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Islam ideologico:tre generazioni attraverso 'En Attendant le Paradis', un saggio di Amélie M. Chelly

Aggiornamento: 1 nov 2020

Abstract

Il 12 novembre 2019: Dialogue Platform, una piccola ONG presente sul territorio belga http://dialogueplatform.eu/ ha organizzato la presentazione di una ricerca estremamente interessante condotta dalla ricercatrice Amélie M. Chelly[1]. En Attendant le Paradis. Anatomie des Radicalisations fa luce sulla complessità di un fenomeno, quello del jihadismo globale, che, se analizzato oltre la superficie, si comprende come possa essere figlio del suo tempo e delle società nelle quali sono maturate tre generazioni. Due anni di interviste tra Francia, Belgio e Svizzera, e circa dieci anni di analisi teologiche ed ideologiche. En attendant le Paradis aiuta a spiegare concetti e fatti confusi e travisati nel sapere quotidiano di massa.








1.Introduzione

Il 12 novembre 2019: Dialogue Platform, una piccola ONG presente sul territorio belga ha organizzato la presentazione del saggio En Attendant le Paradis. Anatomie des Radicalisations in cui la ricercatrice Amélie M. Chelly, attraverso due anni di interviste tra Francia, Belgio e Svizzera, e circa dieci anni di analisi teologiche e ideologiche, fa luce sulla complessità di un fenomeno, quello del jihadismo, che scuote il Medio Oriente da almeno quaranta anni, e l’Europa, da quasi un ventennio.[2]

Ci si concentrerà prevalentemente sulla spiegazione di alcuni aspetti religiosi, come richiesto dall’area di pertinenza alla quale il lavoro è destinato, ma, ben inteso, il fenomeno della radicalizzazione non si riduce ad un contesto confessionale, tutt’altro. La sociologa Chelly mette in evidenza fattori culturali, sociali e politici utili a comprendere cosa ci sia “dall’altra parte”.

2.1. Alcune considerazioni di partenza

Radicalizzazioni. è fondamentale essere consapevoli dell’esistenza della molteplicità del fenomeno.[3] La sua griglia di lettura del mondo è assoluta e ragiona per dicotomie: lecito/illecito; Bene/Male; Sacro/Profano; accettabile/inaccettabile, ed è un processo che volge al fanatismo e alla violenza, non avendo la capacità di comunicare con ciò che non è strutturato secondo la sua stessa chiave di lettura della realtà.[4]

A tale proposito si parla generalmente di Islam politici (al plurale), essi vanno ad indicare dei movimenti che si discostano dall’islam detto “autentico”, idealmente apolitico. Dicitura molto dibattuta, spesso, nel suo uso, non tiene conto del fatto che tale etichetta risulta ridondante data l’ essenza politica della natura dell’islam, presso il quale la divisione tra potere temporale (politico) e potere spirituale (religioso), tipica delle tradizioni giudeo-cristiane,[5] non è pertinente.[6] È, quindi, decisamente più opportuno parlare di Islam ideologico piuttosto che di Islam politico, quest’ultimo corrisponde al termine “islamismo”. Di qui si rintracciano due letture dell’Islam: l’ una religiosa islamiCA, l’altra ideologica islamiSTA. È utile fare il punto anche su dei termini ormai di uso comune, come ad esempio musulmano (sottomesso) che indica il credente; islamico, ciò che si riferisce all’universo religioso, e islamista, ciò che è relativo ad una griglia di lettura ideologica, e quindi politica circostanziata, dell’Islam.

Le ideologie islamiste si fondano sull’idea che esiste una volontà divina, ma senza rinunciare alla decostruzione e alla politicizzazione degli elementi religiosi in un processo di sconsacrazione e di riconsacrazione[7] in cui la religione tradizionale non ideologica diviene falsa. È il meccanismo sul quale si fonda il takfirismo. Esso si arroga il diritto di autoproclamarsi ortodossia, ragiona su base totalizzante, assoluta, e chiunque non condivida la sua lettura è un apostata. Il suo atteggiamento di esclusione è alla base del wahhabismo e delle varie ramificazioni dell’ikwanismo (la fratellanza musulmana) che si ispirano al salafismo. Quest’ultimo è un movimento nato dalla scuola hanbalita saudita. Operando un processo di rottura con la realtà e la sua interpretazione letterale dei testi, mira ad un ritorno degli usi, dei costumi, delle norme, dei principi e dell’imperialismo territoriale dei tempi dei pii antenati, al-salaf al-sālih.[8] Esso emerge e diventa lettura politica [9] di riferimento a metà del sec. XX configurandosi in chiave anticoloniale e antioccidentale: il jihadismo ne è l’azione concretizzata. e permette di rendere lecita la condanna a morte.[10]

