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L’altra faccia della diaspora africana: una costante interazione tra due sponde

Aggiornamento: 4 set 2021

Summit Africa
Fonte: https://summitdiaspore.org/gallery/

1. Introduzione


In Europa, e non solo, l’immagine dell’Africa è spesso quella di un continente in crisi e privo di prospettive, la cui maggioranza di popolazione tenta di ottenere rifugio e protezione guardando all’Europa. Tuttavia, nonostante oggi il potere mediatico condizioni le nostre percezioni descrivendo in maniera prioritaria i flussi migratori in entrata e i disagi propri a chi ospita, è altrettanto vero che una parte significativa dei migranti internazionali rientra, dopo un periodo più o meno lungo, presso il proprio Paese o, soprattutto, continua a mantenere con esso strette relazioni nel corso del suo soggiorno all’estero[1].


Lo studio delle diaspore, diverso dal concetto di migrazione in senso stretto[2], è altamente complesso. Il tentativo di voler qui oltrepassare letture più stereotipate e comprenderne le difficoltà e i problemi, oltre che approfondire alcuni aspetti di una questione ben più articolata, nasce dalla consapevolezza che sia comunque necessaria un’indagine più accurata. Sarebbe doveroso infatti osservare le molteplici traiettorie percorse, la vasta gamma di migrazioni interne al continente (per approfondire "Le migrazioni interne all’Africa: un fenomeno spesso trascurato"), le condizioni politiche e socio-economiche di ciascuno dei diversi Stati e, non di minore importanza, il mantenimento di determinate relazioni nel mondo dell’associazionismo migrante e dei singoli individui all’interno del Paese d’accoglienza con l’obiettivo di comprendere le dinamiche che sottostanno agli impatti positivi della diaspora su più livelli.


Muovere infatti i primi passi verso una comprensione più accurata dell’attuale evoluzione della diaspora africana è un tentativo di leggere i meccanismi che oggi regolano le relazioni tra Paesi oltre confini geografici prestabiliti, sfruttando il potenziale economico, digitale e sociale che supera di gran lunga le suddette distanze. Tanto a livello nazionale che internazionale, iniziative private e piani ad hoc, oltre a progetti di carattere strettamente privato o supportati dall’associazionismo migrante, fungono da chiave per mantenere una connessione tra enti profit e no profit, istituzioni e diaspora. Una lettura dei progetti e dei settori dei quali i legami transnazionali[3], oggetto di questa analisi, sono il motore, mette in luce le grandi opportunità possibili tra le due sponde (quella europea e quella africana), diventando sempre più terreni di intervento, di analisi e di scambi stimolanti che possono a loro volta divenire una chiave di lettura ulteriore per evitare di soffermarsi su interpretazioni riduttive dell’argomento.


2. Lo scontro tra “doppia assenza” e “doppia presenza”


Nel parlare delle cause alla base dell’emigrazione, anche in una sua evoluzione diasporica, occorre tenere in considerazione i fattori di spinta e di attrazione[4]. Su questa scia, considerando il legame tra il potenziale Paese d’origine e quello di arrivo, gli studi sulle condizioni di integrazione e di relazione con lo Stato d’accoglienza offrono oggi un’analisi interessante che abbraccia pienamente il concetto di transnazionalismo[5].


Rispetto a studi meno recenti, appare in questa sede interessante proporre un passaggio di lettura differente nel guardare al ruolo del migrante e della diaspora all’interno, tanto del Paese di origine quanto in quello di destinazione, nel corso degli anni. In particolare, all’inizio degli anni 2000, il sociologo franco algerino Abdelmalek Sayad scriveva in merito alle correlazioni emigrazione – immigrazione e Paese d’origine-Paese di destinazione in chiave del tutto negativa. La presenza del migrante in territorio straniero era infatti considerata dall’autore un elemento contraddistinto da incompletezza e da una forte sensazione di esser costantemente fuori posto. Questa tesi reggeva sul concetto di assenza fisica del migrante dal luogo d’origine e da quello di una mancata integrazione nella società che lo accoglie. Secondo l’autore, i processi legati all’integrazione risultavano ostacolati da una sorta di rapporto di forza secondo il quale la presenza del migrante risponde a normative e regolamenti vari che lo includono ed escludono al tempo stesso dalla società in cui vive una volta “compiuto” il suo percorso migratorio[6].


