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Iran – Taliban: dalle ostilità alla collaborazione pragmatica

Aggiornamento: 2 mar 2022

Figura 1 Credit radiozamaneh

1. Introduzione


Le relazioni tra la Repubblica Islamica d’Iran e l’entità politico – religiosa dei talebani sono da sempre contraddistinte da ambiguità e contrasti, condite da una certa dose di pragmatismo e fredda real politik. Le ragioni dell’opposizione sono da indagare nella reciproca avversione ideologica fomentata della rivalità sciita-wahabbita, ma la vicinanza geografica e la condivisione di 921 km di confine impone il compromesso a questi due attori, soprattutto dopo il ritiro della coalizione statunitense dell’agosto del 2021 e la conseguente ascesa al potere dei talebani. Di fatto l'Iran considera l'Afghanistan come uno dei suoi vicini più importanti grazie ai ricchi legami culturali, storico - linguistici, ma anche per motivi geopolitici ed economici: nel corso del 2021 Teheran sostituisce il Pakistan come primo partner commerciale con un volume di interscambio di 2.5 miliardi di dollari tra i due paesi.


Dalla rivoluzione islamica del 1979, l'approccio dell'Iran nei confronti dell'Afghanistan si è contraddistinto per la prudenza, tuttavia il decisivo cambio di passo avviene con l’assedio da parte dei talebani della città di Mazar-e Sharif nell’agosto del 1998 quando i talebani uccisero otto diplomatici e un giornalista del consolato iraniano. Da una parte, la crisi generata a seguito di questi fatti ha visto l'Iran offrire inizialmente il proprio supporto all'intervento militare della NATO nel 2001, ma, di contro, Teheran si è sempre riservata di considerare le proprie relazioni con i talebani come un elemento di disturbo al fine di minare gli interessi degli Stati Uniti, maggior rivale della Repubblica Islamica d’Iran, e mantenere l'influenza nella politica interna afghana, mitigando al minimo i rischi di un ritorno talebano per gli interessi nazionali iraniani.


2. Vincitori e vinti sul nuovo scenario afghano


Dopo la rapida caduta di Kabul e dell’Afghanistan in mano talebana, il futuro del paese centroasiatico è motivo di grande preoccupazione per tutti gli Stati confinanti, i quali temono un travaso di caos e fibrillazioni negli equilibri geopolitici nella regione. Le conseguenze immediate e più visibili paiono la sconfitta dell’India, l’incremento della sfera d’influenza del Pakistan in Afghanistan e la facilitazione del corridoio cinese verso l’Oceano Indiano e il Mediterraneo via Afghanistan-Pakistan.

Figura 2 Murales in onore dei nove diplomatici iraninai uccisi a Mazar-e Sharif dai talebani (credit Saednews)

Sulla Russia gravano invece gravi incognite, tali da spingere Mosca a stringere patti informali di contro-assicurazione con i talebani rispetto ai rischi di infiltrazione jihadista, financo nelle sue regioni meridionali esposte all’islamismo militante. L’Iran, in quanto paese vicino, al pari di Cina, Pakistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, osserva con attenzione gli sviluppi. In tal senso, la collaborazione di Teheran con Russia e Cina sembra profilare una comunione di interessi e d’intenti tra Mosca, Pechino e gli ayatollah. D’altro canto, questi tre attori condividono lo stesso interesse nella stabilizzazione dell’Afghanistan e sembrano esserci buone probabilità che qualsiasi sforzo cinese volto a ristabilirvi l’ordine attraverso l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (composto da Cina, Russia, Kirghizistan, Tagikistan, Kazakistan) riceva il pieno sostegno iraniano.

L’Iran ha sempre visto l’occupazione americana di Afghanistan e Iraq come un grande piano volto a rovesciare la propria teocrazia. Obiettivamente, dal 2001 la CIA ha sviluppato in Afghanistan massicce reti d’intelligence che hanno allarmato gli iraniani. Attualmente la Repubblica Islamica si sente forse meno vulnerabile, dato il ritiro americano dal paese vicino. La base aerea di Kandahar, ad esempio, gestita dalla Central Intelligence Agency, non è più fonte di preoccupazione per Teheran; inoltre, gli iraniani possiedono ora molte armi di fabbricazione statunitense consegnate loro da afghani rifugiatisi oltreconfine.