La definizione del concetto di terrorismo è altrettanto complessa[11] perché è un’applicazione sistematica del terrore, come può essere l’attentato, sulla società civile, o/e ai suoi simboli e/o alle sue istituzioni statali. Per dirlo con le parole di Alex Schmid: “è l’equivalente di un crimine di guerra in tempo di pace”[12] che non mira ad un individuo, bensì, ad una rappresentazione che esso rispecchia per cui i bersagli non sono più persone, bensì militari, ebrei, miscredenti.

2.2 Concetti e forme comuni alle tre generazioni

La prima generazione di radicalizzati è quella attiva tra gli anni ‘80 e ‘90 durante la guerra in Bosnia; una seconda generazione si colloca tra il 2000 e il 2012 con al-Qaeda sul terreno afgano, infine a partire dal 2013 la terza ondata è identificata con l’apparizione di Daesh e le operazioni belliche sui territori iracheno e siriano.

La Jâhiliya, lo stato di ignoranza pre-islamica, la quale comprende politeismi, paganesimi, marabuttismi, è alla base della retorica radicalizzata e, attualizzata indica colui che si conforma ai paesi non musulmani in cui vive.[13] Il dato rivoluzionario è presente sin dagli anni ‘80-’90, in quanto il cambiamento auspicato coinvolge culture e società a livello istituzionale dopo aver annientato completamente l’ordine preesistente, in tale passaggio guerra, disordine, sangue, divengono necessari. L’individuo[14] che si fa carico di instaurare tale ordine è l’intermediario tra il vecchio (la condizione preislamica) ed il nuovo (ciò che si vuole raggiungere) in un processo di purificazione e di rinascita lontano da tutto ciò che è Occidente: il jihadista [15] ha così due scopi: l’uno, individuale, la morte; l’altro, collettivo, l’instaurazione dell’ordine lecito.

La volontà di morire[16] diviene un mezzo di promozione sociale di massa e di sublimazione socio politica per il martire così come per il suo entourage (amici, familiari, spose) in un perfetto connubio tra Bene, Buono e Bello [17]

Attraverso alcuni casi[18] l’autrice descrive un modello di radicalizzazione-riscatto al quale aderiscono persone fragili e con disagi sociali per le quali non si può parlare di “passaggio” come tappa di ricerca identitaria nel loro processo di conversione. Destrutturando le frontiere tra legale ed illegale, tra il legittimo e il non legittimo, la morale ideologica si sostituisce a quella della coscienza dove la lettura religiosa sorpassa il giudizio individuale, per cui, ad esempio, un passato dissoluto può essere cancellato e giustificato dalla conversione ad un Islam ideologico estremo.

In particolare, presso Daesh, “les petits losers des banlieus sont devenus beaux”[19] incarnando così un nuovo ideale maschile e femminile.[20] La donna[21] accanto all’uomo combattente e martire ha un ruolo complice e complementare,[22] diviene il mezzo per la prosecuzione dell’ideologia e il vettore dell’’estetica della morte che si articola intorno a tre caratteristiche: la potenza, la smaterializzazione del corpo (evidentemente mitolocizzata), l’eternità, l’eterna giovinezza.[23]

2.2 Alcune differenze tra le tre Generazioni

Se le prime due generazioni hanno un carattere più locale ed un colore nazionalista, con la caduta dello Stato Islamico in Siria e in Iraq, il jihadismo di terza generazione è globale e va oltre il territorio. Tale concetto emerge con al-Qaïda nel 2004 con L’Appello alla Resistenza Islamica Globale e rappresenta lo scivolamento dall’ideologia di al-Qaïda a quella di Daesh, con l’appello a contrastare non più gli USA, bensì “il ventre mollo dell’Occidente” strumentalizzando il conflitto tra le diverse comunità religiose.