Oggigiorno, con un aumento notevole di studi sul concetto di approccio circolare/transnazionale tra i migration studies, risultano numerosi gli studiosi che guardano oltre al concetto di “doppia assenza”. In questo, l’avvocato Luca Santini ha dichiarato l’importanza di adottare una strategia di esamina totalmente fuorviante da quanto sottolineato da Abdelmalek Sayad, accennando invece a una sorta di “doppia presenza”. L’obiettivo è quello di muoversi secondo un approccio che evidenzi le relazioni e le correlazioni tra i piani (spaziali, temporali ecc.) nei quali ciascun migrante si colloca e, solo così, godere a pieno delle potenziali occasioni di crescita e sviluppo per tutte le aree di intervento, siano esse dirette o indirette[7], pena la perdita di occasioni stimolanti tra le due sponde del Mediterraneo.


3. Livelli di analisi osservando l’approccio transnazionale


Per addentrarsi nell’evoluzione di tali legami, comprendere il concetto sopra accennato di “doppia presenza” e osservare alla veste che la diaspora africana assume oggi in un quadro internazionale, è utile guardare al contesto e ai mezzi impiegati per render possibile questo continuo circolo d’insieme tra idee, rimesse, nuove conoscenze e altrettante skills tra il continente africano e quello europeo.

Approcciarsi a uno studio del transnazionalismo migrante permette di captare le ragioni che hanno inserito la diaspora africana all’interno delle agende politiche nazionali e internazionali e, a tal fine, occorre una lettura su più livelli in quanto tutto ciò che si incanala in tale insieme coinvolge non solo attività economiche quanto anche interessi politici, esperienze nel sociale e il campo più strettamente culturale e identitario di ciascuno.


Su questo ultimo punto, infatti, sorge spontaneo guardare al mondo dell’associazionismo migrante all’estero per comprendere come vivono la loro quotidianità attraverso iniziative e incarichi che interessano tanto il Paese di accoglienza quanto indirettamente quello di origine, muovendosi tra confini diversi, creando continui contatti e interessando in contemporanea diversi Stati. Si tratta fondamentalmente di una presa in esame anche della dimensione temporale, oltre che spaziale, cui segue la relazione con altri enti e con le varie istituzioni, con altre realtà migranti e con chiunque si interfacci a una comunione di intenti in termini di sviluppo e investimento reciproco (dimensione strettamente relazionale).


Questo è possibile grazie all’evoluzione del mondo della comunicazione e al settore digitale, una dimensione che risulta oggi maggiormente accessibile agli utenti e che offre la possibilità di beneficiare di nuove tecnologie, di minori costi di trasferimento per le rimesse e di una notevole riduzione in termini di spazio e tempo. Nel mettere in campo attività tipicamente transnazionali, oltre a un approccio identitario e sociale precedentemente menzionato, appare infatti interessante osservare l’ambito economico, ponendo attenzione alla gamma di servizi possibili, ai circuiti di scambio continuo, ai potenziali progetti imprenditoriali personali e ai flussi monetari che interessano differenti realtà.


Negli ultimi anni, oltretutto, l’approccio transnazionale dei migranti si è consolidato anche sfruttando al meglio l’aumento delle comunicazioni e la possibilità di beneficiare di accessi più immediati in un mercato globale che rende maggiormente possibile anche la circolazione di esperienze, informazioni e conoscenze. Questo ha resole diaspore dei veri e propri attori economici che: “attivi su scala transnazionale, producono forme di appartenenza “a lunga distanza” e di mobilitazione economica sociale e politica orientate allo sviluppo del paese di provenienza, a investire e commerciare attraverso i confini, e a non tralasciare la propria origine nei [rispettivi] percorsi di vita”[8].


4. I campi d’azione transnazionali


Sullo sfondo delle considerazioni presentate, si tenta di far emergere come la questione delle migrazioni transnazionali entra nell’agenda di un sistema nazionale e internazionale. Attori specifici quali la diaspora e i singoli migranti guadagnano sempre più centralità offrendo vantaggi non indifferenti rispetto ad altri attori a livello internazionale e, considerando ad esempio il campo economico, molto spesso le rimesse stesse superano di gran lunga gli aiuti internazionali, divenendo un mezzo di intervento stimolante oltre che per le singole famiglie, comunità e rispettivi villaggi anche a favore di investimenti nel settore immobiliare[9].


Nonostante, infatti, numerose critiche siano state mosse all’impatto delle rimesse nel Paese d’origine[10], i vantaggi non sono indifferenti al mondo accademico. Si evidenziano infatti dati quali il miglioramento della bilancia dei pagamenti, la natura delle rimesse stesse come fonte potenziale da risparmiare e utile all’investimento e, ancora, il migliore livello di benessere delle popolazioni locali, un incremento del reddito del Paese e la creazione di nuovi canali di interscambio con l’estero[11].