La Repubblica Islamica è tuttavia preparata allo scenario peggiore: quando l’uscita degli Stati Uniti dall’Afghanistan è apparsa inevitabile, ha rafforzato il quartier generale Shahid Qajarian dei Guardiani della Rivoluzione sul confine orientale, stabilendo cinque nuove basi operative a ridosso della frontiera, cercando inoltre di proteggere i propri alleati da eventuali attacchi dei taliban. Ismail Khan, grande alleato dell’Iran ed ex governatore della provincia di Herat, dopo essere stato interrogato dai talebani è volato in Iran sotto la protezione dei pasdaran, il che dimostra che Teheran si tiene comunque pronta a una guerra, diretta o per procura, con i talebani. Alla luce delle complesse relazioni tra i due attori nel corso degli anni, è ben evidente come da un lato l’Iran sia ottimista circa la sua pragmatica relazione con gli studenti coranici, dall’altro, tuttavia, non è pienamente cosciente di come possano mutare i rapporti con il regime di Kabul.


3. La Repubblica Islamica d’Iran nello scacchiere regionale


La Repubblica Islamica ha sempre inteso gli sviluppi afgani come un’opportunità per accrescere la propria influenza nel Paese e nella regione, ricercando posizioni di leva contro gli Stati Uniti. Cionostante il paese è il grande sconfitto insieme all’India. Teheran si è pubblicamente scagliata contro la composizione dell’esecutivo nel neo-governo talebano nel quale non è entrata nessuna entità etnica su cui mantiene un’ascendenza culturale; la prevedibile esclusione degli hazara di fede sciita rischia di generare proteste e violenze.

Per capire i rapporti di forza interni ed esterni all’Afghanistan all’indomani del ritiro USA si devono analizzare la composizione del governo transitorio e le influenze internazionali su di esso: sulle 33 cariche annunciate, solo due non sono state assegnate ai pasthun, l’etnia meridionale di cui sono espressione i taliban. Tuttavia è rilevante come una delle due è quella di capo di Stato maggiore delle Forze armate, andata al tagiko Qari Fasihuddin. De facto, la nomina di un tagiko – etnia tradizionalmente resistente ai talebani – sottolinea la ricerca di sostegno e approvazione da parte di tutte le entità etniche. Ciononostante, l’allargamento delle nomine non ha coinciso con una significativa spartizione del potere, che resta quasi totalmente nelle mani delle etnie meridionali, anima degli interessi pakistani nel Paese.

Altra frattura dirimente è quella fra il Sud e l’Est. Nelle province orientali domina il clan degli Haqqani il quale non è esattamente fedele alle gerarchie dei taliban essendosi riappacificato con il movimento soltanto negli ultimi anni. È proprio la manifesta competizione tra Est e Sud il motivo per cui l’Afghanistan è caduto più rapidamente di quanto ci si aspettasse. Gli Haqqani hanno reso più veloce la presa di Kabul con l’obbiettivo di aumentare il proprio peso politico; nonostante ciò sono stati grossomodo estromessi dal nuovo governo, avendo ottenuto soltanto il Ministero dell’Interno – andato a Sirajuddin Haqqani, ricercato dagli Usa per terrorismo – mentre la loro aspirazione era assicurarsi le cariche apicali. Ciò spiega anche la lunghezza delle trattative per annunciare il governo. Sponsor dei taliban, il Pakistan si conferma potenza di riferimento per il nuovo regime di Kabul. Il direttore generale dell’ISI (Inter-Services Intelligence) Faiz Hameed ha sbrogliato la matassa dei negoziati in favore dei talebani meridionali, a discapito del clan degli Haqqani. Un’eccessiva presenza di questi ultimi al governo avrebbe, infatti, complicato la ricerca di legittimazione internazionale, necessaria per scongelare fondi all’estero e attirare investimenti stranieri.

Altro attore influente su questo esecutivo è il Qatar, il quale vede nominati vicepremier il mullah Baradar e Mawlawi Hanafi, intimi amici di Doha e direttori dei negoziati per la resa americana.

Anche la Turchia, protettrice del Qatar, sta sfruttando la vicinanza di Doha con i taliban per ottenere la gestione dell’aeroporto di Kabul, probabilmente per mezzo di contractor e senza presenza di truppe militari, considerata una base di lancio da cui ampliare la propria influenza in Afghanistan e il proprio rilievo agli occhi degli Stati Uniti.


4. Iran: il quadro interno.


Anche se celebra il ritiro USA-NATO, l’Iran è preoccupato che l’instabilità e le questioni economiche della porta accanto possano riversarsi nel proprio territorio: il paese condivide un confine di 921 km con l’Afghanistan, attraverso il quale scambia ogni anno circa 2 miliardi di dollari di merci (circa un terzo del volume commerciale dell’Afghanistan). L’Afghanistan è infatti il quinto più grande mercato di esportazione dell’Iran. Mantenere aperto tale mercato è vitale per Teheran, specie fintanto che le sanzioni internazionali ne schiacceranno l’economia. È facile prevedere che qualsiasi azione drastica dell’Iran contro i taliban ostacolerebbe l’accesso iraniano all’economia afghana.