La Bosnia, l’Afganistan, lo Yemen, l’Iraq, la Siria divengono tutte arene di passaggio tra gli “eletti del mondo intero”. Il jihad globale affonda le sue radici nelle proteste a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80 contro i regimi laici corrotti dei paesi musulmani,[24] il 23 febbraio 1998 con la pubblicazione dell’ “Appello al jihad mondiale per la liberazione dei sacri musulmani” invocato dal Fronte Islamico Mondiale per il Jihad contro gli Ebrei ed i Crociati porta il jihadismo su un livello mondiale, dichiarazione, peraltro sottoscritta da al- Qaïda seconda generazione.[25]

Di qui gli attentati di Casablanca 2003, Madrid 2004, Londra 2005 vanno a definire una lista macabra a scapito dei paesi occidentali e dei loro alleati.

A partire dal 2015, con la prima disfatta militare dell’ IS e con l’intervento occidentale- curdo condiviso contro le basi jihadiste a Kobane, il messaggio di Daesh volto ad indebolire l’Occidente è chiaro: nessuno deve immischiarsi negli affari siriani. Il jihadista (francese[26]) tipo è uomo, 26 anni, nato in un quartiere povero/svantaggiato, ha un basso livello di istruzione, già noto per atti di delinquenza. È musulmano di nascita, ma non ha una rilevante e dettagliata istruzione religiosa. Il suo processo di radicalizzazione è di lunga durata.

Con la terza generazione la realizzazione del califfato diventa l’ elemento centrale di un nuovo jihad globale in cui i coinvolti vivono un immaginario di pionierismo d’onore di uno stato puro, lecito, idilliaco sulla scia della narrazione di al-Baghdadi.

Anche la ricerca di combattenti sconfina perché la lotta psicologicamente non ha nazione: “la mia nazionalità è musulmana”[27] Cambiano le forme di reclutamento e le categorie sociali coinvolte. Dal testo e dalla moschea, al linguaggio falsato di internet e al reclutamento pragmatico, immediato e sempre più di massa, coinvolgendo categorie inaspettate sia delle classi medio-basse, sia di quelle medio-alte.[28] I documentari mostrano video di propaganda in varie lingue, volte a toccare tutte le aree culturali del mondo, presente perfino la lingua dei segni per raggiungere gli aspiranti jihadisti sordo-muti. oltre a viaggiare per mezzo di canali diversi[29] il jihadismo europeo va dallo stretto adattamento dell’individuo all’ideologia della prima ondata, fino ad arrivare all’adattamento dell’ideologia alle debolezze degli individui con la terza generazione.

3. A mo’ di conclusione: l’intervista all’autrice del saggio

1) Per il Professore di diritto Jean Marc Sorel il trattamento internazionale riservato al terrorismo sembra consistere in un accordo unanime sul “punire senza realmente definire/capire”. Dunque, la lotta occidentale al terrorismo riflette anch’essa una griglia di lettura assoluta?[30]

“Da una parte è necessario considerare un problema di definizione, dall’altra di circostanze. Se da un lato non si riesce ad accordare su che cosa sia la radicalizzazione e su come trattarla. Dall’altra ci si domanda quali siano, effettivamente, le circostanze per denunciare il terrorismo. Dietro l’atto terroristico c’è l’ideologia, dietro l’azione c’è una violenza nei confronti dello stato da parte di attori/entità non statali. Sembra esserci olismo contro olismo: sociologicamente emerge il meccanismo circolare per cui più l’intento è punitivo, più esso stesso va a giustificare l’atto terroristico. Allo stesso tempo la volontà di punire tende ad ottenere un riscatto psicologico immediato presso le vittime (e spesso, nel quadro dell’azione terroristica, la società tutta si percepisce come vittima), ha lo scopo di arginare il fenomeno, e di affermare il ruolo strutturale ed esistenziale dello stato in quanto garante della sicurezza. Il processo di de-radicalizzazione a volte, come dimostra il testimone D. Vallat, un radicalizzato di prima generazione, non avviene sul campo di battaglia, ma a posteriori, nel suo caso, dopo l’arresto, in prigione. Egli spiega che soltanto in prigione ha notato la differenza tra la narrazione del suo clan[31] e quella del nemico: quest’ultimo, in prigione, gli ha riservato un trattamento migliore: in prigione egli aveva diritti, protezione, dignità, accesso all’apprendimento, libri, ecc… Tale differenza di trattamento gli ha fatto capire che il nemico non era poi così diabolico . Chiedendole se ha suggerimenti particolari per la lotta al terrorismo, la Professoressa Chélly aggiunge: “Ovviamente non sono nella posizione di poter giudicare in quanto sono una ricercatrice, quindi non è mio compito dire si fa così, o colà, il mio scopo è spiegare”.