Tuttavia, come scritto precedentemente, il transnazionalismo migrante non è meramente un rinvio di rimesse al Paese d’origine ma riguarda anche uno scambio di nuovi saperi e di nuove competenze. La connessione che tramite la diaspora africana avviene tra due Stati si realizza, in un primo momento, con microprogetti sul suolo europeo e, subito dopo, con l’implementazione degli stessi direttamente nel Paese di partenza. Ad esempio, nella ricerca Le competenze della diaspora senegalese in Italia. Mappatura ed indicazioni per una trasferibilità e valorizzazione in Senegal[12](2016), l’autrice Anna Ferro tiene presente che:

“Per un migrante, la prima sfida consiste nell’idea stessa di rientrare”: l’assenza prolungata dal proprio paese determina una disinformazione sul territorio e sul suo funzionamento reale, attraverso una visione parziale e spesso idealizzata[…] Un migrante che ha lavorato per anni in Francia per la produzione del gesso, una volta tornato in Senegal si è occupato dell’importazione e distribuzione del gesso – li assente. L’idea non risulta così originale, ma la capacità del migrante consiste nell’aver saputo vedere spazio e mercato per un nuovo prodotto. Ugualmente, la migrazione può favorire la nascita di idee più originali e innovative sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie, come nel caso di un sito internet in cui si possono acquistare online prodotti tipici senegalesi che possono poi essere recapitati ai propri familiari in Senegal”[13].

Una lettura transnazionale consente quindi di riconsiderare anche la cosiddetta fuga di cervelli che in questo senso, secondo relazioni tra due sponde, consente di superare quella percezione negativa legata alla perdita di risorse umane, abbracciando quindi un rinvio di competenze e conoscenze a beneficio della realtà di partenza o, comunque, di una formazione e sperimentazione aggiuntiva di ciascuno. Di fatti, nonostante la distanza geografica, la cosiddetta virtual diaspora, beneficiando delle comunicazioni digitali su larga scala, offre e riceve un ventaglio di opportunità prima non così immediate[14].


5. La rappresentanza delle diaspore africane


Osservare le nostre società, terreno fertile per le relazioni transnazionali e la circolazione continua di individui (e quindi anche di rispettive competenze, conoscenze e rimesse) comporta un esame attento del ruolo giocato dalle istituzioni nazionali e internazionali in rappresentanza delle diaspore e delle loro azioni, oltre che per interessi personali nei confronti di relazioni di libero scambio e di crescita per ambo le parti.


Nel caso specifico italiano, il Paese promuove la partecipazione delle associazioni migranti tanto su un livello politico-istituzionale quanto su scala sociale, rendendo possibile un beneficio diretto per le diaspore di accedere a bandi di finanziamento. Un esempio è la Federazione delle Diaspore Africane in Italia che nacque sul finire del 2019 raggruppando inizialmente quasi venti associazioni culturali e comunità diasporiche. L’ obiettivo è stato fin dall’inizio quello di rendere possibile una sinergia e una comunione di intenti tra i rappresentanti delle associazioni africane in Italia e di tutte le comunità, coinvolgendo anche le altre diaspore residenti sul territorio europeo più in generale.


Ne è conferma la legge 125/2014 che inserisce la diaspora tra i soggetti attivi sullo sfondo di processi di cooperazione allo sviluppo e progetti di investimento, riconoscendole le competenze e la maggiore vicinanza ai migranti sul territorio. Su questa scia, si cita il Progetto Summit Nazionale delle Diaspore 2018-2019, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, le Fondazioni for Africa Burkina Faso e la Fondazione Charlemagne e in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con il Gruppo Migrazione e Sviluppo del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo (CNCS) e con Studiare Sviluppo nell’ambito della convenzione di attività di supporto all’AICS . Ha inoltre il supporto tecnico di CeSPI e Associazione Le Reseau. Il progetto nasce per garantire una costante formazione e informazione, oltre che scambio e confronto, tra e per le associazioni migranti, le istituzioni e i settori profit e non profit, promuovendo per la diaspora la veste di un attore economico – oltre che culturale e sociale- tanto nel Paese di soggiorno che in quello di partenza.