I due Paesi sono economicamente più interconnessi di quanto appaia; infatti il rafforzamento di questi legami è avvenuto in modo non pianificato ma causato dalla ricerca da parte dell’Iran di opportunità economiche nelle proprie vicinanze, dato che le sanzioni statunitensi lo hanno tagliato fuori dall’economia globale. In particolare, il privilegiato ruolo dell’Afghanistan come cliente primario delle esportazioni iraniane non petrolifere, fanno ritenere che l’Iran sia molto propenso a scendere a compromessi con i talebani.


Le recenti azioni internazionali volte a limitare l’accesso da parte dei talebani ai fondi afghani congelati all’estero – stimati in circa 9 miliardi di dollari e depositati per la maggior parte presso la Federal Reserve di New York – avranno di certo un impatto sui tassi di cambio in Iran, andando a causare la perdita di valore alla valuta afgana e stimolando l’inflazione. Tale scenario potrebbe far prevedere una riduzione della domanda dei beni iraniani causata dall’aumento dei prezzi per le imprese e i privati.

Ulteriori danni per l’economia iraniana deriveranno dalla riduzione degli aiuti internazionali all’Afghanistan: anche qui il risultato potrebbe essere il calo della domanda tra i consumatori e le imprese, ampliando i danni per le esportazioni iraniane.


In termini economici, l’ascesa dei talebani, potrebbe aggravare l’isolamento economico e diplomatico dell’Iran il quale si trova privato di una comoda vicinanza ai governi stranieri, alle organizzazioni internazionali presenti in Afghanistan e ai flussi finanziari che hanno sostenuto l’economia afghana prima del ritorno talebano.


Altra grave preoccupazione di Tehran è il poroso confine di 921 km che condivide con l’Afghanistan; risulta infatti un comodo corridoio di transito per i transfughi afghani, per il traffico di esseri umani e per l’enorme flusso di oppio diretto verso occidente attraverso l’Iran.

Figura 3 Le vie del traffico di oppiacei dall'Afghanistan (credit UNODC)

Punta di diamante e piano strategico vitale della Repubblica Islamica è il sontuoso progetto di Chabahar, direttamente coinvolto dai rischi di un Afghanistan instabile. Nel 2016 Iran e India raggiunsero un accordo in base al quale Nuova Delhi si impegnava a investire 1,5 miliardi di dollari nello sviluppo dell’unico porto d’altro mare iraniano, Chabahar appunto, costruendo, tra l’altro, una ferrovia che lo connettesse a Zahedan. Fine ultimo del progetto era connettere l’India all’Iran per mezzo dell’Afghanistan, rendendo accessibili le copiose risorse minerarie del paese centroasiatico per un valore di oltre mille miliardi di dollari. Il progetto incrementa il valore geopolitico dell’Iran per l’India, oltre a fornire a Teheran una notevole leva di forza per sviluppare economicamente il Balucistan, la cui volatilità causa grossi riflessi sulla sicurezza interna Repubblica Islamica. Un aumento della stabilità dell’Afghanistan renderebbe di certo ultimabile il progetto Nuova Delhi-Chabahar via Afghanistan, un aumento del caos afghano sarebbe invece nocivo per gli interessi di d’Iran e India.

Sebbene l’instabilità afghana metta a serio rischio gli interessi economici di Teheran, sembrano esserci modi in cui quest’ultima possa beneficiare del ritorno dei taliban al potere. È il caso dell’acqua. Negli ultimi dieci anni l’Iran ha patito una grave scarsità idrica: le sue regioni orientali e sud-orientali sono tra le più colpite dalla siccità, accentuatasi anche per la costruzione della diga Kamal Khan sul fiume Helmand, in Afghanistan. Lo sbarramento ha prosciugato gran parte del lago Hamun, da cui centinaia di migliaia di iraniani dediti a pesca e agricoltura dipendono per la propria sussistenza. L’Iran ha provato a ad avanzare la richiesta per aumentare il deflusso verso valle dalla diga, incontrando il diniego dell’allora presidente Ashraf Ghani che rispose «Non abbiamo acqua gratis: se volete l’acqua dateci il petrolio». Parallelamente, diversi funzionari afghani accusavano l’Iran di istigare i talebani al sabotaggio dell’infrastruttura.

Appena dieci giorni dopo la caduta di Kabul in mano talebana, Teheran annunciava di aver ripreso l’export di petrolio all’Afghanistan su richiesta degli stessi taliban. Secondo il governo iraniano, infatti, i taliban avrebbero pagato il greggio in contanti – dato il caos che ha paralizzato il sistema bancario afghano –, aspetto che rende difficoltoso il tracciamento del denaro, fornendo allo stesso tempo dollari alla Banca centrale iraniana, in barba alle sanzioni internazionali.


5. La questione Hazara


Altra grande fonte di preoccupazione per l’Iran è, infine, il destino degli hazara afghani sciiti, brutalmente perseguiti dai talebani fin dagli anni Novanta proprio a causa della loro confessione.