2) Il discorso rivoluzionario è legato alla jahiliyya come mutazione del sé per la trasformazione del mondo. Tale trasformazione è presente nella religione islamica, nel piccolo jihad della vita quotidiana. Al-Ghazali ne parla anche in relazione al sufismo, presso il quale ha una connotazione positiva che sembra essere negativa nella radicalizzazione. Come lo si può spiegare?

Scienza e atto. Il pensiero filosofico occidentale è ben rappresentato dal dilemma dicotomico essere – non essere, nella tradizione musulmana (sia essa sciita o sunnita) il divenire e l’essere sono la stessa cosa: nell’essere è incluso il divenire: tale essenza si rispecchia anche a livello linguistico. In arabo il termine vojoud, essere, indica sia il sostantivo esistenza, sia un verbo essere che è un nome verbale, l’azione di essere. Nella lettura ideologica il cambiamento è un rinnovamento in funzione della struttura facendo tabula rasa di tutto. É una delle ragioni per cui l’Iran e lo sciismo sono considerati i nemici numero uno. L’Iran ha accettato la jahiliyya includendo gli elementi preislamici nella sua cultura. L’autrice lo spiega attraverso il meccanismo dei kounya.[32]

3) Le fatāwa di Ibn Taymiyya sembrano essere caratterizzate da un tono emergenziale, essendo state emanate in un contesto di emergenza, quello dell’invasione dei mongoli. Rifacendosi a Ibn Taymiyya il radicalismo islamista riflette un contesto altrettanto d’emergenza come può essere la società contemporanea per i più giovani, instabile e precaria?

“Più che un sentimento d’emergenza si è scelto Ibn Taymiyya perché ben si adatta al discorso ideologico contemporaneo. Un’ideologia necessita di essere astorica e capace di attraversare lo spazio ed il tempo. Tre sono i pilastri su cui si poggia:

a) Un’età d’oro ( nel presente caso quella delle prime generazioni di musulmani)

b) Un’utopia (che si basa sull’età aulica)

c) Un mito fondatore (nel nostro caso la prima generazione di martiri, compagni del Profeta)

Sia al-Qaeda che Daesh rileggono Ibn Taymyya come parte del mito fondatore già ai tempi della guerra in Bosnia. Daesh non nasce con intenti globali: inizialmente è un fenomeno problematizzato esclusivamente in Iraq ed il suo nemico era locale: lo sciismo (e l’Iran). È al-Qaeda che trasla il tutto su un piano globale facendo dei cristiani e degli ebrei i suoi nemici primi.

L’ideologia per essere tangibile deve avere dei testi di riferimento: non c’è ideologia senza testi. Ibn Taymyya attraversa i confini temporali e spaziali per dare autorità al salafismo e al jihadismo. Attraverso tale autorevolezza conferita dai testi, l’ideologia raggiunge più direttamente gli interlocutori. È come se Daesh dicesse:”Noi siamo la letteratura, la versione autentica della religione.”

4) Si può riconoscere una forma rinnovata di martrio presso i contesti radicalizzati?

“Il martirio esiste nelle religioni. Esiste nel cristianesimo, esiste nell’ Islam. Negli ultimi quaranta anni esso è stato rinnovato dall’Islam in termini ideologici. Con ‘Abdallāh ‘Azzām, fondatore di al-Qaeda , il martirio assume una connotazione politica nel quadro ideologico. Il martirio è presente nello sciismo, e, data la propaganda che Daesh ne ha cominciato a fare, esso ha dovuto riadattare il suo significato che è cambiato rispetto a quello della guerra Iraq-Iran (1980-1988). Più recentemente, durante la guerra in Siria, nel 2017, la figura di Mohsen Hojaji, morendo con il volto calmo e sorridente, ha inaugurato un’ulteriore modernizzazione del martirio sciita.”


5) Il fatto che il califfato esista indipendentemente dal territorio sembra essere uno dei punti di forza più difficili da affrontare nella lotta al terrorismo globale. Che cosa si può fare per contribuire a questa lotta in modo sostenibile e responsabile in un contesto religioso musulmano?

“È necessario sottolineare la matrice ideologica di questi atti terroristici. Tutte le misure sono state prese a priori e applicate con il solo scopo punitivo, senza guardare alla componente ideologica.