6. Cosa succede a livello internazionale?


Un’osservazione del ruolo delle diaspore all’interno dei sistemi di accoglienza, considerando comunque le difficoltà e le problematicità che accompagnano questi rapporti, rappresenta oggi un potenziale da tener d’occhio sia per il Paese di partenza che per quello di destinazione. Per ragioni logistiche e di spazio non è stato qui possibile approfondire tematiche complesse e proprie all’evoluzione degli approcci transnazionali nel mondo delle diaspore ma, quel che comunque si vuol sottolineare è la base sulla quale muovere delle riflessioni strategiche per politiche nazionali e internazionali che connettano aree di intervento e di interesse privato e pubblico tanto in Europa che in Africa.


Iniziative e progetti sono in continuo aumento ma, in tal sede, mi limito a fornire qualche esempio interessante.


A partire dal 2005, la Comunicazione su Migrazione e sviluppo dettata dalla Commissione europea[15], su tematiche di reciproco interesse anche per l’Unione africana, accenna a individuare determinati settori sui quali intervenire osservando alle diaspore, alle cosiddette migrazioni circolari e relazioni transnazionali e, ancora, alle rimesse[16]. Per quel che concerne questo ultimo punto, per citare qualche esempio, la Banca Mondiale vanta due dipartimenti interessati alla gestione dei flussi delle rimesse, con specifico focus sulla promozione di iniziative volte al sostegno dell’impatto delle stesse. Si tratta del Payment System and Development Group (PSDG) e del Development Prospects Group (DECPG)[17].


Più recentemente, nel dicembre 2018, è stato adottato il cosiddetto Global Compact for Migration, in Marocco[18], che investe su più livelli di analisi delle migrazioni internazionali e che nasce sotto egida delle Nazioni Unite tentando di affrontare in via congiunta le diverse facce della migrazione.


7. Conclusioni


Di fronte agli sviluppi fin qui accennati, è utile far presente che numerosi risultano i Paesi europei già interessati a tenere sotto esame la cosiddetta impresa transnazionale migrante, soffermandosi sui benefici che possono essere concessi anche alle aziende locali in termini di apertura a nuovi mercati e scambio reciproco. Secondo alcuni studi promossi dal Centro Studi per la Politica internazionale di Roma in merito all’evoluzione della diaspora sulla scia del transnazionalismo, Paesi quali la Norvegia, la Francia, la Germania, il Regno Unito, la Danimarca e i Paesi Bassi hanno in passato registrato un numero di migranti con interessi imprenditoriali a livello transnazionale abbastanza elevato rispetto a Paesi del Sud Europa che, adesso, si interessano maggiormente allo studio e all’analisi di progetti transnazionali.


La diaspora africana, quindi, appare un punto all’ordine del giorno delle agende nazionali e internazionali, oltre che private, che scrutano strategicamente tra le possibilità di investimento future. Muoversi verso un sostegno costante al dialogo con le associazioni migranti, la diaspora e i suoi rappresentanti può anticipare e potenziare le relazioni con il continente africano. Seguendo tale direzione, con un ascolto reciproco circa i diversi contesti e attraverso l’approfondimento e lo studio di queste realtà in continua evoluzione sarà quindi possibile godere di una nuova formula di crescita e di scambio tra realtà geograficamente lontane ma vicine per interessi e linee di sviluppo.