Dal 1979 la Repubblica Islamica si è eletta leader e custode dei musulmani sciiti nel mondo e, in questo contesto, gli ultimi quarant’anni di politica estera iraniana hanno visto il finanziamento, il reclutamento e l’addestramento di gruppi armati sciiti in diversi paesi. Qualora la minoranza hazara in Afghanistan venisse nuovamente presa di mira dai talebani, la reputazione di Teheran quale garante degli sciiti sarebbe messa a dura prova. Questa è una ragione per il quale gli iraniani vorrebbero che i taliban governassero in modo inclusivo inserendo gli esponenti delle varie etnie nell’esecutivo ed è proprio questo il motivo per il quale la Repubblica Islamica non ha riconosciuto immediatamente il nuovo governo di Kabul. Per raggiungere i propri obbiettivi, Teheran sostiene un governo di cui i talebani siano in minoranza e senza potere decisionale, che garantisca in primo luogo la sicurezza della comunità sciite – primariamente della già vessata comunità Hazara – in territorio afghano dall’ISKP e da altri gruppi militanti sunniti. Prima di formalizzare le relazioni diplomatiche, al pari degli altri paesi, probabilmente Tehran aspetterà che l’Emirato mostri di voler proteggere le minoranze, specie quella sciita, astenendosi altresì dal compiere qualsiasi azione che minacci la sicurezza nazionale iraniana.


6. Conclusioni


La visita ufficiale del ministro degli Esteri ad interim del governo talebano Amir Khan Muttaqi del 9 gennaio 2022 a Teheran potrebbe preannunciare una volontà di riconoscimento ufficiale dei talebani da parte iraniana. Nei colloqui svolti con Hossein Amir Abdollahian, ministro degli Esteri iraniano, l’interesse primario dei delegati afghani era quello di ottenere il riconoscimento ufficiale, nonostante Said Khatibzadeh, portavoce del ministero in questione, ha sottolineato l’acerbità di tale condizione.

Figura 4 Il ministro Muttaqi a Teheran (credit Times of Israel)

Le reazioni iraniane ai recenti sviluppi afghani evidenziano la cautela con cui la Repubblica Islamica si sta muovendo per adattarsi alla nuova realtà del vicino orientale. L’approccio pragmatico ha il fine di minimizzare i potenziali rischi che promanano dal paese, ma l’Iran ha anche lo scopo di trarre vantaggio dal ritorno dell’Emirato Islamico d’Afghanistan e i talebani potrebbero essere funzionali all'obiettivo strategico dell'Iran di diventare egemone nella regione. Tuttavia Teheran deve fare i conti con il rischio che l'instabilità generata da uno scenario post-bellico si riversi sul proprio territorio.


I principali interessi iraniani in Afghanistan implicano perciò la sicurezza e la stabilità del confine internazionale, condicio sine qua non per contenere il traffico di sostanze stupefacenti attraverso il lunghissimo confine poroso, proveniente dalla più grande produzione mondiale di oppio; evitare ulteriori afflussi di migranti afghani in Iran, i quali già costituiscono la più grande comunità della diaspora afghana, contando 2.5 milioni di rifugiati, dopo il Pakistan; ridurre le possibilità di rafforzamento dei gruppi terroristici takfiri come l’Islamic State-Khorasan Province (ISKP o ISIS-K); evitare l’interferenza dei competitors Stati Uniti e Arabia Saudita negli interessi nazionali; preservare l'alto livello di esportazioni verso il paese. Quest'ultimo risulta di particolare rilevanza per Tehran in un momento in cui le sanzioni economiche statunitensi hanno paralizzato l'economia iraniana. Sfida di primaria importanza per gli apparati di sicurezza iraniani sarà prevenire l’infiltrazione in territorio nazionale dei violenti gruppi sunniti takfiri per mezzo del confine poroso, considerati la principale minaccia alla sicurezza.


Nei vent’anni di occupazione militare dell’Afghanistan da parte della colazione statunitense, l'Iran ha seguito una strategia freddamente pragmatica e funzionale ai propri interessi, sfaccettata e spesso apparentemente contraddittoria. La rischiosa politica in cui si è avventurata Teheran ha sempre incluso il sostegno alla stabilizzazione politica di Kabul mentre parallelamente ampliava i propri legami con i talebani, armandone spesso le frange combattenti al fine di ostacolare gli sforzi statunitensi di counter insugency. In risposta al ritiro militare degli Stati Uniti, l'Iran potrebbe perseguire una strategia più ambiziosa in Afghanistan. Continuando ad abbracciare Kabul, l'Iran potrebbe contemporaneamente sfruttare il proprio soft power su diversi attori afghani e persino aumentare il sostegno ai delegati armati locali, ribaltando potenzialmente il fragile equilibrio politico del paese.


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