Sul web c’è accesso libero a innumerevoli contenuti violenti. I servizi si sono concentrati sulle moschee e sugli imaam mobiles. Se l’Imaam che guida una moschea risulta essere più “estremista” allora ci si concentra su questo dato, se invece risulta “moderato” non lo si classifica come pericoloso. Io sono una ricercatrice, sono qui per spiegare, non sta a me fare considerazioni sul come agire. Quello che posso dire però è che una piccola battaglia è stata vinta, sicuramente sono necessari nuovi strumenti per affrontare l’avvenire."

Ringrazio per la sua gentile disponibilità la dott.ssa Amélie M. Chelly, con l'augurio che in futuro vorrà concedere ad AMIStaDeS altre occasioni di dialogo arricchente come questa.


Note [1] Amélie Myriam Chelly è dottoressa in sociologia e membro associata del CADIS (EHESS-CNRS) [2] Almeno a partire dagli attentati dell’11 settembre 2001 [3] La radicalizzazione si riferisce a tutte quelle forme di griglia di lettura totalizzante, olistica, che prevede una “purificazione” tramite l’annientamento di ciò che è designato come nemico, impuro, latore di caos e degenerazione. A.M. CHELLY, En Attendant le Paradis. Anatomie des Radicalisations, Les Éditions du CERF, Paris, 2019, p 8 [4] Di qui il concetto di processo di rottura teorizzato dal politico Marcel Willard ed attuata dall’avvocato Jacques Vergès per cui durante i processi giudiziari, che si occupano di casi radicalizzati, si passa da un ambito giuridico a quello ideologico politico. [5] E che trova una certa risonanza nella sci’a (sciismo) [6] Il profeta Muhammad era al contempo un capo sia spirituale che religioso, a capo della comunità dei credenti, la Umma. Inoltre si ricorda che il diritto islamico scaturisce dai testi sacri, tra cui il Qur’an contenente le sure del periodo medinese, con un intento palesemente politico. [7] Per un approfondimento seguire i lavori del sociologo Farhad Khosrokhavar a questo link. [8] Le prime tre generazioni di credenti sahaba, tabi’in, tabi’at tabi’in [9] L’accusa di shirk può nascondersi dietro qualsiasi atto quotidiano ad esempio, la fatwa del caffè di Abdel Wahhab. A:M: CHELLY, Op. cit., 2019, p 26 [10] L’ideologia salafita contemporanea si ispira al pensiero dei teologi Ibn Taymiyya, teologo del sec. XIII che ha influenzato moltissimo la maddhab hanbalita, scuola giuridica sunnita alla base del wahhabismo, e di Abdel Wahhab presso i quali il concetto di miscredenza è applicabile anche a musulmani che praticano con superficialità. Il salafismo attualizza il pensiero dei suddetti teologi che, all’epoca, reagiva ai Mongoli invasori, ad oggi, il bersaglio sono gli sciiti che dopo la caduta del bahatista sunnita Saddam Hussein sono diventati una nuova minaccia. [11] Se ne recensiscono almeno 260 tipi, A.M. CHELLY, Op. cit. , 2019 p 30 [12] La violenza si verifica al di fuori della sua arena codificata creando una situazione imprevista AMÉLIE M. CHELLY, Op. cit., 2019, p 30 [13] Cfr. meccanismo dei kounya .L’appellativo Abou (padre) o Um (madre), a seguire un nome reale o inventato (come ad esempio muslim , l’indicazione del paese di provenienza, che non coincide necessariamente con il paese natale. Daesh si sgancia totalmente da una retorica legata alla territorialità. Ciò è stato ampiamente dimostrato dal fatto che in Siria, nonostante si sia tolto terreno fisico a Daesh, l’idea dello stato islamico gli è sopravvissuta. [14] Osama Krayem, l’uomo coinvolto negli attentati di Bruxelles del 22 marzo 2016 dice “Ciò che voi chiamate jihad per me è l’Islam” [15] Si ricordano le origini etimologiche e di significato del termine jihad resistenza o forza offensiva. Indica prima di tutto l’ ijtihad , lo sforzo di ascesa interiore, obbligatorio. [16] Il martirio, shahid, contemporaneo è d’ispirazione sciita e hossainide (per un approfondimento orientativo cfr. https://www.oasiscenter.eu/it/la-mia-guerra-e-piu-santa-della-tua La figura