra di trazione, localizzata sul fianco destro della pistola, si sarebbe disattivata la catena di scatto.


Mediante l’inserimento di questa modifica, non solo l’arma sarebbe risultata disattivata e perfettamente sicura, ma pronta per ricominciare a sparare con la semplice pressione sul grilletto una volta disinserita la sicura. Il risultato fu una pistola da poter essere usata e trasportata da chiunque, senza paura di colpi accidentali. Come se non fosse sufficiente per riparametrare il mercato delle small arms, la Walther P38 preveniva eventuali rischi di inceppamento dell’arma, montando un carrello finemente lavorato. Il bossolo, così, sarebbe stato espulso senza alcuna difficoltà.


A rendere definitivamente innovativo tutto il sistema Walther P38 fu il processo di produzione: integralmente in acciaio lavorato dal pieno o mediante stampaggio. La produzione era diventata veloce e ben più economica. La richiesta interna tedesca fu tale da costringere la Walther a subappaltare la produzione ad altri colossi industriali come la Mauser e la Spreewerk di Spandau. Dal 1938 al 1945 ne vennero prodotte oltre un milione, la leggenda diventò tale che si vociferava che Hitler si fosse suicidato con una P38 nel suo bunker di Berlino.


2.2 Gli anni di Piombo


Durante gli anni ‘70, così come l’AK-47 era divenuta l’arma dell’insurrezione, la P38 era l’arma del terrorismo politico. I gruppi armati extraparlamentari, soprattutto nelle prime fasi di attività, si procuravano le armi attingendo ai vecchi depositi partigiani che, durante la guerra, venivano riempiti con quanto sottratto ai militari tedeschi[11].

Il fascino della pistola divenne traversale. Alle fazioni di estrema sinistra piaceva l’idea di attingere ai depositi-trofeo dei partigiani, tanto quanto all’estrema destra impugnare un perfetto esempio di tecnologia tedesca anni ’30. Anche in questo caso, la possibilità di valenza politica unita con la facilità reperimento e utilizzo avevano fatto entrare l'arma nell'immaginario collettivo divenendo un'icona degli anni di piombo. Accadde poi che l’effettivo utilizzo della P38 da parte dei movimenti armati di quegli anni diminuì drasticamente e la sua effettiva presenza, tra le file dei movimenti sovversivi, arrivò ad essere sopravvalutata da parte della cultura popolare. I gruppi armati, infatti, si procuravano le armi soprattutto mediante furti o rapine, attingendo al mercato per così dire "civile". In quegli anni, sul nostro territorio nazionale, un comune calibro detenibile da un privato dotato di licenza erano pistole che armavano munizioni di calibro .38 special, alimentando l’equivoco. La P38 era, ormai, entrata nell'immaginario collettivo, come icona dirompente degli anni di piombo. Anche la controversa copertina del settimanale “Der Spiegel”, la quale ritraeva un revolver posato su un piatto di spaghetti, è erroneamente ricordata come “P38”[12] .


3. Conclusioni: facili da trovare e facili da usare


Sebbene, la politica abbia inevitabilmente tinteggiato tanto la produzione quanto la distribuzione di entrambe le armi, rendendole entrambe particolarmente appetibili, appare evidente come dietro il fascino politico nutrito per tali armi si nascondano semplicità di utilizzo e di reperibilità.


La politica estera dell’URSS e il suo successivo crollo furono una cassa di risonanza per il successo dell’AK-47 che cannibalizzò, progressivamente, il mercato dei fucili automatici. Allo stesso modo, gli arsenali superstiti del secondo conflitto mondiale furono in grado di rifornire, in prima battuta, le strutture paramilitari dei movimenti terroristici. Movimenti che furono identificati con l’arma che impugnavano. Addirittura nel caso della P38, la cultura popolare degli anni di piombo, arrivò a sostituirla a qualsiasi altro modello dello stesso calibro e non solo. Ma tali circostanze, legate all’AK-47 e alla Walther P38, non sarebbero da sole sufficienti, se non fossero state combinate con l’estrema facilità di utilizzo e reperimento.


Se già tali caratteristiche di un’arma basterebbero in qualsiasi contesto bellico, non hanno potuto che esserlo di più, nel caso di organizzazioni clandestine obbligate alla “guerra asimmetrica”. L’ennesimo compromesso che l’ideologia ha dovuto accettare nel suo eterno conflitto con la praticità.


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La fascinazione per le armi da fuoco nel
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Note

[1] Chris Mcnab “Storia del mondo in 100 armi” - MAIOR biblioteca di arte militare – settembre 2017 [2] Younes Saramifar “Enchanted by the AK- 47: Contingency of body and the weapon among Hezbollah militants” – Journal of Material Culture, 2017. [3] Qui accostati solo perché usarono spesso analoghi mezzi militari, nonostante rappresentino fenomeni storici ben diversi tra loro [4] Walther H.B. Smith, “Small arms of the World”, Kessengere Legacy Reprints, settembre 2010. [5] Nicola Blanca, “Storia illustrata delle armi da fuoco”. [6] Автомат Калашников, Avtomat Kalašnikov, fucile automatico di Kalašnikov. [7] Cristopher J. Chivers, “The Gun: The Story of the AK-47 and the evolution of war”, Allen Lane, 2010. [8] Chris Mcnab, “Storia del mondo in 100 armi”, MAIOR biblioteca di arte militare settembre 2017. [9] peso di 3,6 kg, caricatore di plastica rinforzata in fibra di vetro e migliorato il flusso di gas in uscita e calcio pieghevole [10] Da "Pistole 1938", distribuita però solo dal 1940. [11] Una Walther P38 appare al centro della trama del romanzo di Italo Calvino Il sentiero dei nidi di ragno, in cui il protagonista Pin, un bambino, la ruba al marinaio tedesco amante della sorella. [12] Der Spiegel” - luglio del 1997, Nello specifico la copertina ritraeva un grande piatto di spaghetti conditi da una pistola. Il titolo era "Italia paese delle vacanze" e lo strillo di copertina: "Sequestro, scippo, estorsione".


BIBLIOGRAFIA


Younes Saramifar - “Enchanted by the AK- 47: Contingency of body and the weapon among Hezbollah militants” – Journal of Material Culture - 2017.


Nicola Blanca - “Storia illustrata delle armi da fuoco”- Giunti, Firenze – settembre 2009


Chris Mcnab - “Storia del mondo in 100 armi” - MAIOR biblioteca di arte militare, Pordenone - settembre 2017.


Walther H.B. Smith - “Small arms of the World”, Kessengere Legacy Reprints - settembre 2010.


R.G. Grant – “Battaglie” – Mondadori, Milano – 2006.


Richard Holmes, Roger Ford, R.G. Grant, Adrian Gilbert - “ARMI: storia, tecnologia, evoluzione” - MONDADORI, Milano - 2007.

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