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Note

[1]Per approfondire M. Ambrosini, Prospettive transnazionali. Un nuovo modo di pensare le migrazioni? in Prospettive transnazionali. Un nuovo modo di pensare le migrazioni?, 2007. [2]Nel corso degli anni le analisi e le osservazioni riconducibili alla nozione di diaspora hanno vissuto un’evoluzione, in particolar modo per quanto ne concerne la definizione. In linea generale, fino agli anni Sessanta, i migranti, almeno in maniera parziale, erano spesso vincolati ad accantonare elementi distintivi della loro identità per meglio assimilarsi al quadro normativo e sociale del Paese presso il quale giungevano. Risale agli anni Settanta, poi, la scelta di procedere a favore di un’assimilazione pressoché totale con il contesto ospitante; tendenza che, tuttavia, rivelò presto effetti fallimentari. Fu così dunque che, principalmente a partire da questa fase, il termine diaspora fu impiegato per descrivere i movimenti di alcuni gruppi migranti e -solo nel corso degli anni Ottanta- il concetto conobbe un periodo di notevole espansione. Si veda L. Anteby-Yemini and W. Berthomière, Diaspora: A look back on a concept in “Bulletin du Centre de recherche français à Jérusalem”, 16, 2005, pp. 262- 263. [3]Facendo fede alle definizione date in Introduction, in S. Vertovec, R. Cohen (eds), Migration, Diasporas and Transnationalism, Edward Elgar Pubblishing, Cheltenham,daVertovec e Cohen (1999), il suffisso “trans” fa riferimento al grado di sviluppo e di messa in campo di scambi fra differenti Paesi grazie a cittadini che soggiornano lontano dal proprio Stato. Questo tipo di relazioni si contraddistingue per l’attraversamento e il superamento dei confini con le azioni di ciascuno individuo e non solo: rimesse,circolazione di beni,informazioni enuove skills acquisite all’estero diventano una lettura interessante quanto quella legata ai potenziali commerci e investimenti. [4]Riguardo ai primi si fa riferimento a tutte quelle situazioni che inducono un soggetto a emigrare dal suo Paese in considerazione, ad esempio, di guerre, oppressioni politico-religiose o condizioni di miseria; quanto invece ai secondi, questi sono tutte quelle situazioni che stimolano interesse in vista di migliori opportunità economiche o di crescita personale e professionale meglio garantite altrove. [5]T. Faist, Diaspora and transnationalism: What kind of dance partners? in “Diaspora and transnationalism: Concepts, theories and methods”, n° 11, 2010, p. 9. [6]A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002. [7]L’articolo dell’avvocato Luca Santini è reperibile nel blog ritornoinsenegal.org al seguente indirizzo https://www.ritornoinsenegal.org/blog_article/tutela-del-nostos/3/ [8] Ceschi M., Massimi A., Mezzetti P. e Soddu P., La diaspora africana in Italia. Una risorsa nelle relazioni Italia-Africa, Cespi Centro Studi per la Politica internazionale, Roma, 2015, p. 4. [9]M. Ceschie B. Riccio, “Transnazionalismo” e “Diaspora”. Dalla ricerca sociale alle politiche globali? in Cesareo V., Dodicesimo rapporto sulle migrazioni, 2006. [10] Si fa qui riferimento a quegli studi che evidenziano gli aspetti negativi dettati dalle rimesse in quanto pongono attenzione alla continua dipendenza dalle stesse da parte dei beneficiari. Questo, ovviamente, non permette un reale aumento del livello diproduttività e di un buon grado di autonomia. [11] A. Mazzali, A. Stocchiero e M. Zupi, Rimesse degli emigrati e sviluppo economico, Roma, 2002, pp. 44-45. [12] Tale ricerca è parte del Progetto West Africa: Promotingsustainableland management in migrationproneareasthrough Innovative financing mechanism.https://environmentalmigration.iom.int/projects/west-africa-promoting-sustainable-land-management-migration-prone-areas-through-innovative [13] A. Ferro, Le competenze della diaspora senegalese in Italia. Mappatura ed indicazioni per una trasferibilità e valorizzazione in Senegal, 2016, p.38-39. Il report curato dall’autrice ha visto impegnata anche l’Organizzazione Internazionale delle migrazioni, oltre ad avere goduto del contributo dell’Associazione socio-culturale Sunugal. [14] Ceschi S., Ferro A., Mezzetti P.,Vola F. e coordinamento di Stocchiero A.,Le diaspore africane tra due continenti. Indagine sulle percezioni e gli atteggiamenti delle elite africane in Italia in merito allo sviluppo dell’Africa, Roma, 2008. Si tratta di una ricerca condotta nell’ambito del programma Diaspore per lo sviluppo africano opportunità e ostacoli per la messa a punto di una strategia integrata con il contributo della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, Ministero degli Affari Esteri. [15]https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2005:0184:FIN:IT:PDF [16]M. Ceschi, A. Massimi, P. Mezzetti e P. Soddu, La diaspora africana in Italia, op. cit., p.6. [17] A. Ferro, La valorizzazione delle rimesse nel co-sviluppo, 2010. Si tratta di un Policy Paper presentato in occasione del convegno Migranti per lo sviluppo: un manifesto per il futuro. Il testo è qui reperibile per intero: http://docplayer.it/164606916-La-valorizzazione-delle-rimesse-nel-co-sviluppo-a-cura-di-anna-ferro.html. [18] Il Global Compact per la Migrazione è un accordo intergovernativo che nasce sotto egida delle Nazioni Unite e firmato oggi da 146 Paesi. Con tale accordo si pone l'obiettivo di identificare le procedure e gli impegni all'interno della comunità internazionale nella speranza di una equa distribuzione nella gestione dei flussi migratori a livello globale. Per approfondire: https://italy.iom.int/it/global-compact-una-migrazione-sicura-ordinata-e-regolare.


Bibliografia/Sitografia


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Sitografia


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