moderna del martire iraniano non è morta con la fine del conflitto iraco-iraniano e Alcuni degli eroi del conflitto iraco-iraniano, come per esempio il giovane Hossein Fahmideh (1969-1980) sono punti di riferimento che permettono attualizzazione politica del concetto di martirio. Cfr AMÉLIE M. CHELLY, Op. cit., 2019, pp 68-72 [17] Sia al-Qaeda che Daesh riprendono le fatāwa di Ibn al-Taymyya, seppur con alcune differenze presso quest’ultima. Nello specifico Daesh è in un processo di allargamento, essa parla alle masse e non ha lo scopo di creare un’élite. Per Daesh il jihad fa l’islamicità.La Siria è per la terza generazione il “campo amico”, quello della risposta attiva, quello che sta dalla parte di Dio, quindi il versante del “giusto”: les justes du monde doivent se réunir AMÉLIE M. CHELLY, Op. cit. , 2019, p 76 [18] La sua storia è emblematica per un modello di radicalizzazione-riscatto. Op. cit. pp 49 e seg. [19] AMÉLIE M. CHELLY, Op. cit. , 2019, p [20] Nella partecipazione delle donne si può ritrovare addirittura una connotazione antipatriarcale volta al femminismo antifemminismo all’occidentale. Cfr AMELIE M. CHELLY, Op. cit., 2019 pp. 131 e seg. [21] Solo la brigata Daesh Al-Kansaa arma le donne. [22] Generalmente però esse non imbracciano le armi, hanno, piuttosto, il ruolo di colonizzatrici, generatrici, trasmettitrici dell’ideologia alla progenie, esse convalidano e glorificano l’operato dei fratelli, dei mariti, dei padri spronandoli e, talvolta, incoraggiandoli verso la violenza (“Elles sont des jihadistes du ventre et de l’esprit”) Esse rappresentano il sacrificio psicologico (“la mia vita comincia e si realizza nella procreazione), quando gli uomini invece sono il sacrificio biologico (lo scopo di vita è la morte per martirio). In questo molte donne di Daesh si sentono alla stessa stregua degli uomini, per altre invece, Daesh è garanzia di vita eterna. In entrambi i casi, comunque, neanche le donne sono estranee ai meccanismi usa-e-getta della società. [23] Quasi tutte le donne intervistate in partenza per la Siria o per l’Iraq hanno un problema con la virilità. Viene fatta un’associazione esplicita tra virilità e violenza, per cui l’uomo che affronta la morte è un SUPERuomo.AMÉLIE M. CHELLY, Op. cit. , 2019, pp 78 e seg. [24] Tra gli avvenimenti spartiacque: la rivoluzione di Khomeyni in Iran nel 1979 (anche se il jihad a vocazione globale è sunnita, non sciita, nonostante anche quest’ultimo prende un colore ideologico), anno anche dell’occupazione della grande moschea de La Mecca da parte di un gruppo di jihadisti sunniti come atto di denuncia di una casata Saudita che fa affari con gli USA e che si arricchisce sulle spalle dei fedeli; ancora, l’assassinio di Sadat in Egitto nel 1981; l’emergere del jihadismo salafita volto a respingere i sovietici afgani, nonché favorito dal supporto saudita e acclamato dagli USA. Agli inizi degli anni ‘90 l’installazione di truppe statunitensi sul territorio saudita, considerato sacro. [25] L’appello è una fatwa mondiale e presto alle parole seguono i fatti fino ad arrivare all’ attacco alle Torri Gemelle l’11 settembre 2001 [26] Che rappresentano il grosso delle truppe di Daesh [27] L’autrice cita un documentario di Safia Kessas, p. 98 [28] La prima generazione veniva istruita, poi portata su campo, poi se reggeva faceva gavetta su campo, con al-Qaida in particolare, tra gli anni ‘90 e i 2000, 5 step:. Formazione militare, poi istruzione religiosa, poi educazione politica, formazione strategica, ed infine un insegnamento ideologico). [29] Nel presente lavoro è difficile dare una spiegazione esauriente del fenomeno sociolinguistico relativo alle radicalizzazioni e al jihadismo. [30] A.M. CHELLY, En Attendant le Paradis, Cerf, Paris, 2019, p 38 [31] Inteso come gruppo d’appartenenza [32] Cfr. A.M. CHELLY, Op. cit., 2019, pp. 43 e seg.

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